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Autore: jas_    10/09/2012    20 recensioni
«Allora, mi vuoi dire o no come mai ci hai messo così tanto a prendere una baguette? Nessuna conoscenza?» mi domandò Carmela, appoggiando le mani sui fianchi.
Alzai gli occhi al cielo, «no» brontolai.
Rimanemmo in silenzio alcuni secondi, «anzi, adesso che ci penso sì» mi corressi. «Non è che sia una conoscenza - precisai - diciamo che ho scoperto che la ragazza che lavora lì è del South Carolina.»
Carmela batté le mani entusiasta, risi lievemente chiedendomi se avesse davvero cinquant’anni quella donna perché a volte ne mostrava venti per come si comportava.
Si sedette nel posto accanto al mio scrutandomi seria, «e dimmi, è carina?»
Scoppiai a ridere piegandomi leggermente in avanti, «ma che c’entra! Non la conosco e non sono interessato!» esclamai, «però sì.»
«E cos’aspetti ad approfondire la conoscenza?»
La guardai sottecchi aspettando che scoppiasse a ridere da un momento all’altro o che mi dicesse “Harry sto scherzando!”, invece era estremamente seria.
«Tra dieci giorni me ne vado» constatai.
«E quindi? Dieci giorni sono più che sufficienti per innamorarsi!»
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Harry e Lennon'
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Giorno 2
 

23 Dicembre

Lennon

 
Nonostante quello fosse il mio primo giorno di vacanza, alle nove di mattina avevo già fatto colazione, la doccia, contato i miei risparmi ed ero pronta per spendere – a malincuore – ciò che avevo messo via nell’ultimo anno per i regali di Natale.
Mancavano solo due giorni al 25 Dicembre e non avevo la minima idea di cosa comprare né a mio fratello, né ai miei, né a mia nonna che viveva con noi e nemmeno a Jacqueline, la mia migliore amica.
Avevo a disposizione 150 euro, e mi sarebbero dovuti bastare, e possibilmente anche avanzare.
Misi un paio di leggings pesanti, una canottiera e un maglione bianco un po’ consumato per tutte le volte che lo avevo indossato ma che continuavo ad amare.
«Mamma dove sono le mie scarpe?» quasi gridai, infuriata, non trovandole all’entrata dove le lasciavo sempre.
«Tesoro le ho buttate, erano tutte rotte!»
Andai in cucina a passo spedito con i nervi a fior di pelle, «tu cosa?!» domandai con la voce più alta di un’ottava. «Chi ti ha detto di buttarle! Erano le mie preferite e non erano rotte, erano caldissime e comodissime!»
Aprii l’anta dell’armadio in cui c’era il sacchetto della spazzatura e cominciai a frugarci dentro trepidamente come si vede fare da alcuni barboni per strada.
«Non sono lì, stamattina è passato il camion dei rifiuti» spiegò tranquilla mia madre, «esci a fare compere oggi, no? Prenditene un altro paio, magari qualcosa che ti tenga caldo anche d’inverno.»
«Mamma ce le ho le scarpe pesanti!» strillai in preda quasi all’isteria, «quelle babbucce da eschimese che papà mi ha preso in una svendita l’anno scorso ma io le o-d-i-o» scandii per bene l’ultima parola.
Mia madre sembrava la calma fatta a persona, continuava a sorseggiare tranquilla il suo caffè bollente mentre sfogliava lentamente il giornale. E più lei era tranquilla più la mia rabbia saliva, perché non capiva di aver fatto lo sbaglio più grosso della sua vita buttando via quelle scarpe che dovevo ammettere erano devastate ma che allo stesso tempo erano le più comode che avessi.
«Metti quelle per oggi, poi ti compri quello che vuoi» spiegò mia madre, prendendo il portafoglio dalla borsa e dandomi cinquanta euro. «Tieni, e voglio lo scontrino con il resto.»
Alzai gli occhi al cielo prendendo i soldi, il resto non l’avrebbe più visto come al solito.
Mi misi il cappello di lana e presi la borsa, andando poi ad aprire la scarpiera alla ricerca di quegli Ugg orrendi color diarrea che mio padre aveva avuto la fantasia di comprarmi. Non erano male, erano comodi e caldi ma mi sentivo un’eschimese con addosso quelle specie di racchette da neve ai piedi, per non parlare del colore a dir poco raccapricciante.
Uscii di casa ancora più depressa di prima, non solo dovevo andare a spendere soldi – cosa che odiavo, quando non lo facevo per me stessa – ma in più dovevo andare in giro vestita come un pagliaccio.
Non appena aprii il portone di casa mi trovai davanti una chioma riccia a me famigliare.
«Harry?» domandai incredula.
Il ragazzo alzò la testa e mi sorrise, «ciao» mi salutò.
«Non dirmi che non sei riuscito a tornare a casa e sei rimasto qua tutta la notte» scherzai.
Lui rise, «la strada l’ho trovata senza difficoltà, stamattina mi stavo annoiando e sono passato da queste parti...»
Scossi la testa divertita, «potevi anche farti vivo, il mio numero ce l’hai.»
Harry alzò le spalle cominciando a camminare al mio fianco, «non volevo disturbare, e poi sono appena arrivato. Se non fossi uscita ti avrei chiamata, prima o poi.»
«E se ero al lavoro?»
«Beh...»
Socchiusi leggermente gli occhi, «mi stai stalkerando per caso?»
Harry scoppiò a ridere, «non mi sembri infastidita dall’avermi intorno quindi direi di no.»
Sospirai, stavo per dire qualcosa ma poi rimasi zitta, non sapevo che rispondere perché aveva dannatamente ragione.
Harry era così insistente, sfacciato e non si faceva problemi per nulla, e a me piaceva. Insomma, non che mi piacesse lui, mi piaceva averlo intorno perché era anche divertente e... Sì, anche carino, ma quello era solo un bonus. Lo conoscevo da meno di ventiquattr’ore ma sentivo che era una persona buona, di quelle con cui non puoi fare a meno di divertirti. Inoltre nel tragitto dalla panetteria a casa di ieri sera si era dimostrato un buon ascoltatore, non mi parlava sopra ma non si limitava nemmeno ad annuire disinteressato durante i miei monologhi. Stava a sentire ciò che avevo da dire e sembrava non dargli nemmeno fastidio avere a fianco una logorroica del mio calibro. Anzi, ero certa che non gli recasse disturbo, altrimenti perché presentarsi di nuovo alla porta di casa mia?
«Comunque quello di ieri era il mio ultimo giorno di lavoro, ora sono ufficialmente in vacanza» annunciai.
«Allora ho avuto un sesto senso nel venire qui» scherzò Harry.
Risi, «cos’hai intenzione di fare oggi?» gli domandai poi.
Lui si strinse nelle spalle, «non so, quello che fai tu.»
«Io devo fare i regali di Natale, gironzolerò tutto il giorno per i negozi, non so quanto ti possa piacere.»
Harry si aprì in un sorriso che gli andava da un orecchio all’altro, «adoro fare compere!» esclamò.
Lo guardai corrucciata, «sei gay per caso?»
Lui scoppiò a ridere, «certo che no! Però non mi dispiace girare per i negozi, meglio che rimanermene a casa.»
Alzai le spalle, «okay, ho proprio bisogno di qualcuno che mi regga le borse.»
 

Harry

 
Erano ore che gironzolavamo per tutte le vie più strette e meno conosciute di Parigi, ed ero piacevolmente sorpreso da quanti negozi anche interessanti ci fossero in giro.
Lennon aveva quasi finito di fare i regali, mancavano soltanto suo padre e la sua migliore amica. E le scarpe per lei, dato che era tutta la mattina che si lamentava di quegli Ugg che portava i piedi che secondo me non erano poi così tanto male. Il colore non era dei migliori, dovevo ammetterlo, ma alla fine non mi dispiacevamo, anzi, le donavano in un certo senso ma non mi ero azzardato a dirle niente perché sapevo che mi avrebbe attaccato un cappio al collo se avessi aperto bocca.
«Tu li hai già fatti i regali di Natale?» mi domandò ad un certo punto Lennon, mentre osservava attentamente i capi esposti nella vetrina di un negozio.
Scossi la testa, «volevo prendere qualcosa a Carmela, la domestica, e poi per mia mamma e mia sorella pensavo di comperare qualcosa in aeroporto, o direttamente a Londra quando torno. Non so.»
Lei rimase in silenzio un attimo, come se stesse cercando di dosare le parole.
«E tuo papà?»
«Ha già tutto quello che gli serve» borbottai.
Mio padre a Natale si limitava a caricarmi più del solito la carta di credito, e non c’era cosa che potesse andarmi meglio. L’ultima volta che gli avevo fatto un regalo io, ricordo che avevo otto o nove anni, e avevo messo da parte i miei risparmi appositamente per prendergli un modellino di una Vespa di cui sapevo che faceva la collezione. La mattina di Natale quando mi svegliai lui non c’era, aveva avuto un imprevisto al lavoro ed era dovuto correre perché rischiava di perdere un cliente grosso delle Hawaii. Lì non era ancora Natale. Purtroppo lavorare per un’agenzia di investimenti che ha contatti con ogni parte del mondo significava essere recapitabile ventiquattro ore su ventiquattro. Sette giorni su sette.
Ricordo che passai tutto il giorno sul divano a guardare la tv, lui arrivò a casa la sera tardi e quando feci per dargli il mio regalo non mi calcolò quasi dicendo che era stanco e si chiuse in camera. Da allora non gli comprai più niente, più per la rabbia che per altro, ma credo che mio padre non ci fece mai caso. Aveva ragione mia madre, per lui c’era soltanto il lavoro, lavoro, lavoro e ancora lavoro.
Lennon sospirò, riprendendo a camminare, «secondo me dovresti prendergli qualcosa, anche solo un pensierino.»
«Non so, prima è meglio prendere gli altri di regali» cercai di sviare.
Lei annuì arrestandosi di colpo davanti ad un negozio di scarpe, «oddio la Terra Promessa» disse con aria quasi sognante prendendomi per un braccio e trascinandomi dentro.
Comprò lo stesso modello che sua madre le aveva buttato via quella mattina, soltanto rosso.
«Un colore normale te no, eh?» la presi in giro, mentre trotterellava allegra con le nuove scarpe ai piedi e gli Ugg nel sacchetto.
Lennon abbassò lo sguardo, «ma hai visto le scarpe che hai su te, almeno?» mi prese in giro.
«Ehi! Sono Clarks!» la ripresi.
«Fanno schifo lo stesso, quasi peggio dei miei Ugg.»
Alzai gli occhi al cielo lasciando perdere il discorso, se c’era una cosa che avevo capito di Lennon in quella mattinata trascorsa insieme era che doveva sempre avere l’ultima parola. Sempre.
«Allora, cosa mi consigli di prendere a Carmela?» domandai.
Lennon ci pensò su un attimo, «non so, dimmi qualcosa su di lei. Che tipo è?»
Rimasi in silenzio alcuni secondi prima di rispondere, «non ne ho idea. E’ la domestica di mio papà, viene dal Messico e quando i miei stavano ancora insieme mi faceva da babysitter.»
In effetti quelle erano le uniche cose che sapevo su Carmela, oltre al fatto che fosse sposata. Non sapevo se avesse figli, o addirittura se fosse nonna, se i suoi genitori erano lì con lei, oppure in Messico, oppure se erano morti. Niente. La conoscevo da sempre, e non sapevo niente della sua vita.
Lennon scosse la testa, «sei un danno Harry. Potresti prenderle un gioiello, alle donne piacciono sempre.»
Proprio in quel momento si arrestò davanti ad un negozietto di bigiotteria un po’ etnica, «se è del Messico queste cose dovrebbero piacerle» continuò, indicando la vetrina.
«Mi sa un po’ di… Sciatto, questo negozio» osservai.
Lennon strabuzzò gli occhi, «senti signorino, qua non tutti hanno i soldi che escono da non ti dico dove, e per fare un bel regalo non c’è bisogno di spendere per forza un patrimonio. Secondo me le piaceranno, anzi, qua potresti trovare qualcosa di carino anche per tua mamma e tua sorella.»
Storsi la bocca, per Carmela sì, anche mia mamma forse, ma mia sorella... Gemma aveva dei gusti strani, diciamo fin troppo raffinati, e l’unico modo per farle apprezzare quelle cose sarebbe stato dirle che era la nuova collezione di Dolce&Gabbana o qualcosa del genere, dato che era sempre aggiornata sulle tendenze e le novità del campo della moda, però, sarebbe stato difficile dargliela a bere.
Passammo una buona mezz’ora in quel negozio che nonostante le sue dimensioni ridotte avevamo scoperto contenere più roba di un centro commerciale. Alla fine trovai un paio di orecchini pendenti per Carmela e una collana un po’ insolita per mia madre. Ero poco convinto riguardo all’ultimo acquisto ma Lennon aveva insistito così tanto che alla fine mi ero fatto convincere. Se a mia madre non fosse piaciuto, avrei saputo a chi dare la colpa.
«Okay» sospirò Lennon, non appena tornammo in strada, «mancano tua sorella e tuo padre.»
«Secondo me questo è il posto sbagliato per prendere loro qualcosa» osai dire, «Gemma è una tipa un po’ difficile, e molto viziata» conclusi.
«Quasi come te?» scherzò Lennon.
Scossi la testa, «peggio.»
«Che ne dici se andiamo a La Fayette? Là troveremo qualcosa di costoso di sicuro.»
Non avevo idea di che cosa fosse quel posto, ma per quel che conoscevo Parigi non potevo che fidarmi ciecamente di Lennon, e quando mi ritrovai davanti ad un edificio pieno dei negozi delle marche più conosciute, capii di aver fatto bene ad affidarmi a lei.
Mi aveva portato in una sottospecie di Harrods francese a quattro piani se non di più, al primo piano c’erano i profumi, al secondo gli accessori, al terzo i vestiti e così via. All’interno dell’edificio sorgeva un albero di Natale gigante la cui punta arrivava al soffitto, parecchi metri sopra di noi.
«A tuo padre cosa prenderesti?» mi domandò, cominciando a girovagare.
«Non ne ho idea, che ne dici di cominciare da mia sorella? So che voleva un ciondolo di una marca strana, Tiffany mi pare.»
Gli occhi di Lennon si illuminarono, «so io dov’è» disse prendendomi per un braccio e trascinandomi verso le scale.
«Ma non potevamo prendere l’ascensore?» brontolai, mentre salivamo verso il secondo piano.
«Che sfaticato che sei» mi riprese Lennon accelerando ulteriormente il passo.
Facevo fatica a starle dietro, nonostante avesse le gambe di dieci centimetri più corte delle mie quell’essere era un uragano di energia.
Però sapeva il fatto suo, perché un minuto dopo riconobbi la marca di cui mi aveva parlato mia sorella, scritta in nero sullo sfondo verde acqua.
Lennon cominciò ad osservare i gioielli esposti, «Harry» mi chiamò ad un certo punto, mi avvicinai a lei che aveva gli occhi puntati verso un paio di orecchini a forma di cuore.
«Prendile questi, sono stupendi.»
«Ti piacciono?» le domandai.
Lei annuì, «anche se non conosco tua sorella secondo me sarà felice di trovare questi sotto l’albero.»
Guardai il prezzo, 120 euro, relativamente poco agli standard del negozio, e Lennon se li stava praticamente mangiando con gli occhi.
«Non so, lei voleva un braccialetto o un ciondolo, mi pare.»
«Ah» disse Lennon, leggermente delusa, «ma quelli costeranno 200 euro se non di più.»
Annuii, «lo so, però...»
«Certo, certo» mi interruppe lei, riprendendo a guardarsi in giro.
Scossi la testa riguardando di nuovo quegli orecchini, «senti Lennon» la chiamai, «che ne dici se io prendo qua il regalo per mia sorella e intanto tu ti dai un’occhiata in giro per mio papà? E’ lui quello difficile.»
Lei sembrò pensarci un po’ prima di rispondere, «okay» concesse poi, «allora vado al piano di sopra che è quello da uomo, ci vediamo su.»
Annuii aspettando che se ne andasse per chiamare la commessa e chiederle un pacchetto regalo per quegli orecchini.

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Eccomi qua :D
Nelle scorse recensioni molte di voi mi hanno detto che trovano che la storia si stia svolgendo un po'... Velocemente, ecco. Non potrei che essere più d'accordo con voi, poi io sono una che fa andare le cose moooooolto per le lunghe ma questa storia durerà sì e no 12 capitoli, non posso perdere tempo, diciamo. Spero di essermi spiegata HAHAHAHA
Ah, un'altra cosa: in tutta la fan fiction ci saranno molti riferimenti a Parigi, i suoi monumenti, le sue strade eccetera. Le cose sono abbastanza vere, cioè, non mi invento nulla però magari non sono proprio esatte. Tipo che la linea gialla della metro ti porta all'Arco del Trionfo (?) - anche se questo è vero, mi sa HAHAHAH
A Parigi ci vado spesso ma non è che tutte le volte la visito come farebbe un turista quindi le cose non me le ricordo alla perfezione e non ho voglia di stare lì a verificare tutto su internet ogni volta. Prendetela con filosofia uù
Credo di avere concluso :)
Jas


 



«Che fai?» le chiesi confuso.
«E’ da quando mi hai sorriso in caffetteria che volevo farlo» si giustificò, stringendosi nelle spalle.


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