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Autore: Melian    20/03/2007    2 recensioni
“È necessario che tu ricordi, è necessario che non dimentichi.”, gli rispose Mnemosine “Senza passato, il futuro non ha senso. Domani si deciderà il Destino di molti e tu, Alessandro, figlio di Zeus che è Amon, devi essere pronto, devi soppesare ogni cosa che ti ha portato qui, a questa notte.”
“Il Destino, il Fato.”, ribatté prontamente Alessandro, in un muto dialogo fatto di pensieri fugaci. “La Moira. Ineluttabile, sconosciuta, una forza alla quale non possiamo sottrarci, qualcosa che abbiamo in noi da sempre, che richiede il sacrificio di noi stessi e di quanti abbiamo intorno.” Alessandro gettò uno sguardo all’entrata della sua tenda. “Il Destino ha condotto tutti fino a questa vigilia? Il Destino e non Alessandro stesso?”
[Vincitrice del premio "Storico" al contest "Lo specchio dell'anima" di peetassmile indetto sul forum di EFP]
Genere: Guerra, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
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- Questa storia fa parte della serie 'Alexandros'
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MEMENTO


CAPITOLO I

Gaugamela, 331 a. C.

Riposa, Alessandro…”
Alessandro sedeva, immobile come la statua di un dio, sul bordo del proprio giaciglio.
La testa bassa, il volto adombrato dai capelli biondi, gli avambracci posati sulle ginocchia, il giovane Re rifletteva.
Sollevò il capo solo quando gli sembrò di aver udito una voce lieve, appena udibile; aggrottò le sopracciglia pensando di averla soltanto immaginata.
Alessandro estrasse da sotto al cuscino un piccolo rotolo che aprì lentamente, osservando la fine calligrafia di Aristotele, e cominciò mentalmente a leggere antiche parole in greco:
«Canta, o Musa, l’ira di Achille Pelide,
rovinosa, che infiniti dolori inflisse agli Achei,
gettò in preda all’Ade molte vite gagliarde
d’eroi, ne fece bottino dei cani,
di tutti gli uccelli » consiglio di Zeus si compiva »
da quando prima si divisero contendendo
l’Atride signore d’eroi e Achille glorioso.»


Quelle parole, il sapore d’atavico di cui erano permeate e che Alessandro sentiva proprie, avevano il potere di evocare potenti sensazioni nel cuore del giovane re macedone.
Achille era una figura che, da quanto Alessandro poteva ricordare, era sempre stata presente nella sua vita. Quante volte aveva udito sua madre chiamarlo col medesimo nome di quell’eroe? Quante volte Olimpiade gli aveva ripetuto che nelle sue vene scorreva il sangue glorioso di quel semidio?
Il sangue di Achille nelle sue stesse vene…
Alessandro si chiedeva, ogni volta muoveva per una battaglia, se il destino del Pelide coincidesse col suo: se anche lui, per ottenere la gloria imperitura, per innalzarsi al di sopra di tutti gli altri uomini e sedere nelle aule degli Dèi, alla fine, avrebbe dovuto compiere la più impensabile e la più grande delle imprese e poi morire giovane, lasciandosi dietro tutto ciò che aveva conquistato con desiderio e fatica. Si domandava il perché sua madre si fosse tanto ostinata a volerlo rendere un secondo Achille.
Ricordò quando, ancora adolescente, si era ritrovato a parlare con Aristotele del suo antenato.
Col senno di poi, Alessandro trovava la risposta offertagli una lezione fondamentale. Aristotele non lo aveva mai deluso. Gli aveva insegnato a porre le giuste domande, per poter ottenere le risposte desiderate.
Alessandro fissò la fiamma di una lucerna che rischiarava l’interno della sua tenda e gli parve che una mano gentile e invisibile si posasse sulla sua spalla e si sentì riportare indietro nel tempo da una forza irresistibile.
***


Liceo di Mieza. Alcuni anni prima.


Seduto sul bordo di una vasca rettangolare nei giardini rigogliosi, Aristotele osservava i suoi allievi in silenzio, indovinando esattamente i loro pensieri. I suoi occhi acuti e saggi si fermavano progressivamente su ogni giovinetto: Tolomeo, Cassandro, Nearco, Laomedone, Perdicca, Cratero, Leonnatos, Erigyios, Efestione e, infine, Alessandro.
Il filosofo s’avvide ben presto che il principe macedone era troppo silenzioso anche per essere Alessandro, e che il suo volto era oscurato e pensoso.
«Molto bene.» finalmente Aristotele parlò, calamitando su di sé l’attenzione di tutti i ragazzi chini sui loro ostraka. «Per oggi abbiamo concluso. Potete andare, dato che è ora del pasto. Ma, ricordatevi, non fatevi vincere dalla golosità e dalla pigrizia.»
I ragazzini si alzarono, sbadigliarono e si stiracchiarono.
«Finalmente, non vedevo l’ora! Ho una fame!», ammise sottovoce Nearco, un ragazzetto dalle guance paffute.
«E quando mai!», lo canzonò Tolomeo con la sua aria da furbastro impenitente, dandogli una pacca sulla schiena e trascinandolo lungo il colonnato tra le risate del gruppo.
Efestione, un ragazzino snello dai capelli scuri e maltagliati, ciondolò per qualche passo e indugiò quando si accorse che mancava qualcuno dei suoi compagni all'appello. Si voltò e chiamò: «Vieni, Alessandro! Aspettiamo solo te.»
Ed effettivamente Alessandro era rimasto nella medesima posizione di prima. Il principe gli spedì una occhiata pensierosa, come se fosse imprigionato in un sogno da cui non voleva svegliarsi.
«Tra poco. Voi andate.», gli mormorò in tutta risposta, con cipiglio deciso.
Efestione sapeva quanto fosse inutile tentare di smuoverlo: Alessandro era testardo e volitivo e non c'era verso di fargli cambiare idea, fino a che non avesse ottenuto soddisfazione. Quindi s’affrettò a condurre via il gruppo di ragazzi che ancora attendeva, allontanandosi fra gli schiamazzi generali.
Gli occhi di Alessandro e quelli di Aristotele s’incontrarono.
Il filosofo si meravigliava nel trovare sempre qualcosa di nuovo nello sguardo del figlio di Filippo: era come se quegli occhi avessero visto molto più di quanto si potesse pensare, come se fossero lo specchio di antichi e inconsapevoli ricordi che li faceva apparire più adulti del previsto, quasi come se Dei e Daimon si contendessero l'anima di quel risoluto ragazzo.
Aristotele si deliziava di quella singolare caratteristica di Alessandro ed era dell’avviso che essa non fosse l’unica che avesse a disposizione.
«Dimmi, Alessandro, cosa ti rende tanto pensoso?», la voce del filosofo era bonaria e ne traspariva l’affetto sincero che il greco provava.
Alessandro, quindi, raggiunse il suo maestro, si sedette accanto a lui e lo guardò seriamente.
«Ieri sera, prima di dormire, leggevo di Omero.»
Aristotele annuì, compiaciuto. «Omero? Bene, molto bene! Che te ne pare?»
Alessandro sembrò pensarci un po’ su, come se non riuscisse davvero a formulare un pensiero univoco o a trovare le parole adatte. Infine, mormorò: «È l’esaltazione bella e terribile della gloria e della caduta di eroi e di una città che si credeva inconquistabile.», ma sembrò pentirsi subito dopo di quell'affermazione e, infatti, scosse la testa, aggiungendo in fretta: «È un panegirico di Achille, in realtà. Tutto ruota attorno a lui, per merito suo tutto si muove. Il fulcro della storia non è Elena, né Troia, nemmeno gli eroi, né gli Dèi, neppure Ettore o Agamennone, ma Achille! Questa è la verità.»
Aristotele sorrise, sornione, quasi avesse già indovinato quella risposta così accorata e altro non facesse che indagare a fondo, sfiorando corde segrete per provare ad ascoltare quale suono avrebbe prodotto l'anima di Alessandro. «Ne deduco che Achille abbia la tua preferenza…», insinuò.
Alessandro sembrò tentennare a quella constatazione. Era davvero così visibile quanto Achille lo avesse colpito? In realtà, non sapeva se l’eroe mirmidone gli avesse fatto un'impressione positiva o negativa. Da una parte, Alessandro era spinto ad ammirarlo, dall’altra si sentiva quasi schiacciato da quella figura che sua madre gli profilava sempre come modello e ispirazione, il grande antenato dalla fama spropositava che minacciava di oscurarlo, fagocitarlo e sputarlo. Alessandro sentiva insieme il senso di oppressione e di rivalità per il continuo confronto con la fama di Achille.
«Mh. E come mai Achille ti ha così interessato?», insistette Aristotele con voce bassa, conciliante, ma lo sguardo intenso e attento.
«Perché è lui il grande protagonista.», rispose di colpo Alessandro con la voce che cresceva di intensità e calore. «Lui con la sua collera così grande, immensa e travolgente che nulla può resistere al suo passaggio. Achille è al di sopra di tutti gli altri uomini, di ogni altro eroe di cui viene narrato, è il più vicino agli Dèi. E poi combatte per la gloria, va a Troia non per ubbidire al volere di Agamennone, ma per un suo bisogno, come se potesse realizzarsi solo nella guerra e nel prestigio che le imprese sul campo di battaglia gli portano.»
«Sai qual è stato il Fato di Achille?»
«Ha acquistato la gloria più alta, ma è morto giovane.», rispose Alessandro più cauto, perché sapeva che a quella domanda ne sarebbe seguita un’altra più complicata.
Aristotele annuì e non tardò ad argomentare: «Ma Achille non aveva, forse, la facoltà di scegliere? Non avrebbe potuto vivere molto più a lungo?»
Alessandro aggrottò le sopracciglia e s’infiammò, scattando in piedi di colpo, il respiro trattenuto e il lampo di collera che gli accendeva lo sguardo.
«Una serena vecchiaia al posto della gloria? Diventare vecchio senza poter compiere grandi imprese, sprecare il tempo che gli Dèi offrono nell’ozio e finire nell’oblio? No! Achille non avrebbe mai potuto accettarlo! Che valore può avere la vita se essa non la si vive a fondo? Che senso hanno i nostri giorni se il nostro cuore brucia per un sentimento sconosciuto ma irresistibile e noi non lo ascoltiamo?», vociò Alessandro e strinse il pugno con foga. «Se non obbediamo a noi stessi, ai desideri del nostro cuore, a chi dovremmo obbedienza? Achille, in realtà, non è mai morto: vive ogni qual volta si canta della caduta di Ilio, vive ogni volta che un coraggioso sfida il mondo intero per affermare se stesso, vive poiché si è acquistato una gloria immortale, che lo rende immortale a sua volta! La gloria e la volontà di essere grande contraddistinguono Achille, come il suo semplice pensiero e il suo agire secondo un codice morale ben preciso, cioè il suo!»
«D’accordo, d’accordo!» replicò Aristotele pacato, facendo segno al principe di Macedonia di risiedersi e accennando ad un sorriso vispo e genuino che gli ringiovaniva nettamente il volto. «Adesso calmati, Alessandro. Parli d’Achille proiettando su di lui molto di ciò che ti appartiene.»
Alessandro rimase immobile a fissarlo, colto da un fremito che gli faceva tremare appena i pugni ancora serrati, evidentemente turbato. «Cosa ne pensi di Achille, maestro?», chiede improvvisamente, per cambiare discorso.
Aristotele chiuse gli occhi per un momento, riflettendo prima di schiudere le labbra. Si sfiorò la radice del naso con la punta delle dita, in un gesto tipicamente suo.
Alessandro, invece, fece vagare lo sgurdo per il giardino del Nymphaion: all’ombra degli alberi che allungavano i propri rami sulla vasca dove nuotavano i pesci rossi, il principe ascoltò il proprio cuore battere più veloce e il sussurro del vento profumato di olivo.
«Per quanto mi riguarda, Achille è un egoista.», asserì infine il filosofo.
Alessandro rimase spiazzato: «Egoista?»
«Pensaci…», soggiunse Aristotele, «La sua ira, la sua guerra, il suo amore per Patroclo, la sua schiava Briseide. Suo, suo, tutto suo! L’egoismo di Achille fa sentire i suoi effetti anche quando si allontana dalla battaglia: a causa del suo orgoglio Ettore fa strage di Achei.»
Alessandro soppesò quelle parole e dovette riconoscere che erano vere, ma si rabbuiò, ribelle.
«Eppure, Achille può essere ammirato proprio per quello di cui tu hai parlato.», lo rassicurò subito Aristotele. «Ma vedi, Alessandro, per essere un buon re, non c’è solo bisogno del braccio, né soltanto del coraggio, né della determinazione o dell’orgoglio e nemmeno dell’egoismo. Un buon re, un re amato, si preoccupa dei propri amici e tiene in grande considerazione i propri nemici.»
Il filosofo fece una pausa e iniziò a passeggiare lungo il sentiero e facendo segno al ragazzo di seguirlo, prima di intrecciare le mani dietro la schiena. Ne approfittò per continuare il suo discorso:
«Un giorno sarai Re e questa è una lezione da imparare. Non bisogna soltanto essere Achille, ma occorre essere anche come Odisseo.»
Aristotele sorrise come chi svela un grande segreto.
«Vuoi dire che c’è bisogno anche dell’astuzia e dell’eloquenza?», si affrettò a rispondere Alessandro.
«Per essere un buon stratega e un buon comandante sono doti essenziali.»
Aristotele si sistemò il chitone con un gesto distratto della mano, camminò lungo il colonnato del Nymphaion, dove il sole faceva allungare le ombre delle alte colonne rastremate e dalle cucine spirava il profumo del pane appena sfornato, un profumo genuino che conquistava chiunque.
Alessandro camminava accanto al filosofo in silenzio, il suo volto d’adolescente divenne imperscrutabile.
«Alessandro, ricorda ciò che sto per dirti. Ognuno di noi porta in sé il Molteplice, eppure è Uno. Non devi temere il Molteplice della tua anima, devi solamente comprenderlo.»
Il ragazzo si fermò e deglutì, prese un profondo respiro e continuò ad ascoltare in perfetto silenzio, teso come la corda di un arco.
«Se senti in te lo stesso ardore che spingeva Achille in battaglia, non è certo un male. Ma l’ira, Alessandro, l’ira non sempre è la giusta risposta.», Aristotele fece una pausa e si fermò, poggiandosi contro una colonna e gettando uno sguardo ai monti Bermion in lontananza, al profilo aguzzo delle pietre contro il cielo. «Un giorno tornerai a Pella e prenderai il posto di Filippo, ed è importante che tu comprenda chi sei e cosa desideri, prima che questo accada.»
«Non esiste verità assoluta, specialmente su se stessi.», replicò Alessandro con voce bassa, un po' cupa. Sembrava afflitto. «Ma ho appreso che la vera armonia deve derivare da noi stessi, non può essere imposta. Chi sono io? Ancora non lo comprendo. Tutti non fanno altro che chiamarmi principe, erede al trono, figlio di re. Per tutti sono il figlio di Filippo e nessuno mi vede come Alessandro, sembra che a nessuno importi che io sia innanzitutto Alessandro! Nessuno ancora mi ha chiesto cosa voglio, ma tutti vogliono fare di me qualcosa di diverso: un guerriero, un sovrano, un sapiente, un servitore degli Dèi, un secondo Achille. Ma io non voglio morire giovane, non voglio essere un secondo Achille, a dire la verità. Non voglio essere un secondo qualcuno!»
Aristotele posò una mano sulla spalla di Alessandro e sentì i suoi muscoli contratti, la tensione dei nervi, persino l'affanno del respiro. «Cosa vuoi, allora?»
Alessandro fissò gli occhi del filosofo e sembrò rilassarsi, sentì che poteva abbandonarsi, che il suo maestro gli ispirava fiducia. «Voglio sapere chi sono, voglio capire cosa c’è al di là della linea dell’orizzonte, voglio scoprire dove si nasconde il sole durante la notte, voglio prendere il largo su una barca e attraversare il mare, perché non sono mai andato oltre il litorale. Voglio viaggiare e scoprire e capire e trovare qualcosa di nuovo. Voglio essere Alessandro e basta, niente titoli, né ruoli determinati, né ordini. Voglio essere libero!»
Aristotele soppesò il giovane; aveva ragione: demoni e dèi si agitavano nell’anima di Alessandro, demoni e dèi che avrebbero annientato chiunque altro con quel fuoco divorante, ma non lui.
Era diverso, Alessandro, da qualsiasi altro allievo Aristotele avesse mai avuto, il più valido, quello era certo, ma anche il più difficile da equilibrare. Un animo fatto di un raffinato gioco di bilance e contrappesi: Alessandro sarebbe potuto divenire il più grande condottiero che il mondo avesse mai potuto conoscere, oppure avrebbe potuto distruggere quello stesso mondo.
Tutto dipendeva dal suo equilibrio interiore e dal fatto che imparasse a pareggiare il peso sulle sue bilance.
«Continui ad interrogarti su te stesso, sul tuo destino, e ti sembra che le risposte siano troppo lontane. In realtà, esse sono molto più vicine di quanto ci si possa aspettare: tu le troverai, Alessandro, e io ti aiuterò a farlo.», gli promise Aristotele.
***


La fiamma della lucerna tremò e Alessandro tornò alla realtà. Mise da parte il rotolo contenente l’Iliade di Omero regalatagli proprio dal suo precettore e si alzò. Quanti ricordi in una sola, semplice pergamena!
Osservò la propria corazza lucente, gli schinieri, l’elmo, tutti oggetti che avrebbe dovuto indossare l’indomani nella battaglia decisiva che avrebbe potuto spalancargli le porte di Babilonia.
Alessandro non era tranquillo. Demoni e Dèi si agitavano nella sua anima e si divertivano a farne campo di battaglia, come se non ce ne fossero abbastanza su cui schierarsi.
Riposa, Alessandro…”
Ancora la medesima voce, una voce di donna. Ma non era quella di Olimpiade, né quella di sua sorella Cleopatra; sembrava piuttosto una voce ultraterrena, come di Ninfa o di Dea.
“Chi sei?”, si ritrovò a pensare.
La voce dei tuoi ricordi…”, sentì proncuniare quelle parole distintamente al proprio orecchio, come se fossero dirette alla sua coscienza. “Il mio nome è Mnemosine.”
“La dea della Memoria? Perché sei qui?”
È necessario che tu ricordi, è necessario che non dimentichi.”, gli rispose Mnemosine “Senza passato, il futuro non ha senso. Domani si deciderà il Destino di molti e tu, Alessandro, figlio di Zeus che è Amon, devi essere pronto, devi soppesare ogni cosa che ti ha portato qui, a questa notte.”
“Il Destino, il Fato.”, ribatté prontamente Alessandro, in un muto dialogo fatto di pensieri fugaci. “La Moira. Ineluttabile, sconosciuta, una forza alla quale non possiamo sottrarci, qualcosa che abbiamo in noi da sempre, che richiede il sacrificio di noi stessi e di quanti abbiamo intorno.” Alessandro gettò uno sguardo all’entrata della sua tenda. “Il Destino ha condotto tutti fino a questa vigilia? Il Destino e non Alessandro stesso?”
Il suo interrogativo non ebbe risposta, perché un lembo della tenda venne sollevato e comparve Efestione avvolto in un manto blu.
«Alessandro, come pensavo sei sveglio.»
Alessandro sorrise spontaneo, abbandonando i propri pensieri, quel muto dialogo con la propria Memoria, e si volse ad accogliere il suo migliore amico, il suo capace di indurgli il buon umore in qualsiasi circostanza.
«Mi conosci bene, Patroclo. Prima di una grande battaglia, non riesco a starmene tranquillo. Quali notizie mi porti?», chiese poi, avvicinandosi ad Efestione fino ad averlo a un passo di distanza.
«I sacerdoti sono pronti per i sacrifici e gli aruspici. Come hai ordinato!», rispose Efestione con un che di diligente.
Alessandro gli pose una mano sulla spalla «Bene! Andiamo allora, non c’è motivo per farli attendere oltre.»
Prese il suo manto color porpora e se lo gettò sulle spalle, nascondendo la leggera tunica color avorio e la spada che cingeva ai fianchi. Lasciò la tenda accompagnato da Efestione e assaporò il corroborante tocco del vento freddo della notte sul viso.


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NOTE

Nello scrivere questa storia mi sono basata principalmente sulla “Vita di Alessandro” di Plutarco e varie fonti storiche. Quindi, alcuni episodi e alcune parole ricalcano quanto Plutarco riporta nella sua biografia, e ho preferito restarci fedele.
La storia si svolge nella notte prima della battaglia di Gaugamela, avvenuta il 1° ottobre del 331 a.C. Siamo, quindi, nella notte del 30 settembre.
   
 
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