I
used to roll the dice
Feel the fear in my enemy's eyes
Listen as the crowd would sing:
Now the old king is dead! Long live the king!
(Viva
la vida,
Coldplay)
Con
la Londra elisabettiana sullo
sfondo, tratteggiata in colori pallidi e tristi, i ritratti
più che veritieri
di Wallace, il Marchese di Pembroke, Elizabeth e Mary assumevano
un’importanza
straordinaria: benché i colori non fossero chiassosi e
malamente accostati, in
quelle figure c’era perfino una parvenza di vita.
Erano stati utilizzate lamina d’oro e
polvere di smeraldi, non curandosi, il richiedente, di quanto sarebbero
costati.
Quel dipinto, giunto alla sua corte
assieme ad un biglietto vergato dallo stesso Marchese di Pembroke, era
il segno
tangibile della prima sconfitta della sovrana scozzese da parte della
Regina
d’Inghilterra.
Nell’appenderlo nell’angolo più buio
e impolverato della sua stanza da letto, nel castello di Stirling, Mary
Stuart
sentì la gola bruciare, come quando, da bambina, tratteneva
le lacrime per una
percossa.
- Potete sempre distruggerlo – le
aveva biascicato Wallace quando gliel’aveva mostrato; la
donna sapeva che, se
non fosse stato costretto a letto dalle ferite non ancora rimarginate,
l’avrebbe
allontanata con un balzo e l’avrebbe squarciato,
foss’anche a mani nude.
Lei riteneva, invece, che fosse una
maniera apprezzabile per ricordarsi, in futuro, di come aveva rischiato
di
perdere la dignità, un fido consigliere e forse anche il suo
regno, per una
vanità giovanile.
- Perché mai? Non m’interessa
dell’egocentrismo di Elizabeth, quando dovrei concentrarmi su
come governare al
meglio il mio regno – aveva risposto, mantenendo una facciata
cortese e
distaccata.
Tirò la tenda e celò così al mondo il
profilo sprezzante di sua cugina.
***
-
Posso farvi una domanda? – domandò
Henry, fissando il vino chiaro nel calice.
Catherine sorrise, inarcando un
sopracciglio. Lui la guardò con le palpebre socchiuse, come
un gatto.
- Quando vi siete innamorata di me?
La prima volta che ci incontrammo mi guardaste con aria gentile, ma
assolutamente disinteressata: i vostri occhi sembravano ghiaccio.
Le guance pallide di Catherine
colorirono.
- Quella volta in cui… abbiamo
partecipato entrambi ad una festa e voi siete venuto da
me, chiedendomi di ballare. Temo proprio che abbiate
fatalmente
conquistato il mio cuore – scherzò.
- Perché? – insisté Henry.
- L’avete detto anche voi: anche
coloro che non sanno nulla del mio potere mi stanno alla larga, mi
temono, farebbero
di tutto per evitarmi. È fastidioso e, per quanto le persone
che avevo
conosciuto fino ad allora fossero più o meno meschine e
squallide, mi sentivo
triste. Ma voi…
- Io? – le soffiò sul viso,
prendendole la testa tra le mani lisce.
- Voi… - abbassò le palpebre, nella
speranza che lui annullasse la leggerissima distanza tra loro.
- Io credo che voi siate molto bella
e che non esista qualcuno di altrettanto attraente in tutto il mondo.
- Lady Mildred tenterà di
avvelenarmi, quando saprà cosa avete detto.
Henry ridacchiò. – Non mi è mai
piaciuta, non può che dolersi per questo!
***
-
Finalmente! – Arthur rideva, da
tempo non si sentiva così bene. Quasi un anno, in effetti.
D’altronde, come poteva rimanere
serio e accigliato, quando Elizabeth sorrideva, distesa sotto di lui,
attorcigliandosi un ciuffo di capelli rossi attorno
all’indice delicato? Quando
abbandonava la sua maschera arrogante e ciononostante seducente, quando
metteva
da parte i suoi schemi e la trama intricata di sentimenti e reazioni
che
propinava a chiunque si rapportasse con lei, la sua bellezza e la sua
innocenza
diventavano quasi infantili.
- Finalmente?
- Non sopporto di starvi lontano
tanto a lungo.
Elizabeth fece una smorfia di finta
ira. – Siete identico a tutti gli altri uomini: non
desiderate che una sola
cosa da noi povere donne: vi lascio immaginare cosa…
- Siete perfida, lo sapete? Ve ne
rendete conto? – sibilò e abbassò il
viso su di lei.
- Certo che me ne rendo conto,
Arthur. Voi mi amate, perciò mi sento libera di poter
scherzare con voi.
Arthur si avvicinò ancora di più alla
sua bocca rosea: - E voi mi amate quanto vi amo io?
Elizabeth rise sulle sue labbra. –
Ditelo ancora, Arthur! Ditemi che mi amate!
- Prima voi, non mi piace sprecare il
mio amore per chi non lo corrisponde – mentì.
Avrebbe sprecato il suo ingegno,
avrebbe consumato la sua anima e il suo corpo per poter essere ammesso
alla
presenza della sua Bess.
- Anche io vi amo e mi fa impazzire
che abbiate amato altre prima di me… e amerete chi mi
succederà.
- La mia natura mi impedisce di fare
altrimenti, ma qui – si sfiorò una tempia, con un
sorriso velato di tristezza –
rimarrà il nome non di vostra madre, né di vostra
sorella: solo il vostro,
nessun’altro.
Avrebbe potuto, e voluto, dire
qualcosa di ancora più altisonante, ma Elizabeth
impegnò la sua bocca con qualcosa
di molto più tiepido e urgente.