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Autore: Stateira    19/03/2007    21 recensioni
“La Dama in Azzurro”.
Pareva proprio che la McGranitt avesse fatto carte false, perché quel ritratto potesse essere esposto agli occhietti disattenti e poco coinvolti degli studenti della scuola.
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Slash | Coppie: Draco/Harry
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- E’incredibile

- E’incredibile. Meraviglioso! -

 

Harry annuì. Non se la sentiva proprio di contraddire Hermione, soprattutto considerando che con lei non giocava una partita ad armi pari.

Ricordava con nitidezza fin troppo entusiasta, cos’era successo l’ultima volta che Hogwarts aveva preso in consegna qualcosa da una camera di sicurezza della Gringott; ma poteva supporre che fra una tela dipinta ed una pietra filosofale passasse una certa differenza, o quantomeno che nel frattempo tutti quanti avessero imparato la lezione.

 

Il fatto che Ron non avesse la più pallida idea di chi fosse questo Edmund Rernut, poi, lo consolava. Negli anni passati ad Hogwarts e fra i maghi, Harry aveva imparato che c’era sempre una buona occasione per sentirsi fuori posto una volta di più, e tornare ad essere il ragazzino babbano che per undici anni della sua vita era stato, e che del mondo magico non sapeva un accidente. E questa era proprio una di esse.

Hermione non si poteva considerare un termine di paragone valido, d’accordo. Harry sarebbe stato prontissimo a scommettere che la quasi totalità delle fila purosangue di Serpeverde sapesse la metà di ciò che sapeva lei sul mondo in cui vivevano, nonostante stemmi e fregi – fregi, bada bene, non sfregi. – .

Ma nonostante ciò il dover ammettere che no, non lo sapeva, chi era Rernut, e no, non lo aveva mai visto, un dipinto magico, gli dava fastidio.

Tutto qui, fastidio. Non rabbia, e nemmeno indifferenza, e nemmeno curiosità, o senso di inadeguatezza, o qualsiasi altro sentimento esageratamente solenne, per una simile circostanza.

Fastidio, ecco tutto.

Si può provare fastidio, nell’ammettere di essere consapevoli che probabilmente non sarebbe bastata una vita, per imparare davvero tutto sul mondo magico? Per sentirsi per davvero a casa, in quel mondo?

“La Dama in Azzurro”.

Pareva proprio che la McGranitt avesse fatto carte false, perché quel ritratto potesse essere esposto agli occhietti disattenti e poco coinvolti degli studenti della scuola. Harry costruì nella propria testa l’immagine della Signora Grassa bardata da un pesante drappeggio di un color azzurro sfavillante, e rabbrividì. C’era solo da sperare che quel Rernut avesse un gusto migliore, nello scegliersi le modelle.

 

Posò il suo bicchiere di succo d’arancia quasi vuoto, perdendosi nei buffi giochi di luce del sole che si rifletteva fra gli aloni giallastri delle poche gocce superstiti che strisciavano pigramente lungo le pareti. Captò una scintilla bionda. Non gialla, bionda, c’era una bella differenza. E fu questo a distrarlo.

Draco Malfoy era in piedi, al suo solito posto al tavolo Serpeverde, più o meno di fronte a lui, in linea d’aria. Teneva i palmi delle mani spalancati e piazzati sul tavolo, e stava discutendo con Blaise Zabini.

In piedi.

Con le mani piazzate.

Harry inarcò un sopracciglio senza accorgersene. In quel momento, Draco Malfoy gli sembrò qualcosa che non gli era mai sembrato per quasi sette anni della sua vita: gli sembrò allegro. E persino entusiasta. Glielo vedeva sulle guance, laccate di un rosa pallido che stravolgeva completamente la sua fisionomia asprigna.

E, strano, stranissimo, ma vero, nemmeno per un momento fu toccato da un qualche pensiero allarmante, dal timore che Malfoy avesse, che so, dato alle fiamme l’arazzo di Grifondoro dell’ingresso, o trasformato Ginny in un rospo zannuto (Ginny era seduta due posti più in là del suo, e chiacchierava con una sua compagna. Sembrava stesse bene, niente denti appuntiti o verruche verdi in vista), o manomesso la sua Firebolt.

Ad ogni modo, erano pensieri inutili. Malfoy non sembrava di quel tipo di buon umore perfido di cui si vestiva nelle occasioni più speciali. Sembrava semplicemente contento. Contento, solo questo, contento come una qualsiasi persona sarebbe potuta essere, per qualcosa di importante.

 

- Il ritratto sarà esposto soltanto fino a domani pomeriggio, ragazzi. -

- Harry! -

Hermione gli cacciò una gomitata dritta nel costato, che lo riportò alla realtà in un baleno. Che diamine, ecco cosa succedeva a passare troppo tempo concentrati su Malfoy.

- Invito tutti, e intendo ognuno di voi, a non perdere l’occasione per apprezzarlo da vicino. -

Ron sbuffò sonoramente, guadagnandosi un’occhiataccia risentita da parte di Hermione, in qualche modo superata dal suo entusiastico applaudire verso il tavolo degli insegnanti, dove la McGranitt troneggiava ancora in tutta la sua figura puntuta. Ed Harry non potè far altro che solidarizzare. In silenzio, però, senza farsi scoprire da lei. Al diavolo le dame e i pittori.

 

*          *            *

 

Harry avvertì un certo disagio, notando che quasi tutti gli studenti avevano seguito il consiglio della McGranitt quasi alla lettera, per altro parafrasandolo in una ghiotta autorizzazione a disertare le lezioni. Nelle tre aule che visitò quella mattina, trovò meno della metà dei compagni che le affollavano di solito. I Corvonero si erano quasi volatilizzati, ed anche i Serpeverde sembravano aver subito una suggestiva vocazione di massa per i misteri della pittura. Malfoy, per esempio, era comparso soltanto per la lezione di Pozioni, ed Hermione stessa aveva sacrificato un’ora di Incantesimi, per godersi in pace quel maledetto ritratto. Ron non ne aveva voluto sapere, finchè sua sorella non ce lo aveva trascinato, letteralmente, sequestrandolo nel bel mezzo di una partita a scacchi contro Neville, e rimorchiandolo fino al piano di sotto con ammirevole determinazione, al grido di “Mamma ti ucciderà se scoprirà che non lo hai visto”.

 

Harry, dal canto suo, aveva provato ad allungare il collo nel corridoio della Sala Trofei, dove il quadro era stato sistemato per essere esibito al pubblico giubilo. Era seriamente intenzionato a dargli un’occhiata, non fosse altro che per la curiosità di vedere com’era fatto un quadro magico, e che cosa avesse di diverso da un’opera babbana. Probabilmente il rapporto era lo stesso che intercorreva fra le foto magiche e quelle babbane, e, se tanto gli dava tanto, Harry si augurava soltanto che questa Dama in Azzurro non fosse una parente della Signora Grassa, per la salvezza delle sue povere orecchie, e della sua pazienza.

In realtà aveva colto di sfuggita qualcosa a proposito di una certa differenza fra il genere di ritratti che popolavano, letteralmente, Hogwarts, e quel tipo di lavoro. Che diamine aveva, questo Rernut, per essere così tanto bravo?

Beh, una risposta ancora non l’aveva ottenuta, visto che i suoi tentativi di affacciarsi a vedere il quadro erano stati stroncati sul nascere dall’insistente presenza, davanti al suddetto, di Draco Malfoy.

 

No, no, e ancora no. Harry non aveva alcuna intenzione di buttare ai corvi tempo ed energie per pungolarsi con lui. Voleva dedicarli al ritratto, ed investirli almeno in qualcosa di buono per il suo arricchimento personale, quindi finché Malfoy fosse rimasto lì, lui sapeva benissimo che non sarebbe mai e poi mai riuscito a concentrarsi come si deve sull’opera d’arte, perché gli occhietti gelidi ed appuntiti di quel ragazzino lo avrebbero reso suscettibile e nervoso.

Nervosamente nervi a fior di nervo.

 

Aveva provato prima di pranzo, dopo pranzo, e alla fine della lezione di Erbologia, ma niente da fare, Malfoy era lì, sempre lì. Immobile davanti al dipinto, come se ne fosse stato parte integrante. Probabilmente se ne sentiva in diritto, presuntuoso com’era, probabilmente stava solo cercando di indovinare il valore di quel pezzo di tela, per chiedere a suo padre i soldi necessari a comprarselo, per appenderselo nel suo personalissimo cesso dorato di Lord biondo del pianeta.

 

*          *            *

 

Harry uscì dalla doccia, vestito di un paio di boxer e di una canottiera di cotone. Controllò l’orologio, e decise che andava bene: mancavano un paio d’ore, o poco più, all’ora di cena. Il sole stava già calando, e a nessuno sarebbe mai venuto in mente di perdere il proprio tempo proprio in quel momento, davanti al ritratto di una donna vestita di azzurro, quando i divanetti delle Sale Comuni offrivano attrattive decisamente migliori.

Si vestì in fretta, e scese trotterellando le scale; infilò il tozzo corridoio della Sala Trofei e, maledizione, lui era lì.

 

Qual buon vento, Malfoy. Quale dannatissimo uragano ti porta qui.

Draco Malfoy non si era accorto di nulla. Continuava a fissare il dipinto, rapito. Aveva la schiena drittissima, e le mani raccolte dietro, all’incirca all’altezza delle natiche. Eppure emanava un’aura di tranquillità cosmica, come se quella posizione a dir poco araldica fosse la più spontanea che si potesse assumere.

Harry si decise ad entrare, e buona notte. Sarebbe stato civile, e Malfoy sarebbe stato civile, e entrambi si sarebbero passati due minuti a guardare quello stramaledetto quadro senza importunarsi, fine della questione.

Per comprovare la bontà dei suoi propositi, Harry si avvicinò più silenziosamente che potè.

Guarda, Malfoy, visto? Non ti sto disturbando, sto sventolando bandiera di tregua.

 

Draco si decise a fargli dono di un po’ della sua considerazione soltanto quando lui gli fu a poco più di tre o quattro passi di distanza.

- Potter. -

Già. Pare proprio che mi chiami così.

- Voglio solo vedere il quadro. -

- Non te lo sto impedendo, mi pare. -

- Non al momento. Mi posso fidare? -

Draco non lo degnò di una risposta. Lo guardava in un modo strano, animato da una sorta di timore. Era lo sguardo di qualcuno che si aspettava una stilettata in pieno petto da un momento all’altro? Harry valutò, più che altro capì, che se davvero era così, allora avevano davvero toccato il fondo, loro due. Il fondo dello squallore, se davvero non riuscivano più a concepire di poter stare vicini senza infierire l’uno sull’altro. E ad ogni modo lui di pugnali non ne aveva, in quel momento, e Draco Malfoy che guardava un quadro era qualcosa che, ebbene sì, non lo disturbava particolarmente.

Harry gli si mise di fianco con una certa prudenza, e finalmente alzò gli occhi sul ritratto.

 

Una giovane donna, dai capelli di un morbido color marrone, sorrideva. Stava sdraiata in mezzo a delle spighe di grano biondissimo, il busto sollevano dalle braccia che facevano leva sul terreno, e la testa leggermente inclinata in un moto spontaneamente bambino.

E, sì, decisamente era azzurra. Il vestito che indossava non aveva nulla dei rigidi corpetti che si vedevano addosso alle tante dame degli altri quadri. Sembrava di bisso, o di mussola, e parlava di primavera per il solo modo in cui era tratteggiato, a pennellate generose ed ossigenate. I capelli sciolti della giovane giocavano e litigavano con il venticello che faceva delle spighe dei piccoli ventagli campestri, ed erano liberi più di esso, molto più di esso, come se loro avessero la facoltà di uscire dalla cornice dorata e lui no.

La ragazza sbattè le palpebre, e con una mano salutò Harry, allegramente.

Harry le sorrise, piuttosto a disagio, e sentì lo sguardo di Malfoy sulla propria guancia, come un raggio collaterale del bel sole che brillava nel quadro. Si azzardò a ricambiare lo sguardo.

- E’ molto bello. – commentò.

E sperò che Draco gli rispondesse qualcosa, che raccogliesse il suo invito ad intavolare una qualche discussione. Pensò che in quel contesto, in quella situazione, sarebbe stato persino bello. Parlare con Draco Malfoy, dire qualcosa, così, come se loro due non fossero divisi e lontani, come se fossero due compagni qualsiasi, come se Malfoy non fosse solo il Serpeverde più spregevole della scuola, e lui non fosse solo l’eroe di battaglie ancora da combattere.

La ragazza in azzurro li guardò entrambi, poi sorrise, piegando solo un lato della bocca, ed adombrando una guancia colorita in una piccola fossetta, in corrispondenza di esso. Si sistemò meglio sulle ginocchia, e si mise a cantare, facendo sobbalzare Harry per la sorpresa.

- Parla. – constatò.

- No. Sa solo cantare. -

La voce di Malfoy lo raggiunse, velata da una nota inaspettata di naturalezza. Aveva parlato con un tono che spinse Harry a chiedersi se davvero quello fosse il suo vero modo di affrontare una chiacchierata qualsiasi, con un amico qualsiasi, su un argomento qualsiasi.

- E’ un’opera d’arte, non un ritratto incantato qualunque. – lo sentì aggiungere.

 

E poi zittirsi, per stare a sentire la voce di lei. Bella come il soffio di un arpa, più o meno. Acerba e misurata, una voce che sapeva d’azzurro come il suo vestito, che prendeva vita fra le spighe di grano e che saliva ad adornare i suoi capelli, come una coroncina di perle.

Harry le sentì raccontare la storia di un malinteso, ed ebbe l’incredibile sensazione che stesse parlando proprio a lui, e non soltanto perché lo guardava negli occhi.

Cercò un qualche sostegno in Draco, ma non lo trovò, perché lui aveva gli occhi socchiusi, e le stava dedicando tutta la sua attenzione. Di tanto in tanto schiudeva le labbra, e poi le riserrava, come fa chi segue qualche parola di una canzone, o di una preghiera.

- Conosci questa canzone? – sussurrò Harry.

Draco fece un cenno con il dito indice della mano destra. – Canta sempre una melodia diversa. – rispose a mezza voce. – Dipende da chi ha davanti. -

- Oh. -

 

La canzone si spense in un dolce vibrato, e in un sorriso. Harry si mordicchiò un labbro, e si perse nel bell’effetto della luce impolverata del tramonto sulla tela dipinta, animata da un sole antagonista, che rifletteva quello vero e lo imitava con i suoi pigmenti solidi.

- Grazie. – disse. – Per avermi spiegato della canzone. -

- Quasi nessuno rimane a sentirla cantare per intero. -

Harry arricciò un labbro, sinceramente stupito. – E perché? È stato bellissimo ascoltarla. -

Draco inarcò un sopracciglio. – Perché ci sono io, Potter. -

Lo disse con una voce stranamente spoglia di ogni maliziosa perfidia. Era più che altro una constatazione, ed Harry se ne sentì colpito.

- Sei stato gentile. – fu l’unica cosa che gli venne in mente di dire. Era la verità, e sperava che Malfoy lo capisse.

Draco si strinse nelle spalle. – Non mi importa. Meglio per me, ho più tempo da strascorrere qui, a guardarla, per quel poco che resterà. -

- Sei un appassionato di arte? -

- Lo stile di Rernut è inarrivabile. -

Draco aveva sospirato. Per la miseria, gli piaceva davvero, quel quadro.

Harry alzò gli occhi sul dipinto, sulla ragazza distratta a sistemare alcune pieghe della gonna, e si tormentò l’interno della guancia.

- Non ne capisco molto. – confessò fra i denti. – Vedo solo che è bello. Con occhi profani, vedo che è splendido. -

Draco estrasse la bacchetta dalla tasca del suo mantello scuro, con calma. Harry non pensò nemmeno per un istante di tirare fuori la sua, e tenersi in guardia. Non ce n’era bisogno, Draco era disarmato, e con il suo modo di fare disarmava lui.

- Vedi? – fece, disegnando dei circoletti con la punta della bacchetta, in corrispondenza dei capelli della dama. – Sono pennellate larghe, e solo sulla punta sono picchiettate. È per questo che riescono ad animarsi così naturalmente, nel vento. -

Harry si aggiustò gli occhiali sul naso, e si sforzò di cogliere i tratteggi che Draco gli aveva indicato. Gli interessava sul serio. Incredibile, ma gli interessava davvero, quella faccenda dei capelli.

- Grazie. – disse, impressionato. – Se non me lo avessi fatto notare tu non me ne sarei mai accorto. -

Draco si strinse nelle spalle ed accennò ad un mezzo sorriso di circostanza, una specie di “figurati, Potter, credo di essere più colpito di te dal fatto di essere stato gentile con te senza avere uno Schiantesimo puntato contro”. Sbatté le ciglia in direzione del quadro un’ultima volta, prima di rinfoderare la bacchetta.

 

Harry lo guardò andare via, con gli occhi imbambolati sulla sua schiena, che diventava un unico con il suo corpo, coperto dal manto.

Nella sua testa prese corpo un’impressione, un qualcosa di simile ad una speranza.

Si voltò verso il quadro, allucinato, dandosi dell’idiota per il fatto di stare cercando un qualche appiglio in una figura dipinta, ma contemporaneamente contandoci sul serio, su un aiuto. La ragazza raccolse i capelli castani e li ravviò dietro la schiena. Gli sorrise apertamente, reclinando la testa, e poi indicò il sole, quasi immerso oltre il filo dell’orizzonte.

- Credi che… - azzardò Harry.

La giovane annuì con entusiasmo, e poi prese a scacciarlo scherzosamente con il dorso della mano. Era ora di cena, sciocco di un Potter, voleva per caso perdersi lo spezzatino alla panna?

 

*          *            *

 

Il corridoio che conduceva alla Sala Trofei era illuminato da più torce, rispetto agli altri. Fino alle otto doveva essere stato calpestato su e giù dagli ultimi visitatori ritardatari, proprio come un museo all’ora di chiusura, ed in quel momento, pur essendo interdetto, esattamente come tutti gli altri ambienti di Hogwarts dopo l’orario di coprifuoco, restava più rischiarato, impressionando per l’effetto di una sorta di nido d’oro, che attirava verso di sé, verso ciò che custodiva.

Harry penetrò cautamente nella sala, e lo vide lì, accovacciato ai piedi del quadro, come un bimbo che ascolta una favola.

Ci sperava, di trovarlo. Dio, ci sperava con tutto il cuore, ci aveva sperato per tutta la cena.

- Ciao. – disse sottovoce. – Anche tu qui a vederlo per l’ultima volta? -

Draco non si scompose. Visto in qualche strana, buffa prospettiva, si poteva quasi pensare che fosse rimasto ad aspettarlo, nella stessa misura in cui Harry aveva aspettato di raggiungerlo. Occhieggiò a lui, e al quadro, come se fossero stati due amanti da non far incontrare, e quando si spostò di un passo, sembrò rassegnato, più che insofferente.

Harry gli si sedette vicino. Non avrebbe saputo cos’altro fare, se non dimostrargli prudentemente di voler dar vita di nuovo a quello che c’era stato prima, fra loro. Qualsiasi cosa fosse stata.

- E così scende la notte anche nel quadro. – costatò. Diamine, era davvero frustrante non avere un argomento decente da proporre.

- E’ un quadro incantato, risente di tutto ciò che gli accade attorno. – niente polemica, nella voce di Draco.

- Certo, capisco. – Harry fece leva con le mani, per accomodarsi meglio, e si aggiustò nervosamente la cravatta. La verità è che non riusciva a restarsene buono, con Draco di fianco, e questo non era poi così strano: da quando lo conosceva, ogni volta che gli era capitato di averlo vicino era sempre stato agitato. Aveva urlato, o alzato le mani, o digrignato i denti. Non aveva mai provato a restare fermo e calmo. Evidentemente non ci riusciva proprio.

- Ti piacerebbe poterlo avere a casa tua? – domandò ingenuamente.

Draco gli rivolse uno sguardo che brillò di tutto il fulgore stellare della notte.

- A te piacciono le cose che ti leggono nella testa, Potter? -

Harry ebbe un sussulto, che Draco interpretò come un no. Se quel piccolo diavoletto biondo sapesse o meno di Nagini, di Voldemort, dell’Occlumanzia e di tutto il resto, lo sapevano solo lui e il cielo. E forse, la ragazza del quadro. Era impossibile, quasi impossibile che Draco si stesse riferendo proprio a quello.

- Non so quanto potrei sopportare di stare a sentire ciò che dice. Ma per un giorno sì, lo posso fare. – finì Draco, completamente indifferente alla strana reazione di Harry.

- Perché ? Ti dice cose spiacevoli? -

- Cose che mi spaventano. -

Harry annuì debolmente. – Capisco. -

Draco sbuffò debolmente dal naso, e si alzò di scatto. – No, Potter, non capisci. – lo liquidò con voce piatta.

- Te ne vai? -

- Ci sto provando. -

- Ma no, aspetta, è solo da pochi minuti che… -

Che siamo qui.

Oh dio.

Harry sbattè le palpebre, tramortito.

Se Draco se ne andava, se il maledetto Draco Malfoy se ne fosse andato, lui non avrebbe più avuto un motivo valido per rimanere lì. Non un solo motivo convincente per restare un minuto di più.

 

Diciassette volte gli bacerai la bocca, prima di amarne il sorriso,

 

La voce della Dama in Azzurro lo fece sobbalzare di nuovo, come era successo nel pomeriggio. Vide il volto di Draco deformarsi in un panico calcolato.

 

E diciassette volte bacerai ciascun dito della sua mano destra, prima di stringerla nella tua sinistra.

Diciassette fiori, di diciassette petali.

Diciassette anni.

Diciassette anelli, sulle cortecce delle vostre schiene.

Diciassette volte ripeterai il suo nome, per ogni anno perduto.

Diciassette pietre di diamante, per ogni anno di rancore.

Diciassette pagine di diario, bianche, per abbracciare il suo passato.

Diciassette candele accese, se vuoi il suo presente.

 

La giovane donna sorrise.

 

Che numero, per il suo futuro, questo io non so dirlo. 

 

Harry ruotò lentamente la testa verso la figura ammantata di azzurro, avvolta nella sua sera dipinta. Aprì la bocca, ma non riuscì a dire niente. Tutta la sua testa non diceva niente, era come se un silenzio lattiginoso fosse sceso a zittirgli la ragione e la lingua.

Vide Draco tirarsi nervosamente le braccia alle ginocchia, e sforzarsi di continuare a guardare il ritratto.

- Tu. – le parole gli rotolarono fuori dalla gola, rotolando l’una sull’altra come sassi. – Ha detto…? Tu sapevi di… questo? -

Draco accennò ad una smorfia.

- E’ ora di… -

La mano di Harry si strinse attorno al polso di Draco. Non troppo forte, ma nemmeno troppo gentilmente.

- Per favore. -

Era solo una richiesta. Il sole che chiedeva alla luna di spiegargli il buio, o qualcosa del genere.

Draco boccheggiò.

- E’ un quadro molto famoso. – disse con voce spezzata.

Harry levò gli occhi sulla ragazza, che lo salutò con un gran sorriso.

- Perché ci dice queste cose? -

Draco si tastò la manica della camicia, alla ricerca di inesistenti pieghe da sistemare, per stemperare il panico cieco.

- Lei sa leggere. – disse, con tutta la calma che riuscì a racimolare. – Dentro. -

 

Le parole di Draco colpirono Harry all’altezza dell’intestino.

“Leggere dentro” poteva significare un sacco di cose, davvero una marea di cose. E allora perché sentiva che non c’era proprio nulla da fraintendere? Razionalizzare non era di certo il suo forte, e probabilmente in quel momento avrebbe dato un braccio, per veder comparire Hermione dal nulla, con una spiegazione più che plausibile a quella situazione sulle labbra. Cercò la giovane donna del quadro con gli occhi, e sperò che lei, almeno lei, lei che era causa di tutto questo, lo aiutasse. Ma lei gli sorrise, e si abbracciò teneramente il busto, coccolandosi, e guardandolo in modo persino malizioso.

- Perché lo ha detto ora? Perché non oggi? -

- Perché oggi era diverso. -

Harry si mordicchiò un labbro, pensieroso. Era vero, probabilmente. Sicuramente. Ma che diamine era successo, allora? Si era innamorato di Draco Malfoy in un paio di ore, o cos’altro? Forse era Draco ad essersi innamorato di lui, o forse la ragazza si era sbagliata. Sì, doveva essersi sbagliata. Gli piaceva troppo, la sensazione di confusione che provava per Draco, non voleva lasciarla evaporare, non voleva ammettere subito che lei aveva ragione.

- Cosa dobbiamo fare, Malfoy? – ansimò.

- Non lo so. – rispose Draco, a mezza bocca.

 

Harry sospirò a lungo, dandosi il tempo per cambiare tutta l’aria che aveva nei polmoni, per poter parlare con nuovo ossigeno nelle vene.

Non subito, d’accordo. Ancora un po’ di tempo.

-Ti va di spiegarmi qualcos’altro di questo quadro? – propose sottovoce.

Draco lo guardò immediatamente. Nel senso che non ci furono mediazioni fra i loro occhi chiari, nulla che potesse ostacolare il flusso di pensieri, e tentativi, e timidezze, ed Harry sperò di non tradire troppe cose, senza prima riuscire almeno a capirle da sé.

- D’accordo. – mormorò Draco, dopo un po’. Si alzò in piedi, ed Harry lo imitò.

Il Serpeverde si schiarì la voce. - Vedi il campo di grano, sullo sfondo? – cominciò a dire, in un modo un po’ nodoso, che raschiava in corrispondenza del pomo d’Adamo, prima di riuscire ad evadere. – E’ stato dipinto con dei peli di Unicorno. Durante l’estate matura, e può essere mietuto. E ci crescono i papaveri rossi. A lei piace molto andare a raccoglierli, per farne dei mazzi, e delle ghirlande, da regalare a chi la guarda. -

Harry si sporse con infinita cautela oltre la spalla di Draco. Non osò fare nulla di più che questo. Era solo che voleva sentirlo, voleva capire che cosa provava, a stargli così vicino.

- Lei non ha un nome. Sembra che quando Rernut la dipinse fu lei stessa a chiedergli di non dargliene uno. Avrebbe limitato il suo potere di guardare la gente, e così rimase sempre “La Dama in Azzurro”, anche per il suo pittore. -

 

Una cosa era sicura. La sua voce era bella, bella da ascoltare.

 

- Se guardi il tocco del pennello, ti accorgerai che la luce è molto diluita, e picchiettata. Vedi qui, l’alone tutto intorno alla luna? È per rendere più… -

 

E la sua mano era bella da tenere.

 

Draco sentì la mano tremare violentemente.

Tentò furiosamente di sottrarsi ad Harry. Ma poi si rese conto di averci provato soltanto con il pensiero, perché nella realtà la sua mano non si era mossa di un solo millimetro. Come se avesse trovato gradevole restare annidata in quella di Harry.

Stava dando ragione alla ragazza azzurra, la sua mano. Traditrice, o sincera che fosse.

- Potremmo restare ancora un po’. – disse Harry. – Mi piace ascoltarti. -

- Davvero ti interessa? -

- Davvero. Io non so come sei di solito, con i tuoi amici, ma se mi lasci dire una cosa, vorrei dirti che è molto bello sentirti parlare di qualcosa che ti appassiona. -

- Potter. -

Draco li sentì quasi all’improvviso, i ciuffi dei capelli neri di Harry, sul collo e sulla guancia. Harry si era mosso di quel tanto che bastava per appoggiarsi a lui. Sembrava anche lui incerto sul da farsi, sembrava voler capire tanto quanto lui, se qualcosa da capire c’era.

Era una buona idea, sperimentare l’uno sull’altro le proprie strane, improvvise idee? Era giusto cercare di parlare dei propri dubbi? Era saggio dare ascolto alla voce di un oracolo vestito di azzurro, e fidarsi delle sue melodie, e del fatto non riuscire a rimanere indifferenti alle sue parole?

Forse no, d’accordo, probabilmente era una pazzia, ma maledizione, era più saggio, allora, continuare a mordersi il fegato a vicenda? Era saggio insistere nel correre, sempre più forte, per scappare l’uno dall’altro? Era saggio Serpeverde o Grifondoro, come se un nome potesse decidere di me o di te? Come se un colore potesse dire chi siamo e cosa dobbiamo fare? Come se non si potesse provare a trovare un punto d’incontro, nell’azzurro della veste di una donna dipinta?

Come se non fossero bianchi, i denti di un sorriso, o rosa come un tramonto le labbra di un bacio?

 

Harry non lasciò più andare la mano di Draco.

- Vai avanti, ti prego. – disse. – Raccontami. -

 

 

 

NOTA

 

 

Sì, non sono riuscita ad esimermi dall’anagrammare il cognome di uno degli artisti inglesi che amo di più.

Ah, Joseph Turner, mio cruccio e mia delizia! (Ti slasherò con John Constable, prima o poi, SAPPILO)

  
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