Fanfic su attori > Josh Hutcherson
Segui la storia  |       
Autore: Teikci Ni Kare Suh    11/09/2012    1 recensioni
Me ne stavo seduta su quella scomoda panchina con le gambe incrociate e il nasp nel libro.
Poi un imprecazione volò nell'aria e io alzai gli occhi.
Lui era lì, il volto contratto in una smorfia, gli occhiali da sole sui capelli arruffati e gli occhi pieni di disappunto.
Stava osservando qualcosa, ma io avevo occhi solo per lui...Josh Hutcherson.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

San Francisco - Part 1


Adoro gli aeroporti, sono così…pieni di vita.
Luoghi in cui mille storie, emozioni, s’incontrano per poi dividersi.
Non ero mai stata in molti aeroporti, ma ricordo particolarmente bene quello di Madrid.
Ciò che mi aveva colpito di più, era la varietà di colori usati negli architravi, i colori dell’arcobaleno.

***
Aprii gli occhi di scatto e mi tirai su.
Era il grande giorno, finalmente saremmo partiti.
Mi vestii in tutta fretta, e corsi di sotto a fare colazione, anche se non avevo alcuna fame.
Stavo finendo di affogare gli ultimi cereali nel latte, quando scese il resto della mia truppa.
Avevano tutti l’aria piuttosto sconvolta, e non avrei potuto dargli torto visto che erano solo le due di notte.
Dopo aver ricontrollato le ultime cose, caricammo le valigie nell’auto.
Quando mio padre pigiò sul pedale dell’acceleratore e vidi la mia casa scomparire dietro di me, nella tiepida notte, chiusi gli occhi e una strana sensazione mi pervase
“USA, stiamo arrivando. Josh, sto arrivando” .
Ero così eccitata al solo pensiero di poterne vedere gli occhi, il sorriso, sempre dolce e solare, ahh che beatitudine.
“Lia…hai della…”
“Che cosa??”
Ero stata bruscamente risvegliata dalle mie fantasie da quello zotico di mio fratello, che mi guardava divertito.
“Che vuoi?”
“Hai della bava che ti scende dalla bocca” riuscì a biascicare con un sogghigno.
Cercai di non dare importanza alla cosa e tirai l’insulso liquido lontano dalle mie labbra, mentre mio fratello cercava di trattenere una risata.
Cercai di ignorarlo per il resto del viaggio, durante il quale mi lanciò delle occhiate tra il divertito e lo scioccato.
Arrivammo in aeroporto dopo appena trentacinque minuti, grazie al poco traffico delle tre di notte.
Il nostro aereo sarebbe dovuto partire verso le sei, perciò dovevamo arrivare in aeroporto con due ore di anticipo; saremmo poi giunti in a San Francisco alle tre del pomeriggio, ore sei della mattina, orario americano.
Perciò avrei cercato di dormire durante il volo, per mantenere un po’ di forze per la giornata che mi aspettava.
Dopo il check-in, in cui tutti tremammo al solo pensiero che potessero esserci delle complicazioni a causa del bagaglio di mia madre, poiché sembrava che si fosse portata dietro mezza casa, ci sedemmo ad aspettare che chiamassero il nostro volo.
Girovagai un po’ per l’aeroporto, fermandomi nei negozi, provando scarpe con tacchi troppo alti per me e vestiti troppo costosi, tanto per passare il tempo; dopo aver comparato un panino con pancetta pepata me ne stavo per tornare alla sala d’attesa, quando vidi un immenso cartellone che prima non avevo assolutamente notato.
Il viso di tre figure giovani, si stagliavano imponenti e sul vestito della ragazza era posata una spilla d’oro: una ghiandaia imitatrice.
Osservai il viso del giovane accanto a lei, con la fronte coperta da qualche ciuffo biondo e sorrisi.
Portai le mie dita sulle labbra e alzando il braccio, salutai i tre giovani con il saluto del distretto 12.
Qualcuno mi guardò stupito, qualcun altro sorrise, guardando il cartellone.
Poi me ne tornai, con ancora più buon umore alle file di sedie vicino all’imbarco e immersi nel mio manga preferito, QandA.
 
***
Appena fummo decollati, posai il manga nella mia borsa, presi il mio Mp4 e chiudendo gli occhi cercai di riposare, ascoltando Susan Boyle, in Enjoy The Silence.
Dopo qualche minuto caddi nel mondo dei sogni.
Mi sentivo tutta intorpidita dopo circa cinque ore di sonno in quel sedile piuttosto stretto.
C’era chi dormiva della grossa, quali il troglodita, il cui “soave e lieve” respiro riempiva l’aereo.
Cercai di alzare il volume della musica, ma mi accorsi solo allora che l’apparecchio era spento.
Probabilmente Tarzan aveva ben pensato di spegnerlo dopo che mi ero addormentata: dovevo ammettere che a volte aveva delle belle pensate.
Passai il resto del lungo viaggio a leggere manga e ascoltare musica, finché il mio MP4 non diede forfè.
Dopo un atterraggio, non proprio dei migliori, scendemmo e recuperammo i bagagli.
Appena usciti dall’aeroporto inspirai a fondo.
America.
L’aria era fresca, non c’erano più di 20 gradi sicuramente, il cielo era terso e non si scorgeva nemmeno una nuvola.
Mio padre chiamò un taxi, e caricate le valigie, partimmo per raggiungere il nostro albergo.
Abbassai il finestrino e guardai fuori.
Ci immettemmo in una stretta strada a lato della U.S. 101, e la percorremmo a lungo.
Sui lati non c’era un gran panorama, solo piccole costruzioni e camion, ma all’orizzonte si potevano scorgere colline verdi e lussureggianti.
Mano a mano che avanzavamo, gli edifici aumentavano, ma erano solo fabbriche o aziende, e qualche albero che emergeva ai lati della strada.
Dopo numerose curve la strada divenne dritta e alla nostra destra apparve una strana superfice azzurra che riluceva: la baia di san Francisco.
Le sfumature si alternavano spesso e la brezza increspava quel perfetto specchio.
“Attenta a non caderci dentro”
Mi voltai verso mio fratello e gli risposi con una smorfia.
Poi tornai al panorama, ma dopo qualche minuto mi ritrovai a osservare di nuovo la terra ferma.
Oltre vidi apparire all’orizzonte, un numero enorme di case ed edifici che iniziarono a circondarci, e da cui eravamo separati da un’alta siepe e un muro.
Passammo in un intrico di strade e cavalcavia, mentre una nebbiolina, tipica della città in estate, ci avvolgeva mentre ci avvicinavamo alla parte settentrionale della città.
Poi lasciammo l’enorme strada per immetterci nelle vie della città, ed nel cuore della città: enormi palazzi si stagliavano nel cielo, giganteschi cartelloni pubblicitari ricoprivano intere facciate di edifici, ma c’erano anche case dall’aria graziosa.
La gente camminava tranquilla, qualcuno correva in bicicletta, ma non c’era un gran via-vai, visto l’orario.
Notai anche un palazzo piuttosto strano, altissimo e con tante vetrate, sembrava una montagna.
Non mi accorsi neanche che eravamo arrivati all’hotel.
La facciata non era un granchè, c’era un enorme tettoia di vetro, o almeno di quello sembrava fatto, due colonne greche stavano ai lati dell’entrata, ma nei piani alti si trovava una scala di ferro, avete presente quelle che si vedono nei film, che di solito vengono “scalate”?
Come quella nel finale di Pretty Woman.
Beh, non donava per niente all’edificio.
Entrammo e devo dire che mi ero sbagliata sull’hotel, non era affatto male.
Salimmo nelle nostre camere, che come il resto dell’albergo erano caratterizzate da una mobilia elegante e da colori caldi, come oro e marrone.
“Bene ragazzi sono circa le sei e tre quarti, avete un’oretta per prepararvi e poi..” mio padre tirò fuori un taccuino e lo sfogliò, mentre mio fratello gli si avvicinava e sul suo viso prendeva forma una faccia terrificata.
“Non vorrai dirmi che hai pianificato tutto nei minimi dettagli?” gli chiese, aspettandosi senza tante speranza una risposta negativa.
“Ma certo, ho calcolato quanto durerà ogni visita, quanto potremo riposarci, in quanto mangia..” fu interrotto da uno scatto di mio fratello, che gli rubò il taccuino e andò in bagno chiudendo la porta.
“Tom, che diavolo stai facendo?” disse mio padre mentre batteva sull’uscio del bagno.
Sentimmo un inconfondibile scorrere d’acqua e poi il rumore di qualcosa che si chiudeva, poi mio fratello uscì raggiante
“Mi sono sbarazzato della nostra fonte di noia. Dai pa, ci divertiremo un mondo!”, e detto questo si stese su uno dei due letti singoli.
Mio padre andò a dare un’occhiata al water, visibilmente disperato, intendo mio padre, non il water ovviamente, mentre io e mia  mamma ci mettemmo comode.
Dopo un’oretta scendemmo a fare colazione e quando finimmo di rimpinzarci facemmo il punto della situazione
“Questa mattina dobbiamo andare all’Exploratorium, un museo di scienza” disse mio padre.
“Oddio no! Un museo” sussurrò mio fratello mettendosi una mano sulla fronte.
“Oh, ti divertirai anche tu, che lo voglia a no” disse mia madre con fare autoritario.
L’Exploratorium si trova all’estremo nord di San Francisco e in taxi ci si mette solo qualche minuto dall’hotel dove alloggiavamo.
Entrammo e ne rimanemmo assolutamente entusiasti, persino mio fratello si divertì, malgrado tutto, nelle quattro ore che passammo lì, senza neanche riuscire a vedere tutto.
E’ un edificio diviso in due piani in cui si possono trovare ogni tipo di invenzioni, c’era addirittura un creatore di tornadi!
Purtroppo c’erano troppi bambini che urlavano, spintonavano e si eccitavano alla vista di ogni nuova cosa da provare.
Quando uscimmo eravamo stravolti, ma contenti, così ritornammo all’hotel per mangiare e riposarci un po’.
Mi stesi sul letto e in prima che potessi accorgermene dormivo.
Sognai di trovarmi in un deserto, ero senz’acqua e il sudore mi bagnava tutta la maglietta.
La gola secca non smetteva di farsi sentire, ed ero troppo stanca, tanto che caddi a terra distrutta.
Qualcosa però attrasse la mia attenzione.
Vidi una figura non troppo alta, slanciata e in perfetta salute, al contrario di me: mi sorrise.
E solo allora riconobbi chi era.
Josh.
Tese un braccio e mi fece segno di avvicinarmi con la mano, ma qualcosa non andava.
Mi avvicinai a lui
“Josh, c’è qualcosa che non va. Dobbiamo metterci al sicuro” dissi, anche se non sapevo come avremo fatto.
“No, è tutto a posto. Vieni, fidati di me.”
Mi avvicinai a lui un po’ timorosa, ma rassicurata in parte dalla sua presenza.
Poi quando mi trovavo a qualche metro capì.
Il suo sorriso assomigliava più a un ghigno che a una dimostrazione di felicità.
In quel preciso momento mi sentii affondare, ero su delle sabbie mobili!
“Josh, ti prego aiutami!” gridai disperata.
Lui si avvicinò a me mi sfiorò la guancia con la mano e mi mise un dito sulle labbra
“Shh. E’ tutto a posto, fidati di me” e sogghignò.
Poi si allontanò un po’ per vedermi affondare da più lontano.
Intanto però si stava avvicinando un tornado.
Disperata, sia in vista della mia sorte che di quella di Josh, visto che il tornado veniva dalla nostra parte, cercai di avvertirlo e salvarlo.
Ma lui non mi ascoltò.
Ero ormai affondata fino alle spalle, quando lui finalmente si accorse del tornado, ma ormai era troppo tardi e lo vidi mentre veniva trasportato via e il suo viso era attraversato da una smorfia di orrore.
“No!” gridai, mentre i miei occhi venivano privati della luce del sole, per sempre.
Mi alzai completamente sudata.
Mio fratello sedeva accanto a me, preoccupato.
“Sempre lo stesso sogno?” mi chiese.
In camera non c’era nessuno.
“Dove sono mamma e papà?”
“Sono giù al bar. Tranquilla, siamo soli”.
Rassicurata gli raccontai del mio sogno.
Lui mi abbracciò
“Se a Los Angeles trovò quel farabutto gli spacco il naso, magari gli passa la voglia di uccidere la mia sorellina. Che dici?”
“Dico che se lo fai, potresti anche tu ritrovarti con qualche problema al naso” gli risposi divertita.
Dopo che mi fui cambiata e lavata via il sudore dal viso, mio fratello parlò di nuovo
“Sarà meglio che scendiamo, pa ci vuole far fare il visita della città. Poi sta sera andiamo a Chinatown e ceniamo lì”
Feci una faccia che marcava il mio disappunto
“Sa che non amo la cucina cinese e che..”
“Preferiresti una bella porzione di onigiri. Si, lo so anch’io. Dai scendiamo”
E così ci avviamo al bar

 
                                                                                     ---------------------------------------------------
 
                                                                                  Angolo scrittrice
                                                                                  Spero che anche sta volta mi perdonerete per la lunga assenza, ma volevo che la descrizione di San Francisco fosse il più possibile realistica, e ho voluto fare alcune ricerche.
Josh non apparirà ancora nel prossimo capitolo, che auspico arrivi presto.
Ringrazio chi mi segue, o anche da solo un’occhiata a questa fan fiction che mi prende sempre di più, si noti che in ogni capitolo scrivo un po’ di più. *Faccia soddisfatta*
Mi raccomando recensite, per me è molto importante! Potrò così capire cosa migliorare e cosa invece è meglio accentuare.
A presto, teikci
 
P.S. Per chi non lo sapesse, gli onigiri sono un tipico piatto giapponese di polpette di riso. La protagonista è infatti un’appassionata del Giappone, passione segnalata anche dalla presenza di manga, fumetti giapponesi che si leggono all’incontrario.

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su attori > Josh Hutcherson / Vai alla pagina dell'autore: Teikci Ni Kare Suh