Capitolo
due
Wile Coyote
è testardo
Glielo
ha detto sempre
il vecchio, non impicciarti che vivi meglio. Glielo ha detto sempre, da
quando
era bambino, con una certa intonazione, come fosse una filastrocca. E
ora lui,
ogni volta che ripensa alle sue parole, ha in testa quello strano tono
che
somiglia alla melodia di una canzone senza testo, o con un testo che
nessuno
ricorda più. Il vecchio gliel’ha ripetuta tante
volte, che ormai quella melodia
ha perso il suo significato, è una convenzione, ora,
qualcosa da dire quando si
esauriscono le parole. Chissà che fine ha fatto la signora
Nakayama, è un po’
che non si vede. Non impicciarti che vivi meglio. La cosa
più buffa è che lui,
poi, quel consiglio non l’ha mai ascoltato. Sarà
che è
uno che fa di testa sua, sarà negazione
adolescenziale, sarà il suo rifiuto innato
all’indifferenza, ma lui, gli affari
suoi, non se li riesce proprio a fare. Se sia un bene o un male, non se
lo è
mai chiesto, ma ora sa che la signora Nakayama rimane a casa per
accudire il
marito con la polmonite, così il sushi glielo porta a casa.
È una vita che si
impiccia, e non smetterà di certo ora. Se lo è
ripetuto da tutta la mattina, da
quando ha trovato sul pavimento della sua stanza quel biglietto un
po’
stropicciato, che ha rimesso in tutta fretta nella tracolla
dell’amico. Se lo è
ripetuto perché appena Gokudera saprà che ha
trovato quel biglietto come minimo
lo farà saltare in aria. Perché lui è
uno che se li fa gli affari propri, e
soprattutto non vuole che gli altri si facciano i suoi. Che poi magari
saltare
in aria è divertente, o se non proprio divertente almeno
è una nuova
esperienza. In ogni caso, se è per il suo bene,
può saltare in aria anche cento
volte. Deve solo aspettare che restino soli, poi chiederà a
Gokudera perché se
ne sta andando.
Sarà
che è un tipo fortunato,
sarà Giove in congiunzione con Saturno, sarà che
in fondo le coincidenze
avvengono di continuo, e noi ce ne accorgiamo solo quando abbiamo
voglia, in
ogni caso, qualunque sia la ragione, ci è rimasto solo con
Gokudera, solo, sul
tetto, e senza Tsuna. Dovrà ringraziare Sasagawa il prima
possibile, e magari
offrirle del sushi, dopotutto gli ha regalato un’occasione
d’oro, e un po’ di
sushi non si nega a nessuno. Ma se la invita al ristorante deve
chiamare anche
Tsuna, che magari ci scappa fuori un appuntamento. D’altronde
è a questo che
servono gli amici, a combinare appuntamenti e a risolvere problemi,
anche si
trattasse di trasferimenti.
«Promettimi
che non
ti arrabbi»
Gokudera
sputa
fuori il fumo, poi si gira stranito. Non si era accorto che fossero
così
vicini.
«Cosa
intenti?»
«Qualunque
cosa
dica, tu promettimi che non ti arrabbi»
«No.
Se non so di
che si tratta non posso promettere nulla. Poi mi fai incazzare
sempre.»
«Hai
ragione, ti
incazzi sempre.»
Yamamoto
lo guarda
sconsolato e per qualche attimo si fissa su di lui. Sul suo corpo
incurvato
sulla ringhiera, sulla sigaretta stretta tra le dita, sulla bocca che
butta
ancora fuori fumo, sui i suoi occhi assenti, che guardano lontano,
qualcosa che
lui probabilmente non vedrà mai. E poi
un’illuminazione, un pensiero, di quelli
che arrivano e se ne vanno come se non fossero mai passati, senza
lasciare
tracce, solo la vaga consapevolezza che qualcosa
c’è stato, anche se talmente
evanescente da non avere forma. Semplicemente si accorge che Gokudera
è bello,
e si innamora. Si innamora di Gokudera, di quella sua espressione
imbronciata e
della puzza di fumo, si innamora come fa un temporale estivo,
improvviso e
veloce. Poi come un temporale estivo se ne va, con la
rapidità con cui è
arrivato, rimanendo solamente una minuscola parentesi. Come altre mille
prima
di quella. Sa che questi innamoramenti lampo non gli fanno bene,
perché tante
parentesi alla fine fanno un discorso, ma alla fine non fa mai niente.
È un po’
come la tosse, che ce l’hai, ma non prendi mai sciroppi. E
vai uno, e vai due,
e vai tre giorni, alla fine ti ritrovi senza voce, e la tosse ce
l’hai ancora.
Ma lui ora starà attento, non si ammalerà di
certo per un po’ di tosse. Quindi
continuino anche questi innamoramenti, tanto sono solo pochi attimi,
non può
andare storto nulla.
«Perché
torni in
Italia?» gli dice veloce, come fosse un’ unica
parola. E capisce subito di aver
fatto un grosso errore. Lo capisce perché a Gokudera cade la
sigaretta dalle
mani, e va a finire nel cortile della scuola, sulla scarpa di una
ragazzina con
cui probabilmente non ha mai parlato, perché aspetta prima
di reagire, perché
quando si gira ha stampata in faccia l’espressione peggiore
che gli abbia mai
visto. Forse doveva evitare di essere così schietto.
«Tu
che cazzo ne
sai?»
«Ti
caduto il
biglietto sta mattina, quello per l’aereo. Però te
l’ho rimesso a posto»
«Non...
non lo
dovevi leggere. Non ne avevi il diritto...»
«L’ho
trovato per
terra, non potevo fare altro»
«Non
ne avevi il
diritto!»
Nel
frattempo la
faccia gli è diventata più rossa, si è
accesa di rabbia. Yamamoto vede l’amico
stingere i pugni sulla ringhiera, ed è sicuro che si sta
trattenendo. Lo
capisce perché le mani gli tremano e se non fosse per quella
ringhiera gli
avrebbe già dato un pugno.
«Mi
dispiace
Gokudera, non volevo farmi gli affari tuoi, ma l’ho trovato
sul pavimento».
Usa
un tono
tranquillo perché con lui non vale la pena arrabbiarsi,
basta la sua di rabbia
per entrambi. Quindi rimane tranquillo, che magari calma anche Gokudera.
«L’ho
trovato sul
pavimento e mi sono preoccupato.»
«Io
faccio quello
che mi pare, non devo certo spiegazioni a un idiota come te»
«Anche
Tsuna si
preoccuperebbe, soprattutto se partissi senza dire niente»
«Infatti
non
parto.»
Si
è arreso. È
stato più facile del previsto, si aspettava
un’interminabile discussione,
magari anche qualche pugno, credeva che dopo qualche esplosione, lo
avrebbe
mandato a quel paese lasciandolo solo, invece si è
semplicemente seduto e si è
arreso. Si siede anche lui, proprio accanto Gokudera, e lo sbircia con
la coda
dell’occhio. Sì, si è davvero arreso,
ha il tipico sguardo basso di chi ha
perso una guerra.
«E
perché avevi il
biglietto?»
«Me
l’ha dato mia
sorella, per tornare qualche settimana a casa, ma io non ci
vado.»
Scatta
qualcosa, la
situazione si capovolge, Yamamoto cambia subito umore. Ha fatto un
errore,
nessun trasferimento, nessun grande viaggio, solo una piccola innocua
vacanza.
Si sbriga a scusarsi e a dire che aveva frainteso. Se devi tornare dai
tuoi
cambia tutto, i parenti son pur sempre parenti, poi tanto torni.
«Ti
ho detto che non
ci vado, ma sei stupido?»
«Come
non vai? E la
tua famiglia?»
«Chi
se ne frega.»
Non
poteva
pretendere che fosse tutto rosa e fiori tra Gokudera e la sua famiglia,
l’aveva
sentita la storia da Bianchi, ma comportarsi così
è esagerato. Va bene
discutere, ma la parola non si nega a nessuno! Poi stiamo parlando
della
famiglia. Devi tornare!
«E
tu devi farti i
cazzi tuoi, stupido maniaco del baseball»
«Lo
dico per te, è
assurdo non voler ritornare a casa propria!»
«E’
assurdo che non
ti abbia ancora fatto saltare in aria»
«Cavolo,
Gokudera,
ma è casa tua! Non puoi comportarti così con le
persone che ti hanno cresciuto»
«Stai
superando il
limite»
«A
volte non ti
capisco proprio, hai dei comportamenti assurdi»
«Ti
sto avvertendo»
Poi
ha detto
l’ultima frase, quella che non doveva dire, la goccia che ha
fatto traboccare
il vaso. Perché Yamamoto è uno che gli affari
suoi non li sa fare, ma non ne
aveva mai assaggiato il lato negativo. Alla Signora Nakayama
farà pure piacere
ricevere il sushi a casa, ma Gokudera... Gokudera è tutta
un’altra storia. Gokudera
non è una vecchietta che deve accudire il marito, Gokudera
è un’esplosione, un
uragano di umori diversi. E lo sa bene, lo sapeva da prima di quella
discussione, come sapeva di dover rimanere tranquillo e di non dover
alzare i
toni, ma si è fatto prendere, non ci può far
nulla, quando si tirano in ballo
certi argomenti per lui è impossibile star zitto.
Però, forse però questa volta
ha esagerato, non ha saputo controllarsi. Gokudera è
un’esplosione, e dirgli
che deve finirla di scappare da tutto l’ha acceso.
L’ha acceso come si
accendono i fuochi a capodanno, avvicini un po’ la fiamma e
vai che vola in
cielo, vola in cielo e poi esplode, ha i suoi dieci secondi di gloria e
si
spegne soffocato dal buio, si spegne e chi se ne frega. Yamamoto sente
il pugno
arrivare, lo sente ancor prima che le nocche tocchino il suo zigomo, e
ancor
prima che il dolore gli arrivi al cervello è sicuro che gli
farà male. Lo
incassa, se lo è meritato, ma subito dopo gli prende le mani
e lo blocca. Ha
acceso la miccia e ora non vuole che il fuoco si spenga. Al diavolo i
dieci
secondi, al diavolo il buio. Non vuole che il fuoco si spenga, quindi
lo bacia.
*
«Poi
gli ho dato un
altro pugno»
Shamal
ha in mano una
piccola scatola di medicinali. Non sa cosa ci sia dentro, e a dir la
verità neanche
gli interessa. L’ha presa da qualche scaffale senza un reale
motivo, e ora se
passa e se la ripassa tra le mani. Forse l’aveva da prima che
entrasse Hayato,
ma di questo non ne è certo.
«Cosa
altro avrei
dovuto fare?»
Posa
la scatolina
sulla scrivania e comincia a girarsi i pollici. Più che
girarseli pare che ci
giochi, li fa muovere con gesti irregolari, sconclusionati, come se
ballassero.
«Diamine,
di’
qualcosa!»
O
forse stanno
solamente facendo l’amore.
«Cosa
dovrei dirti?»
«Non
lo so,
qualcosa, qualunque cosa! Vengo qui, ti racconto una cosa del genere e
tu te ne
stai zitto?»
«Non
so cosa ti
aspetti. Vuoi una paternale o qualche consiglio materno? Ti conosco da
quando
eri alto quanto una bottiglia di Whiskey, diciamo che qualche idea
sulla tua identità
sessuale me l’ero fatta»
«Sulla...
mia
identità sessuale?»
Ora
le mani se le
porta alle tempie e comincia a massaggiarle con piccoli movimenti
circolari. Lenti,
sempre più lenti. Poi le ritira giù e riabbassa
la testa. Ha lo sguardo
annoiato e gli occhi fissi su quelli di Hayato. L’espressione
di quel ragazzino
però è davvero spettacolare, con la bocca aperta,
le sopracciglia incurvate,
avrebbe fatto prima a scrivere su un cartello
“Sorpreso!” e poi ad incollarselo
in faccia. Che poi quale motivo abbia di essere sorpreso non
l’ha ancora
capito.
«Non
prendiamoci in
giro. Non hai cinque anni, con tutte le ragazze che ha questa scuola
avresti
dovuto fidanzarti da un pezzo.»
«Di
cosa cazzo stai
parlando?»
«Non
devi scaldarti,
ti sto facendo ragionare»
«Stai
cercando di
farmi incazzare, come sempre»
«Dici
sempre che le
donne ti fanno schifo...»
«Ma
non intendo
quello!»
«Cosa
intendi
allora?»
Hayato
ha staccato
dalla faccia il cartello, ne ha preso un altro e ci ha scritto
“Incazzato”. Non
arrabbiato, o furibondo, proprio incazzato, con tutta la
volgarità che ne
consegue. Per qualche strano motivo gli ricorda incredibilmente uno di
quei
cartoni animati con gli animali, quello col coyote e lo struzzo blu. Ma
questo
preferisce non dirglielo.
«Non
intendo
quello!»
Alla
fine si è
sempre ritrovato a prendere le parti del coyote, che per quanto sfigato
non si
è mai arreso, neanche con un masso in testa, neanche col
mondo addosso.
«E
il bacio, quello
col tuo amico, come è stato? Non mi dirai mica che ti sei
staccato subito, no?».
Non si è mai arreso, neanche di fronte all’evidenza.
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Note sul punto di crisi
Solo a me gli ultimi capitoli di Reborn sembrano molto più shonen-ai?
Caspita però,
sono addirittura riuscita ad aggiornare, sarà la pioggia , o
le giornate così ad avermi sempre ispirata.