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Autore: Volk Rossobardo    07/09/2012    1 recensioni
Cari lettori, dimenticatevi le vostre comode poltrone girevoli. Vi trovate in Francia, Anno del Signore 1216. Un brutto periodo per la popolazione: si sente già nell'aria l'odore della guerra, e le tensioni con la storica rivale, l'Inghilterra, non fa che peggiorare le cose. Il tutto sarà osservato dal punto di vista di un gruppo di personaggi particolari, una vera e propria Elite guerriera che, però, non combatte né per la Patria né per soldi. Nessuno sa da dove vengano, nessuno sa cosa cercano, ma sono atrocemente bravi nel loro mestiere.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Al centro della sala da pranzo c’era una grandissima tavola imbandita con le più deliziose pietanze.

Ma nello sguardo dei cavalieri e del barone Gatien DeChene non c’era né il sollievo per essere sopravvissuti all’ennesima battaglia, né l’attrazione per quelle prelibatezze, ma solo il lutto per i sempre più numerosi posti a sedere senza proprietario.
Henry non si sedette vicino al padre, come era tradizione, né vicino alla cugina, dama Arielle, che con quei suoi occhioni verdi ed i capelli lunghissimi color miele incantava tutti gli armigeri del barone, bensì accanto al capitano Eloi, vicino ai suoi uomini.
Aveva ordinato alla servitù di apparecchiare un altro lungo tavolo, al fine di ospitare anche i fanti, guerrieri che suo padre non considerava degni di tanta attenzione, ma che Henry rispettava almeno quanto i cavalieri.
Francois Mance, un cavaliere al servizio del sovrano da diversi anni, che si era trovato a combattere contro Adolphe LeNoir per la prima volta, fissava di storto tutti i fanti ed Henry stesso, sembrava però non avere l’appoggio dei suoi compagni d’armi.
Durante la cena regnò il silenzio più totale, rotto soltanto dal rumore dei coltelli sui taglieri di legno.
A rompere il silenzio fu proprio la voce di Henry. Il giovane si alzò in piedi fissando i cavalieri intorno a lui.
–Non resisteremo a lungo, è inutile che ci illudiamo.- annunciò, ma la sua frase fu accolta solo da grugniti di consapevolezza.
Nessuno osò replicare, consci del fatto che era impossibile vincere la battaglia da soli.
–Padre, possiamo chiedere aiuto a qualcuno!- disse infine Henry al padre, il quale seguiva la scena in silenzio, con la testa appoggiata ad una mano ed il gomito sul tavolo.
–No, figliolo, Filippo Augusto sta radunando le truppe e presto verrà un messaggero a chiederci aiuto. Vedrà che siamo in difficoltà e ci porterà dei rinforzi. Basterà resistere ancora una settimana o due.- disse il barone. Henry si sentì come colpito da un dardo.
–Una settimana o due? Per allora saremo già morti e sepolti!- sbottò. Un ombra scura si mosse nell’oscurità delle torce. Poi se ne mosse un’altra, e un’altra ancora. Nessuno sembrava accorgersi di niente. Il capitano Eloi sembrava l’unico a sapere qualcosa, ma seguiva i movimenti estranei con naturalezza.
–Cairs è già caduta da tempo ed i nostri alleati non possono aiutarci. Ormai non c’è niente da fare: dobbiamo evacuare la città con il passaggio che si apre sotto il castello.- suggerì Francois, con un’espressione sprezzante.
Ma certo, il passaggio che portava all’esterno delle mura all’interno degli alloggi dei servitori. Il barone DeChene saltò sulla sedia.
–No! Non se ne parla nemmeno, e farò impiccare chiunque tenti di mettere in pratica una simile vigliaccheria!- minacciò.
–E allora tanto vale che ci arrendiamo e che facciamo risparmiare la vita almeno ai servi ed alle donne.- replicò amaro Francois. Eloi si alzò in piedi a sua volta e prese la parola.
–Francois, vi invito a stare al vostro posto!- lo ammonì il capitano. Gatien lo zittì con un cenno della mano.
–Adesso basta. Continueremo a combattere, e se moriremo, lo faremo con onore. Non possiamo fare altro per adesso. LeNoir avrà del filo da torcere, parola mia!- disse sedendosi e pensando di aver spento ogni litigio.
Ma il capitano Eloi proseguì anche contro il volere del suo signore. –Era ora che qualcuno facesse qualcosa.- mormorò mentre un sorriso sghembo e triste si allungava sul suo volto. Dall’ombra gettata dalle torce  spuntarono tre individui incappucciati, con un lungo mantello nero e delle armi cinte al fianco.
Accanto ad uno di essi c’era un grosso lupo dal pelo grigio e gli occhi verdi come il mare limpido.
Il primo, vicino al lupo, era molto alto, armato di una spada a due mani con il manico foderato di quello che sembrava essere cuoio. Tuttavia, portava sulle spalle uno scudo rotondo di considerevoli dimensioni. Il secondo era nella media come altezza, ma aveva spalle larghe e muscoli ancor più pronunciati del suo compagno. Da una faretra spuntavano delle frecce lunghe quasi un metro, con le piume bianche e candide, simili a quelle degli  arcieri inglesi, ma l’arco che aveva sulle spalle non era il listello di tasso tipico degli inglesi né il legno di nocciolo degli imperiali. Sembrava fatto di corno, un materiale usatissimo fra i vichinghi ed i mangudai dell’est. L’ultimo del gruppo aveva un pugnale seghettato di colore simile al muschio, probabilmente in ardesia, ed una fila di coltelli attaccati alla cintura. Era abbastanza basso e non portava i guanti, rivelando mani pallide ed inesperte, probabilmente adolescenziali.
Alla vista di quegli uomini armati, i cavalieri corsero alle armi e si schierarono davanti al barone per proteggerlo, mentre Francois stava tendendo un arco. I più arditi si lanciarono contro agli intrusi con le lame tese, ma si trovarono davanti il capitano Eloi.
–Fermi! Loro non sono nemici, li ho fatti chiamare io per contribuire alla nostra causa!- annunciò, ed i cavalieri si fermarono confusi.
Henry ordinò loro di rinfoderare le spade. Il re era cinereo.
–Tu hai osato fare entrare degli uomini nel la mia casa senza chiedere il mio permesso!- lo accusò il sovrano furente.
Eloi fece un passo indietro. –Vostra maestà, questi uomini sono dei sicari molto abili. Li ho fatti passare per il passaggio segreto, ma l’ho fatto in buona fede!-.
Vedendo che la spiegazione del capitano non placava in alcun modo la furia del padre, Henry si intromise.
–Padre, vi prego! Lasciate che questi guerrieri ci aiutino, come il capitano Eloi desidera che sia!-.
Il re sembrava confuso, ma scelse di percorrere la via della ragione e non quella del sangue, per la fortuna di Eloi.
–E che aiuto possono portare tre soldati alle nostre forze, se contro abbiamo il vassallo più potente di Dammartin?- domandò il castellano trattenendo a stento l’ordine di decapitare il suo generale.
Eloi sospirò. –Non sono semplici guerrieri, bensì dei sicari infallibili. Li ho ingaggiati per uccidere LeNoir, in modo da lasciare senza guida il suo esercito.- spiegò il capitano in tono solenne.
Arielle sembrava attirata dal discorso tanto quanto gli uomini. A quel punto gli uomini tirarono giù il cappuccio, rivelando i loro volti. Quel movimento brusco fu motivo di preoccupazione per molti cavalieri. Francois non riuscì a mantenere il sangue freddo e scoccò. La freccia colpì la gamba di uno degli uomini, quello armato di coltello. Il dardo lo aveva colpito solo di striscio, ma la ferita era abbastanza profonda e colava sangue in abbondanza.
Il lupo, di sicuro non era un cane per via delle sue dimensioni, ringhiò mettendo in mostra una fila innaturale di denti d’avorio bianchissimi e temibili, che gli coprivano quasi tutte le labbra come solo un essere diabolico era capace di fare. Un coltello volò dalle mani dello straniero armato di spada e tagliò di netto l’arco di Francois, che cadde all’indietro terrorizzato. Arielle in persona si precipitò ad aiutare il ferito, nonostante il disappunto del padre e dei cavalieri.
Ma la giovane sentiva che c’era qualcosa di particolare in quei misteriosi combattenti. I cappucci si erano spostati completamente e finalmente, avvicinandosi, la giovane nobile poté vedere i volti degli stranieri.
Il ragazzo, solo ragazzo poiché Arielle non si sentiva di definirlo un uomo in quel momento, che aveva lanciato il coltello era ancora più massiccio di quanto da lontano si poteva vedere. Portava lunghissimi capelli biondo come la resina che gli scendevano fino alla vita, non dimostrava più di trent’anni ed aveva gli occhi azzurri più profondi, magnetici e glaciali che la giovane donna avesse mai visto.
L’individuo con l’arco di corno era l’antitesi dello spadaccino: capelli neri come il carbone, secondi solo agli occhi per il timore che incutevano, ed aveva il viso duro e dai lineamenti decisi, in netto contrasto con il viso soave del primo. Nonostante i lineamenti duri il suo volto risultava gradevole, ma aveva un aspetto combattivo e scaltro. I due erano accomunati solo dall’età. Infatti, anche l’arciere era molto più giovane dei cavalieri al servizio del Barone.
Lo sguardo di Arielle cadde sul ferito e la ragazza perse ogni parola: l’ultimo membro del clan di guerrieri era una ragazzina di appena dodici anni, con i lunghi capelli rossi sottili e lisci come la seta più pregiata. Aveva gli occhi azzurri come lo spadaccino, e la dama non poté fare a meno di notare il fascino misterioso che li legava.
Tornò ad occuparsi della ferita: estrasse un fazzoletto dal vestito e lo strinse sul taglio, per fermare l’emorragia.
Quel gesto suscitò scalpore anche tra i soldati del barone, troppo timorosi di avvicinarsi. I due guerrieri ancora in piedi erano furenti. Il giovane spadaccino mise una mano sotto al mantello e ne tirò fuori una balestra di piccole dimensioni. Puntò l’arma verso i soldati. L’altro incoccò una freccia e prese a sua volta la mira. I cavalieri fremettero e si buttarono di nuovo contro a chi aveva osato sfidare il loro sovrano così sfacciatamente.
Si fermarono di colpo vedendo il loro capitano Eloi ed il nobile Henry che si erano schierati a lame tese dalla parte dei nemici.
La confusione regnava sovrana, mentre il giovane Henry tremava, forse per l’adrenalina, forse per la vista di quel bellissimo lupo con i denti così spaventosamente numerosi e terrificanti. Fu il barone ad intervenire.
–Soccorrete subito la bambina, e scortate in una stanza i nostri viandanti. Portategli qualcosa da mangiare. Parleremo dopo di ogni questione. Ora non desidero altro che finire quella che potrebbe essere la mia ultima cena.- disse stancamente.
Oramai non aveva più né la voglia né le forze per affrontare a mente lucida una tale scelta, ed ormai non temeva neanche più il morso del mostro a quattro zampe.
I due guerrieri stranieri vennero accompagnati de Henry, Eloi ed Arielle in persona.
Al giovane capitano sembrò di sentire una frase dall’uomo con l’arco di corno, ma era a bassa voce e non riuscì a distinguere altro che le parole “guerra” e “Anja”. Il resto fu un mistero.
L’ultima cosa che vedette furono i medici che si chinavano sulla bambina e le porte di legno massiccio che si richiudevano.
  
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