- E’incredibile.
Meraviglioso! -
Harry annuì. Non se
la sentiva proprio di contraddire Hermione, soprattutto considerando che con
lei non giocava una partita ad armi pari.
Ricordava con
nitidezza fin troppo entusiasta, cos’era successo l’ultima volta che Hogwarts
aveva preso in consegna qualcosa da una camera di sicurezza della Gringott; ma
poteva supporre che fra una tela dipinta ed una pietra filosofale passasse una
certa differenza, o quantomeno che nel frattempo tutti quanti avessero imparato
la lezione.
Il fatto che Ron
non avesse la più pallida idea di chi fosse questo Edmund Rernut, poi, lo
consolava. Negli anni passati ad Hogwarts e fra i maghi, Harry aveva imparato
che c’era sempre una buona occasione per sentirsi fuori posto una volta di più,
e tornare ad essere il ragazzino babbano che per undici anni della sua vita era
stato, e che del mondo magico non sapeva un accidente. E questa era proprio una
di esse.
Hermione non si
poteva considerare un termine di paragone valido, d’accordo. Harry sarebbe
stato prontissimo a scommettere che la quasi totalità delle fila purosangue di
Serpeverde sapesse la metà di ciò che sapeva lei sul mondo in cui vivevano,
nonostante stemmi e fregi – fregi, bada bene, non sfregi. – .
Ma nonostante ciò
il dover ammettere che no, non lo sapeva, chi era Rernut, e no, non lo aveva
mai visto, un dipinto magico, gli dava fastidio.
Tutto qui,
fastidio. Non rabbia, e nemmeno indifferenza, e nemmeno curiosità, o senso di
inadeguatezza, o qualsiasi altro sentimento esageratamente solenne, per una
simile circostanza.
Fastidio, ecco
tutto.
Si può provare
fastidio, nell’ammettere di essere consapevoli che probabilmente non sarebbe
bastata una vita, per imparare davvero tutto sul mondo magico? Per sentirsi per
davvero a casa, in quel mondo?
“La Dama in
Azzurro”.
Pareva proprio che
la McGranitt avesse fatto carte false, perché quel ritratto potesse essere
esposto agli occhietti disattenti e poco coinvolti degli studenti della scuola.
Harry costruì nella propria testa l’immagine della Signora Grassa bardata da un
pesante drappeggio di un color azzurro sfavillante, e rabbrividì. C’era solo da
sperare che quel Rernut avesse un gusto migliore, nello scegliersi le modelle.
Posò il suo
bicchiere di succo d’arancia quasi vuoto, perdendosi nei buffi giochi di luce
del sole che si rifletteva fra gli aloni giallastri delle poche gocce
superstiti che strisciavano pigramente lungo le pareti. Captò una scintilla
bionda. Non gialla, bionda, c’era una bella differenza. E fu questo a
distrarlo.
Draco Malfoy era in
piedi, al suo solito posto al tavolo Serpeverde, più o meno di fronte a lui, in
linea d’aria. Teneva i palmi delle mani spalancati e piazzati sul tavolo, e
stava discutendo con Blaise Zabini.
In piedi.
Con le mani
piazzate.
Harry inarcò un sopracciglio
senza accorgersene. In quel momento, Draco Malfoy gli sembrò qualcosa che non
gli era mai sembrato per quasi sette anni della sua vita: gli sembrò allegro. E
persino entusiasta. Glielo vedeva sulle guance, laccate di un rosa pallido che
stravolgeva completamente la sua fisionomia asprigna.
E, strano,
stranissimo, ma vero, nemmeno per un momento fu toccato da un qualche pensiero
allarmante, dal timore che Malfoy avesse, che so, dato alle fiamme l’arazzo di
Grifondoro dell’ingresso, o trasformato Ginny in un rospo zannuto (Ginny era
seduta due posti più in là del suo, e chiacchierava con una sua compagna.
Sembrava stesse bene, niente denti appuntiti o verruche verdi in vista), o
manomesso la sua Firebolt.
Ad ogni modo, erano
pensieri inutili. Malfoy non sembrava di quel tipo di buon umore perfido di cui
si vestiva nelle occasioni più speciali. Sembrava semplicemente contento.
Contento, solo questo, contento come una qualsiasi persona sarebbe potuta
essere, per qualcosa di importante.
- Il ritratto sarà
esposto soltanto fino a domani pomeriggio, ragazzi. -
- Harry! -
Hermione gli cacciò
una gomitata dritta nel costato, che lo riportò alla realtà in un baleno. Che
diamine, ecco cosa succedeva a passare troppo tempo concentrati su Malfoy.
- Invito tutti, e
intendo ognuno di voi, a non perdere l’occasione per apprezzarlo da vicino. -
Ron sbuffò
sonoramente, guadagnandosi un’occhiataccia risentita da parte di Hermione, in
qualche modo superata dal suo entusiastico applaudire verso il tavolo degli insegnanti,
dove la McGranitt troneggiava ancora in tutta la sua figura puntuta. Ed Harry
non potè far altro che solidarizzare. In silenzio, però, senza farsi scoprire
da lei. Al diavolo le dame e i pittori.
* * *
Harry avvertì un
certo disagio, notando che quasi tutti gli studenti avevano seguito il
consiglio della McGranitt quasi alla lettera, per altro parafrasandolo in una
ghiotta autorizzazione a disertare le lezioni. Nelle tre aule che visitò quella
mattina, trovò meno della metà dei compagni che le affollavano di solito. I
Corvonero si erano quasi volatilizzati, ed anche i Serpeverde sembravano aver
subito una suggestiva vocazione di massa per i misteri della pittura. Malfoy,
per esempio, era comparso soltanto per la lezione di Pozioni, ed Hermione stessa
aveva sacrificato un’ora di Incantesimi, per godersi in pace quel maledetto
ritratto. Ron non ne aveva voluto sapere, finchè sua sorella non ce lo aveva
trascinato, letteralmente, sequestrandolo nel bel mezzo di una partita a
scacchi contro Neville, e rimorchiandolo fino al piano di sotto con ammirevole
determinazione, al grido di “Mamma ti ucciderà se scoprirà che non lo hai
visto”.
Harry, dal canto
suo, aveva provato ad allungare il collo nel corridoio della Sala Trofei, dove
il quadro era stato sistemato per essere esibito al pubblico giubilo. Era
seriamente intenzionato a dargli un’occhiata, non fosse altro che per la
curiosità di vedere com’era fatto un quadro magico, e che cosa avesse di
diverso da un’opera babbana. Probabilmente il rapporto era lo stesso che
intercorreva fra le foto magiche e quelle babbane, e, se tanto gli dava tanto,
Harry si augurava soltanto che questa Dama in Azzurro non fosse una parente
della Signora Grassa, per la salvezza delle sue povere orecchie, e della sua
pazienza.
In realtà aveva
colto di sfuggita qualcosa a proposito di una certa differenza fra il genere di
ritratti che popolavano, letteralmente, Hogwarts, e quel tipo di lavoro. Che
diamine aveva, questo Rernut, per essere così tanto bravo?
Beh, una risposta
ancora non l’aveva ottenuta, visto che i suoi tentativi di affacciarsi a vedere
il quadro erano stati stroncati sul nascere dall’insistente presenza, davanti
al suddetto, di Draco Malfoy.
No, no, e ancora
no. Harry non aveva alcuna intenzione di buttare ai corvi tempo ed energie per
pungolarsi con lui. Voleva dedicarli al ritratto, ed investirli almeno in
qualcosa di buono per il suo arricchimento personale, quindi finché Malfoy
fosse rimasto lì, lui sapeva benissimo che non sarebbe mai e poi mai riuscito a
concentrarsi come si deve sull’opera d’arte, perché gli occhietti gelidi ed
appuntiti di quel ragazzino lo avrebbero reso suscettibile e nervoso.
Nervosamente nervi
a fior di nervo.
Aveva provato prima
di pranzo, dopo pranzo, e alla fine della lezione di Erbologia, ma niente da
fare, Malfoy era lì, sempre lì. Immobile davanti al dipinto, come se ne fosse
stato parte integrante. Probabilmente se ne sentiva in diritto, presuntuoso
com’era, probabilmente stava solo cercando di indovinare il valore di quel pezzo
di tela, per chiedere a suo padre i soldi necessari a comprarselo, per
appenderselo nel suo personalissimo cesso dorato di Lord biondo del pianeta.
* * *
Harry uscì dalla
doccia, vestito di un paio di boxer e di una canottiera di cotone. Controllò
l’orologio, e decise che andava bene: mancavano un paio d’ore, o poco più,
all’ora di cena. Il sole stava già calando, e a nessuno sarebbe mai venuto in
mente di perdere il proprio tempo proprio in quel momento, davanti al ritratto
di una donna vestita di azzurro, quando i divanetti delle Sale Comuni offrivano
attrattive decisamente migliori.
Si vestì in fretta,
e scese trotterellando le scale; infilò il tozzo corridoio della Sala Trofei e,
maledizione, lui era lì.
Qual buon vento,
Malfoy. Quale dannatissimo uragano ti porta qui.
Draco Malfoy non si
era accorto di nulla. Continuava a fissare il dipinto, rapito. Aveva la schiena
drittissima, e le mani raccolte dietro, all’incirca all’altezza delle natiche.
Eppure emanava un’aura di tranquillità cosmica, come se quella posizione a dir
poco araldica fosse la più spontanea che si potesse assumere.
Harry si decise ad
entrare, e buona notte. Sarebbe stato civile, e Malfoy sarebbe stato civile, e
entrambi si sarebbero passati due minuti a guardare quello stramaledetto quadro
senza importunarsi, fine della questione.
Per comprovare la
bontà dei suoi propositi, Harry si avvicinò più silenziosamente che potè.
Guarda, Malfoy,
visto? Non ti sto disturbando, sto sventolando bandiera di tregua.
Draco si decise a
fargli dono di un po’ della sua considerazione soltanto quando lui gli fu a
poco più di tre o quattro passi di distanza.
- Potter. -
Già. Pare proprio
che mi chiami così.
- Voglio solo
vedere il quadro. -
- Non te lo sto
impedendo, mi pare. -
- Non al momento. Mi
posso fidare? -
Draco non lo degnò
di una risposta. Lo guardava in un modo strano, animato da una sorta di timore.
Era lo sguardo di qualcuno che si aspettava una stilettata in pieno petto da un
momento all’altro? Harry valutò, più che altro capì, che se davvero era così,
allora avevano davvero toccato il fondo, loro due. Il fondo dello squallore, se
davvero non riuscivano più a concepire di poter stare vicini senza infierire
l’uno sull’altro. E ad ogni modo lui di pugnali non ne aveva, in quel momento, e
Draco Malfoy che guardava un quadro era qualcosa che, ebbene sì, non lo
disturbava particolarmente.
Harry gli si mise
di fianco con una certa prudenza, e finalmente alzò gli occhi sul ritratto.
Una giovane donna,
dai capelli di un morbido color marrone, sorrideva. Stava sdraiata in mezzo a
delle spighe di grano biondissimo, il busto sollevano dalle braccia che
facevano leva sul terreno, e la testa leggermente inclinata in un moto
spontaneamente bambino.
E, sì, decisamente
era azzurra. Il vestito che indossava non aveva nulla dei rigidi corpetti che
si vedevano addosso alle tante dame degli altri quadri. Sembrava di bisso, o di
mussola, e parlava di primavera per il solo modo in cui era tratteggiato, a
pennellate generose ed ossigenate. I capelli sciolti della giovane giocavano e
litigavano con il venticello che faceva delle spighe dei piccoli ventagli
campestri, ed erano liberi più di esso, molto più di esso, come se loro
avessero la facoltà di uscire dalla cornice dorata e lui no.
La ragazza sbattè
le palpebre, e con una mano salutò Harry, allegramente.
Harry le sorrise,
piuttosto a disagio, e sentì lo sguardo di Malfoy sulla propria guancia, come
un raggio collaterale del bel sole che brillava nel quadro. Si azzardò a
ricambiare lo sguardo.
- E’ molto bello. –
commentò.
E sperò che Draco
gli rispondesse qualcosa, che raccogliesse il suo invito ad intavolare una
qualche discussione. Pensò che in quel contesto, in quella situazione, sarebbe
stato persino bello. Parlare con Draco Malfoy, dire qualcosa, così, come se
loro due non fossero divisi e lontani, come se fossero due compagni qualsiasi,
come se Malfoy non fosse solo il Serpeverde più spregevole della scuola, e lui
non fosse solo l’eroe di battaglie ancora da combattere.
La ragazza in
azzurro li guardò entrambi, poi sorrise, piegando solo un lato della bocca, ed
adombrando una guancia colorita in una piccola fossetta, in corrispondenza di
esso. Si sistemò meglio sulle ginocchia, e si mise a cantare, facendo
sobbalzare Harry per la sorpresa.
- Parla. – constatò.
- No. Sa solo
cantare. -
La voce di Malfoy
lo raggiunse, velata da una nota inaspettata di naturalezza. Aveva parlato con
un tono che spinse Harry a chiedersi se davvero quello fosse il suo vero modo
di affrontare una chiacchierata qualsiasi, con un amico qualsiasi, su un
argomento qualsiasi.
- E’ un’opera
d’arte, non un ritratto incantato qualunque. – lo sentì aggiungere.
E poi zittirsi, per
stare a sentire la voce di lei. Bella come il soffio di un arpa, più o meno.
Acerba e misurata, una voce che sapeva d’azzurro come il suo vestito, che
prendeva vita fra le spighe di grano e che saliva ad adornare i suoi capelli,
come una coroncina di perle.
Harry le sentì
raccontare la storia di un malinteso, ed ebbe l’incredibile sensazione che
stesse parlando proprio a lui, e non soltanto perché lo guardava negli occhi.
Cercò un qualche
sostegno in Draco, ma non lo trovò, perché lui aveva gli occhi socchiusi, e le
stava dedicando tutta la sua attenzione. Di tanto in tanto schiudeva le labbra,
e poi le riserrava, come fa chi segue qualche parola di una canzone, o di una
preghiera.
- Conosci questa
canzone? – sussurrò Harry.
Draco fece un cenno
con il dito indice della mano destra. – Canta sempre una melodia diversa. –
rispose a mezza voce. – Dipende da chi ha davanti. -
- Oh. -
La canzone si
spense in un dolce vibrato, e in un sorriso. Harry si mordicchiò un labbro, e
si perse nel bell’effetto della luce impolverata del tramonto sulla tela
dipinta, animata da un sole antagonista, che rifletteva quello vero e lo
imitava con i suoi pigmenti solidi.
- Grazie. – disse.
– Per avermi spiegato della canzone. -
- Quasi nessuno
rimane a sentirla cantare per intero. -
Harry arricciò un
labbro, sinceramente stupito. – E perché? È stato bellissimo ascoltarla. -
Draco inarcò un
sopracciglio. – Perché ci sono io, Potter. -
Lo disse con una
voce stranamente spoglia di ogni maliziosa perfidia. Era più che altro una
constatazione, ed Harry se ne sentì colpito.
- Sei stato
gentile. – fu l’unica cosa che gli venne in mente di dire. Era la verità, e
sperava che Malfoy lo capisse.
Draco si strinse
nelle spalle. – Non mi importa. Meglio per me, ho più tempo da strascorrere
qui, a guardarla, per quel poco che resterà. -
- Sei un
appassionato di arte? -
- Lo stile di Rernut
è inarrivabile. -
Draco aveva
sospirato. Per la miseria, gli piaceva davvero, quel quadro.
Harry alzò gli
occhi sul dipinto, sulla ragazza distratta a sistemare alcune pieghe della
gonna, e si tormentò l’interno della guancia.
- Non ne capisco
molto. – confessò fra i denti. – Vedo solo che è bello. Con occhi profani, vedo
che è splendido. -
Draco estrasse la
bacchetta dalla tasca del suo mantello scuro, con calma. Harry non pensò
nemmeno per un istante di tirare fuori la sua, e tenersi in guardia. Non ce
n’era bisogno, Draco era disarmato, e con il suo modo di fare disarmava lui.
- Vedi? – fece,
disegnando dei circoletti con la punta della bacchetta, in corrispondenza dei
capelli della dama. – Sono pennellate larghe, e solo sulla punta sono
picchiettate. È per questo che riescono ad animarsi così naturalmente, nel
vento. -
Harry si aggiustò
gli occhiali sul naso, e si sforzò di cogliere i tratteggi che Draco gli aveva
indicato. Gli interessava sul serio. Incredibile, ma gli interessava davvero,
quella faccenda dei capelli.
- Grazie. – disse,
impressionato. – Se non me lo avessi fatto notare tu non me ne sarei mai
accorto. -
Draco si strinse
nelle spalle ed accennò ad un mezzo sorriso di circostanza, una specie di
“figurati, Potter, credo di essere più colpito di te dal fatto di essere stato
gentile con te senza avere uno Schiantesimo puntato contro”. Sbatté le ciglia
in direzione del quadro un’ultima volta, prima di rinfoderare la bacchetta.
Harry lo guardò
andare via, con gli occhi imbambolati sulla sua schiena, che diventava un unico
con il suo corpo, coperto dal manto.
Nella sua testa
prese corpo un’impressione, un qualcosa di simile ad una speranza.
Si voltò verso il
quadro, allucinato, dandosi dell’idiota per il fatto di stare cercando un
qualche appiglio in una figura dipinta, ma contemporaneamente contandoci sul
serio, su un aiuto. La ragazza raccolse i capelli castani e li ravviò dietro la
schiena. Gli sorrise apertamente, reclinando la testa, e poi indicò il sole,
quasi immerso oltre il filo dell’orizzonte.
- Credi che… -
azzardò Harry.
La giovane annuì
con entusiasmo, e poi prese a scacciarlo scherzosamente con il dorso della
mano. Era ora di cena, sciocco di un Potter, voleva per caso perdersi lo
spezzatino alla panna?
* * *
Il corridoio che
conduceva alla Sala Trofei era illuminato da più torce, rispetto agli altri.
Fino alle otto doveva essere stato calpestato su e giù dagli ultimi visitatori
ritardatari, proprio come un museo all’ora di chiusura, ed in quel momento, pur
essendo interdetto, esattamente come tutti gli altri ambienti di Hogwarts dopo
l’orario di coprifuoco, restava più rischiarato, impressionando per l’effetto
di una sorta di nido d’oro, che attirava verso di sé, verso ciò che custodiva.
Harry penetrò
cautamente nella sala, e lo vide lì, accovacciato ai piedi del quadro, come un
bimbo che ascolta una favola.
Ci sperava, di
trovarlo. Dio, ci sperava con tutto il cuore, ci aveva sperato per tutta la
cena.
- Ciao. – disse
sottovoce. – Anche tu qui a vederlo per l’ultima volta? -
Draco non si
scompose. Visto in qualche strana, buffa prospettiva, si poteva quasi pensare
che fosse rimasto ad aspettarlo, nella stessa misura in cui Harry aveva
aspettato di raggiungerlo. Occhieggiò a lui, e al quadro, come se fossero stati
due amanti da non far incontrare, e quando si spostò di un passo, sembrò
rassegnato, più che insofferente.
Harry gli si
sedette vicino. Non avrebbe saputo cos’altro fare, se non dimostrargli
prudentemente di voler dar vita di nuovo a quello che c’era stato prima, fra
loro. Qualsiasi cosa fosse stata.
- E così scende la
notte anche nel quadro. – costatò. Diamine, era davvero frustrante non avere un
argomento decente da proporre.
- E’ un quadro
incantato, risente di tutto ciò che gli accade attorno. – niente polemica,
nella voce di Draco.
- Certo, capisco. –
Harry fece leva con le mani, per accomodarsi meglio, e si aggiustò nervosamente
la cravatta. La verità è che non riusciva a restarsene buono, con Draco di
fianco, e questo non era poi così strano: da quando lo conosceva, ogni volta
che gli era capitato di averlo vicino era sempre stato agitato. Aveva urlato, o
alzato le mani, o digrignato i denti. Non aveva mai provato a restare fermo e
calmo. Evidentemente non ci riusciva proprio.
- Ti piacerebbe
poterlo avere a casa tua? – domandò ingenuamente.
Draco gli rivolse
uno sguardo che brillò di tutto il fulgore stellare della notte.
- A te piacciono le
cose che ti leggono nella testa, Potter? -
Harry ebbe un
sussulto, che Draco interpretò come un no. Se quel piccolo diavoletto biondo
sapesse o meno di Nagini, di Voldemort, dell’Occlumanzia e di tutto il resto,
lo sapevano solo lui e il cielo. E forse, la ragazza del quadro. Era
impossibile, quasi impossibile che Draco si stesse riferendo proprio a quello.
- Non so quanto potrei
sopportare di stare a sentire ciò che dice. Ma per un giorno sì, lo posso fare.
– finì Draco, completamente indifferente alla strana reazione di Harry.
- Perché ? Ti
dice cose spiacevoli? -
- Cose che mi
spaventano. -
Harry annuì
debolmente. – Capisco. -
Draco sbuffò
debolmente dal naso, e si alzò di scatto. – No, Potter, non capisci. – lo
liquidò con voce piatta.
- Te ne vai? -
- Ci sto provando.
-
- Ma no, aspetta, è
solo da pochi minuti che… -
Che siamo qui.
Oh dio.
Harry sbattè le
palpebre, tramortito.
Se Draco se ne
andava, se il maledetto Draco Malfoy se ne fosse andato, lui non avrebbe più
avuto un motivo valido per rimanere lì. Non un solo motivo convincente per
restare un minuto di più.
Diciassette
volte gli bacerai la bocca, prima di amarne il sorriso,
La voce della Dama
in Azzurro lo fece sobbalzare di nuovo, come era successo nel pomeriggio. Vide
il volto di Draco deformarsi in un panico calcolato.
E diciassette
volte bacerai ciascun dito della sua mano destra, prima di stringerla nella tua
sinistra.
Diciassette
fiori, di diciassette petali.
Diciassette
anni.
Diciassette
anelli, sulle cortecce delle vostre schiene.
Diciassette
volte ripeterai il suo nome, per ogni anno perduto.
Diciassette
pietre di diamante, per ogni anno di rancore.
Diciassette
pagine di diario, bianche, per abbracciare il suo passato.
Diciassette
candele accese, se vuoi il suo presente.
La giovane donna
sorrise.
Che numero, per
il suo futuro, questo io non so dirlo.
Harry ruotò
lentamente la testa verso la figura ammantata di azzurro, avvolta nella sua
sera dipinta. Aprì la bocca, ma non riuscì a dire niente. Tutta la sua testa
non diceva niente, era come se un silenzio lattiginoso fosse sceso a zittirgli
la ragione e la lingua.
Vide Draco tirarsi
nervosamente le braccia alle ginocchia, e sforzarsi di continuare a guardare il
ritratto.
- Tu. – le parole
gli rotolarono fuori dalla gola, rotolando l’una sull’altra come sassi. – Ha
detto…? Tu sapevi di… questo? -
Draco accennò ad
una smorfia.
- E’ ora di… -
La mano di Harry si
strinse attorno al polso di Draco. Non troppo forte, ma nemmeno troppo
gentilmente.
- Per favore. -
Era solo una
richiesta. Il sole che chiedeva alla luna di spiegargli il buio, o qualcosa del
genere.
Draco boccheggiò.
- E’ un quadro
molto famoso. – disse con voce spezzata.
Harry levò gli
occhi sulla ragazza, che lo salutò con un gran sorriso.
- Perché ci dice
queste cose? -
Draco si tastò la
manica della camicia, alla ricerca di inesistenti pieghe da sistemare, per
stemperare il panico cieco.
- Lei sa leggere. –
disse, con tutta la calma che riuscì a racimolare. – Dentro. -
Le parole di Draco
colpirono Harry all’altezza dell’intestino.
“Leggere dentro”
poteva significare un sacco di cose, davvero una marea di cose. E allora perché
sentiva che non c’era proprio nulla da fraintendere? Razionalizzare non era di
certo il suo forte, e probabilmente in quel momento avrebbe dato un braccio,
per veder comparire Hermione dal nulla, con una spiegazione più che plausibile
a quella situazione sulle labbra. Cercò la giovane donna del quadro con gli
occhi, e sperò che lei, almeno lei, lei che era causa di tutto questo, lo
aiutasse. Ma lei gli sorrise, e si abbracciò teneramente il busto,
coccolandosi, e guardandolo in modo persino malizioso.
- Perché lo ha
detto ora? Perché non oggi? -
- Perché oggi era
diverso. -
Harry si mordicchiò
un labbro, pensieroso. Era vero, probabilmente. Sicuramente. Ma che diamine era
successo, allora? Si era innamorato di Draco Malfoy in un paio di ore, o cos’altro?
Forse era Draco ad essersi innamorato di lui, o forse la ragazza si era
sbagliata. Sì, doveva essersi sbagliata. Gli piaceva troppo, la sensazione di
confusione che provava per Draco, non voleva lasciarla evaporare, non voleva
ammettere subito che lei aveva ragione.
- Cosa dobbiamo
fare, Malfoy? – ansimò.
- Non lo so. –
rispose Draco, a mezza bocca.
Harry sospirò a
lungo, dandosi il tempo per cambiare tutta l’aria che aveva nei polmoni, per
poter parlare con nuovo ossigeno nelle vene.
Non subito, d’accordo.
Ancora un po’ di tempo.
-Ti va di spiegarmi
qualcos’altro di questo quadro? – propose sottovoce.
Draco lo guardò
immediatamente. Nel senso che non ci furono mediazioni fra i loro occhi chiari,
nulla che potesse ostacolare il flusso di pensieri, e tentativi, e timidezze,
ed Harry sperò di non tradire troppe cose, senza prima riuscire almeno a
capirle da sé.
- D’accordo. –
mormorò Draco, dopo un po’. Si alzò in piedi, ed Harry lo imitò.
Il Serpeverde si
schiarì la voce. - Vedi il campo di grano, sullo sfondo? – cominciò a dire, in
un modo un po’ nodoso, che raschiava in corrispondenza del pomo d’Adamo, prima
di riuscire ad evadere. – E’ stato dipinto con dei peli di Unicorno. Durante
l’estate matura, e può essere mietuto. E ci crescono i papaveri rossi. A lei
piace molto andare a raccoglierli, per farne dei mazzi, e delle ghirlande, da
regalare a chi la guarda. -
Harry si sporse con
infinita cautela oltre la spalla di Draco. Non osò fare nulla di più che
questo. Era solo che voleva sentirlo, voleva capire che cosa provava, a stargli
così vicino.
- Lei non ha un
nome. Sembra che quando Rernut la dipinse fu lei stessa a chiedergli di non
dargliene uno. Avrebbe limitato il suo potere di guardare la gente, e così
rimase sempre “La Dama in Azzurro”, anche per il suo pittore. -
Una cosa era
sicura. La sua voce era bella, bella da ascoltare.
- Se guardi il
tocco del pennello, ti accorgerai che la luce è molto diluita, e picchiettata.
Vedi qui, l’alone tutto intorno alla luna? È per rendere più… -
E la sua mano era
bella da tenere.
Draco sentì la mano
tremare violentemente.
Tentò furiosamente
di sottrarsi ad Harry. Ma poi si rese conto di averci provato soltanto con il
pensiero, perché nella realtà la sua mano non si era mossa di un solo
millimetro. Come se avesse trovato gradevole restare annidata in quella di
Harry.
Stava dando ragione
alla ragazza azzurra, la sua mano. Traditrice, o sincera che fosse.
- Potremmo restare
ancora un po’. – disse Harry. – Mi piace ascoltarti. -
- Davvero ti
interessa? -
- Davvero. Io non
so come sei di solito, con i tuoi amici, ma se mi lasci dire una cosa, vorrei
dirti che è molto bello sentirti parlare di qualcosa che ti appassiona. -
- Potter. -
Draco li sentì
quasi all’improvviso, i ciuffi dei capelli neri di Harry, sul collo e sulla
guancia. Harry si era mosso di quel tanto che bastava per appoggiarsi a lui.
Sembrava anche lui incerto sul da farsi, sembrava voler capire tanto quanto
lui, se qualcosa da capire c’era.
Era una buona idea,
sperimentare l’uno sull’altro le proprie strane, improvvise idee? Era giusto
cercare di parlare dei propri dubbi? Era saggio dare ascolto alla voce di un
oracolo vestito di azzurro, e fidarsi delle sue melodie, e del fatto non
riuscire a rimanere indifferenti alle sue parole?
Forse no,
d’accordo, probabilmente era una pazzia, ma maledizione, era più saggio,
allora, continuare a mordersi il fegato a vicenda? Era saggio insistere nel
correre, sempre più forte, per scappare l’uno dall’altro? Era saggio Serpeverde
o Grifondoro, come se un nome potesse decidere di me o di te? Come se un colore
potesse dire chi siamo e cosa dobbiamo fare? Come se non si potesse provare a
trovare un punto d’incontro, nell’azzurro della veste di una donna dipinta?
Come se non fossero
bianchi, i denti di un sorriso, o rosa come un tramonto le labbra di un bacio?
Harry non lasciò
più andare la mano di Draco.
- Vai avanti, ti
prego. – disse. – Raccontami. -
NOTA
Sì, non sono
riuscita ad esimermi dall’anagrammare il cognome di uno degli artisti inglesi che
amo di più.
Ah, Joseph Turner, mio cruccio e mia delizia! (Ti slasherò con John Constable, prima o poi, SAPPILO)