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Autore: SasuToshiLav    09/09/2012    3 recensioni
Salveee!! Questa è la mia prima FF, quindi spero che la apprezzerete e che avrete la pazienza di leggerla fino alla fine :) grazie :D
"Finito di pronunciare l’ultima parola di autocompiacimento, come previsto, crollò nuovamente in un sonno profondo. Sul volto stupito del suo salvatore apparve un sorriso malinconico.
-Mpf… non cambierai mai, eh Gil?-. Adesso la vita del prussiano era nelle sue mani, per questo avrebbe fatto tutto quello che era in suo potere per impedirgli di morire."
Genere: Guerra, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Prussia/Gilbert Beilschmidt, Ungheria/Elizabeta Héderváry
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2:

Il ragazzo albino si svegliò di soprassalto con la fronte grondante di sudore e l’angoscia stampata in volto. Non sapeva per quanto avesse dormito, ma per tutto quel lasso di tempo gli incubi non avevano fatto altro che tormentarlo; aveva visto i suoi compagni d’armi cadere uno dopo l’altro, abbattuti dal nemico, i campi della sua terra bruciare a causa del fuoco provocato dall’artiglieria dei suoi rivali, sangue, cadaveri, desolazione, distruzione… tutto questo era la guerra, e non una qualsiasi, bensì la terza guerra mondiale, un conflitto che coinvolgeva indiscriminatamente tutte le nazioni e dove solo il più forte avrebbe trionfato. Ancora un po’ affannato, Gilbert si asciugò il sudore e si rese conto che il suo braccio destro era meticolosamente fasciato. Si accorse di essere sdraiato su un letto basso e non molto largo, con appena un lenzuolo e qualche panno trasandato a coprirlo. Cercando di farsi forza con entrambe le braccia, il prussiano sollevò lentamente il busto mettendosi seduto e facendo attenzione alle ferite; adesso non provava più quel dolore lancinante che l’aveva tormentato al momento del suo primo risveglio… già, in quel momento il ragazzo si ricordò della persona che era stata al suo fianco e che l’aveva medicato, una persona che conosceva piuttosto bene. Si guardò intorno; la stanza era completamente deserta. Lei… che fine aveva fatto? Possibile che l’avesse abbandonato lì dopo essersi assicurata che fosse fuori pericolo?. Gli occhi cremisi dell’albino continuarono a perlustrare quel luogo; doveva essere una specie di piccola baita. Oltre a quella in cui lui si trovava c’era solo un’altra stanza, probabilmente il bagno, e la porta di ingresso era situata di fronte al letto nel quale giaceva. Ad un tratto sentì i brividi percorrergli la schiena: c’era un freddo glaciale. Mentre Gilbert era immerso nei suoi pensieri e nella sua superficiale esplorazione, la porta che gli stava davanti si aprì ed Elizaveta entrò sorreggendo ramoscelli secchi e qualche provvista con la quale avrebbero potuto sfamarsi. Quando la ragazza si accorse che il prussiano se ne stava seduto sul letto a guardarla con aria leggermente stupita, ma comunque seria, lo ammonì:
-Ma che diavolo ti salta in mente di metterti seduto??! E se ti si riaprono le ferite??-
-Sto bene, per uno come me questo è niente-. Disse lui in tono pacato.
In preda all’irritazione generata da quelle parole, la ragazza lasciò cadere a terra tutto quello che teneva in mano, afferrò una piccola padella che si trovava sul tavolino a lei vicino, si avvicinò velocemente all’albino e gli diede una botta in testa. Un forte “STOOOOONK!!” risuonò per la stanza.
-Ma che diavolo fai?!?! Cretina, vuoi forse ammazzarmi??- Sbraitò Gilbert portandosi le mani alla testa dolorante.
-Ehi, vedi di abbassare la cresta se non vuoi che ti arrivi un’altra spadellata! Ti devo ricordare che se non fosse stato per questa “cretina” a quest’ora saresti sepolto a marcire sotto un metro di neve?!- Gridò lei furiosa.
Quelle parole furono come una doccia fredda per il prussiano, che dimenticandosi completamente del dolore per il colpo appena infertogli, si rifece improvvisamente serio. L’ungherese se ne accorse e pensando di avergli fatto mele seriamente, nonostante fosse stata molto attenta a non colpirgli una ferita, gli chiese preoccupata:
-E adesso che ti prende? T-ti fa forse così male?-
L’albino, che aveva distolto lo sguardo dalla ragazza per guardare un punto indefinito, non rispose. Ci fu un istante di silenzio che ad Elizaveta parve lungo e pesante, poi, senza guardare altrove, Gilbert ignorò la domanda della sua salvatrice chiedendole, quasi con un tono di rimprovero:
-Perché l’hai fatto?-.
-Be’… mi hai fatto arrabbiare, ecco perché-. Rispose lei iniziando a sentirsi un po’ in colpa.
-Non mi riferivo a questo, intendevo dire: perché mi hai salvato?- Precisò il ragazzo guardandola con i suoi occhi cremisi.
L’ungherese rimase sorpresa da quella domanda inaspettata, così, disse sospirando:
-Che razza di domande mi fai? Mi sembra abbastanza ovvio… dopotutto ci conosciamo da un bel po’ di tempo-.
-Noi siamo nemici-. Enunciò il prussiano senza giri di parole.
L’espressione di Elizaveta si fece improvvisamente seria, tanto che Gilbert ne rimase stupito.
-Mi dispiace, ma quando mi ritrovo davanti un uomo in fin di vita, pieno di ferite sanguinanti su un campo di battaglia, non mi sfiora neanche l’idea di chiedermi se sia un mio alleato o meno. In quello stato amici o nemici che differenza fa? Alla fine siamo tutti esseri umani… questo è ciò che ho pensato quando ti ho incontrato, ed è per questo che ti ho aiutato-.
L’albino rimase per un momento senza parole. In guerra quel discorso perdeva ogni significato, ma lei sembrava ancora credere profondamente nel suo valore. La sua determinazione l’aveva sempre contraddistinta, fin da quando erano bambini… un’altra cosa che non aveva perduto oltre al brutto vizio di prendere a spadellate chiunque le facesse un torto. La bocca del ragazzo accennò un sorriso, aveva deciso di non contraddirla.
-Dove ci troviamo?- Domandò cambiando discorso.
-In una piccola baita disabitata a una decina di chilometri dal campo di battaglia… al confine con la Russia-. Spiegò l’ungherese riacquistando la sua espressione abituale.
-E come cavolo hai fatto a trasportarmi fino a qui, per dieci chilometri?-. Chiese lui attonito.
Elizaveta sorrise beffardamente e, dandosi dei leggeri colpetti sul petto col pugno destro, si vantò:
-Ahahah, ma come? Non ti ho già detto una volta che i miei pettorali sono molto possenti?-.
Gilbert storse il naso, come fa chi si accorge chiaramente di essere stato preso in giro.  La ragazza continuò a ridere ancora un po’, in particolare dopo aver visto l’espressione del suo interlocutore, poi sorridendo spiegò:
-Dai, a parte gli scherzi, c’è il mio cavallo qui fuori, è grazie a lui se sono riuscita a portarti fin qui-.
L’albino rimase in silenzio ad osservarla per un istante, mentre lei aveva iniziato a raccogliere ciò che prima aveva volutamente lasciato cadere al suolo. Si accorse che indossava indumenti maschili, quelli caratteristici dei soldati austro-ungarici. Gli tornò alla mente il ricordo di quando erano bambini e lei si vestiva sempre da ragazzo, impugnando uno spadino e gridando al mondo che, presto o tardi, avrebbe dato una bella lezione quell’idiota di Turchia. Di diverso da allora aveva solo i capelli: tempo fa erano molto più corti e tenuti costantemente legati in una coda di cavallo, ora invece erano molto lunghi e sciolti. Ad ogni piccolo movimento fluttuavano come sospinti da una lieve brezza. Forse per la prima volta, il prussiano si accorse dell’effettiva bellezza della ragazza che era a pochi metri da lui, una bellezza che non veniva intaccata né dagli abiti maschili, né dalle armi…. Una bellezza non solo fisica, ma anche d’animo. Il ragazzo provò a pensare a quando aveva iniziato a considerarla come una vera e propria donna, a quando, per la prima volta, si era sentito strano guardandola, a quando aveva iniziato a desiderare di osservarla, anche solo da lontano. Probabilmente l’inizio di tutto coincideva col periodo in cui l’ungherese si era trasferita nell’enorme reggia dell’austriaco che lui aveva sempre odiato e al quale, ne era sicuro, di lei non importava niente. Fu in quello stesso periodo che lei smise di vestirsi come un soldato e di dichiarare guerra a chiunque, il periodo nel quale loro due iniziarono a vedersi sempre più di rado. Un filo di tristezza misto a malinconia velò lo sguardo del giovane.
-Il tuo caro alleato ti spedisce in guerra facendoti combattere come un soldato?- Domandò infine con tono sprezzante.
Elizaveta, che stava ancora sistemando i vari oggetti, si voltò a guardarlo. Sembrava delusa dalla provocazione che le era appena stata rivolta, ma si sforzò di mantenere un tono calmo.
-Roderich non c’entra nulla. Noi siamo alleati, è vero, ma questo non significa che io sia ai suoi ordini. Come sai ho abbandonato molto tempo fa l’idea di comportarmi come un ragazzo e ho rinunciato ai miei propositi di guerra per vivere come una comune ragazza. Ma ora la situazione è molto diversa, siamo nel bel mezzo della terza guerra mondiale e io non posso starmene con le mani in mano. Se ho deciso di impugnare ancora una volta delle armi è perché voglio difendere il mio paese a tutti i costi, nessuno mi ha obbligata a prendere questa decisione, come nessuno riuscirà mai a farmi cambiare idea-. Per un attimo all’albino parve quasi di essere un soldato che viene ammonito dal suo comandante e si sentì un idiota per averle detto quella cattiveria, sapendo perfettamente che l’avrebbe toccata nel vivo. In fondo, lei era sempre stata innamorata di quel damerino austriaco e lui lo sapeva bene. In questa guerra erano alleati, mentre lui, che era un prussiano, si era schierato di buon grado dalla parte di suo fratello Ludwig insieme a parte dell’Europa nord-orientale…
D’un tratto, il pensiero di suo fratello minore fece raggelare il sangue nelle vene di Gilbert, sul cui volto apparve un espressione terrorizzata.
-Che ti prende all’improvviso? Ti senti male? Ehi, Gilbert!!!- Esclamò preoccupata l’ungherese, avvicinandosi tempestivamente a lui e mettendogli una mano sulla spalla sinistra.
L’albino dagli occhi rossi, che aveva iniziato a sudare copiosamente, si voltò lentamente verso di lei e sussurrò con voce tremante:
-M-mio fratello…-.
La ragazza lo guardò con aria interrogativa e al tempo stesso pensierosa. Lui continuò alzando il tono di voce:
-Mio fratello… era al mio fianco durante la battaglia contro i polacchi…-.
L’espressione sul volto di Elizaveta cambiò radicalmente. Gilbert se ne accorse immediatamente e, in preda alla preoccupazione ed alla disperazione, afferrò bruscamente il colletto della camicia verde scuro di colei che gli stava accanto, la quale non oppose alcuna resistenza. Un pensiero più che negativo si era ormai impossessato della sua mente quando le gridò strattonandola:
-Tu lo sai… dov’è??! Dimmi dove diavolo è mio fratello!! Parla!!-.
L’ungherese distolse lo sguardo, fattosi triste e malinconico. Il ragazzo le aveva rivolto l’unica domanda alla quale lei non avrebbe mai e poi mai voluto rispondere. Cercò in qualche modo di trovare le parole più adatte, ma il solo loro pensiero faceva male… era preoccupata per come avrebbe potuto reagire il prussiano, ma l’unica cosa che poteva fare ora era raccontargli la verità.
-Tuo fratello… è deceduto. E’ stato colpito da diversi proiettili e quando sono arrivata per lui non c’era più niente da fare, il suo corpo giaceva di fianco al t…- La ragazza fu interrotta da un violento schiaffo che la colpì dritta sulla guancia sinistra e che la fece cadere a terra.
-Dannata!!! Che cazzo stai dicendo?! Stai mentendo!!! Mio fratello non può essere morto, hai capito!??!- Urlò Gilbert in preda alla disperazione. Lo sapeva, sapeva perfettamente che ciò che lei gli aveva appena detto era la verità, ma non voleva accettarlo. La brunetta non sapeva cosa dire, qualsiasi parola sarebbe risultata inopportuna e fuori luogo. Si rialzò in piedi toccandosi la guancia dolorante, e con le lacrime agli occhi gli disse con una gentilezza che pareva di un altro mondo:
-Lui… ti voleva davvero bene… ti ha protetto fino all’ultimo facendoti scudo col suo corpo. Il suo animo è rimasto nobile fino alla fine-.
Dopo questa breve dichiarazione, tutti i sentimenti che si annidavano nel cuore dell’albino presero forma trasformandosi in calde lacrime, che iniziarono a rigargli copiose il viso sul quale il ragazzo portò una mano per celarle, almeno in parte. Elizaveta fu scossa da un senso di pietà infinito. I due si conoscevano da tanti anni, eppure lei non l’aveva mai visto versare una sola lacrima. A dire il vero, non le era neanche mai capitato di vederlo triste, o sconsolato, o afflitto… di solito sul suo volto era stampato quel sorrisetto arrogante che accompagnava le sue esternazioni prive di modestia. Questo l’aveva portata a pensare che lui fosse come una possente muraglia; dura da scalfire ed impossibile da abbattere, ma si era sbagliata, perché adesso poteva vedere che quella muraglia all’apparenza indistruttibile era crollata in mille pezzi. La pietà che per un attimo si era impossessata di lei si trasformò in tenerezza. Senza neanche pensarci si avvicinò al ragazzo, prese delicatamente la sua testa fra le mani e se la portò al petto, stringendola in un abbraccio pieno di affetto. Gilbert cercò di desistere, allontanandola da sé, ma poi finì per abbandonarsi a quell’abbraccio, come fa un bambino quando cerca protezione nel corpo della madre. Mentre si stringevano l’un l’altra, l’ungherese sentiva cadere sulle sue mani le calde e pesanti lacrime dell’albino e pensò che per nessun motivo avrebbe mai permesso che lui soffrisse ancora.
-Non ti lascerò… Gil-. Gli sussurrò piano, premendo delicatamente la sua testa conto quella di lui.


Le note di Sasu~♬
Salve x3 Grazie per aver letto anche il secondo capitolo della mia fic!;D adesso le cose iniziano a farsi più interessanti… (o almeno dovrebbero xD). Come sempre recensioni e commenti di ogni tipo sono ben accetti, quindi non fatevi scrupoli! Bene, per il momento è tutto, passo e chiudo xD Al prossimo capitolo (spero…)! Byeee~
Sasu~
 


 
   
 
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