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Autore: DarlingAry     08/09/2012    2 recensioni
Sono passati ormai 80 anni dalla sconfitta di Galbatorix e l'ordine dei Cavalieri di Alagaesia si sta ricostituendo. Nelle Terre di Mezzo dura una meritata pace da ormai 60 anni.
Vediamo come la nuova generazione, 30 anni dopo la sconfitta di Voldemort, sia cresciuta e diplomata ad Hogwarts. Ma siamo sicuri che ognuno viva la propria vita completamente da solo? Non proprio... I Ponti di Nessuno hanno deciso di richiamare a sè nuovi Viaggiatori....
Storia scritta a quattro mani tra me ed evening_star
(Non è l'introduzione definitiva)
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Sorpresa
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il drago posò a terra Eldarion, che si guardò attorno esterrefatto. Per un momento rischiò di lasciarsi travolgere dalla meraviglia, ma poi si rese conto che non doveva lasciare al drago la possibilità di suscitare in lui qualsiasi emozione, o sarebbe stata la fine. Si trovava nel cortile di un enorme palazzo di cui aveva notato l’estensione dall’alto, mentre era ancora in volo.
Le porte, le finestre, le terrazze, tutto era enorme. Le architetture, che gli ricordavano quelle di Lorien, erano semplici, eleganti, armoniose e sembravano avere un intento pratico più che estetico, senza che questo ne diminuisse la bellezza. Al centro del cortile si trovava un giardino con un pozzo al cento ed un albero che cresceva vicino ad esso e che ispirò ad Eldarion un indecifrabile senso di familiarità.

«Ci hai chiamati, Dikor?» Eldarion si voltò di scatto sentendo dietro di sé una voce umana, ma il sospiro di sollievo si tramutò in un gemito quando vide che colui che aveva parlato cavalcava un altro drago, molto più grande del primo e di un intenso color blu zaffiro.  La voce del drago risuonò nella sua testa:
 ‘Sì, maestro. Ho trovato questo straniero a cavallo a due ore di volo da qui. Credo che le privazioni lo abbiano molto confuso perché continua a dire cose strane e anche offensive. Tuttavia non potevo abbandonarlo lì, anche se non è venuto di sua spontanea volontà continuando a dibattersi per tutta la durata del viaggio. Cosa ne facciamo?’ Eragon non rispose, ma si rivolse direttamente a lui.

«Chi sei, straniero? Da dove vieni e perché ti trovi nei nostri territori?» Eldarion decise che, sebbene non ci si potesse fidare di quell’uomo che aveva a comando ben due draghi, sarebbe stato meglio rispondere.
«Sono Eldarion Telecontar, figlio di Re Aragorn Elessar, sovrano di Gondor. Non ho idea di che posto sia questo, né di come ci sia arrivato. Ho semplicemente visitato le Caverne di Minas Tirith, poi sono uscito e ho cavalcato per mezza giornata. Questo drago mi ha rapito e portato qui. Ecco tutto.» Eldarion tacque, sperando che l’uomo capisse la sua indignazione. (e risoluzione. )
«Re Aragorn di Gondor? Mai sentito…»
«Ma com’è possibile? Non possiamo nemmeno essere usciti dai confini di Gondor, figurarsi essere in un paese dove non lo si conosce nemmeno! A meno che…» Eldarion s'interruppe, comprendendo all’improvviso che tutto ciò faceva sicuramente parte di un inganno teso ai suoi danni. Probabilmente era ancora nella caverna e tutto ciò che gli appariva, compreso quel magnifico palazzo, era frutto di un'illusione provocata da quel drago maligno.
«A meno che?» chiese Eragon
Eldarion scoppiò «A meno che non mi stiate ingannando con qualche fine malvagio! Qual è il vostro scopo?! Uccidermi o farmi impazzire? Ho sentito che i draghi sono particolarmente bravi in questo. Ma sappiate una cosa: io non mi arrenderò tanto facilmente e combatterò fino a quando avrò fiato in corpo e sangue nelle vene » Eragon guardò quel ragazzo, trattenendo a stento un sorrisetto, che sproloquiava in quel modo, ma Saphira non condivideva affatto le sue emozioni: lei era molto, molto arrabbiata.

‘ Mi sembra di capire che per te i draghi sono una specie di mostri senza cuore che non hanno altro scopo nella vita se non preoccuparsi di fare dispetti a te, piccolo essere umano. Ma guardami: pensi veramente che io sarei così crudele da togliere la vita a qualcuno così per divertimento? E se fossi cattiva, credi che non avrei di meglio da fare che non rompere le scatole a te? Beh, Eldarion figlio di Aragorn, sappi che non è così. E sappi che nonostante la tua scortesia sei il benvenuto qui all’Accademia dei Cavalieri di Draghi di Alagaësia.’ Eldarion fissò a bocca aperta quel drago che aveva parlato nella sua testa. Non fece in tempo a ribattere che Eragon prese la parola.
«Aspetta, Saphira, forse ho capito qual è il problema. Eldarion, tu non hai mai visto un drago, vero?»
«No, ma ho letto il Libro Rosso di Bilbo Baggins e so, dunque, del suo incontro col drago Smaug…»
«Un drago selvatico?» lo interruppe Eragon
«Naturalmente. Ci sono forse draghi non selvatici?»
«Ecco, visto?! Risolto il problema. Molto bene Eldarion Telcontar…» mentre parlava, Eragon scese da Saphira con un agile balzo e gli si avvicinò «Sono lieto di informarti che esistono effettivamente dei draghi… civili, per così dire, e ne hai davanti due. Questi draghi non legati dalla nascita a dei Cavalieri e con loro combattono, si allenano, vivono e crescono. Questa è Saphira, la Dragonessa  cui sono legato da molto tempo, mentre questo è Dikor, il drago che ha scelto mia nipote Nicae. Nessuno qui ti farà del male, se tu non ne farai, e come ti ha detto Saphira sei il benvenuto all’Accademia. Te lo giuro.» Eldarion in quel momento sentì con forza la profonda ed indiscutibile verità che si celava dietro a quelle parole e capì che, grazie a queste, avrebbe potuto fidasi ciecamente del giuramento del Cavaliere.
«E tu chi sei?» chiese rendendosi conto di non conoscere ancora il nome del suo interlocutore, e forse, salvatore.
«Oh, scusami, è l’età... »  disse in una battuta che solo lui pareva capire, considerando che aveva l’aspetto di un uomo di appena 30 anni «Io sono Eragon Bromsson. Sono il maestro degli apprendisti Cavalieri, e assieme a mio fratello Murtagh, mia moglie Arya, i nostri draghi e ad altri elfi volontari no…»
«Elfi?! Qui ci sono degli elfi?»
«Certo che ci sono degli Elfi. Arya, mia moglie, è una di loro.»
«Beh, anche mia madre lo è, ma è l’unica che conosco, oltre ai miei zii Elladan ed Elrohir»
«Davvero? Ma allora forse Arya la conosce o comunque sa chi è. Mi sembra piuttosto probabile. Vieni con me…» Eldarion esitò, indeciso se andare o meno. “ Beh, comunque non riuscirei mai a trovare l’uscita da solo, quindi è meglio seguirlo e vedere se trovo qualche scappatoia”
«Dikor, so che ti chiedo molto, ma potresti portare tu Eldarion fino alla biblioteca? Così faremo molto prima.»
‘Con piacere Eragon-elda. L’ho portato fin qui, posso farlo di nuovo!’
«Cosa?  Volare sopra di lui? Ma stiamo scherzando?!»
«Beh, ci metterai molto meno. Se vuoi camminare sei libero di farlo, ma questo palazzo è molto grande e la biblioteca è da tutt’altra parte. Fidati, ti prego. Non te ne pentirai…. E poi non voleremo, nei corridoi i draghi si limitano a saltare…»
Eldarion sospirò non sapendo come ribattere «E va bene…»

Fu l’esperienza più strana della sua vita. Montò a fatica sul drago bianco, di cui ebbe modo di osservare le terrificanti punte dorsali, che avrebbero potuto trafiggerlo in un nanosecondo. Quando si fu sistemato sulla sella il drago partì, balzando dietro a Saphira, che era già entrata nel palazzo attraverso un corridoio adiacente. Ogni lunghissimo balzo di Dikor lasciava Eldarion con il fiato sospeso fino all’atterraggio che era tuttavia meno brusco di quanto si aspettasse. Dopo i primi salti Eldarion si scoprì, suo malgrado, a provare un certo divertimento, perciò riuscì, senza abbassare mai la guardia, a guardarsi intorno con curiosità. Tutto in quel palazzo era a misura di drago: i corridoi erano larghi come strade; i cortili sembravano piazze e da come si poteva intuire dalle finestre, le stanze, probabilmente anche le più banali, erano enormi saloni.
Ad un certo punto uscirono sotto un porticato e alla vista di Eldarion si aprì una vista mozzafiato: un’arena colossale ( forse più grande della cittadella di Gondor) si apriva sul fianco della collina. La sua meraviglia fu tale che fu avvertita da Dikor, che gli spiegò: ‘Quella è l’arena di combattimento dove ci alleniamo e dove si tengono le competizioni tra noi o delle cerimonie. E’ abbastanza grande da poter simulare un combattimento tra draghi. L’hanno costruito , come tutto il resto che è qui, i maestri Eragon e Saphira, e ovviamente anche gli elfi che li aiutano… Ora entreremo nel Salone dove si mangia’ Dikor entrò nella porta aperta all’estremità del portico e questa si richiuse alle sue spalle. A Eldarion questo non piacque per niente, ma decise di non pensarci. Dopotutto, quel drago poteva leggere i suoi pensieri…

‘Come vedi, qui di posto ce n’è abbastanza’ stava dicendo intanto il drago. Eldarion lo trovò abbastanza riduttivo, perché quella in cui erano entrati era una sala anche più grande della precedente, con molti tavoli a metà strada e un grande spazio vuoto nel resto. Il drago continuò a parlare, ma lui non lo ascoltò assorbito da ciò che vedeva ‘ …. Ma noi draghi preferiamo cacciare per conto nostro nei boschi qui vicino.’

Quando arrivarono all’altro capo della sala uscirono di nuovo in un altro portico, da cui Eldarion poté ammirare di nuovo l’arena, prima di entrare in un altro edificio. Di fronte alla porta c’era una grande scalinata, ma i draghi si diressero verso una porta a destra di essa ed entrarono in una stanza che, in proporzione rispetto alle altre, poteva quasi essere considerata piccola. Eragon scese da Saphira e invitò Eldarion a fare altrettanto.
«Questa è la biblioteca, o meglio, una delle stanze inferiori. La scala che hai visto prima porta alle superiori, che purtroppo sono ancora per lo più vuote. La cultura di Alagaësia deve ancora essere completamente recuperata… ma non credo lo sarà mai. Non dopo che sono andati persi i libri di Galbatorix.»
«Chi è Galbatorix?»
«Oh, è una storia molto lunga, che merita di essere raccontata a dovere e non ora di fretta. Ti basti sapere che era un tiranno in Alagaësia e che l’abbiamo sconfitto circa ottant’anni fa.»
«E adesso, che vuoi farne di me?»
«Cercare di capire da dove vieni, prima di tutto. Ho convocato Arya e Murtagh, dovrebbero essere qui a momenti. Dikor, tu puoi andare; grazie mille.» Il drago piegò appena il capo e uscì a grandi balzi. Eldarion fece appena in tempo a gettare un’occhiata alla stanza coperta di scaffali e con un tavolo al centro che la porta si aprì di nuovo. Entrarono altri due draghi, uno rosso e uno verde, da cui scesero due Cavalieri: quello del drago rosso era un uomo alto e muscoloso, con una folta barba e l’aspetto cupo; mentre dal drago verde scese una donna bellissima dai capelli neri, gli occhi verdi e un portamento guerriero.
«Eldarion questi sono Arya, mia moglie, e Fìrnen; mentre loro sono Murtagh e Kurm. Questo… » disse rivolgendosi ai nuovi arrivati «… è Eldarion Telcontar ed è arrivato qui non si sa come. Dikor l’ha trovato in mezzo alla steppa e l’ha portato qui. Dice di essere figlio del re del suo paese »
Arya e Murtagh lo guardarono con curiosità, e così anche i due draghi «E’ un piacere conoscerti, Eldarion.» disse la donna

‘Benvenuto, cucciolo d’uomo’ Ancora una volta sentì la voce di un drago, quello verde, dentro la sua testa e questa volta si rese conto che ogni drago lasciava un’impronta diversa nella sua mente, come un timbro di voce. Questa cosa lo incuriosì molto: così forse sarebbe stato in grado di riconoscerli. Anche Murtagh e Kurm lo salutarono, ed egli ricambiò. Poi si sedettero attorno al tavolo e i tre draghi si accucciarono in alcune lievi conche attorno ad esso.
«Dunque, Eldarion… Raccontaci bene come sei arrivato qua.» Eldarion raccontò di nuovo tutta la storia. Aveva appena finito quando gli venne in mente una cosa che aveva detto Eragon, quindi chiese ad Arya
«Ma tu sei un’ elfa?»
«Sì» rispose lei.
«Sei diversa da mia madre…»
«Tua madre? Chi è tua madre?»
«E’ Arwen, figlia di Elrond Mezzelfo.»
«Elrond Mezzelfo… Mi ricorda qualcosa. Qual è la sua ascendenza?»
«E’ figlio di Eärendil ed Elwyn, figlia di Dior, figlio di Luthien e Beren. Ti ricorda qualcosa?» Arya rimase senza fiato «Luthien la Bella, e Beren il Monco?»
«Sai chi sono?» In Eldarion si accese una nuova speranza. Forse non era capitato così lontano da casa…
«Mia madre mi narrò la loro storia. Erano un umano e un’elfa che vivevano in Alalea, da dove proviene la nostra razza» spiegò Arya
«Alalea? Non ho mai sentito questo nome. Non ne conosci altri?»
Arya rifletté un attimo, dubbiosa. «Beh, se non sbaglio era chiamata anche Terra di Mezzo»
«Sì!» esultò Eldarion «Io vengo da Gondor, un regno delle Terre di Mezzo. Possibile che tu non lo conosca?»
«Gondor… non mi suona nuovo, ma non saprei dirti di più. Non è un regno di elfi, vero?»
«No, no, è un regno di uomini. Quali regni di elfi conosci?»
«Dovrebbero essere tre: Imladris, Bosco Atro e Lothlorien, il Reame Silvano, da dove proviene la mia gente. Sai la storia di Nimrodel?» Eldarion frugò nella sua memoria, ma non trovò altro che un vago ricordo.
«Devono avermela raccontata, ma non me la ricordo…»
«Nimrodel era una fanciulla dei Galadhrim, gli elfi silvani. Il suo amato era Re Amroth, con il quale viveva. Quando tuttavia i nani risvegliarono il Male di Moria molti elfi decisero di andarsene dalla Terra di Mezzo. Non so dirti cosa fosse questo Male di Moria, perché a quanto pare nessuno lo menziona mai… »
«Era un Balrog di Morgoth » la interruppe Eldarion. Quando lei lo guardò sconcertata aggiunse «E’ una storia lunga di millenni… comunque questa parte della storia la conosco molto bene. Quindi Nimrodel era una di quelle che fuggirono dal Balrog?»
«Nimrodel e Amroth, che con la loro gente arrivarono in Alagaësia su di una nave che era diretta a Valinor. Non so perché siano arrivati qui, so che molti hanno provato a tornare indietro ma non ci sono riusciti.» Il silenzio calò nella biblioteca. Tutti riflettevano su quanto avevano appena sentito. Alla fine Eldarion, pensoso, chiese «Hai detto che Nimrodel era di Lorien. Sai se fosse parente di Re Céleborn e Dama Galadriel?»
«Sì, certo. Nimrodel era parente di Céleborn. Perché?»
«Perché lei è mia parente. Celebron e Galadrien sono i nonni di mia madre.»
«Dici sul serio? Io sono diretta discendente di Nimrodel e Amroth, quindi… noi siamo parenti!» disse con un sorriso Arya
«Che cosa? Non posso crederci! Ti stai burlando di me?»
«Assolutamente no! Mia madre era la figlia del figlio dei Fondatori.» Eldarion la guardò stupefatto, non credendo alle sue orecchie. Anche tutto gli altri li fissavano attoniti, basiti da quella rivelazione.
«Ma io… Io come ho fatto ad arrivare qui?» Era la domanda irrisolta, il mistero più grande di tutta la faccenda.
«Non lo so. Però potremmo chiedere a Rhunon. Lei è una sopravvissuta al viaggio. Forse può dirti di più»
«Beh, domandiamole subito! Dov’è?» Eldarion si guardò intorno quasi sperasse di vedere Rhunon arrivare lì all’istante.
«Non è qui all’Accademia… » disse Eragon «ma ad Ellesmera, la capitale degli elfi, a parecchi giorni da qui»
«Parecchi quanti?» domandò Eldarion
«Direi almeno tre giorni di volo con vento favorevole» spiegò il Cavaliere più giovane.
«E’ tantissimo! A casa manco già da un giorno, saranno preoccupati!»
«Allora, se vuoi possiamo riportarti indietro e puoi tornare a casa. Per noi non c’è problema.» intervenne Eragon.
«Il problema però ce l’ho io. Non saprei come tornare indietro. Ho vagato per molto tempo prima di essere trovato dal drago ed ero piuttosto scosso: non ricordo qual è la strada. Magari intuirei la direzione, ma non ricordo… ricordo anche che c’erano molte caverne nel luogo da cui sono uscito e non so se riconoscerei l’imboccatura giusta. All’interno comunque so che c’era una specie di ingresso intagliato nella roccia, una semplice architrave sorretta da due semi-pilastri. In ogni caso, non ricordo come trovarlo.»
«Aspetta, tu da quanto non mangi e non riposi?» Murtagh parlò per la prima volta da quando aveva salutato Eldarion.
«Beh, direi… tutto il giorno» rispose il giovane, rendendosi conto per la prima volta di quanto fosse stanco e affamato. La giornata era stata spossante, ma talmente piena di emozioni da fargli dimenticare tutto il resto.
«Allora adesso basta. Domani deciderai cosa fare, ma per oggi devi solo mangiare e poi andare a dormire. Non puoi resistere ancora…»
«Non sono d’accordo. Io sono un Dùnadan. Potrei resistere almeno fino a domani!»
«Ti credo, ma è meglio non rischiare, non trovi? Domani sarai comunque più lucido.» Eldarion esitò, incerto sul da farsi, ma poi i morsi della fame ebbero il sopravvento.
«D’accordo», acconsentì.
«Vorresti montare su Kurm con me?»
«Solo…  se lui è d’accordo.» Di tutti i draghi che aveva visto finora Kurm era quello dall’aspetto più selvaggio, sebbene Saphira fosse quella più feroce. Come Saphira e Fìrnen, era molto più grande di Dikor ed Eldarion non era sicuro che cavalcarlo fosse la stessa cosa. Sebbene l’avessero rassicurato, non riusciva a non guardare i draghi con forte sospetto, anche se doveva ammettere che quelle creature, con il loro aspetto nobile e altero e la loro bellezza cominciavano ad esercitare un certo fascino su di lui.
«Non preoccuparti, è stato lui ad offrirsi.»
«Allora… d’accordo»

Per la seconda volta Eldarion fece l’esperienza stranissima di saltare in groppa ad un drago, con l’unica differenza che i balzi di Kurm erano molto più lunghi ed energici.
Mentre Eldarion montava sul drago uno scambio di pensieri era avvenuto tra i due fratelli.
‘Murtagh, sei sicuro? Guarda che può portarlo Saphira se vuoi, non sei obbligato…’
‘Eragon, va bene così. Devo smetterla di piangermi addosso, sono passati trent’anni ormai. Lei sarebbe d’accordo’.
Eragon sorrise, felice che fonalmente Murtagh stesse superando definitivamente la morte di Nasuada. Murtagh non aveva mai lasciato che nessuno cavalcasse Kurm, perché la prima era stata lei, quando era tornato ad Ilirea, e lei era stata l’ultima, quando se n’era andata.


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Murtagh e Castigo avevano viaggiato per cinque anni, senza mai fermarsi, senza trovare – ma anche senza cercare – un momento di riposo.
Si erano messi alla prova, avevano misurato le proprie capacità nelle terre selvagge, ancora inesplorate, al di fuori dei confini di Alagaësia. Ma più di tutto avevano riflettuto sul loro futuro e su quello che avrebbero fatto.
La prima cosa di cui si occuparono fu di trovare un nuovo nome a Castigo.
‘Non voglio un nome a caso, Murtagh’, gli aveva detto. ‘Voglio qualcosa che faccia dimenticare il nome Castigo, rimpiazzandolo con un significato equivalente. Pensaci tu, io non sono fatto per le parole.’ Murtagh ci aveva pensato, rimpiangendo quasi di non avere il fratello lì con lui. Sapeva che Eragon era molto più bravo di lui con le parole.
Dopo due giorni di riflessione aveva trovato la soluzione: ‘Dunque, ho pensato che, visto che la mia spada è Zar’roc, Miseria, possiamo controbilanciarla con Abbondanza. Solo che chiamarti così non avrebbe senso come Castigo, quindi dobbiamo tradurlo in qualche lingua. Avevo pensato all’Antica Lingua, ma poi mi è venuto in mente Kurm, in nanesco. Suona meglio, e poi dobbiamo fare qualcosa per riavvicinarci ai nani.’
In risposta Castigo sbuffò. ‘Sai che dobbiamo farlo.’ Gli disse Murtagh severo. ‘Ho ucciso Rothgar e non me lo perdoneranno facilmente, quindi è meglio ingraziarceli il più possibile… e darti un nome nella loro lingua mi sembra un buon inizio. Allora, che ne dici? Ti va?’ Castigo acconsentì, e così da quel momento si chiamò Kurm.
 
Quando si sentirono pronti, Drago e Cavaliere tornarono in Alagaësia. Kurm avrebbe preferito restare ancora nelle terre selvagge, ma capiva che Murtagh non riusciva più a stare senza la sua bella. Avevano volato verso Ilirea di notte, nascondendosi il più possibile: Murtagh non voleva che lei ne fosse informata.
Quando arrivarono al palazzo e atterrarono davanti al portone, Murtagh guardò soddisfatto le facce attonite dei Falchineri che gli correvano incontro.

«Fermi!» gridarono loro, consapevoli che se anche avessero disobbedito avrebbero potuto fare ben poco.
«Annunciate alla Regina che il Cavaliere Murtagh e il Drago Kurm desiderano incontrarla per porgerle i loro omaggi» disse solenne.
I Falchineri, guardandolo sospettosi, si consultarono a bassa voce, poi uno corse dentro per portare la notizia. Negli occhi dei Falchineri (e delle persone che passando lo guardavano diffidenti) Murtagh lesse che, nonostante la parte che aveva avuto nella sconfitta di Galbatorix, nessuno si fidava ancora di lui… Un uomo addirittura fuggì a gambe levate. Ad un certo punto sentì dei passi che si avvicinavano sempre di più. Molti passi. Il portone si aprì.
Una folla di persone comparve davanti a lui, composta da dame e nobili vestiti di bellissimi e preziosi abiti. Molti, come i passanti, lo fissavano attoniti e sospettosi; alcuni mostravano aperta ostilità; pochi esprimevano soltanto curiosità. Ma per Murtagh c’era solo lei. In cinque anni era cambiata appena. Aveva ancora quell’aria forte, decisa che l’aveva colpito sin dalla prima volta che l’aveva vista. Il suo sguardo esprimeva tutto quello che Murtagh si spettava di trovare: la gratitudine per essere finalmente tornato, il rimprovero per averci messo tanto e la gioia di vederlo, finalmente. L’emozione sembrò quasi vincerla, ma in un attimo lei recuperò l’autocontrollo e Murtagh cominciò la commedia.

Si avvicinò a lei di qualche passo e, piegando appena il capo disse: «Salve, Regina Nasuada. Siamo tornati per porgerti i nostri omaggi e, se lo accetterai, per metterci al tuo servizio. Parlo anche a nome suo,» aggiunse, indicando il Drago, «che non si chiama più Castigo ma Kurm»
«Accetto i tuoi omaggi, Cavaliere, e ti do il benvenuto ad Ilirea. Per quanto riguarda i tuoi servigi… ne discuteremo in seguito.»

Murtagh alzò lo sguardo, stupito. Non se l’aspettava e per un momento lo assalì l’ansia. Temeva di aver fatto qualcosa di sbagliato o, peggio, che Nasuada non lo volesse più. Ma poi incontrò di nuovo il suo sguardo e vi lesse ancora tutto quello che vi aveva visto prima. Lei si avvicinò, incurante degli sguardi dei presenti, fino a trovarsi vicinissima a lui.
«Grazie per essere tornato» mormorò, muovendo appena le labbra. «Non ce la facevo più ad aspettarti.»
Poi, senza lasciargli il tempo di replicare, disse ad alta voce: «Io proclamo qui davanti a voi, e che sia annunciato a tutto il popolo, che il cavaliere Murtagh e il Drago Kurm sono Eroi di Alagaësia per la parte fondamentale avuta nella sconfitta di Galbatorix. Chiunque si metta contro di loro si mette contro il Regno. Qualsiasi loro azione precedente  è stata emendata dalla distruzione del tiranno. Che nessuno osi mettersi contro di loro.»

Murtagh cercò sin dal primo momento di farsi amica la corte, impresa non facile. Con profonda amarezza si accorse che, nonostante il clima fosse completamente diverso, una cosa non era cambiata dai tempi di Galbatorix: ognuno pensava solo ai propri interessi personali. Erano pochi i cortigiani che credevano negli ideali che Nasuada cercava di promuovere, gli altri erano sempre in agguato per cercare  più vantaggi e privilegi possibili, tanto che la regina faticava a tenerli a bada tutti. Dopo cinque mesi di progressi, Murtagh era già esaurito. Lui non era il tipo fatto per restare invischiato negli intrighi della corte. Si prendeva spesso delle lunghe pause per volare con Kurm, ma questo non gli bastava. Sentiva il bisogno di stare un po’ da solo  con Kurm, ma sentiva anche quello di stare il più possibile con Nasuada, di godersi le poche occasioni che aveva di restare da solo con lei.

La soluzione arrivò all’inizio dell’estate, in una giornata straordinariamente calda. Murtagh e Kurm erano andati fuori città ed erano appena tornati, quando un paggio li raggiunse di corsa dicendo che la Regina aveva bisogno di loro subito. Quando entrarono nella sala del trono (visto che sia il portone che il corridoio principale erano abbastanza grandi da permettere anche a Kurm di passare) videro che era giunta una numerosa delegazione di nani, tra cui c’era lo stesso Re Orik. Nasuada, vedendoli arrivare, si alzò andando loro incontro.
«Murtagh, Kurm. Ben arrivati» disse. «Ho bisogno di voi, per una missione di fondamentale importanza per conto di Re Orik.» La Regina non disse loro subito in cosa consisteva la missione perché dovettero sorbirsi le presentazioni a tutti i nobili e i cortigiani dei nani. Se quando era arrivato la prima volta gli umani lo guardavano con diffidenza, i nani ora esprima veno aperta ostilità. Tutti tranne Re Orik e sua moglie Veda, che mantennero un’espressione neutrale. Murtagh li capiva, dopotutto aveva ucciso il loro re, ma sperò ardentemente che non  sorgessero problemi.
«Veniamo al punto. Erek, vieni qui» disse Orik. Avanzò un giovane nano che prima non avevano notato. Murtagh ebbe un balzo al cuore e sentì Kurm ruggire nella sua testa. Sulla spalla del ragazzo era appollaiato un piccolo drago. Era di un bellissimo grigio argentato, che ricordava le giornate di pioggia e la cenere, ma con delle sfumature chiarissime che lo facevano rilucere nella sala. I suoi occhi intelligenti scrutavano attenti tutto ciò che vedeva, ma si riempirono di timore, reverenza e stupore quando videro l’enorme mole rossa di Kurm.
«Come vedete, il primo uovo si è schiuso», riprese Orik. «Il cavaliere si chiama Erek e questa è la dragonessa Gûnet.»
I due li salutarono con rispetto e Murtagh e Kurm risposero al saluto. Kurm, violando la consuetudine, entrò direttamente nella loro mente, onorandoli con un saluto diretto.
«Qualcuno deve portarli all’Accademia da Eragon.» intervenne Nasuada. «Per ovvi motivi abbiamo pensato a voi. Accettate?»
«Sì» risposero entrambi immediatamente. Era l’occasione che entrambi aspettavano.
«Allora non appena Gûnet sarà in grado di trasportare il suo Cavaliere partirete. Oggi Eragon sarà avvertito. Bisogna informare anche la Regina Arya e gli Urgali…»
«Un momento. Prima bisogna risolvere una certa questione.» disse Orik avanzando.
«Tu hai ucciso Rothgar, ed Eragon mi giurò che lo avrebbe vendicato con la tua morte.»
Murtagh trasalì. Con rabbia si chiese perché mai il fratello avesse tralasciato di riferirgli questo “particolare”. Fece per parlare, ma Kurm lo precedette, slanciandosi in avanti a ringhiando a re Orik.
‘Kurm, fermati! Controllati. Sentiamo cos’ha da dire’.
‘Non lascerò che ti faccia uccidere, men che meno da Eragon’.
‘Eragon non lo farà mai, ne sono certo. E Orik ha detto che vuole sistemare la faccenda’. Ringhiando piano Kurm si tirò indietro.
Orik, che si era ritratto spaventato, riprese imperterrito: «Ditegli che lo sciolgo dal giuramento, ma ad una condizione: dovete giurare che mai più attaccherete la nazione dei nani.»
‘Che ne dici?’ chiese Murtagh
‘Non mi piacciono i giuramenti. Legano troppo.’
‘Abbiamo altre possibilità?’
‘No’, rispose Kurm.
«D’accordo, giureremo. Ora però vorrei parlare in privato con la Regina», disse Muragh. Tutti si apprestarono a lasciare la sala, ma il Cavaliere aggiunse: «E poi con Erek e Gûnet». La draghetta si voltò e lo guardò intensamente per un istante, poi si girò e uscì con il suo Cavaliere.

Quando furono rimasti soli, Kurm, conoscendo le intenzioni del Cavaliere, si ritirò lontano da loro e si acciambellò tra due colonne.
Nasuada si sedette sl trono, abbandonando la seria e solenne compostezza che assumeva sempre in pubblico, e Murtagh salì i gradini che lo separavano da lei.
«Che ne pensi?» Le chiese.
«Credo che tu faccia la scelta giusta. Sono contentissima che il primo Cavaliere sia un nano, questo rende effettiva la loro inclusione, e di conseguenza anche quella degli Urgali, nel patto. Spero che arrivi presto un Cavaliere Urgali… E spero che il primo Cavaliere umano sia del Surda, così Orrin ridimensionerà i suoi complessi di inferiorità. Comunque, quanto al giuramento, non potevi far altro, e lo sai. Qui mettiti il cuore in pace.» Nasuada aveva parlato ad occhi chiusi, con il volto finalmente rilassato. Murtagh, guardandola teneramente, pensò a quanto amava quel viso, quell’espressione, quella calma… a quanto amava Nasuada.
«Sì, hai ragione, ma c’è un’altra cosa che volevo chiederti.» La gola gli diventò improvvisamente secca e il cuore cominciò a battere all’impazzata. «Non… non ti chiedo di darmi subito una risposta. Puoi pensarci tutto il tempo che vuoi.» Nasuada spalancò gli occhi e lo guardò.
«Quando tornerò… mi sposerai?»
Murtagh vide le lacrime salirle agli occhi.
«Tu… Tu faresti questo per me? Lo sai ocsa significherebbe, vero? Avresti molte più responsabilità, dovresti rispettare l’etichetta, accettare e sottometterti a tutte le convenzioni sociali… E poi governare è una responsabilità enorme, molto impegnativa. Te la sentiresti? Anche perché…»
«Aspetta,» la interruppe lui, «prima di sentire il parere della Regina voglio ascoltare la donna. Tu, Nasuada, mi sposeresti? Tu mi ami?»
Nasuada deglutì. Lo guardò dritto negli occhi e rispose: «Sì».
«E allora, se davvero lo vuoi, il resto verrà di conseguenza. Io non voglio regnare. Ho dimostrato che il potere non fa per me. Comunque,» aggiunse, vedendo che stava per dire qualcosa, «non rispondere subito. Prenditi tutto il tempo che vuoi per pensarci e poi… beh, fammi sapere.»
«E Kurm?»
«Lui è d’accordo.» Il drago ringhiò in segno di approvazione. Senza aggiungere altro, Murtagh raggiunse Kurm e insieme uscirono, per incontrare a tu per tu i nuovi arrivati.
Nasuada si abbandonò di nuovo sul trono, con un’espressione davvero felice.
 
Per tre mesi attesero che Gûnet fosse abbastanza rande e forte da affrontare il lungo viaggio. Finalmente il giorno della partenza arrivò. Davanti al portone del palazzo reale di Ilirea Nasuada, attorniata da tutta la corte, pronunciò un breve discorso di commiato, poi, con la scusa di salutarli, si avvicinò, come aveva fatto otto mesi prima.
«Allora, ci hai pensato?» chiese Murtagh.
«Sì. Hai ragione, i problemi si possono risolvere. Quindi… sì.»
Murtagh, forse per la prima volta nella sua vita, sorrise radioso. Partì alla volta dell’Accademia con il cuore leggero, non vedendo l’ora di tornare.
 
E così Murtagh riprese i contatti con il fratello, divenendo, insieme a Kurm, il contatto tra l’Accademia e Alagaësia; Murtagh e Nasuada si sposarono e anche il Regno di Alagaësia ebbe una vera e propria casa regnante.
Nonostante i molti problemi, litigi e prove ne uscirono sempre vincitori, vivendo felici per molti anni. Una delle loro gioie più grandi furono i loro figli: Nemurr, che nacque due anni dopo la loro unione; Lyena, una delle più belle ragazze del regno; e infine Briam, molto meno bello ma abilissimo spadaccino. Fu per Murtagh una gioia e uno stupore immenso diventare padre. L’idea lo sconvolgeva: lui, che ne aveva passate così tante, che non aveva mai vissuto una vita normale, che aveva fatto così tante cose orribili, poteva essere un padre come tutti. A volte pensava a Morzan e questo lo rendeva determinato a sforzarsi di essere un bon padre, per dare ai suoi figli quello che lui non aveva mai avuto.

Una sola cosa rattristava Murtagh senza rimedio. Lo sapeva, ne era stato consapevole fin da subito, ma non poteva impedirsi di maledire lo scorrere del tempo. Nasuada invecchiava. Man mano che gli anni passavano, Murtagh si guardava allo specchio e si vedeva sempre uguale, poi guardava lei e vedeva i segni del tempo che avanzavano inesorabilmente. La pelle diventava sempre più rugosa, i capelli si imbiancarono e le ossa cominciarono a dolerle, anche se mantenne sempre il suo portamento altero e l’espressione severa, che si scioglieva solo nell’intimità della famiglia.
I voli che Murtagh era solito far fare a Nasuada in groppa a Kurm, e che la eccitavano così tanto, si diradarono sempre di più fino a scomparire. Murtagh avrebbe tanto desiderato poter condividere con lei la propria immortalità, ma sapeva che, se anche fosse stato possibile, lei non avrebbe mai accettato. Una volta Murtagh le aveva espresso il suo rammarico, ma lei gli aveva detto decisa: «Immortale io? Mai. Alagaësia non ha bisogno di un nuovo Galbatorix».

Un giorno Nasuada, nel bel mezzo di un’udienza con gli ambasciatori del Surda, ebbe un improvviso malore, che la costrinse a letto per tre giorni. Ebbe inizio così la misteriosa malattia che avrebbe tormentato gli ultimi anni della sua vita. Nessuno capì mai quale male la minasse, nemmeno i più abili guaritori elfi che Murtagh aveva convocato da Ellesmera.
La Regina affidò la reggenza del regno al figlio Nemurr e si ritirò dalla vita pubblica, uscendo raramente e passando molto tempo con il marito ed i figli. L’ultima volta che si presentò ad una cerimonia pubblica fu in occasione del matrimonio del figlio con Klide, figlia di Orrin, che era morto tre anni prima, succeduto dal figlio Adia. Dopodiché pochi la videro.
Un giorno, di punto in bianco, Nasuada disse a Murtagh: «Vorrei volare».
«Cosa?» replicò lui, colto alla sprovvista.
«Se Kurm è d’accordo vorrei volare per l’ultima volta. Ti prego». Lo guardò con un’aria di tale supplica, così inusuale per lei, che il Cavaliere contattò immediatamente il Drago, che atterrò pesantemente sul grande terrazzo costruito apposta per lui.
Murtagh la sollevò delicatamente senza fatica, poiché la malattia l’aveva resa magra e smunta, e la posò sulla sella di Kurm. Poi prese un paio di coperte e glieli avvolse attorno per ripararla dal freddo. Dopo che fu salito dietro di lei, Kurm si alzò in volo, salendo sempre di più, sopra al palazzo, sopra ai campi, alle strade e ai villaggi che sorvolavano. Murtagh cercò la mente di Nasuada, che era adagiata tra le sue braccia, e sentì che si stava godendo moltissimo quel volo.
‘Hai freddo?’ le chiese.
‘No, sto bene. Grazie per avermi ascoltato. Pensavo avresti opposto molta più resistenza’.
‘Il tuo caro maritino non riesce mai a dirti di no, non te ne sei accorta?’ disse Kurm, facendo risuonare una risata nelle loro menti.
Attraverso il contatto, Murtagh avvertì chiaramente che Nasuada cercava di nascondergli un pensiero e si insospettì. ‘Dada, cosa stai cercando di nascondermi?’
‘Niente, tesoro’.
‘Non prendermi in giro. Sono dentro la tua testa, sento benissimo che mi stai mentendo’.
‘D’accordo, tanto ormai manca poco. È giunta la mia ora, Murtagh. Lo sento nel cuore e nelle ossa. Ormai ho fatto quello che dovevo. È tempo che vada’.
«No!» urlò Murtagh. Aveva cercato di prepararsi a quel momento, ma vederselo schiaffato davanti così lo sconvolse profondamente. ‘Tu non puoi lasciarmi da solo. Ti prego, Dada’.
‘Non posso farci niente, Murt, lo sia benissimo. Non ti chiedo di non piangere o di non provare dolore, sarebbe stupido. Ti chiedo solo di non lasciarti travolgere, di riuscire a superarlo. So che sarà difficile, ma devi farlo. Per te, per i nostri ragazzi, per il regno e per i Cavalieri. Me lo prometti?’
‘Sì’, rispose Murtagh.
‘Allora addio. Addio, Kurm. Stagli vicino come hai sempre fatto. Ti amo, Murt. Addio’.
Nasuada si abbandonò tra le braccia di Murtagh, che sentì la luce della sua mente spegnersi, la sua presenza svanire dalla mente. Un terribile senso di vuoto lo assalì, seguito da un fortissimo dolore al petto e alla gola.
‘Murt… Lei ha voluto andarsene così, tra le nuvole. La capisco. Una fine da Regina, forse è stata la scelta migliore’.
Senza ascoltarlo Murtagh singhiozzò: ‘Lei non c’è più, Kurm. Lei non c’è più’.




NOTE AUTRICI:
Allora, finalmente abbiamo aggiornato. Potete tirarci i pomodori ù-ù ecco a voi la nostra storia di Murtagh e spero che il capitolo vi piaccia °A° poi boh, non ricordo cosa dovrei dire °A° Ah, sì come aveve capito l'immortalità che ha un cavaliere non è trasmissibile ùù Marla è così, solo perchè sua madre è un elfo! Il capitolo è un po' lungo, ma spero non sia un problema... considerato QUANTO abbiamo fatto aspettare <3 pace&amore

 

  
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