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Autore: Gaia Bessie    12/09/2012    7 recensioni
Mani rabbiose che hanno lasciato il segno. Emma non lo biasima, l’ha detto anche lui: lo fa per il suo bene. Biasima quelle mani che conosce e che non vede da tanto tempo: solo la pallida ombra dle suo fantasma. L’unico che Emma odia veramente. Quello che le chiede di piangere.
Piangi, bambina mia.
E lei non l’accontenta mai. Adesso sente le lacrime che pungono in un angolo degli occhi, fredde come il ghiaccio. E le ricaccia dentro con uno sforzo enorme: lei ha smesso di piangere da tanto tempo.
Un urlo che le lacera la gola, sembra quasi che voglia lacerare lei. Come la lama di un coltello ben affilato. Più forte. Fa male.
-Ti odio- urla, per farle male. Ed il fantasma trasalisce e si allontana.
Ed Emma la odia, perché lei non capisce niente. Non sa cosa siano le botte, le lacrime che graffiano il viso, il sangue che si agita nelle vene. Non può saperlo.
I fantasmi si radunano attorno a lei. Parlano a bassa voce, sussurrano quasi. Emma li ascolta, come sempre.
Si fida di loro, perché non conosce altro.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Questa storia è un'originale. Di conseguenza, i personaggi descritti mi appartengono e guai a chi li tocca xD Ogni riferimento a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.
Per il titolo ringraziamo la gentilissima Viols, grazie mille.
Attenzione: la storia presenta tematiche forti (Malattie mentali - Schizofrenia)






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Ad Emma, perché sa benissimo che le voglio bene
A tutti quelli che continuano a seguirmi, nonostante tutto



Emma guarda le foto sul comodino, tranquilla. È seduta in un angolo del letto, i piedini che tagliano l’aria, in una strana danza che non sarà più in grado di ripetere. Canticchia uno strano motivetto, a bassa voce. Continua a tormentare una ciocca di capelli castani, con la manina paffuta. Fissa le foto di sua madre e suo padre. Non assomiglia a nessuno di loro, Emma: i suoi capelli sono troppo scuri per somigliare a quelli biondi della madre, il naso è troppo piccolo per essere quello del padre. Gli occhi sono troppo grandi e persi per somigliare a quelli della nonna. Però, nella foto dove la tengono in braccio, appena nata, sembrano ancora una famiglia. Sente le urla, Emma, e cerca di coprirle con la sua canzoncina. Non funziona.
Stringe l’orlo del vestito, per distrarsi. Ha paura di tendere la mano, per accarezzare il vuoto. Continua a cantare. Una bambina gioca in un prato. Emma odia il silenzio ed odia il rumore. Vuole sentire solo la sua voce, gli altri suoni sono troppo dolorosi. Ama quelle canzoncine strane che canta, quando le voci esplodono, nella sua testa.
Emma ama le sue canzoncine, le ama perché non le è mai stato concesso di conoscere altro.
Le servono per andare avanti, per  non perdersi fra le voci. Ha paura che, se si perdesse, non sarebbe più in grado di tornare indietro. Loro non le permetterebbero di tornare, la terrebbero prigioniera nel buio. Emma odia il buio, l’ha sempre odiato: è lì che la porteranno, appena inizierà a fidarsi di loro.
Le mani scattano a coprire le orecchie, quando le urla diventano insopportabili. Quando il buio si avvicina.
-Quella non è mia figlia, non può esserlo!-
Le braccia cadono, rigide, lungo i fianchi. Sfiorano il tessuto morbido dell’abitino celeste. Gli occhi di Emma si fanno vacui. Chissà cosa vede, quando guarda nel buio…
La canzoncina rimane ferma, nell’aria, una storia che non avrà un lieto fine. Il buio.
Emma lo odia perché non ha mai visto altro.
Le voci si affievoliscono, i fantasmi rimangono, muti e fedeli. Sono i suoi unici compagni, quando non parlano. Sono i suoi aguzzini, quando la ossessionano.
Emma li odia in silenzio, i suoi fantasmi.
Cantano la sua canzoncina, per interrompere quel breve attimo di silenzio. Quello che Emma non può conoscere. Un sospiro lieve, un sospiro di bambina.
Che fine ha fatto la bambina che giocava nel prato, Emma?
Non risponde, lascia che i fantasmi trovino da soli la loro risposta. Una lacrima macchia il vestito celeste.
Emma vive di fantasmi.



§




Emma li sente, i colpi, rapidi e dolorosi sul suo corpo da bambina. I suoi fantasmi la tengono per mano, per non farla cedere. Per farla soffrire di più, nonostante tutto. Una mollettina con una margherita è caduta sul pavimento, fra i fantasmi.
“Prendetela, avanti” vorrebbe urlare Emma. “Ve la regalo, se mi lasciate andare”. Ma la voce non esce. L’unico rumore che sente è quello dei colpi, che piovono come grandine. Fragile è il suo corpo da bambina, che potrebbe spezzarsi all’improvviso.  I fantasmi assistono, calmi, in silenzio.  In mano, Emma tiene un vecchio elastico per capelli, che indossava quando era bambina.
Emma si aggrappa ai ricordi perché non ha nient’altro.
Si chiede come facciano i fantasmi a vederla soffrire in questo modo. A vederla trattenere le urla che le graffiano la gola. Non urla per non rovinare il suono della sua voce.
“Aiuto” sembra dire. “Aiuto” è la parola incisa sul fondo dei suoi occhi chiari. È la parola che nessuno sente, che nessuno riesce a comprendere.
Non piangere, bambina.
Non sanno che Emma ha smesso di piangere da parecchio tempo. Da quando l’hanno trovata raggomitolata in un angolo, come per proteggersi, lividi che fiorivano come rose sulla sua pelle troppo chiara. Un fagotto pronto per essere raccolto. Per essere rinchiuso nel buio.
Ma, piccola e fragile com’era, Emma continuava a cantare. Canta ancora, quando dovrebbe piangere.
Piangi, bambina, piangi.
E lei vorrebbe urlare che non ci riesce. Che le lacrime non scendono più: si sono congelate sul fondo dei suoi occhi azzurri, per non sciogliersi mai. Si chiede, Emma, se anche il suo cuore sia nello stesso stato. È da un po’ di tempo che non lo sente battere.
Mi dispiace, Emma, il tuo cuore batte ancora.
Il buio si allontana e si avvicina, troppo velocemente per poter comprendere qualcosa. Un attimo vede tutto, l’attimo dopo non vede più niente. Sente la mano del suo fantasma che stringe forte la sua. E si chiede se quel fantasma non sia sua madre, venuta a prenderla. Per salvarla.
E tende le braccia, pronta ad accoglierla. Ma l’unica cosa che sente, che tocca è il vuoto. Ne sente il sapore sulla punta della linga: sale e disperazione. Lacrime che lei ha smesso di versare.
-Lo faccio per te, bambina mia- sussurra una voce profonda, che non appartiene ai fantasmi.
Emma non gli crede. Ha smesso di farlo da tanto tempo.



§




È quasi un gioco. Sola, davanti allo specchio, spogliarsi davanti ai suoi fantasmi. Guardare quel corpo che non le appartiene, troppo diverso da quello di una bambina. Troppo acerbo per appartenere ad una donna.
Sedersi sul bordo del letto, come una bambina. Ignorare la pancia appena sporgente, i lividi scuri che non guariscono mai. Cantare una canzoncina per bambine, quando i fantasmi iniziano ad avvicinarsi. Mandarli via, piano, con dolcezza.
Emma desidera solo non morire nel buio.
Giocherella con una caramella al limone, di quelle con la carta gialla che attira subito l’attenzione. Le si chiude la gola, ogni volta che deve mangiare qualcosa. Vorrebbe sputare tutto, vomitare anche i suoi fantasmi. Non può ed è costretta a vedere la sua pancia diventare sempre più sporgente. Ogni tanto si guarda e si trova a trattenere le lacrime che continuano a non uscire.
Adesso Emma è stesa sul letto, la schiena nuda contro il copriletto, la pancia coperta dalle mani troppo calde. Non fa nemmeno male, dove l’ha colpita.
Emma convive con il dolore, perché non conosce altro.
Una mano sfiora il copriletto verde, evita i fantasmi distesi accanto a lei. Una mano le accarezza la chioma scura. Dita curate e spettrali, che sfiorano i lividi sul corpo di Emma.
Mani rabbiose che hanno lasciato il segno. Emma non lo biasima, l’ha detto anche lui: lo fa per il suo bene. Biasima quelle mani che conosce e che non vede da tanto tempo: solo la pallida ombra dle suo fantasma. L’unico che Emma odia veramente. Quello che le chiede di piangere.
Piangi, bambina mia.
E lei non l’accontenta mai. adesso sente le lacrime che pungono in un angolo degli occhi, fredde come il ghiaccio. E le ricaccia dentro con uno sforzo enorme: lei ha smesso di piangere da tanto tempo.
Un urlo che le lacera la gola, sembra quasi che voglia lacerare lei. Come la lama di un coltello ben affilato. Più forte. Fa male.
-Ti odio- urla, per farle male. Ed il fantasma trasalisce e si allontana.
Ed Emma la odia, perché lei non capisce niente. Non sa cosa siano le botte, le lacrime che graffiano il viso, il sangue che si agita nelle vene. Non può saperlo.
I fantasmi si radunano attorno a lei. Parlano a bassa voce, sussurrano quasi. Emma li ascolta, come sempre.
Si fida di loro, perché non conosce altro.



§




È diventato terribile, guardare il proprio corpo così fragile. La pancia non sporge più, le ossa sì. La pelle aderisce allo scheletro come un guanto troppo stretto.
Sta male, Emma, ma non lo dice a nessuno. I suoi fantasmi lo sanno già.
È cresciuta troppo, le ossa che si allungano troppo, l’altezza che diventa un problema. I capelli che non vogliono saperne di stare in ordine.
Vuole sparire, Emma, vuole sparire perché ha solo i suoi fantasmi a tenerle compagnia.
Passi di fantasma che risuonano nella stanza. Risata di padre che si allontana da quella figlia che non comprende. Emma rannicchiata sul pavimento, le ossa che fanno male, piegata su sé stessa, come se desiderasse sparire. Non trema nemmeno, non piange. Aspetta che qualcuno arrivi per raccoglierla, quella ragazza riflessa nello specchio.
Ama gli specchi, Emma. Una ragazza che le somiglia la fissa: è pallida e con gli occhi cerchiati di nero, ha gli occhi pieni di lacrime che non scendono. Un fantasma che si china per  raccoglierla.
-Cosa ti stai facendo, Emma?-
Emma. Non più bambina. Un nome pronunciato dalla voce angosciata  di un fantasma.
Lei non risponde. Emette un gemito di protesta, quando il fantasma l’adagia sul letto.
-Shh, bambina mia. Piangi, se ti fa stare meglio-
Ed Emma non riesce a dirle che lei non piange mai. Perché sono lacrime, quelle cose fredde che le stanno rigando il volto. I fantasmi si chinano su di lei.
-Andatevene! Andatevene!- urla, con tutto il fiato che ha in gola. Mani di madre che le accarezzano la testa. Silenzio.
-Li mando via io, non piangere-
Emma chiude gli occhi. Si fida di lei.
Emma si fida di tutti, ormai. Perché non ha niente.
-Dormi, tesoro-
Ed Emma obbedisce: tutto pur di non morire nel buio.





Bessie's Corner:
A questo punto, vi devo delle spiegazioni. Partiamo dal principio. Emma soffre di schizofrenia. Per chi non lo sapesse, la schizofrenia è una malattia mentale caratterizzata da persistenti sintomi di alterazione del pensiero. La schizofrenia è caratterizzata da due tipi di sintomi, classificati come "positivi" e "negativi". Emma presenta molti dei sintomi classificati fra i "positivi": alterazione del pensiero, allucinazioni, idee fisse.
E questo ci porta alla storia. E' scritta restando fedele al punto di vista di Emma, distorto dalla malattia. Emma vede cose che non ci sono, sente delle voci.
Volevo spiegarvi anche la sua situazione familiare, ma ho cambiato idea. Alla fine, credo che sia meglio che ognuno si faccia una propria idea. Se proprio volete saperlo, Emma non è mai stata picchiata da suo padre (allucinazione). Si raggomitolava davanti ad uno specchio finché sua madre non la trovava. Ma io non ho raccontato questa storia. Ho raccontato la storia di Emma, che non vede queste cose.
Spero che vi sia piaciuta :3
Sarei felicissima di ricevere qualche recensione, davvero.
Bess
   
 
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