Giochi di Ruolo > Vampiri: la masquerade
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Autore: neverwhere    22/03/2007    2 recensioni
Questa storia si ispira ai fatti accaduti a un mio personaggio del gioco di ruolo Vampiri: la Masquerade durante l'ultima avventura, durante la quale ha dovuto infiltrarsi nelle file nemiche per portare al suo "datore di lavoro" la testa del loro capo... salvo scoprire che egli altro non è che il suo amnte!
Genere: Romantico, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Luna, mi ascolti?

"Adesso che fate ufficialmente parte del Sabbat, è tempo per voi di avere un branco." Una pausa ad effetto. Ah, com’è affascinante anche così, anche nelle vesti di despota scostante e distaccato! Non posso fare a meno di avvertire un sobbalzo interiore ogni volta che lo vedo, mi sembra per un attimo di essere di nuovo la ragazzina quindicenne che arrossiva davanti alle sue cotte... Magari fosse così.

Non stacco lo sguardo da lui per un attimo mentre percorre a falcate maestose il presbiterio. "Mi è stato detto che non siete del tutto privi d’esperienza, e siete numerosi; confidando nelle vostre capacità e nei legami che certo esistono di già tra di voi, ho deciso di permettervi di creare un nuovo branco. Ma necessitate di guide, ed è per questo che qui, stasera, questi quattro candidati" ed indica quattro figure dalla pelle scura "si sfideranno. Il vincitore e l’ultimo a cadere diverranno Ductus e Priest del vostro branco."

Un boato di esultanza riempie la sala, su fino alla volta che riecheggia cupamente in risposta. I quattro indicati si dispongono a quadrato al centro della navata, mentre il resto dei presenti (una trentina, includendo me e i miei compagni) arretra lasciando loro campo libero. Qualcuno passa a raccogliere le scommesse, mentre gli sfidanti si studiano in silenzio, aspettando ognuno la prima mossa dell’avversario.

Alzando la voce per farmi sentire nella confusione generale di scommesse ed incitamenti mi rivolgo al mio vicino, all’aspetto uno yuppie troppo cresciuto e decisamente abbastanza sporco per non vedere un bel bagno da quando ha detto addio alla luce del sole. "Ductus e Priest...Cosa sono?" Sogghigna come se avessi detto qualcosa di divertente, o di stupido. Probabilmente la seconda opzione. "Semplicemente sono il capo strategico e politico e la guida spirituale del branco, anche se in realtà spesso sono più di questo...comunque siete fortunati voialtri, quelli là sono buoni combattenti e con loro sarà un po’ più difficile che ci lasciate le penne."

Sogghigna di nuovo, osservandomi come un cane che pregusti una succulenta bistecca. "Sei un bel bocconcino sai?" Con espressione seccata mi sposto per evitare che mi tocchi con una mano che sembra piuttosto la zampa di un cane rognoso. "Sono già impegnata con qualcuno che sta più in alto di te, ti conviene lasciarmi perdere" commento in tono tranquillo "Non è una minaccia, ma un avvertimento amichevole per il tuo bene." Pare non aver capito, ci riprova. Stavolta non mi sposto, e come avevo previsto non ce n’è bisogno.

Improvvisamente, Esteban è al fianco dell’uomo e trattiene il suo braccio con fare quasi noncurante, ma so per esperienza quanto sia dolorosa la sua stretta e dall’espressione dello pseudo yuppie direi che ora ne è a conoscenza a sua volta. "È mia, quindi vedi di lasciarla stare d’ora in poi. E anche gli altri." Un tono pacato, ma che tuttavia nonammette repliche. In una parola, autorità. Lascia andare il braccio del tipo, sulla pelle giallognola spiccano i segni lasciati dalla stretta. Un lampo di comprensione gli attraversa il volto ottuso. "Sì Eccellenza, provvederò... La prego, mi perdoni per il mio agire sconsiderato..." Anche umile come un cane.

Con un gesto vago gli indica che può andarsene. Sta per rivolgermi la parola, quando un boato ancor più fragoroso del primo scuote nuovamente la stanza. Il combattimento è iniziato.

Il più grosso dei quattro, un vero armadio, si scaglia contro i due che ha davanti, un tiretto smilzo senza un occhio e uno completamente incappucciato, mentre il quarto si è ritirato in un angolo e sembra a spettare che finiscano di farsi a pezzi a vicenda. L’incappucciato viene quasi subito ridotto ad una poltiglia, mentre il suo compagno orbo se la cava decisamente meglio. Sfruttando la taglia piccola e una grande agilità, riesce a parare e schivare lo spadone dell’altro, ed occasionalmente la sua scimitarra riesce a trovare carne non morta in cui affondare. Tuttavia, è chiaro che è una mera questione di tempo, la disparità di forze è troppa. In capo a una manciata di minuti va a tenere compagnia all’altro sfortunato, anche se le sue condizioni paiono decisamente migliori. Almeno, sembra che abbia perso solo sangue e non organi interi.

Il bestio si guarda intorno alla ricerca del quarto, che compare dal nulla proprio dietro di lui piantando lunghi artigli nella carne dell’avversario. Ora che è in piena luce, si può scorgere chiaramente che l’intera parte destra del volto è un ammasso di cicatrici e ferite aperte, in alcuni punti i lineamenti non esistono del tutto.

Con uno scatto sorprendente lo sfregiato balza sulla schiena del bestione, agganciandogli il collo con l’avambraccio cercando di strangolarlo e nel contempo bloccandogli le braccia. Poi protende l’altra mano, la pianta negli occhi dell’avversario e con lentezza deliberata inizia a tirare verso l’alto, scavando solchi attraverso carne, muscoli ed ossa.

Fin qui ho guardato il combattimento, cercando di sembrare abbastanza sicura di me, ma in realtà avrei voluto uscire da quel ring sanguinario per respirare un po’ la gelida aria notturna, per sottrarmi a questo spettacolo di violenza gratuita. Sono riuscita a rimanere, a dominare il disgusto e la rabbia, ma questo è troppo. Mi volto verso l’uscita, ma subito vengo bloccata. "No. Resterai qui e guarderai fino alla fine mia cara." Non può essere. Non può essere lui a costringermi ad assistere a questo orrore. E invece, quando lentamente mi volgo di nuovo, è proprio Esteban a fissarmi con uno sguardo assurdo in la dolcezza si mischia ad una freddezza inumana. "Vuoi far parte della nostra gloriosa famiglia? Sappi che questo non è nulla in confronto a ciò che vedrai, nulla ti dico! Adesso osserva, e cerca di trarne insegnamento. E per l’amor del cielo, non piagnucolare come una bambinetta!" Non mi ha mai parlato con un simile tono e le sue parole mi sferzano dolorosamente, ma sono lacrime di impotenza e non di tristezza quelle che bagnano le mie guance. Voglio andarmene, dannazione! Non voglio assistere oltre a questo!

Ma sono proprio le mani di Esteban che mi bloccano qui, la sua voce che sussurrando dolcemente mi obbliga a non chiudere gli occhi per sottrarmi almeno in parte...

Il tipo grande e grosso è riuscito ad afferrare lo sfregiato, ed ora si accanisce su di lui in preda alla frenesia distruttiva. Non c’è più tecnica ora, solo la violenza pura e tribale. Ormai tutti danno lo sfregiato per spacciato, le ferite costellano il suo corpo come sinistri papaveri rossi in un campo bruciato, ma con un ultimo sforzo disperato riesce a sottrarsi ai colpi dell’avversario. Fugge fuori, attirandovi il bestione, e appena è a portata inizia a colpirgli il cranio con una roccia, ancora e ancora, finché pezzi di cervello non sono sparsi tutt’intorno. Ripulendosi alla meglio, rientra per ricevere gli onori del vincitore. Esteban mi lascia, deve andare proclamare i nuovi capi,e finalmente sono libera dalla sua stretta. Libera di muovermi, libera di fuggire da questo luogo.

Finalmente fuori. Respiro l’aria gelida a pieni polmoni. Ovviamente non necessito di ossigeno per mantenere questo mio corpo morto, ma le vecchie abitudini sono dure a morire. Con un fremito di ribrezzo scaccio le scene sanguinose appena mi si ripresentano alla mente.

Cosa è saltato in mente ad Esteban, costringermi in quel modo! Non capisco perché l’abbia fatto. Che sia davvero quel mostro che sembra? No, non può essere, sembrava troppo sincero ieri sera perché stesse mentendo. Ma allora perché? Rimugino seduta nella fredda luce lunare, così diversa da quella del sole, e all’improvviso i ricordi mi assalgono. Ricordo la mia casa in scozia, nelle Highlands, i pomeriggi passati a correre sulle colline assolate o a tosare le pecore dei vicini, le visite alla nonna durante le vacanze estive... E tutto sembra così lontano, annacquato. Nemmeno tre anni che sono un vampiro e già inizio a dimenticare come fosse la vita prima, quando non ero costretta a nutrirmi di sangue né a temere la luce del sole, quando potevo camminare tra la folla e sarei stata solo una fra tante, una ragazza comune. Dunque è questa, la non vita?

Cerchiamo i lati positivi. Se non fossi divenuta un vampiro non avrei conosciuto Esteban, mi dico. Fino a poco tempo fa questo pensiero riusciva senza problemi a risollevarmi il morale, ma adesso non fa che aumentare il senso di vuoto dentro di me.

Esteban... La mia unica luce in queste notti di tenebra, l’unico che riesce a infondermi un po’ di speranza... bruscamente, torno a focalizzare i miei pensieri su quanto appena successo. E alla fine capisco, e questo spiega anche quello strano sguardo che lì per lì non ho saputo interpretare. Lo ha fatto realmente per il mio bene, non per cattiveria o sadismo. Mi conosce bene, sa che non posso resistere a lungo qua in mezzo; io sono esattamente il contrario di questi mostri, credo in ciò che loro disprezzano, come potrei mai riuscire a farcela? Col suo gesto ha voluto mettermi davanti alla cosa senza che potessi sottrarmi, ed ora ho le idee molto più chiare. Sarà estremamente difficile, ma riuscirò a sopravvivere e nel contempo a conservare i miei ideali intatti, senza abbassarmi alla loro brutalità. Se sarò tenuta in scarsa considerazione, considerata una codarda o peggio, poco importa. Io non sarò mai come loro, mai.

È una promessa questa che mi faccio, mordendomi soprappensiero la lingua ed assaporando il mio stesso sangue. Per un attimo la determinazione del mio giuramento restituisce una luce migliore al mondo, quando un pensiero terribile mi attraversa la mente.

Dal gesto di Esteban traspariva anche altro oltre alla premura: aspettativa. Per quel che ne sa lui, io sono venuta qui di mia volontà; per quel che ne sa lui, sono animata da sentimenti sinceri per il sabbat e sono disposta a sacrificare la mia identità per conformarmi alle sue regole. Per quel che ne sa lui, entro poco dovrei essere anche io fredda e indifferente al dolore. E se non lo faccio.. se non lo faccio, inizierà a sospettare di me, capirà che in realtà sono qui per secondi fini?

Ecco, piango di nuovo. Attraverso le lacrime cremisi tutto è avvolto da un alone rossastro; tutto è sangue, ci nuoto in mezzo, e il suo odore è al contempo invitante e disgustoso, come petali rossi ormai appassiti nella brezza... sbatto le palpebre due, tre volte in rapida successione. Cosa mi sta succedendo? Cosa sono questi pensieri? Poi mi dico che deve essere solo lo stress dovuto alla situazione, e a capo chino torno mestamente verso al luce e il rumore della chiesa abbandonata, torno in mezzo all’orrore.

Mi fermo a metà strada. Spinta da un misterioso impulso, sollevo la testa fino a fissare la luna, piena ed enorme. La luce che spande sul paesaggio è forte, nitida, ed evidenzia ogni ombra e dettaglio, ma non è il sole. Non il sole. Presa da un impulso di rabbia, lancio un grido lancinante che mi viene dal fondo dell’anima, quest’anima nera e corrotta che tuttavia non può fare altro che cercare la salvezza, ancora e ancora. Non sarebbe tutto più semplice se mi abbandonassi alla bestia interiore, come questi altri sabbatici? Niente più scrupoli né preoccupazioni... No, scuoto la testa. Non posso farlo, i sensi di colpa mi tormenterebbero ancora, anche se magari più sporadicamente, e allora cosa potrei dire in mia difesa? Cosa?

Gli esseri umani nella loro beata cecità ci vedono solo come i cacciatori, le creature della notte che temi da bambino e che puoi incontrare realmente per strada, in una notte poco fortunata. Non sanno che il vampiro, il più scaltro e potente predatore, è in realtà la più miserevole delle creature.

Grido di nuovo alla luna, dolore e rabbia per me stessa, per i miei simili, per gli umani e per il mondo. Grido per la sete che ogni notte mi attanaglia i visceri e che diventa sempre più difficile da placare col sangue animale. Grido per ogni alba in cui ho combattuto contro l’invincibile torpore diurno, pregando per poter vedere ancora, solo per una volta, il sorgere del sole. Grido per ogni volta che ho visto un essere umano ucciso per soddisfare la sete o i capricci di un mio simile, senza poter fare nulla per fermarlo. Ma soprattutto grido per me stessa, per la mia piccola tragedia personale che è così insignificante nei confronti del mondo ma altrettanto soverchiante per me.

Piango in silenzio, e mi chiedo se almeno la luna mi ascolti.

  
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