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Autore: Portuguese_D_Ace    12/09/2012    1 recensioni
Secondo voi, due vite possono completamente essere sconvolte? Ribaltate come se niente fosse, mentre la vita degli altri continua ad essere sempre la stessa, mentre il tempo scandisce minuti e secondi che non possono mai essere sprecati?
Lily e Luke, due normali sedicenni che vivono a San Diego, California, impareranno cosa vuol dire cercare e cercare senza sosta, senza trovare qualcosa, a volte.
Ma non tutte le ricerche sono inutili. E impareranno anche questo.
Se vi ho incuriosito, leggete questa storia.
Genere: Comico, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1

 

Lily

Per quanto possa essere lunga la mia lista nera, lui è senza dubbio al primo posto. Luke Bennett. Non c’è essere su questa terra che possa irritarmi alla sola vista quanto lo fa lui. E’ il mio acerrimo nemico. Alcune volte penso che sia venuto al mondo solamente per farmi saltare i nervi, uno ad uno. Antipatico, egocentrico, cretino…che rabbia. Quando mi passa accanto non può mai fare a meno di esporre una nuova battutina che possa far ridere il suo ricco seguito. Per quanto possa essere perfido, tutti a scuola lo ammirano e gli sono tirapiedi. In particolare, le ragazze. Molto banale la cosa. Un gruppo di oche è riunito intorno a lui puntualmente ogni giorno, dall’inizio alla fine della giornata scolastica. Insomma, ha i capelli castano chiaro che alla luce acquisiscono dei riflessi biondi e gli occhi verde intenso, che mi ricordano tanto un bosco color smeraldo. Fisico asciutto e slanciato. Diciamo che dentro non è bello quanto lo è fuori. E ci tengo a precisare che il fatto che mi stia antipatico, non vieta che lo osservi per bene. Apro il mio armadietto, ripongo al suo interno tutti i libri che non mi servono, prendo la tracolla azzurro scuro e la indosso. In questo momento, per qualche sfortunatissima coincidenza, si appoggia all’armadietto accanto al mio la persona per me più odiosa. Luke, stranamente solo, mi guarda con un sorrisetto che ancora non ho saputo decifrare.
<< Smamma, Bennett. >> Scandisco bene io senza nemmeno girarmi a guardarlo.
<< Perché devi sempre essere così acida, Lily? >> Quanto mi irrita! Deve pronunciare il mio nome sempre con una grazia innata che mi fa innervosire più di quanto io non lo sia già. Chiudo l’armadietto, con calma apparente, per fargli vedere che delle sue provocazioni non me ne importa niente. Comincio ad incamminarmi verso l’uscita e sento i suoi passi dietro di me. << Sai che quando parli con una persona devi sempre guardarla negli occhi? >>
<< Ma io non sto parlando con te. >> Sbotto io. Passo falso. Io ho parlato con lui.
<< Però ora lo stai facendo.>> Classica risposta da Bennett. Presa dall’ira (sto diventando davvero isterica) mi giro verso di lui e gli punto un dito contro.
<< Pensi di potermi lasciare stare per, non lo so…tutta la vita? >> Sono sicura che ha una laurea nella materia “come fare innervosire Lily Gray”.
<< Con te è troppo facile, Lily. >> Mi sorride, mi scocca un bacio sulla guancia e se ne va. Mi tocco la guancia dove poco prima lui aveva posato le sue labbra. Ma questo è deficiente?! Ora vado e lo ammazzo, non m’importa se passerò il resto della mia vita in una cella al buio e al freddo, ne sarà valsa la pena.  Perché tutte a me devono capitare? Capisco che sono il bersaglio preferito della sfortuna, però così non va affatto bene. Sfrego la mano sulla guancia, rendendo leggermente rosata la pelle. Inspiro ed espiro profondamente e m’incammino verso il parcheggio della scuola. Raggiunta la mia bella Citroen blu elettrico (ho insistito un sacco perché mio padre mi regalasse la macchina di questo colore) apro lo sportello e sprofondo nel comodo sedile del guidatore. Poggio le mani sul volante e cerco di rilassarmi.
Possibile che ogni giorno debba essere più pesante dell’altro?

 

Luke

E’ troppo divertente farla innervosire! Lily Gray, ragazza incredibilmente carina e acida come il latte aperto una settimana fa, è la mia fonte di divertimento, alla quale attingo puntualmente ogni giorno. Capelli mossi e rossi e occhi azzurro scuro che alcune volte mi appaiono grigi. Non è né troppo alta né troppo bassa, è snella e ha un sorriso fantastico. Ovviamente non sorride di certo con me, io sono la persona che più odia (anche se non me lo ha ancora detto esplicitamente, ne sono certo) ma quando è con le sue amiche sprizza felicità da tutti i pori. Prima di salire sulla mia macchina, la vedo entrare nella sua, restare un attimo ferma a fare non so cosa e partire per ritornare a casa sua. Quando l’ho vista per la prima volta, ho subito pensato che fosse una ragazza come le altre, come le tante che formano la mia schiera. Invece, è totalmente diversa e il che la rende interessante. Entro anche io nella mia macchina e sistemo gli specchietti retrovisori. E’ sincera e schietta. Se qualcosa non le va bene, lo dice apertamente, senza timore o vergogna. La stimo per questo. Eppure non posso nemmeno dire che io l’abbia trattata bene. Le battutine sarcastiche davanti a mezza scuola non sono mai mancate. Io sono fatto così. Non riesco mai a mantenere un buon rapporto con una persona, prima o poi la tratterò sempre male, proprio come la gente ha sempre fatto con me. Non la biasimo se mi odia. Un giorno ero arrabbiato con tutto e tutti e ci siamo scontrati nel corridoio, entrambi con una faccia da funerale. Ora che ci ripenso, può essere che anche lei avesse la luna storta…ma non è questo il punto. In mano avevo una lattina di coca cola, che le si è versata tutta addosso. Nonostante io non l’avessi fatto a posta, ne approfittai per scaricare la rabbia e le dissi: << Sai che la coca cola versata sulla maglietta ti dona? Ti fa sembrare meno orribile. >> Tutti quelli che erano lì intorno si misero a ridere, mentre lei mi mandò a quel paese con una parola e un gesto parecchio espliciti. Prendo la mia medaglietta tra le mani. Mi infonde sempre calore e conforto. Credo sia l’unica cosa riguardante i miei veri genitori che possiedo. Me la diede la mia mamma adottiva, dicendomi: “Questo è un ricordo dei tuoi veri genitori. Conservala con cura. Tua madre ha insistito tanto affinché io la prendessi e te la consegnassi, un giorno.” Da allora, questa catenina non ha più abbandonato il mio collo. Si tratta di una medaglietta in oro bianco con una grande L intagliata. La cosa che mi ha sempre affascinato di questo ciondolo è la parola che è intagliata nel retro: Ylli. Mi sono sempre chiesto cosa potesse significare, però non ho mai trovato una risposta a questa domanda. Per non mostrarla mai agli altri, la nascondo sotto la maglietta. Le domande richiedono delle risposte e le risposte implicano uno scambio d’informazioni che, a sua volta, potrebbe rivelare molto, anzi, troppo sul mio conto. E questo non deve succedere.

Lily

Non m’interessa se ha la febbre, né tantomeno se vomita ogni cinque minuti in una bacinella. Io ho bisogno di sfogarmi, quindi, invece di girare a destra, cosa che mi permetterebbe di arrivare a casa mia, giro a sinistra imboccando una strada statale che, dopo qualche metro, mi porterà nella bella casa della mia migliore amica Ellie. Devo proprio calmarmi, oggi sono particolarmente nervosa. Accosto di fronte casa di Ellie e prendo la mia medaglietta tra le mani, sfiorandone con l’indice il dorso. Una volta, mentre frugavo di nascosto tra le cose di mia madre, trovai questo ciondolo che m’incuriosì molto. Lo presi, me lo misi al collo e non lo tolsi più. Quando mia madre vide che lo stavo indossando si arrabbiò un po’ e poi mi guardò con sguardo triste: non potrò mai dimenticare quell’espressione. Il ciondolo è davvero particolare, per questo mi è piaciuto subito. Ha intagliata una L nell’oro bianco, anche per questo ho sempre pensato che fosse destinata a me, e nel retro, sempre intagliata, vi è una parola: Ukle. Non sono mai riuscita a comprenderne il significato, sono arrivata addirittura a pensare che fosse una parola in qualche strana lingua. Mia madre dice che era della sua bisnonna e che si era tramandata. Nemmeno lei e mia nonna ne capirono il significato. Slaccio la cintura di sicurezza, rimetto il ciondolo sotto la maglietta, dove lo tengo sempre e scendo dalla macchina. Mi dirigo verso la porta di casa e suono il campanello. Mi apre una signora sulla quarantina, dai capelli castani, gli occhi nocciola e un viso rassicurante: la madre di Ellie.
<< Lily! >> Mi abbraccia. Ormai la conosco da un sacco di tempo e una signora così simpatica, non può non divenire una seconda mamma per te. << Tutto bene oggi a scuola? >>
<< Certo, Claire. >> Quando l’ho conosciuta, ha messo subito in chiaro una cosa: non voleva che la chiamassi “signora” o per cognome. Non voleva nemmeno che le dessi del lei. Mi raccomandò semplicemente: << Chiamami col mio nome di battesimo, ovvero: Claire. E non darmi del lei! >> Inizialmente mi sembrò strano, poi però ci presi l’abitudine. Mi conduce verso la cucina, dove si rimette all’opera.<< La professoressa Bailey…>>
<< Chi? L’arpia nel mondo di inglesolandia? >>  Sorrido. Ho dimenticato di dire che è una mamma molto moderna? Ci credo che lei e mia madre vanno molto d’accordo. Sono parecchio simili; stessi gusti, stesse idee…diciamo che le madri sono migliori amiche e le figlie altrettanto.
<< Esatto. Si è rotta la gamba in un incidente casalingo, ci hanno rifilato un supplente che ci ha lasciato un compito abbastanza banale e fastidioso. >> Fa una faccia confusa. << Ci ha detto di descrivere noi stessi e la nostra vita brevemente. >> Le spiego meglio io.<< Sicura che non sia uno psicologo inviato in incognito dalla scuola? >> Apro bocca, ma prima di poter iniziare a parlare, un’altra voce a me molto familiare, si intromette nel discorso.
<< Secondo me, non sapeva che farvi fare. >> Mi giro verso la porta che dà sulle scale. Una Ellie dai capelli castani e lisci spettinati e dal pigiama spiegazzato, mi appare davanti. Ha un fazzoletto appallottolato in mano.
<< E’ un angelo quello che ho davanti? Non riesco a guardarlo! Sono troppo abbagliata dalla luce che emette! >> Giro la testa dall’altra parte e mi porto le mani agli occhi, come se fossi veramente stata abbagliata da qualcosa.
<< Ma quanto sei simpatica. >> Fa una smorfia, io e sua madre ridiamo e la guardo nuovamente in faccia. Si è avvicinata e si sta sedendo in una sedia disposta vicino al tavolo. << Qual buon vento ti porta qui, mia cara compagna di avventure? >>

Sbuffo e mi siedo anch’io. << Un vento molto irritante. >>
<< E Luke colpisce ancora, ragazzi! >> Esulta lei tutta contenta. E’ fermamente convinta che io e lui siamo fatti l’uno per l’altra e bla bla bla. Si alza dalla sedia e io la seguo con lo sguardo. << Mamma noi andiamo di sopra. >>
<< Ok, ma non portarla nella tua stanza. Devo pulirla, c’è uno schifo. >> Si lava le mani. << Andate nel salone. >>
<< Va bene, mamma.>> Mi alzo dalla sedia anche io e saliamo insieme le scale. << Allora, Lily, possibile che quel figo debba sempre starti antipatico? >>
<< Ma è antipatico, Ellie! >> Nonostante si riferisca a Luke con la parola “figo”, non gli va dietro (ringraziando il cielo). Non sbava per lui come il novantanove percento delle ragazze della scuola. Si butta pesantemente sul divano. << Lily, Lily, Lily…secondo me ti viene dietro, e pure a te piace un bel po’. >> Non che Ellie sia una grande romanticona, ma quando ci si mette non scherza. 
<< Guardi troppi film. >> Mi butto anche io sul morbido divano bordeaux e scuoto la testa. << Oggi si appoggia all’armadietto accanto al mio. Io, ovviamente, senza nemmeno degnarlo di uno sguardo…>>
<< Cosa che si merita pienamente. >> Aggiunge lei. Annuisco e continuo a raccontare.
<< Gli ho detto di andarsene e lui se n’è uscito con un “Perché devi essere sempre così acida, Lily?” Continuando a non guardarlo, ho chiuso l’armadietto e mi sono incamminata per l’uscita e…>>
<< Gran bella mossa, amica mia. >> Possibile che mi debba sempre interrompere?
<< Ellie, potresti commentare alla fine del racconto? E poi che mossa e mossa! Io volevo tornare a casa! >> Ride e sta zitta. << Lui mi ha detto che quando si parla con una persona bisogna guardarla negli occhi. Allora io gli ho replicato che non stavo parlando con lui. >>
<< Questa però non è stata una bella mossa. Non va bene, Lily. >> La fulmino con lo sguardo, ricordandole che mi ha interrotto per l’ennesima volta.
<< Naturalmente, il signorino non ha perso l’occasione per farmi notare che effettivamente, stavo parlando con lui. Arrabbiata…>>
<< …come al tuo solito. >> Sospiro. Mi sventolo con la mano, rendendomi conto in quel preciso istante che in quella stanza fa davvero caldo. La guardo male (un’altra volta) e continuo a raccontarle.
<< Mi sono girata verso di lui, l’ho guardato negli occhi, gli ho puntato il dito contro e gli ho chiesto di lasciarmi in pace per il resto della mia vita. >> Scoppia a ridere. Cosa ci trova di divertente? << Io sono disperata e ti faccio ridere?! >> Le domando con enfasi. Per tutta risposta continua a ridere come una deficiente talmente tanto che le escono le lacrime dagli occhi e diventa tutta rossa.
<< Con il suo sorriso smagliante. >> Continuo io, non curandomi della risata continua della mia migliore amica. << Mi ha detto “con te è troppo facile, Lily. >> Lo imito io malamente. << E mi ha dato un bacio sulla guancia. Ora, ti sembra normale?>> Ellie smette di ridere e mi guarda con la bocca aperta. Con la mano destra gliela chiudo e con un gesto la incito a parlare. Infine si alza, salta ed esulta ripetendo << Avevo ragione! >> oppure << Lo sapevo, lo sapevo! >> Ma è impazzita? Io vengo da lei perché mi faccia rinsavire e, invece, trovo una persona di gran lunga meno normale di me. Ora mi trovo uno psicologo. Si risiede e mi guarda sorridente.
<< Io lo sapevo, Lily! Lo sapevo che gli piacevi! >>
<> Sembra pensarci un attimo, poi mette il broncio, delusa.

<< Perché devi rovinare le mie fantasie? Comunque io avrei un’idea. >> Bene, Ellie ha un’idea. E quando Ellie ha un’idea, la situazione promette bene. Annuisco e ascolto quello che ha da dirmi. << Scopri cosa da fastidio a lui e torturalo. Insomma, devi fargli capire che deve lasciarti in pace. Ammetto di essere dell’opinione che insieme stareste una favola, però se proprio non lo sopporti…>> Tombola. Ellie ha ragione! Come ho fatto a non pensarci prima? La abbraccio e la stritolo bene per un po’, mormorando << Grazie, grazie, grazie! Questo si che è un buon piano. >>
<< Lily? Mi stai stritolando e poi…devo andare a vomitare. >> La lascio immediatamente e la guardo correre verso il bagno. Povera Ellie.
***
Dopo aver seguito Ellie in bagno e averle tenuto i capelli mentre, ehm…rigurgitava (non pensate che sia stato un bello spettacolo) ho salutato lei e sua madre e sono risalita in macchina. Sono a malapena le cinque del pomeriggio e ancora non vi è traffico nelle strade. Mi fermo al semaforo e osservo l’ambiente intorno a me. Essendo una strada principale, qui non vi è altro che negozi. Negozi di abbigliamento, di make-up, di arredamento, di musica, ristoranti…un attimo. Io devo comprare delle cuffie, ieri ho messo le mie K.O. Svolto a destra e parcheggio la macchina in un vicolo ceco utilizzato appunto per parcheggiare i mezzi di trasporto, in quanto questa sia una zona abbastanza commerciale. Mi dirigo verso il negozio di musica che avevo visto prima. Ha una bella insegna dal colore rosso brillante, sulla quale sono state disegnate una chiave di violino e delle crome che fanno di cornice alla parola “Muzik”. Entro e penso subito di trovarmi in paradiso. Ho sempre amato i negozi di musica, ho sempre amato gli strumenti musicali in generale, ma non ne ho mai potuto suonare uno; mio padre è fermamente contrario a quest’idea. Dopo vari tentativi di convincimento da parte mia e i relativi e ripetuti “no” da parte sua, mi sono arresa, accettando l’evidenza. Mi guardo intorno. Uno scaffale pieno di cd si estende sulla parete opposta all’entrata. Accanto, invece, sono sistemati dei vecchi dischi e un grammofono dall’evidente valore, in quanto tenuto come meglio si può. Chitarre classiche, acustiche ed elettriche appaiono agli occhi come un’armoniosa esplosione di colori. Un pianoforte a coda nero, di marca “Yamaha” è posto nel lato destro dell’enorme negozio. Alcune batterie, di cui anche elettriche, sono disposte in fila nel lato sinistro della stanza. Alcune persone sono sedute nello sgabello e le suonano, incuranti delle persone intorno. Piatti per batteria, bacchette, triangoli, conga, bongos e altri strumenti da percussione sono esposti in vetrina e messi ad ornare l’ambiente del fantastico negozio. Degli scaffali al centro della camera, attirano la mia attenzione. Mi avvicino e noto che vi sono quaderni pentagrammati, poggiapiedi ed ergo play che servono per suonare la chitarra classica, plettri di tutti i tipi e i colori e, finalmente, delle cuffie da collegare al computer. Devo sceglierne un paio abbastanza economico, ma pratico. Mentre rifletto, sento in lontananza un suono soave che richiama immediatamente la mia attenzione. Mi guardo intorno, spaesata, cercando di capire da dove possa provenire quella melodia. Ascolto attentamente il suono e cammino automaticamente, seguendone l’intensità. Arrivo davanti ad una porta, vicino alla cassa. E ora come faccio? Tecnicamente alla cassa non c’è nessuno e l’unico dipendente in negozio è impegnato a servire un ragazzo. Mi aggiro furtivamente e apro la suddetta porta silenziosamente, la oltrepasso e me la chiudo alle spalle. Butto fuori un sospiro. Voglio vedere adesso come faccio ad uscire… Sono andata a finire in un lungo corridoio in penombra, dove il suono è sempre più intenso, sempre più coinvolgente, sempre più presente. Mi muovo verso sinistra e trovo una porta socchiusa dalla quale proviene quella musica meravigliosa. Sbircio dalla fessura: un ragazzo sta suonando un magnifico pianoforte a coda bianco. Una flebile luce proviene da un piccola finestrella, illuminandone leggermente il profilo delicato e i capelli che alla luce sembrano quasi biondi, che si arricciano leggermente all’altezza delle orecchie. Gli occhi sono chiusi e il corpo si muove un po’, lasciatosi trasportare da quelle molteplici note. Lo osservo rapita. Questa melodia racchiude in sé una malinconia e una tristezza incredibili, credo che rispecchi i sentimenti interiori del ragazzo misterioso. Continua a suonare, noncurante del fatto che lo sto ascoltando mentre nella mia mente prende forma un’immagine. La pioggia e la grandine che battono incessantemente alla finestra. Una stanza buia, illuminata solamente da una candela. Due persone, di cui una ragazza dai capelli rossi come i miei sta cullando un piccolo fagotto, canticchiando dolcemente una ninna nanna. Un uomo, dagli occhi color tempesta e i capelli castano chiaro poggia entrambe le mani sulle spalle della ragazza. Ella alza gli occhi e sorride felicemente. Accanto a loro scorgo una culla bianca e dal delicato velo rosa. Ad un tratto, il bambino in braccio alla madre comincia a piangere, sofferente e talmente tanto forte da produrre abbastanza rumore per due neonati. Un fulmine cade proprio vicino alla loro casa, la giovane coppia è allarmata e…io mi sento cadere a terra. In questo stesso ed identico momento, odo un accordo stonato e un imprecazione pronunciata a fior di labbra. Sento lo strisciare dello sgabello sul parquet e i suoi passi avvicinarsi a me. Non alzo lo sguardo, per vedere che viso ha. Sono ancora troppo scossa e confusa dalla visione di prima. Il ragazzo s’inginocchia accanto a me e mi mette la mano sulla spalla; percepisco distintamente i suoi movimenti.
<< Lily? >> Esclama tutto ad un tratto. Mi giro verso di lui e lo riconosco immediatamente.
<< Luke?! >>
   
 
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