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Autore: TeamWolf    13/09/2012    0 recensioni
alve a tutti voi, coraggiose creature che vi accingete a leggere! Questa storia parla del viaggio di una ragazza, Angelica. All'inizio può sembrare solo la storia di un'apocalisse, ma non è così semplice. Sarà davvero una semplice umana? O il mondo in realtà è un gran casino di cui pochi, o nessuno, sanno qualcosa? Quale mondo, quale vita, quale strada sceglierà di percorrere? Diventerà una dittatrice temuta, oppure una regina amata dal suo popolo? Abbandonate ogni speranza, o voi che entrate…o forse no?
(ambientata nello stesso mondo della serie NIGHTERS di Nydrali)
Genere: Avventura, Generale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Quattro

 
Era da mezz’ora che la macchina si era impallata nella neve e stavano ancora cercando di farla ripartire. Avevano scavato tutto intorno alle ruote per liberarle dalla neve, ma ora era l’auto in se, a non volerne proprio sapere di accendersi. Sia Monica che suo figlio Luca, e Giulia, la sorella di Monica, avevano tentato più volte di chiamare aiuto, ma tutti i cellulari erano ostinatamente fissi su “nessun segnale”. E questo a Luca non piaceva per niente. Probabilmente sua madre e sua zia non ci avevano dato troppo peso, né all’assenza di segnale, né alle notizie che avevano sentito alla radio, ma lui l’aveva capito che stava succedendo qualcosa di grosso. Non era normale che una semplice bufera disturbasse a tal punto i segnali!
Luca ancora non capiva cosa ci facesse, lì con sua madre e sua zia Giulia. Non ci voleva nemmeno andare, con la mamma a prendere la zia! Ma Monica non aveva voluto sentire ragioni. Mica poteva lasciare sua sorella da sola a Natale!
Ed eccoli lì a cercare di scaldarsi le mani dopo la scavata nella neve, a pochi chilometri da casa, senza poterci arrivare.
 
 
 
 
 
Erano tutti stanchissimi, si erano appena ritrovati nella zona industriale della città e stavano aspettando gli altri per ripartire tutti insieme. Mancavano solo Edoardo e Morgana.
« Allora…da qui per dove andiamo? » chiese subito Martina, stretta al marito in cerca di calore.
« Dal suo ragazzo che vive qui in zona…nessuno è passato dal cavalcavia per avere una visuale più ampia?».
« No, ci saremmo rallentati troppo ».
« Ma perché ha fatto tutto questo casino invece di farsi portare? ».
« Ci ha provato a dirmelo, ma le ho detto di no e basta ».
« Non potevi sapere cosa avrebbe fatto, non è colpa tua » Lo rassicurò Valeria.
« Ecco Edo e Morgana! » Esclamò Gianni concludendo la conversazione.
« Scusate il ritardo, ci siamo persi in un tratto ».
« Ora dove andiamo? » chiese in fretta Morgana, che ne aveva fin sopra i capelli di quella faccenda.
« Io direi di proseguire tutti lungo la statale, anche senza dividerci, tanto ormai non manca molto ».
E ci fu l’esplosione. Potente, assordante e inaspettata.
« Che diamine è stato? » esclamò Morgana guardando il marito.
Nessuno si prese la briga di risponderle, ma tutti scattarono in direzione della colonna di fumo e del puzzo di benzina che si stagliavano nell’aria.
Quando arrivarono alla casa, Valeria e Mario ebbero un tuffo al cuore, seguito da un altro quando videro le due figure muoversi lentamente poco distanti dalle fiamme, in mezzo alle macerie.
« Angelica! » riconobbe Valeria. Subito tutti corsero dalle due figure sdraiate a terra che lentamente cercavano di alzarsi a sedere.
 
 
 
 
Cavolo! Altro che le rialzate scattanti dei film! Angelica si lasciò cadere su un lato, lasciando anche Sabrina libera di muoversi, ma senza mollarle il polso. Non voleva rischiare che una volta che si fosse ripresa cercasse di nuovo di tornare là dentro.
Dio, che sensazione assurda! Non ci sentiva niente! Si mise seduta, ma se ne pentì immediatamente, colta dal peggior capogiro che avesse mai avuto. Si stese di nuovo a terra, gemente di dolore.
Al suo fianco Sabrina, altrettanto stordita, non faceva alcun tentativo per alzarsi. Si era raccolta in posizione fetale, con lo sguardo rivolto alle fiamme. E piangeva. Piangeva per la sua casa, per le sue cose, per i sui ricordi. E piangeva per il suo papà.
Soltanto quando sentirono dei tocchi sulle spalle, le braccia, la schiena, che si accorsero della presenza degli altri.
Valeria s’inginocchiò davanti alla ragazza, continuando a chiamarla e a chiederle cosa fosse successo. Ma lei sentiva solo un brusio indistinto. Ancora mezza intontita, le fece segno di aspettare. Dopo diversi secondi, in cui sua madre teneva le labbra serrate, l’udito le tornò.
Guardò a sinistra e vide le sue zie intente a calmare Sabrina, che piangeva disperata. Tutti gli altri erano intorno a lei.
« Che ci fate qui? ».
« Siamo venuti a cercarti stupida! A che diamine stavi pensando, eh? ».
« Edo… » lo rimproverò Lorenzo « Ange, che è successo qui? ».
« Un’autocisterna ha sfondato il salotto. Sono arrivata giusto in tempo per tirare fuori lei… ».
« E gli altri? ».
La ragazza tossì parecchio prima di riuscire a continuare a parlare « C’erano solo lei e Federico, gli altri sono a Trecate ».
« Ma… Federico? ». Valeria se lo sentiva, dov’era il padre della bambina. Ma doveva sentirselo dire. Solo così sarebbe stato reale e non solo un incubo. Non più qualcosa che potesse rifiutare.
« …morto » dichiarò in un sussurro glaciale. Ancora troppo sconvolta per descrivere ad alta voce ciò che aveva visto. Dio, pover’uomo! E Sabrina! Sabrina che aveva dovuto guardare suo padre ucciso e sfigurato. Sabrina che non riusciva, non poteva, accettare che il suo papà non c’era più. La stessa povera, piccola Sabrina che adesso si dibatteva urlando e piangendo disperata tra le braccia delle sue zie.
« Sabrina l’ha visto? ».
« Si. Non smetteva di fissarlo, anche mentre la portavo via… E continuava a chiedermelo “Aiuta papà, salva papà.”» si lasciò sfuggire un singhiozzo « Non sapevo cosa fare… riuscivo solo a pensare che dovevo tirarla fuori di lì… » concluse scoppiando in un pianto liberatore.
Voleva sbarazzarsene, di tutte quelle emozioni delle ultime ore. Dello shock, della paura, dell’ansia, di tutte. Doveva sfogarsi almeno un attimo prima di ricominciare. Perché si, voleva andare a Trecate e dopo quello che era successo e stava succedendo, col cavolo che si sarebbe lasciata fermare.
« Avete chiamato i soccorsi? » gridò loro Morgana, che ancora teneva stretta Sabrina. La piccola, ormai esausta, non si dibatteva più, ma continuava a piangere.
« Nessuno di noi ha campo ».
« Quindi che si fa? ».
« Ovvio » parlò per la prima volta Mario e Angelica già sentiva che non sarebbe stata d’accordo « Andiamo tutti a casa e passiamo a lasciare Sabrina all’ospedale e passiamo anche alla caserma dei vigli del fuoco per avvisare dell’incendio ».
La ragazza non attese oltre. Si alzò, si ripulì dal viso le lacrime e prese la statale. Verso Trecate.
« E tu dove credi di andare? » le urlò il padre. Lei nemmeno si voltò « A Trecate ».
Lo sapeva, che era chiedere troppo al suo corpo, soprattutto adesso che aveva dovuto cedere la giacca a vento a Sabrina, ma non poteva tornare a casa. Non senza di lui.
Almeno la temperatura era salita. Lo dimostrava il fatto che la bufera si fosse trasformata in una fitta pioggia, con tanto di tuoni e lampi. Ormai era talmente bagnata che le sembrava che avrebbe passato il resto della vita ad asciugarsi da tutta quell’acqua.
Ma non si poteva ancora fermare. Doveva trovarlo. Sentiva che quel cataclisma non era normale. Quella pioggia non era normale. Aveva un odore acido, strano. Non era semplice pioggia. E poi aveva quel formicolio tra le scapole, come un prurito. Lo stesso formicolio che aveva sentito nei giorni della valanga bianca. Quindi doveva per forza stare succedendo qualcosa. Quindi doveva trovare Luca.
Sentì la presa ferrea di suo padre agguantarle un polso e tirarla in direzione opposta « Mollami! ».
« Non andrai ad ammazzarti per una stupida cotta! Muoviti! Si va a casa! » la strattonò ancora il padre. Ma non lo capiva che lo faceva solo per proteggerla? Non aveva rischiato abbastanza?
Angelica continuava a dibattersi, graffiava la mano del padre, tirava, torceva il braccio. Tutto nel tentativo di liberarsi da quella stretta che la allontanava sempre di più dal suo obbiettivo. A fermarla, fu la sagoma, contorta dall’acqua, di un’auto in lontananza.
Mario si voltò, allarmato da quel cambiamento e la vide anche lui, nello stesso momento in cui Edoardo chiedeva « E il tizio dell’autocisterna? ».
 
 
 
 
 
Finalmente erano riusciti a ripartire. Certo, andavano a malapena a venti all’ora, ma era sempre meglio di niente.
Luca continuava ad alitarsi sulle mani e tentava disperatamente con tutte le sue forze di ignorare le ciance inutili e insensate di sua madre e sua zia.
Per amore del cielo! Possibile che quelle due non si fermassero nemmeno per un secondo? Come facevano a blaterare così con tutto quello che avevano detto alla radio? E con quello che stavano dicendo!
Luca chiuse gli occhi, sforzandosi di concentrarsi sulla radio, no semplice non tutto quel vociare. Anche se, anche se ci fosse stato silenzio, con tutte le scariche che si sentivano, si faticava comunque a seguire bene il discorso.
« … Lo ripetiamo: non uscite di casa. Secondo gli esp… tempesta che si accanisce… ma anche sul resto del globo, non è un semplice fenomeno meteorologico… sostengono che… non sia possibile naturalmente… quindi…causato… ».
Causato? Come causato? Quel casino sarebbe fatto apposta? Perché? Chi potrebbe volere una cosa del genere? Gli scienziati pazzi che vogliono conquistare il mondo mica esistono davvero… no?
Il flusso dei suoi pensieri venne interrotto da un potente boato.
« Che è stato? Non mi è sembrato un tuono ».
« Non saprei… ma sembrava piuttosto vicino ».
« Quello là è fumo? ».
« Credo di si, anche se con tutta questa pioggia faccio fatica a vedere bene ».
Finalmente, i tre superarono il cartello posto all’ingresso della città.
Il ragazzo continuava a fissare quella colonna scura, sempre più vicina, e la strana luce che s’innalzava con essa.
Quando oltrepassarono l’autorimessa dell’angolo, svoltando la curva, Monica quasi perse il controllo dell’auto dallo shock.
La loro casa non c’era, o meglio, c’era, ma era divorata dal fuoco, nonostante la pioggia scrosciante.
I tre scesero immediatamente dalla macchina e corsero verso la casa.
L’acqua impediva loro di distinguerne i volti, ma vedevano un folto gruppo di persone sulla strada, davanti alle fiamme. Qualcuna di loro era a terra.
« Ehi! » gridò Monica.
Sabrina, sentito l’urlo di sua madre, si dimenò dalla stretta di Martina e schizzò, ancora piangendo, dietro ad Angelica, ansiosa di rifugiarsi nell’ abbraccio della mamma.
Tutte le persone si voltarono verso quel grido e Angelica ebbe un tuffo al cuore nel riconoscere la figura imponente di Luca correre verso di lei nella pioggia.
Sgusciò via dalla presa del padre e con le poche forze che le rimanevano in corpo, prese a correre verso di lui, chiamandolo a gran voce.
Luca, dal suo canto, quando sentì la sua voce chiamarlo corse ancora più in fretta, preso da una strana ansia di stringerla. Come se avvertisse un pericolo imminente.
Nel momento esatto in cui la ragazza sentì le braccia di Luca avvolgerla dimenticò ogni cosa.
Non sentiva più il freddo, la paura, la stanchezza; sentiva solo le labbra di lui che le baciavano ripetutamente la fronte, i loro cuori che battevano impazziti, le sue braccia strette al collo di lui.
Più avanti, a un paio di metri da loro, Monica era inginocchiata a terra e stringeva forte al petto la piccola Sabri, avvolta in quella giacca nera troppo grande per lei.
« Amore! Sabri! Come stai? Che è successo? Dov’è papà? ».
A sentir nominare il padre, la bambina riprese a piangere con forza, incapace di parlare, troppo sconvolta per dire tutto alla mamma.
Luca prese tra le mani il viso di Ange e solo in quel momento si accorse di quanto fosse fredda. Aveva le labbra e la punta del naso viola, le dita arrossate e batteva i denti. Tremava tutta. Non smise di stringerla mentre si faceva raccontare cos’era successo.
Il ragazzo cadde a terra in ginocchio, ancora sorretto da Angelica. Sconvolto, distrutto. Suo padre era morto.
Non sapeva cosa pensare. La sua mente era come spenta, assopita. Si lasciò stringere e cullare da lei e solo quando la ragazza iniziò a piangere con lui si accorse del proprio pianto.
Monica, che aveva sentito tutto, si sentiva svenire. Voleva urlare, piangere, ma non poteva. Doveva essere forte. Anche se la testa le vorticava. Doveva tenere duro. Non per se stessa, no. Di lei non le importava. Doveva farlo per i suoi figli. Doveva farlo per gli altri. Gli altri. Gli altri! Gli altri dovevano sapere!
Si voltò e incrociò lo sguardo con sua sorella. Aveva già capito.
Giulia si avvicinò, prese Sabri in braccio e face un rapido cenno a Monica. Le due donne si avviarono verso la casa. Monica piangeva in silenzio.
I due ragazzi videro quello strano scambio. Luca s’infuriò. Come faceva a stare così tranquilla? Suo marito era morto e lei stava come se niente fosse! Si alzò furente, pronto a sfogare tutta la rabbia con sua madre, ma Ange lo trattenne, stringendogli le braccia attorno alla vita. Abbassò lo sguardo e vide che anche lei si era stranita di quel comportamento. Rimasero in silenzio e seguirono le due donne verso la casa, ormai a pochi metri.
Monica e Giulia andarono a passo svelto verso la casetta per gli attrezzi sul retro, ignorando completamente le macerie infuocate. Ange e Luca raggiunsero gli altri e tutti seguirono le due donne.
Giulia era rimasta sull’ingressa della casetta con Sabri ancora in braccio e Monica era dentro.
Cercava tra gli scaffali più alti, messi in fondo alla parete, una piccola scatoletta di legno, che avrebbe tanto voluto dimenticare. La prese tra le mani e si sedette a terra, appoggiandola davanti a sé.
Inspirò, la aprì e ne prese il contenuto, ignorando il medaglione che anni prima aveva voluto distruggere, ma che Federico la aveva convinta a conservare “in caso di necessità”.
Così la trovò la sorella, china sulla scatoletta scura, con il piccolo corno tra le mani.
« Non dovresti prendere anche il medaglione? ».
« No. Deve restare fuori da tutto questo. ».
« Qualche domanda te la farà visto quello che sta per vedere. ».
« Non importa, non finirà in mezzo a questo casino. ».
« Ci è già. ».
Monica serrò le labbra e si alzò.
« Come vuoi. » concluse Giulia scansandosi per far passare la sorella.
Monica uscì dalla casetta degli attrezzi e ignorando gli sguardi sconvolti posati su di lei suonò il corno. Quattro volte. Era il segnale.
Per diversi secondi l’unico suono che sentivano fu lo crosciare della pioggia, di cui nessuno si curava più visto che erano bagnati fono alle ossa. All’improvviso però, il silenzio venne interrotto da dei forti ululati.
Tutti sgranarono gli occhi e prima che chiunque potesse fare qualcosa un ammasso di pelo candido piombò tra di loro.
Fu il panico.
Morgana svenne tra le braccia del marito, Mario e il fratello spinsero le mogli dietro di loro, Edoardo indietreggiò, Sabri si nascose terrorizzata dietro alla madre, Luca strinse Ange, pronto a spingerla via se quella cosa li avesse attaccati, e lei fissava sconvolta la creatura che si era messa su due zampe e fissava attentamente la casa in fiamme.
Le orecchie ritte pronte a captare ogni singolo suono, i grandi occhi azzurro ghiaccio, delle dimensioni di una pallina da tennis, scandagliavano con attenzione la casa, il muso lungo e dritto, arricciato per il fastidioso odore di benzina e fumo, mostrava una lunga fila di denti bianchissimi e affilati come rasoi.
Il licantropo si lasciò cadere sulle quattro zampe e spostò lo sguardo su Monica. Vide i suoi occhi lucidi di lacrime trattenute, Sabri aggrappata ai fianchi della mamma che non lo guardava, troppo impaurita per farlo, e vide Giulia guardare con dispiacere quelle famiglie, la cui vita era stata irrimediabilmente sconvolta. Si voltò e le guardò anche lui. E la vide.
Stanca, infreddolita e distrutta, ma era lei. Ne era sicuro. Era cresciuta, cambiata, ma lui non avrebbe mai potuto non riconoscerla. Angelica.
Senza nemmeno accorgersene, il licantropo si era avvicinato lentamente alla ragazza, abbassandosi per portare gli occhi all’altezza di quelli di lei, sperando che lo riconoscesse.
Ange lo guardò negli occhi e la consapevolezza di chi fosse quel lupo le piombò addosso.
Lentamente, quasi timorosa, poggiò una mano sul grande muso bianco.
« Marco… Sei tu? ».
Il licantropo si illuminò, subito azzerò la distanza che li separava e incurante di tutto il resto, incluso Luca che li guardava basito, la circondò con una zampa e l’abbracciò.
La ragazza, dal suo canto, non riusciva a crederci. Era Marco! Era certa che non lo avrebbe mai più rivisto. Lo aveva capito, che la valanga bianca non era stata un sogno, ma non credeva possibile rivedere qualcuno conosciuto allora! Strinse con forza il pelo bianco e caldo dell’half-breed e ripensò all’ultima volta che lo aveva fatto. Quando era morta.
Quel momento fu spezzato da una coperta, lanciata da Giulia, che cadde addosso ad entrambi.
« Trasformati. Dobbiamo parlare. ».
   
 
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