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Autore: titania76    04/09/2012    1 recensioni
"Da quando lui era arrivato in quel luogo, una manciata di giorni prima, aveva piovuto ininterrottamente. A volte con violenti scrosci e a volte, con fini pioggerelline; come in quella notte. Aveva alzato lo sguardo disilluso verso il cielo, chiedendosi se quella terra fosse stata abbandonata da Dio."
Un uomo, uno straniero senza nome, viaggia per il modo alla ricerca di qualcosa che riporti luce e speranza nel suo animo.
Genere: Angst, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Speranza

Salve, è per me la prima volta che mi affaccio nella sezione delle storie originali. Finora ho sempre operato in un unico fandom di anime e manga. Ora mi piacerebbe provare questa nuova avventura. Questa prima one-shot che presento, è in realtà una rielaborazione della mia primissima storia, epurata naturalmente di tutti i riferimenti che erano presenti per il fandom che sono solita frequentare e scrivere. E' maggiormente sviluppata pur mantenendo quasi inalterata l'ambientazione e la trama.

Buona lettura!



Speranza





1859
Stanco e sconfortato, camminava per una stradina sterrata e fangosa, immersa nel buio di una notte di primavera inoltrata. Nuvole fosche permanevano ingombranti nella loro staticità a coprire la tenue luce della luna e delle stelle. Non un alito di vento muoveva una foglia; in quel surreale silenzio dove persino gli animali notturni avevano timore di farsi sentire, solo l’assordante rumore delle suole consumate dei suoi stivali – che procedevano senza cura fra le pozzanghere – era percettibile.
Da quando lui era arrivato in quel piccolo paesino, una manciata di giorni prima, aveva piovuto ininterrottamente. A volte con violenti scrosci e a volte, con fini pioggerelline; come in quella notte. Aveva alzato lo sguardo disilluso verso il cielo, chiedendosi se quella terra fosse stata abbandonata da Dio. Dopo quanto aveva vissuto, dopo quanto aveva visto, tutto gli appariva ormai come un’immensa desolazione appesantita da un manto di umida e gelida pioggia che invano cercava di lavare via la disperazione, anzi, ne alimentava la presenza.

Erano anni che lui, un tempo giovane rampollo che tutto aveva nella vita ed ora, maturo uomo forgiato dall’asprezza della vita militare, vagabondava senza meta per il mondo. Era diventato uno straniero senza pace né dimora, inadeguato in qualsiasi posto si trovasse o situazione che vivesse. Aveva girato fra le genti di tutte le razze e religioni, fra sfarzo e miseria; sperperando senza requie le sue ricchezze, nella sterile ricerca di un qualcosa che desse un nuovo significato alla sua vita, anche solo un piccolo segno che gli indicasse la sua meta.
Il suo viaggiare lo aveva infine portato in quell’anonimo paesino del nord Italia: poche migliaia di anime prostrate nel dolore e nella più cruda miseria, schiacciate da una guerra che non apparteneva loro, semplici contadini ignoranti. Vi erano rimasti solo vecchi, donne e bambini in quei luoghi; gli uomini e i giovani di tutta la campagna circostante, erano andati volontari per alimentare le truppe che a pochi chilometri da lì, stavano dando la vita per la libertà e un futuro migliore per i propri figli.
Pensieri tristi e lugubri si affollavano nella mente dell’uomo, che intirizzito dalla pungente umidità si stringeva nell’ormai logoro pastrano. In un lontano passato riluceva di decorazioni e onorificenze; ora invece era un semplice capo spoglio e anonimo. Pensieri pesanti che accompagnavano il suo cammino di ritorno verso la locanda nella quale aveva preso alloggio. Procedeva quasi rasente ai muri diroccati delle case: ad ogni passo che faceva, i suoi stivali – emblema di una ricchezza che stava sfiorendo – affondavano nel terreno fangoso.

Il convulso e rabbioso abbaiare di un vecchio cane, chiuso nel giardino incolto di una casa fatiscente, aveva risvegliato l’uomo liberandolo per un momento da quel vortice di malinconia che lo aveva sopraffatto. A grandi falcate, nonostante il terreno scivoloso, l’uomo si era precipitato verso il punto da cui proveniva il rumore, notando una strana figura coperta da un mantello sdrucito che poco riusciva a nascondere le sue fattezze. Era una giovane donna dall’aspetto emaciato che camminava ricurva e con passo malfermo, alla ricerca forse di un riparo per la notte.
Avanzava appoggiandosi stancamente al muro di cinta di quella casa, non facendo caso ai continui ringhi dell’animale che poco più avanti tentava di sfondare il cancello malandato, seguendo quasi indemoniato i suoi passi. Si sosteneva come poteva a quei mattoni scivolosi, tentando di mantenersi in piedi per non cedere alla fatica e ai dolori lancinanti che le facevano scappare degli improvvisi lamenti. Pochi passi ancora, aveva percorso, camminando per raggiungere uno degli sparuti lampioni ad olio che malamente illuminavano la strada principale, cadendo rovinosamente poco prima. Altri gemiti avevano riempito l’aria. Si era portata una mano a protezione del ventre rigonfio che aveva iniziato a provocarle dolori sempre più forti e frequenti, con l’altra invece tentava di risollevarsi per riprendere il cammino. L’uomo le era arrivato vicino, accovacciandosi su di lei per prestarle i primi soccorsi. Non era preparato a quella situazione e nei dintorni, non sembrava esserci nessuno a cui chiedere aiuto. Se qualcuno c’era, era ben rintanato dietro le imposte sconnesse delle finestre, celato agli occhi di uno straniero come lui, incatenato dalla paura o solamente dal disinteresse per le sorti di altri sventurati.
L’uomo la prese fra le braccia e sollevandola da terra, si incamminò affrettando il passo verso la locanda.

Erano ormai più di quattro ore che la giovane si contorceva nel letto della camera dell’uomo, in preda a deliri provocati dalla febbre alta e dal dolore delle contrazioni sempre più frequenti e prolungate. Lo straniero aveva chiesto alla padrona della locanda – che si stava prendendo cura della giovane – dove poter rintracciare il medico del paese, ma gli fu risposto con rammarico che lì non se ne trovava più da lungo tempo; e cercare nei paesini vicini avrebbe portato allo stesso risultato.
“Tutti gli uomini abili sono andati ad unirsi ai volontari”, gli aveva detto con le lacrime agli occhi. “Persino il mio figlio più piccolo di appena quattordici anni, è  fuggito di casa poco più di un mese fa per andare a combattere”.
L’uomo non poteva far altro quindi, che vivere impotente l’agonia della donna, assistendo per come riusciva con le sue capacità e senza intralciare troppo, l’anziana donna nei suoi tentativi di salvare sia la giovane che la creatura che portava in grembo. La locandiera infatti, era un’esperta levatrice che aveva aiutato negli anni molte partorienti e lei stessa aveva avuto ben cinque figli, ma seppur molto preparata, non era un medico.

Il parto era da subito risultato assai difficile, sia per la debolezza della gestante, sia per le complessità insite in esso. Inoltre, la grande quantità di sangue che la giovane aveva perso, non faceva presagire un roseo epilogo. Nonostante il gran prodigarsi dell’anziana, in quella notte si consumò l’ennesima tragedia. Poco dopo il parto del neonato, un maschietto che non aveva avuto neppure la forza di fare il suo primo vagito, anche la giovane madre lo aveva seguito, ormai spogliata delle sue ultime forze. Ma le brutture, in quella lunga notte di dolore, non erano ancora terminate. Esaminando il corpo ormai privo di vita della giovane, un’agghiacciante scoperta aumentò lo sgomento nei presenti. Un’altra creatura era ancora presente nel suo grembo. Con le rudimentali nozioni che l’anziana levatrice aveva appreso dal medico del paese, aveva eseguito un grossolano parto cesareo per estrarre il corpo della seconda creatura, con la speranza di poter salvare almeno lei.

Vana speranza.
In quel mondo afflitto da guerre e morte, sembrava non esserci proprio posto per una nuova vita.

Anche il secondo corpicino, questa volta una femminuccia, giaceva ora inerme accanto al fratello; entrambi avvolti in teli di cotone grezzo e deposti su un vecchio e consunto tavolo di legno, accostato ad una delle pareti di quella stanza spoglia. L’anziana donna, non potendo fare altro in quel frangente, si avviò fuori dalla stanza con aria greve e lacrime che sgorgavano da occhi troppo stanchi; tamponandoli con il bordo del grembiule. Lo straniero invece, con il cuore gonfio di dolore e scoramento, si era lasciato cadere sulla sedia accanto all’unica finestra prendendosi la testa fra le mani tremanti. Aveva serrato le labbra per reprimere i singhiozzi ma nulla aveva potuto per fermare le lacrime che rigavano il suo volto, fino a cadere sul pavimento di legno.
Pochi attimi, che erano sembrati invece un’eternità, erano passati da quando tutto era diventato silenzio in quella stanza. Una manciata di secondi, forse poco più di un minuto, da quando tutti si erano arresi ed un piccolo, impercettibile lamento, si era udito. Uno scherzo del destino, quel frangente. Qualche secondo ancora ed un lamento più nitido, forse un colpo di tosse, ed il breve scatto di una manina avevano preceduto dei vagiti sempre più forti e insistenti. Un miracolo si era compiuto davanti agli occhi dell’uomo, che ora erano ancor più inondati di lacrime. La speranza non aveva abbandonato il mondo.

Seppur svuotato di ogni energia per gli eventi di quella notte, l’uomo su era alzato e si era avvicinato a quel piccolo corpicino che aveva preso a muoversi con maggiore vitalità ed ora, il suo pianto riecheggiava con forza nella stanza, regalando all’uomo, la musica più dolce e benedetta che mai avesse udito. Prendendo in braccio la piccola, con una pezzolina umida e lievi carezze, aveva iniziato a pulire quel visetto roseo, ringraziando Dio per quel miracolo.
Erano ormai quasi le cinque di un mattino di fine maggio, il 29 maggio del 1859.
Tante schermaglie si stavano combattendo e si sarebbero ancora combattute nei dintorni, ma una ancor più grande e sanguinosa battaglia sarebbe infuriata da lì a pochi giorni, per gli uomini di quelle terre martoriate, migliaia di morti ci sarebbero state; ma almeno una giovane vita innocente era stata risparmiata.
In quell’ora che volgeva ad un’alba già scossa in lontananza dal fuoco della guerra, il fragore delle cannonate salutava quella nuova vita.

Prima di riprendere il suo viaggio, l’uomo aveva predisposto che la giovane madre e il suo piccolo, avessero una degna sepoltura.
“Nessuno in paese conosceva la donna” gli aveva detto la locandiera, accettando il pagamento di una moneta d’argento. “È arrivata qualche giorno prima di voi, signore; era in cerca del marito disperso al fronte.” Senza alcuna remora, la donna aveva accettato anche la seconda moneta, compenso per il suo silenzio sul destino della piccola.
Non era certo sul da farsi, l’uomo. Era però risoluto a portare via la piccina da quelle terre. Quale futuro avrebbe mai potuto avere quella creatura indifesa, in mezzo a tutto quello squallore e povertà, dove la guerra ogni giorno bussava a quelle porte? Forse era questo ciò che Dio aveva stabilito per lui nel suo lungo peregrinare. Ora poteva riprendere la strada per casa. Ora la sua vita non sarebbe più stata vuota, avrebbe avuto uno scopo e lui, non si sarebbe più sentito solo.
   
 
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