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Autore: I Belong To Noone    11/09/2012    1 recensioni
Tiffany gestisce il salone più rinomato della città: bello, pulito, grazioso, colorato. Ma quando vi varcherà la soglia Jamie al seguito di Jacqueline, queste due vite si intrecceranno allo scopo di ritrovarne una, sepolta tra i vecchi ricordi.
Genere: Mistero, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo Settimo.

 
Harold lasciò sua nonna al suonar del primo pomeriggio.
«Devo andare, scusa nonna!»
«Vai caro. Ricordati quello che ti ho detto, smemorato.» gli borbottò dietro lei.
Così lui passò di fianco a Jacqueline, con le mani in tasca, senza dirle niente. Lasciò una scia di profumo al suo seguito, e questo bastò per dirle qualcosa.
Tiffany la guardò decisa e le bisbigliò un ‘vai’.
Alzò la testa, infilò le mani in tasca, e si diresse verso Jamie.
«Togliti le mani di lì cara, sembri quel birbante di mio nipote!»
Lei se le tolse e rise. «Devo parlarle»
«Sono qui. Dimmi tutto piccina.»
Jacqueline prese posto sulla sedia di Harold e iniziò a raccontarle. A raccontarle tutto, ma proprio tutto tutto. Anche delle sue sensazioni, dei suoi pensieri, dei suoi ricordi. Jamie annuiva sempre e l’ascoltava. Si vedeva che lo faceva!
Quindi le chiese semplicemente di giungere, per lei, a una conclusione.
In tutto il tempo che la conosceva, era solo la seconda volta che la vedeva abbassare lo sguardo. Ma quando lo rialzò, immancabilmente notò la stessa intensità di verde che aveva notato sul bus negli occhi di Harold.
«Tua madre non seppe la fine che fece tuo padre. E Grace non fu così egoista e stupida come puoi pensare tu. Era semplicemente affranta e acciecata dal dolore, capisci? E tua madre non ebbe nemmeno la stoltezza di pensare alle parole di Grace: quando disse che era morto perché le parlava sempre dei suoi marchingegni e lei gli diceva di sì, sì, costantemente sì, pensava che fosse la causa per la quale a lui venne l’idea di provare quei robi che aveva combinato, perché si sentiva sostenuto.
Ecco come morì.
Lui era insicuro dell’esito che avrebbe avuto la sua prova, ma non pensò certo che ci sarebbe rimasto secco, come si suol dire. Mi chiese di accompagnarlo a questa prova, così ci appartammo in una zona verde con un grande, vecchio campo da basket al quale aveva aggiunto una rampa per spiccare il volo. Mi ero seduta su una sediolina arrabattata, e lo guardai morire. In cuor mio sentivo che non era la cosa giusta da fare, e gliel’avevo detto. Invece, lui, cocciuto, insisté per farla. Mi disse che, se ci fosse riuscito, avrebbe sperimentato il primo jet da volo privato più modernizzato, e che poi ci avrebbe fatto un apposito brevetto per non farsi rubare l’idea; successivamente avrebbe fatto un’azienza progettatrice di jet o aerei o com’erano simili, e avrebbe fatto lui la sua fortuna, e avrebbe sposato tua madre. Invece qualcosa andò storto. Una ruota era messa male ed impennò su se stessa; il comando era malridotto; lui era ancora un bambino, e rideva tra sé di quanto sarebbe stato contento di non dipendere più sui sua madre e sua zia. E invece, si andò a schiantare al primo ostacolo che trovò. E così, Jacques morì.»
Jacqueline si fece rigare la guancia da una lacrima. Poi guardò Jamie con lo sguardo basso e sorrise.
«Grazie» gemette. «Grazie davvero. Ora il mio cuore va in pace.»
Lei le sorrise.
Jacqueline tornò da Tiffany e mostrò la sua radiosità. «Ridammi quella divisa, baby!» gridò, infilandosela.
E così proseguì il suo giorno, dettosi di ferie, che poi diventò un giorno di extra.
Tornò fra i tavoli bianchi, curati, fra i the, fra le cioccolate calde, di nuovo a muoversi com’era entrara – cioè da umile cameriera – tra gli scaffali e i premi di Tiffany, tra i loro profumi e tra quella gente che in quegli anni (perché furono anni) l’aiutarono. Forse anche Amber e la sua combricola di allegre zitelle l’aiutarono, ad essere più forte.
E quando la giornata lavorativa finì, venne lasciata sola da tutti: rimasero solo lei e l’aria impregnata di profumo di cannella, vaniglia e zenzero in quel negozio.
Sfornò le tortine, le decorò come poté e come le venne ordinato, e le ripose dove dovette. Poi, si tolse il grembiule, lo appese all’attaccapanni sotto la voce Jacqueline Burne, e si sciolse i capelli. Si vestì per affrontare il freddo dell’esterno; chiuse a chiave il negozio e abbassò le tapparelle. Quella sera chiuse prima.
Silenzio, totale e incessante silenzio all’esterno della sua seconda casa.
Il sole stava calando, e i suoi passi emettevano tonfi, nella neve.
Poi si voltò, e rivide la figura di quella mattina: alta, snella, con una sciarpa bianca al collo e il giaccone aperto. E le mani in tasca, ovviamente.
Rivide nei suoi gli occhi verdi speranza di Jamie, e nel suo sorriso quello dolce e rassicurante quello di Tiffany.
Si sentì improvvisamente felice, buttatasi tra le sue braccia, stretta tra quelle braccia. Un gesto improvviso, istintivo, dolce. Harold appoggiò lateralmente la testa su quella scura di Jacqueline, e la strinse forte a sé.
Jacqueline sorrise, tra quel corpo possente e quel profumo. Sorrise senza che nessuno se ne accorgesse, come piaceva a lei; e per la prima volta pianse di felicità.



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La faticaah. Allora, ho visto anche tra le visite che qualcuno che segue la mia stupidaggine(?) c'è. Detto questo, spero che vi piaccia quest'ultimo capitolo. Ho scritto gli ultimi... tre capitoli in una sera. Lo so, non sono tantissimi e il testo non è lunghissimo, comunque ho fatto fatica tra lo scriverlo e il rileggerlo. 
Spero che vi emozioni come ho cercato di fare io.
Questa è la prima, e immagino anche ultima storia che pubblicherò su efp (a meno che non mi vengano altre strane idee e a meno che non le metta in pratica). 
Spero davvero che vi sia piaciuta.
Concludendo, dedico questa 'stupidissima' (che forse è ) ff al mio primo idolo: mio fratello. Gliela dedico perché quando gli dissi che avevo scritto una ff lui intanto mi chiese che cos'era, e poi mi fece capire che forse forse avevo scritto una gran çàzzàtà (perdonate gli accenti da bimbaminghia, era solo per far comparire la parola). E infatti è rimasto di questa idea. Non me l'ha mai nemmeno guardata e non me la guarderà mai. Però lo ringrazio, perché mi ha spronata a migliorare e a cercare di arricchire sempre i miei testi, e a renderli credibili, come li chiama lui. Quindi, semplicemente grazie anche a te, che mi hai sottovalutata, ma che un giorno ti ricrederai. 

Juliet.
   
 
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