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Autore: Ely79    12/09/2012    1 recensioni
La notte avvolge il Monte Titano, nascondendo trame silenziose, dove politica e sangue si mescolano fino a divenire una cosa sola nelle fauci di una bestia oscura, venuta da lontano.
Storia prima classificata al contest "Un'Ora e.. la Violenza" indetto da Original Concorsi.
Genere: Dark, Horror, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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De ore turris - III
missdark

III

Ore 00:59
Il Montale

«Che stai cercando di dire? Dove vuoi arrivare?» rantolò, combattendo contro le fitte causate da una zampa che gli schiacciava la mano sinistra.
«Ti sto dicendo che devi farti da parte, Francesco. La tua presenza intralcia i piani della Repubblica».
Occorse quasi un minuto, prima che le parole del Capitano venissero assimilate dall’interlocutore.
«Ma che… diamine vai b-blaterando? Qu… quali piani?» strillò, pungolato dagli strattoni con cui il licantropo gli squarciava la coscia a poco a poco.
«Sai perfettamente di cosa parlo. O vorresti farmi credere che Antonio non te ne abbia fatto alcun cenno?»
In quel momento, accecato dal dolore, il banchiere ricordò. Leonardelli parlava di un possibile scontro con il Granducato di Toscana; uno scontro non solo burocratico ma anche militare, per l’acquisizione dei territori oltre i borghi di Chiesanuova, Acquaviva e Gualdicciolo. Quella storia andava avanti da anni e di recente aveva teso ad inasprirsi per via di alcune infelici uscite dell’Ambasciatore sanmarinese presso varie sedi istituzionali, dove aveva rivendicato il possesso di quelle terre da parte del Monte Titano.
Antonio si era detto preoccupato della cosa ed era quasi sicuro che dietro le parole di sfida del delegato ci fosse lo zampino di Onofrio.
«Le terre…» tossì.
Non si accorse del sangue che gli colava dalle narici e dalle labbra, a differenza del lupo mannaro che si posizionò sopra la sua schiena per poter leccare la leccornia che stillava dalle ferite.
«Non parlo solo di questo – che pure è un argomento alquanto interessante -, ma anche della possibilità di modificare lo statuto della Repubblica, rendendo ereditaria la carica di Capitano Reggente» precisò l’altro, aggiustando la presa sul bastone tra mille scricchioli e fischi.
«Il… il n-nostro go-governo si… è sempre retto su più spalle... pe… per e-evitare la comparsa… di despoti e tiranni. S-San Ma-Marino non…» sbraitò, subito interrotto da un morso al costato che gli mozzò il respiro.
«Lascia perdere quelle storie, non sono un marmocchio» sibilò Onofrio.
«Nes… suno t-ti da… darà corda… n-nessuno… in t-tutto il Co… nsiglio s-sarà m-mai d’accordo s-su… una… simile mo-mod-difica, né t-ta-tantom-meno su… una guer-ra col Granducato!» riuscì a gridare, prima che un nuovo strattone gli mettesse a nudo le ossa del dorso e tramutasse in rantoli le parole.
«Ti sbagli, Francesco. Oh, come ti sbagli» lo canzonò, appoggiandosi con le spalle alla torre.
«N-on i… incarni lo sp-spirito della R-Repubblica!» pianse, nell’attimo esatto in cui degli artigli sprofondarono nel polpaccio.
Il sangue zampillò ovunque come una macabra fontana.
«Sbagli anche qui. Sono stato eletto per volere di molti. O meglio, per volere dei molti denari che ho dovuto sborsare per convincere i consiglieri e chi mi ha sostenuto dal basso».
Francesco tossì, spargendo altro sangue nella polvere. Il buio si addensava nei suoi occhi.
«Non dirmi che non lo sospettavi. Non sono la gran brava persona che tutti vendono in quell’inetto di tuo fratello, così buono, così generoso. Così dannatamente ligio alla storia e alle tradizioni» sputò disgustato. «È ora che le cose cambino. San Marino deve poter competere realmente con le grandi potenze europee e per farlo ha bisogno di una figura forte al suo comando. E di certo, non parlo di tuo fratello né di te. Vedi, se fossi stato tu a essere eletto, le cose non sarebbero cambiate molto. E poco importa se sto infrangendo le leggi sull’ingresso dei licantropi nella Repubblica. Dopo tutto, all’alba sarò il solo ad essere a conoscenza di questo strappo alla regola» sogghignò.
Con un breve ululato, la creatura si avventò di nuovo sul corpo, strappandogli un gemito soffocato. Le zanne apparivano e scomparivano nella carne, aprendo solchi e voragini scure e umide.
«Vedi, Francesco, io non sarò stato eletto per meriti miei, ma lo stesso vale per Antonio: è stato eletto perché è tuo fratello, non per qualità autentiche. Il Consiglio guardava a te mentre sceglieva la sua candidatura. Sanno che non hai mai voluto invischiarti nella politica, che preferisci la tua banca, esattamente come sanno che quel beota pende dalle tue labbra, che ascolta solo i tuoi suggerimenti e che gran parte dei suoi discorsi e delle sue proposte sono farina del tuo sacco. Non c’è uno solo tra quei burocrati impomatati che non si stenderebbe a terra al passaggio del grande e potente Francesco Scarito. Senza contare che qui, a San Marino, una grossa parte dell’economia si regge sulle tue proprietà e sui tuoi investimenti. Nessuno darebbe contro a chi può affamarci. Ma non temere: quando sarai sparito, rileverò tutto io. Non lascerò invenduto un solo briciolo delle tue proprietà perché, sai, è questo ciò che accade quando uno di noi sceglie l’esilio a seguito di un crimine. La legge è chiara: le proprietà vanno all’asta e i parenti possono intervenire solo in minima parte nell’acquisto, per garantire a tutti i cittadini la possibilità di aggiudicarsi un brano dell’altrui fortuna» spiegò, citando alla lettera le norme sulle compravendite. «Per tutti sarai fuggito lontano con una donna misteriosa, in barba alla tua immagine di marito e padre devoto che, beh, lo abbiamo visto poco fa, è comunque una finzione. Sembrerà che tu sia sparito dalla circolazione con la tua nuova fiamma, saranno ritrovate sordide lettere d’amore che ho provveduto a nascondere nei tuoi archivi, accrediti illeciti dal fondo di Stato, lettere di cambio, fatture di preziosi e regali. Avrai ucciso anche il vecchio Conte Baldi, tuo padrino e caro amico, che provava a farti rinsavire ma che tu, ottenebrato dalla gelosia, hai ucciso credendolo un rivale. Non mi dilungherò nei dettagli dell’omicidio per bocca di un tuo feroce mastino, dubito che le storie di altri morti possano interessare ad un morto».
Scarito non aveva ascoltato le sue ultime parole: la vita gli era sfuggita di dosso come un abito troppo largo.
«Ottimo lavoro, Ozana» commentò, scrutando senza orrore o sdegno il cadavere dilaniato.
Il lupo si volse digrignando i denti insanguinati. Persino nell’oscurità era possibile distinguere l’alone scarlatto che li avvolgeva in un liquido sudario.
L’animale avanzò verso di lui, il pelo irto sulla schiena. Le zampe lasciavano impronte umide nella polvere. Quando fu a pochi passi dall’uomo si drizzò sugli arti posteriori, gettando indietro il muso. Dopo un attimo, durante il quale parve che la creatura stesse fiutando l’odore della luna, la testa ricadde all’indietro sulle spalle.
Con un guizzo, il lupo si rimpicciolì. Le zampe lasciarono il posto a braccia e gambe, il mantello alla pelle. Dal fisico asciutto e nervoso emergevano le linee nette delle ossa. I capelli erano lunghi e ricadevano in una scura cascata sul suo viso e sulle spalle spigolose. Aveva mani lunghe e sottili, percorse da tendini talmente robusti da dare l’impressione fossero solcate da condotte in miniatura.
Poteva non essere la donna più desiderabile e conturbante del mondo, ma Ozana Sadoveanu era nota nelle gendarmerie d’Europa col soprannome di Lupoaică1, probabilmente non molto fantasioso ma prossimo alla realtà. Aveva fatto dell’antica e blasfema tradizione magica di famiglia il proprio mestiere, arrivando a essere considerata la più spietata assassina del continente. Poter usufruire dei suoi servigi era tanto difficile quanto esoso, ciò nonostante Onofrio era certo che un gruzzolo di denari ben spesi valesse il potere e il prestigio che ne sarebbero derivati.
«Tu no chiama mio nome. Tu sa che no può fare. I proibito» ringhiò la donna, pulendosi le labbra sul braccio.
Il sangue le imbrattava le mani, il volto e il petto, rimarcandone l’estrema magrezza.
«So cosa posso o non posso fare» replicò lui, secco. «Tu piuttosto. Non hai ancora finito» rimbrottò severo, indicando il Montale.
Lei guardò la merlatura che si confondeva col cielo notturno. Un sorriso perfido le tese le labbra mentre inclinava appena il capo verso il cliente.
«Se tu chiede come deve, io fa. No problema».
Onofrio sbuffò per la ridicola perdita di tempo, ma decise di stare al gioco. Dopo tutto, aveva pur sempre una spietata assassina di fronte a sé, che sicuramente fiutava la presenza nelle sue tasche del compenso pattuito e di qualche prezioso gingillo che si portava appresso. Incentivarla a ottenere degli extra non faceva parte del suo piano.
«Signorina Lupoaică, potrebbe per cortesia far sparire quell’orrore come pattuito?» domandò inchinandosi goffamente.
«Tu sa come si parla a donna, signore Capitano» replicò soddisfatta Ozana, passando una mano sul seno minuscolo, in un gesto che sarebbe voluto apparire sensuale.
Riuscì solo a renderla più raccapricciante, trascinando il sangue fin sul ventre scavato.
«Tu conosce il potere. Tu conosce suo… sapore» soggiunse con un basso latrato mentre si leccava le labbra.
«Signorina, la notte corre più delle sue zampe. Vorrebbe…» insistette Onofrio, indispettito dall’imprevisto ritardo.
Era quasi la una del mattino ed entro breve sarebbe partito il giro di ronda della gendarmeria. Doveva allontanarsi al più presto, se non voleva far vacillare il piano.
«Cu plăcere2» latrò sommessa la donna.
Il muso del lupo tornò a coprirle il volto e in pochi attimi l’enorme bestia era tornata ad accovacciarsi a terra, accanto al cadavere di Scarito. Le mascelle schioccarono di nuovo, questa volta con l’intento di racchiudere con una presa possente le carni martoriate.


1 Lupoaică : lupa in rumeno.
2 Cu plăcere: con piacere in rumeno

   
 
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