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Autore: Katedixon    08/09/2012    0 recensioni
Dal prologo: 'Il mondo è pieno di pregiudizi. Si fanno pregiudizi sulle popolazioni, sul sesso, sui capelli, sugli occhi, sull'orientamento sessuale. Le persone non sono contente, se non cercano i difetti degli altri.'
La storia di due ragazze, completamente diverse, che si aiutano l'un l'altra.
Rachel, una delle donne più ricche di Londra, incontra Elizabeth, una delle più povere.
La prima è sposata e ha un figlio, la seconda vive in uno scantinato, da sola.
Rachel ha sempre avuto quello che voleva, Elizabeth ha sempre dovuto lottare per un pezzo di pane.
Cosa succede se due mondi così si scontrano e si fondono? Cosa succede se la figlia di Rachel si affeziona a Elizabeth? E cosa succede se il marito di Rachel non si fida di Elizabeth? Chi ha ragione? La bambina, la voce della verità, o il padre, uomo intelligente e laureato?
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Avevo sempre creduto nel vero amore, fin da bambina. Sapevo che da qualche parte esisteva una persona che mi avrebbe fatto perdere la testa, che mi avrebbe fatto dimenticare chi fossi, la persona giusta.
Quale giorno migliore per pensare all'amore di San Valentino? 
No, non avevo assolutamente tempo, però. Non avevo nemmeno una persona con cui festeggiare quel giorno, così, appena mi svegliai ed eseguii il solito rito mattutino -colazione e doccia, più che altro- avevo in mente solo il lavoro che avrei dovuto svolgere quel giorno. Tutte le coppiette uscivano a fare una passeggiata al parco, il 14 febbraio, era lì che mi sarei diretta.
Indossai una maglietta arancione che lasciava scoperto un filo di pancia e le cui maniche erano più corte del dovuto, dato che mi arrivavano ai gomiti. Forse l'avevo lavata nel modo sbagliato. Presi un paio di lunghi pantaloni grigi (avrebbero dovuto essere neri, ma il tessuto era talmente consumato, che aveva perso il suo colore originale) e li misi, poi uscii di casa.
Il piccolo parco del quartiere non distava molto dal mio scantinato, solo di qualche isolato. Ovviamente non era nella zona disabitata del quartiere, anzi, era nella zona più curata. Proprio lì accanto stava la villa dei signori McHarrow. Moglie, marito e bambina di tre anni. Si sentivano tante voci su quella famiglia, molti dicevano che erano i proprietari di Harrods, altri dicevano che erano evasori delle tasse che si nascondevano in periferia e facevano la loro bella vita in quel quartiere. E poi la terza opinione su quella famiglia era che fossero ereditieri che cercavano un po' di pace. Quella, a mio parere, era la storia più credibile.
Una cosa certa era che Rachel McHarrow era rimasta incinta della sua bambina a sedici anni e che Christopher l'aveva sposata solo per quel motivo. Se i due si amassero veramente o meno restava un mistero. 
Ora la bambina aveva tre anni, sua madre venti e suo padre ventuno. All'apparenza sembravano la classica famiglia felice, dove i genitori lavoravano sodo e la bambina cresceva viziata nel lusso.
Ma, in fondo, non erano affari miei, così mi limitai a dare una rapida occhiata al giardino ben curato della villa, prima di superarla. Entrai nel parco, poco distante, e iniziai a raccogliere rifiuti a più non posso. Mi pagavano ogni giorno in base a quanto avevo lavorato, quindi cercavo di raccogliere più cose possibili. Se trovavo qualche gioiello, mi davano denaro extra.
Quel giorno il posto era pieno di cartacce rosse, scatole di cioccolatini, palloncini a forma di cuore ormai bucati. Non avevo trovato niente di valore, a parte una cavigliera che doveva valere sì e no venti sterline in più. Era arrivata l'ora di pranzo, quasi tutte le coppiette se n'erano andate da un pezzo, a parte qualcuna, che cercava di stare appartata dietro gli alberi. Sospirando, mi diressi verso il chioschetto, con le buste di plastica colme di rifiuti caricate sopra le spalle. Mi sedetti in un piccolo tavolino all'ombra e diedi uno sguardo al cielo. Le minacciose nuvole cariche di pioggia del giorno prima erano lontane, ormai. Quella era una giornata fredda, ma soleggiata.
«Elizabeth, giornata faticosa, eh? Cosa ti porto oggi?»
Mi girai appena in tempo per vedere il sorriso del cameriere del chiosco. Ted era un ragazzo alto, moro, con gli occhi verde smeraldo e un sorriso da far girare la testa. Tutte nel quartiere avevano una cotta per lui, ma lui sembrava vedere una sola ragazza: me. Ogni volta che mi vedeva, anche in lontananza, agitava le braccia per farsi notare e mi sorrideva.
Mi aveva chiesto di uscire almeno dieci volte da quando ci eravamo conosciuti, a ottobre, ma io non avevo tempo per gli appuntamenti, avevo il lavoro a cui pensare, dovevo faticare tutto il giorno per guadagnarmi il cibo, quindi la notte preferivo dormire, non uscire con qualche ragazzo.
«Il solito hot-dog, Ted. E una bottiglia d'acqua naturale.»
«Subito.»
Il ragazzo sparì dentro il chiosco, lasciandomi sola con i miei pensieri.
Forse avrei potuto concedergli un appuntamento, solo uno, così avrebbe smesso di insistere. Il problema era che lui era il mio unico amico in quella città, se fossimo usciti insieme, sarebbe restato tutto come prima? Ne dubitavo.
Fui distratta da due bambini che passarono di corsa accanto al mio tavolino, ridendo. Accennai a un sorriso, adoravo i bambini. A casa avevo un sacco di cugini e mi prendevo sempre cura di loro. Ovviamente avevo il mio preferito, tutti hanno un preferito, anche se spesso lo negano per non ferire i sentimenti degli altri.
I due bambini avevano sì e no cinque anni e si erano diretti al piccolo parco giochi. Li vedevo appena, ormai. Riuscii a distinguere solo due figure che si arrampicavano sullo scivolo e scivolavano giù. In compenso sentivo le loro grida divertite fino al chiosco.
«Sai, io ci so fare con i bambini. Ho anche un nipotino. È il figlio di mia sorella e ha tre anni. Un giorno potremmo badare a lui, che ne dici?»
Non mi ero accorta che Ted fosse tornato con l'hot-dog e l'acqua finché non mi propose quell'idea, mettendomi il pranzo sotto il naso. Si era accorto che ero pensierosa? Forse no, magari pensava solo che stessi osservando i bambini.
«Ted...» sospirai, odiavo dover rifiutare i suoi inviti ogni volta, la sua espressione delusa mi distruggeva, sentivo di ferirlo ogni volta. Non potevo, non ancora. «d'accordo, penso che potrei farlo.»
Mi limitai a scrollare le spalle, una volta che lui mi rivolse un sorriso vittorioso. Era riuscito nella sua impresa, in fondo. Ero sicura che non sarebbe stato tanto male passare un pomeriggio con Ted e un bambino.
Tre tavolini più in là, si era seduta una donna che non avrei mai pensato di vedere in un misero chiosco del parco. Mi sembrava più tipa da ristoranti a cinque stelle, che servivano aragosta e caviale.
Con lei c'era una bambina, mora, con gli occhi verdi. Sua figlia. Inclinai un attimo la testa per vedere meglio quello strano quadretto familiare. C'era qualcosa di sbagliato, però, visto che di solito Christopher era sempre con sua moglie e la sua bambina. Sì, viaggiava spesso per lavoro, ma la famiglia non usciva mai se lui era fuori città.
Il ragazzo davanti a me sembrò risvegliarsi da un sonno profondo e andò subito a prendere l'ordinazione di Rachel e Rose, poi sparì nuovamente dentro il chiosco.
Scossi un attimo la testa, per riprendermi. Perché, improvvisamente, mi interessava di quello che faceva la famiglia McHarrow? Dovevo tornare in me, finire il panino e raggiungere l'altra parte del parco per finire il mio lavoro.
Tutta la fame di cinque minuti prima era sparita, però. Mi bastò dare due morsi al mio hot-dog, che ero già sazia. Abbassai lo sguardo sulla pancia, pensando che il suo problema fosse visibile dall'esterno, ma ovviamente sembrava tutto a posto, era piatta come al solito e si alzava e abbassava, a ritmo del respiro costante.
Tolsi il tappo alla bottiglia e mandai giù mezzo litro d'acqua in una sola volta. Mi accorsi solo in quel momento che non avevo bevuto affatto per tutta la mattina e di quanta sete avessi, effettivamente.
Mi alzai dal tavolo, con la bottiglia d'acqua ancora in mano, e andai dritta verso il bancone.
Avevo già la mano in tasca per cercare i soldi del conto, quanto Ted inarcò un sopracciglio con aria scettica. Che cosa avrebbe dovuto significare?
«Offre la casa. Visto che passeremo insieme un pomeriggio, ti pago questo pranzo.»
La sua logica era totalmente insensata, ma ovviamente non avrei avuto possibilità di convincerlo, così lasciai perdere al primo tentativo di ribattere. Gli rivolsi un cenno con la mano libera e mi voltai, pronta a tornare al lavoro.
Appena passai davanti a Rachel e la piccola Rose, notai che stavano mangiando un semplice hamburger con delle patatine fritte. Erano gente normale, certo, avevano il diritto di mangiare hamburger e patatine, ma era la prima volta che le vedevo ingerire qualcosa che non fosse di prima qualità.
 
Camminai per due minuti sulla stradina immersa nel verde degli alberi, prima di arrivare alla mia meta: la parte de parco che abbondava ancora di rifiuti e cartacce.
Mi piegai e raccolsi un giornalino di gossip, aperto sulla pagina dell'oroscopo. Non potevo dire di essere superstiziosa, ma ogni tanto mi piaceva leggere le stupidaggini che dicevano nei giornali.
«Ariete: preparatevi, una persona del tutto inaspettata piomberà nella vostra vita e la stravolgerà. Sarete fortunati anche nel lavoro, ma non nell'amicizia. Un vostro amico vi lascerà per sempre. Che mucchio di fesserie!»
Borbottai, gettando la rivista dentro la busta di plastica, già piena di bucce rosse di cioccolatini. Continuai a lavorare ininterrottamente per due ore, il parco ormai era completamente pulito. Non era stata una giornata fiacca, comunque, avrei sicuramente guadagnato qualcosa in più del solito.
Decisi di meritarmi una pausa, così mi sedetti sulla panchina che avevo accanto e appoggiai le quattro buste di plastica sotto i miei piedi. Presi a giocare con un braccialetto che avevo trovato poco prima ai piedi di un albero. Il parco era deserto ormai, quindi era sicuramente stato dimenticato, potevo benissimo prenderlo e sperare che fosse di valore.
Me lo rigirai tra le mani, finché non scivolò via dalla mia presa e finì poco distante, sul prato. Emisi uno sbuffo e mi alzai, un po' controvoglia, dalla panca, per andare a recuperarlo. Ero a pochi passi, quando vidi un piccolo animale peloso sfrecciare davanti ai miei occhi e prendere il bracciale. Era uno dei tanti scoiattoli che vivevano lì. Non poteva limitarsi a cercare il cibo? 
«Andiamo, molla il bracciale.»
Sussurrai, avvicinandomi con passi lenti e felpati, mentre l'animaletto mi fissava con grandi occhi castani. Ero quasi arrivata a tirarglielo via dai denti, quando sentii l'urlo felice di una bambina, che si avvicinava.
«Mamma, guarda: uno scoiattolo!»
Quello, spaventato, zampettò via, lasciandomi con le ginocchia sull'erba, a mani vuote. Chiusi gli occhi e serrai le labbra, dovevo contenermi, non potevo far uscire tutta la mia frustrazione davanti a una bambina.
«'Sarete fortunati anche nel lavoro.' Stupido oroscopo!»
Mi sollevai e mi girai a prendere le buste, prima che sparissero anche quelle.
«Mamma, lo scoiattolo è scappato.»
La voce delusa della bambina mi rimbombò nella testa per qualche secondo, prima che sua madre parlasse.
«Dev'essere andato a giocare con i suoi amici.»
"Sì, e a far vedere loro il bottino che una stupida ragazza bionda si è lasciata scappare.'
Odiavo fare certi pensieri, ma... un attimo, io quella voce la conoscevo. Ero ormai accanto ai sacchi, ma rivolsi comunque lo sguardo verso mamma e figlia. Come sospettavo. Quello che di certo non sospettavo era che Rachel McHarrow si dirigesse verso di me con un sorriso di scuse.
«Mi dispiace, Rose non si rende conto che urlando, fa scappare gli animali. È un piccolo vizio che ha da sempre. Il bracciale era tuo? Posso ripagartelo.»
Troppe informazioni nella stessa frase. Rachel McHarrow si stava scusando con me, anzi, stava scusando la figlia. Si era anche offerta di pagarmi il bracciale. Non potevo accettare, quel bracciale non era mio, in fin dei conti.
«No, signora McHarrow, non era mio, non si preoccupi.»
«Come fai a conoscermi?»
«Chi non La conosce, in città?»
Lei, come risposta, fece un semplice sorriso imbarazzato. Ci voltammo entrambe, quando sentimmo il pianto di una bambina. Rose aveva cercato di arrampicarsi su un albero, probailmente per raggiungere un altro scoiattolo, e ora stava ai piedi di quello stesso albero, con il ginocchio ricoperto di sangue.
Ci precipitammo da lei di corsa. La signora McHarrow era visibilmente in panico, forse non aveva idea di come comportarsi in certi casi.
«Ha delle forbici?»
«Come?»
«Ha delle forbici?»
Ripetei, spazientita. Capivo che fosse preoccupata per sua figlia, ma non era mica sorda. Prese freneticamente a frugare dentro la sua borsa e ne tirò fuori una forbicina per le unghie. La afferrai e tagliai una striscia di stoffa della mia vecchia maglietta, lasciando che la mia pancia fosse ancora più scoperta. Restituii le forbicine alla proprietaria e mi piegai davanti alla bambina, per legarle il pezzo di stoffa intorno al ginocchio insanguinato.
«Ecco, vedrai che tra qualche giorno non avrai più niente.»
Le sorrisi con fare incoraggiante e mi alzai, mentre la piccola Rose guardava il pezzo della maglietta con un'aria indecifrabile.
«Ma se hai rotto la tua maglietta, ora con cosa ti vesti? I poveri hanno solo una maglietta. Tu sei povera, vero? Pulisci sempre le strade.»
Accennai a un sorriso ironico, guardando con la coda dell'occhio la madre della bambina.
«Rosie, è maleducato dire certe cose!»
«Papà dice che non è maleducato dire la verità.»
«Non è la verità, Elizabeth ha altre magliette a casa, vero?»
Io annuii, un po' frastornata. Sapeva il mio nome? Da quando? Era piuttosto strano, non pensavo che qualcuno conoscesse il mio nome, a parte Ted.
«Ma lei non ha una vera casa, l'ha detto papà.»
«Papà non dice sempre la verità, tesoro. Spesso fa le cose più grandi di quello che sono.»
Lo sguardo di Rose divenne perplesso. Si alzò e, senza dire niente, iniziò a percorrere la stradina che portava all'uscita del parco.
«Mi dispiace, ma credo di aver trovato il modo di scusarmi. Ora seguo la bambina, se no chissà dove finisce. Ciao, e scusa ancora.»
Così anche Rachel lasciò il parco.
Era stata una giornata strana, davvero molto strana. Afferrai le buste e, appena abbassai lo sguardo, notai uno scintillio a terra. Era un bracciale d'oro che non avevo notato prima. Anzi, che non c'era prima.
Mi piegai a prenderlo, con le sopracciglia aggrottate, poi guardai nella direzione in cui Rachel e Rose erano sparite, dietro una curva della stradina di ciottoli.
Era quello il suo modo di scusarsi? Non sapevo se accettare il gioiello o restituirlo alla signora McHarrow. Ci avrei pensato su quella sera e la mattina dopo avrei preso una decisione.
Uscii dal parco con passo svelto e mi diressi alla ditta di pulizie che mi aveva assunto. Ovviamente non avevo un contratto, l'unica cosa su cui contavo era la parola della proprietaria della ditta: «Ti assumo, ma nessuno deve sapere che lavori per noi. Cosa ne sarebbe della nostra reputazione? Ora, acqua in bocca e sparisci.»
Era molto più di quanto avevo sperato, comunque. Mi fermai davanti alla porta della sede e aspettai che qualcuno mi aprisse. Quel pomeriggio era di servizio Margaret Wesley, una donna tozza e goffa. Mi fece cenno di entrare e si chiuse la porta alle spalle.
Aprì tutti e quattro i sacchi, ne esaminò il contenuto e mi diede centocinquanta sterline in contanti. Non era male, avrei potuto riposare per due o tre giorni, almeno.
Stavo per girarmi e tornare a casa, quando Margaret mi fermò per un braccio e indicò il bracciale che tenevo ancora stretto nella mano sinistra.
«Quante volte te lo dobbiamo dire?! Non puoi tenere oggetti trovati a lavoro. Da' quà!»
«Non l'ho trovato, me l'hanno regalato!»
Era vero, più o meno.
Quella mi rivolse uno sguardo sprezzante, mi tolse il bracciale di mano, sostituendolo con altre cento sterline e mi buttò fuori. 
Storsi il naso, odiavo l'odore di quella ditta. Era tutt'altro che profumata, pur essendo una ditta di pulizie. Ero arrabbiata, non aveva il diritto di prendermi il bracciale e pagarmelo a un prezzo così basso, ma non mi aveva dato nemmeno occasione di contestare.
Sferrai un calcio a un sassolino che stava per terra e tornai a casa, delusa e amareggiata. Solo quando fui davanti alle scale mi venne in mente l'oroscopo: 'una persona inaspettata piomberà nella vostra vita.'
Scossi la testa, era solo una coincidenza, gli oroscopi erano soltanto spazzatura. Spinsi la cigolante porta di casa e, come prima cosa, entrai dentro la doccia, per rilassarmi dopo una giornata così pesante.

Angolo della scrittrice:
Ecco il primo, vero capitolo. Devo dire che sono piuttosto soddisfatta di come è venuto, non pensavo di riuscire a fare un capitolo così!
Comunque, anticipazioni del prossimo capitolo:
Elizabeth cercherà di riprendersi il braccialetto, incontrerà ancora Rachel e poi ci sarà "l'appuntamento" con Ted.
Grazie a chi segue la storia, alla prossima! :)
  
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