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Autore: England    13/09/2012    1 recensioni
Joey è morto.
E’ l’unica consapevolezza che mi rimane. L’unica cosa certa che la vita mi abbia offerto-imposto.
E’ morto il 28 novembre 2001 a soli diciassette anni per un tumore al cervello.
-una commovente storia che ha come protagonisti due fratelli. Arrivata seconda al Contest on Incest.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
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Atto Terzo
 

“Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e senza alcun sospetto.

Per più fiate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.”


Divina Commedia; Dante

 
Joey è morto.

E’ l’unica consapevolezza che mi rimane. L’unica cosa certa che la vita mi abbia offerto-imposto

E’ morto il 28 novembre 2001 a soli diciassette anni per un tumore al cervello.

Forse è stata colpa mia, ma gli psicologi mi dicono che non avrei potuto fare niente.

Non ce ne siamo accorti; io non me ne sono accorto, è abbastanza da rendermi colpevole della sua scomparsa.

Pensavamo solo che fosse un po’ strano. Un po’ particolare.

Alla fine lo era; ma nel modo più sbagliato.

< Ethan -disse un giorno- ma le vedi anche tu, quelle fate? >

Avevo voltato la testa, non avevo visto niente. < Non c’è niente qui,Joey. > Non c’era niente per me.

< Ethan, Ethan, guarda… >  E indicava un punto impreciso nel cielo, io guardavo, ma non vedevo.

Lui vedevatutto invece.

Alle volte non parlava, ma rimaneva a guardare qualcosa che-io-non-so, stava zitto, sorrideva di tanto in tanto -dio com’era bello- e sospirava.

Alle volte mi chiedo che cos’è che vedesse di così bello per farlo essere così felice, non potrò mai saperlo né immaginarlo, nessuno può.

Joey non era un ragazzo problematico, non faceva mai niente di stravagante o fuori dalle righe, solo questo suo essere sempre assente gli provocava qualche guaio a scuola, durante le lezioni.

I suoi compagni dicevano che era lunatico, ma nonostante questo al suo funerale piangevano tutti.

A Joey piaceva recitare, gli piaceva da impazzire. Adorava l’opera.

Sapeva che sarebbe morto quando mi disse che avrebbe voluto vedere La Turandot per l’ultima volta.

Era la sua preferita.

La Turandot.

Uscii dall’ospedale per andare a prendere la videocassetta a casa. Lui aveva tutta la collezione e quando tornai lui era morto.

Quella stessa sera aveva recitato nel teatro affianco all’ospedale nel quale era stato ricoverato gli ultimi giorni.

Paolo e Francesca.

Quella storia gli piaceva, gli piaceva il modo in cui era nato quell’amore, gli piaceva perché era il modo in cui era nato il nostro.

Solo due anni prima, nel teatro della nostra scuola.

Io e mio fratello siamo sempre andati d’accordo, non avevo mai un motivo per litigare con lui, e se c’era me ne dimenticavo quando lo vedevo.

Adoravo mio fratello, era la cosa più preziosa che avevo nella mia vita, l’unica.

Quel giorno in casa nostra c’eravamo solo noi.

Ero seduto sul suo letto, quel suo letto, lui vicino a me.

Gli accarezzavo i capelli biondi, gli cadevano lungo il viso, erano bellissimi quei capelli lucenti, erano morbidi e gli rendevano giustizia, a quel viso d’angelo.

< Ethan -adoravo il modo in cui pronunciava il mio nome- Ethan, recita insieme a me. >

Scoppiai a ridere, sapeva che ero pessimo nella recitazione.

Aveva insistito. < Ti prego, solo l’atto terzo. >

L’atto terzo Joey, sempre e solo l’atto terzo avrei voluto recitare con te.

Aveva un leggio sul quale era poggiato il copione, mi avvicinai e lessi.

< Ah… la parola che i miei occhi incontrano… >

Lui sorrise, mi guardò. < Continua - Ethan - >

Ogni sua parola era un ordine.

< E Galeotto dice: "Dama, abbiatene Pietà"
"Ne avrò" dice ella
"tal pietà, Come vorrete; ma non mi richiede di niente . . . " Volete seguitare?> E mi voltai a guardare Joey.
Lui mi osservava; le sue battute le sapeva a memoria.

< Guardate il mare come si fa bianco! >

In realtà mi resi conto di aver sbagliato.

Era lui che doveva fare Paolo, ed io Francesca. Le prove servivano a lui, non a me.

Ma quando lessi il copione mi venne naturale leggere la parte maschile. Lui però non disse nulla.

Era tutto nei suoi piani. Nei suoi amabili piani che calcolava perfettamente.

Continuai.

< Leggiamo qualche pagina, Francesca…
"Certamente, dama" dice allor Galeotto, "ei non si ardisce,
Né vi domanderà mai cosa alcuna
Per amore, perché teme."
Et essa dice . . . >
Mi fermai a leggere i gesti, allora mi voltai verso Joey che si stava già avvicinando. Allungai una mano, presi la sua, morbida e calda, lo avvicinai al leggio.

< Ora leggete voi
Quel ch'essa dice. Siate voi Ginevra… >


Chinò il capo sul leggio, i suoi capelli biondi sfiorarono il mio viso, ne sentii il profumo e chiusi gli occhi.

L’odore dei suoi capelli ricordava l’odore delle albicocche mature: era lo shampoo che usava. Diceva che gli piaceva, sapere di frutta.

Piaceva anche a me, ma non gliel’ho mai detto. Non per egoismo o vergogna, fu solo che il tempo fu più veloce di me.

Seguitò lui: < "Certamente, dice essa, io gli prometto;
Ma che egli sia mio et io tutta sua,
E che emendate sien tutte le cose
Mal fatte . . . " Basta, Paolo. >


< No… leggi ancora… > Lo dissi io, senza leggere il copione.

Mi venne spontaneo, mentre i miei occhi seguivano la linea delle sue labbra mentre si muovevano lente. Leggermente lucide e rosee come il petalo della più bella rosa.

Avvicinai il viso al suo, la mia guancia contro la sua. Sentivo il calore delle sue gote, sorrisi.

Lui sospirò, si morse la bella bocca e proseguì: < "E la reina vede il cavaliere
Che non ardisce di fare di più.
Tra le braccia lo serra e lungamente
Lo bacia… in bocca..." >


Ci fu un momento di silenzio nella sua camera, lui tremò quando alzò gli occhi verso i miei.

Erano lucidi, azzurri, belli. Adoravo anche quelli.

Il mio viso era così vicino al suo che potei sentirne il calore e il respiro. Sei bellissimo, bellissimo, bellissimo. Glielo avrei potuto dire mille volte in quel momento, avrei voluto.

Poi sorrise, abbassò il capo.

< Va bene così -Ethan- > E si strinse nelle spalle girandosi e dandomi la visuale della sua schiena.

Avrei dovuto baciarlo. Lo diceva il copione: “[ Egli fa quell'atto istesso verso la cognata, e la bacia. Quando le bocche si disgiungono, Francesca vacilla e s'abbandona sui guanciali. ]”

Ma io sono un pessimo attore, lui lo sapeva.

Aveva sorriso quando si era voltato, e poi era uscito dalla sua stanza. < Vado a lezione. >

Aveva detto, mentre io mi lasciai cadere sul suo letto.

Pensai, sotto l’effetto del suo sguardo, a quanto mi piacesse recitare con lui affianco.

Joey suonava il pianoforte, ogni mercoledì aveva lezione nel teatro della città.

Sempre quello.

Quello dove aveva recitato prima di morire, quel teatro vicino all’ospedale.

Ero rimasto a leggere l’atto terzo, durante quella ora.

Ero rimasto tra le sue cose, nella sua stanza.

Adoravo quella stanza, quel letto, quelle pareti -le aveva dipinte lui-, no, le avevamo dipinte insieme.

Andai verso il teatro, volevo fargli una sorpresa e andare a prenderlo.

Sbirciai tra i vetri delle porte d’ingresso nella sala. Lo guardai sul palco, mentre suonava la sua musica.

La sua insegnate gli batteva il tempo con la punta della scarpa a terra.

Aveva legato i capelli, una coda bassa, qualche ciuffo gli era sfuggito e ora gli cadeva ai lati del viso.

Sembrava spensierato. Era sempre così, quando faceva ciò che gli piaceva.

Poi la sua insegnante se ne andò, gli diede una pacca sulla spalla.

Lo aveva lasciato da solo su quel palco troppo grande solo per lui.

Seduto lì, le mani sulle gambe.

Non so a cosa stesse pensando in quel momento, ma si guardava intorno spaesato, quasi fosse appena ritornato alla realtà dopo essere stato nel suo mondo per troppo tempo.

Entrai in sala, percorsi la strada che ci divideva lentamente.

Lui non poteva vedermi, ero al buio, mentre lui era illuminato dalla luce che era puntata sul palco.

Salii le scale dietro le quinte.

Non lo vedevo più da quella posizione, ma lui sentì qualcosa perché parlò.

< Signorina Herris, è lei? >

E mi affacciai dietro quelle pesanti tende di velluto rosso. < Sono io Joey. > Gli sorrisi e lui si alzò.

< Ethan, -chiamami ancora in quel modo- Ethan, sei tu, che ci fai qui? >

< Volevo vederti suonare. > Ero un bugiardo.

< E hai visto? > Annuii. Si che avevo visto.

< Sono bravo? > Annuii di nuovo. Ma mi piaci di più quando reciti. Avrei voluto dirgli anche questo.

< Mi piacciono Paolo e Francesca. Ho letto il copione. >

Lui sorrise, si avvicinò.

< Sì, peccato per la finaccia che fanno. > rise.

Ridi, ridi ancora Joey, ti prego.

Aveva una risata leggera, un po’ riservata, di chi non ama esporsi troppo.

Mi morsi la bocca, poi parlai. < Leggete ancora. Continuate… >

Lo dissi di getto, volevo che leggesse anche se non aveva un libro, volevo sentirlo dire quelle parole, volevo una seconda opportunità.

Lui mi guardò perplesso.

Si avvicinò a me, mi mise le mani sulle spalle e mi voltò, facendomi mettere con il busto rivolto verso i non-spettatori.

Mi si affiancò. < Fai finta di avere il libro tra le mani. > Disse con quel tono leggero.

Allora alzai i palmi , chinai il viso. < Leggete ancora. Continuate… > Lo dissi di nuovo.

Lo sentii schiarirsi la voce, mi guardò di sfuggita prima di parlare:
< "E la reina vede il cavaliere
Che non ardisce di fare di più.
Tra le braccia lo serra e lungamente
Lo bacia in bocca . . ." >


Di nuovo quella sensazione. Di nuovo quel silenzio e i nostri visi vicini.

Mi voltai verso di lui e allungai il viso, chiusi gli occhi. Lo baciai.

Alzai le mani a prendergli il viso, lo baciai con delicatezza e avevo il terrore di romperlo.

Sentii le sue mani stringere i miei polsi. Si aggrappava a me, con disperazione e bisogno.

Baciare quella bocca fu come avere un uragano dentro. Aveva sconvolto ogni mio pensiero e lo baciai e sapevo che non poteva essere così.

Non poteva essere Joey.

Joey, Joey, c’era solo lui nei miei occhi.

Da sempre non vedevo altro che lui.

Gli accarezzai i capelli, continuai a baciarlo dolcemente. Lo sentivo soffiarmi sulle labbra quando si scostava, e poi riprendeva a mangiarmi la bocca.

Come aveva scritto Dante, nell’inferno “Questi, che mai da me non fia diviso, la bocca mi baciò tutto tremante” E mai frase fu più azzeccata di quella.

 

Tremavo io, tremava lui, ogni gesto era espressione delle nostre emozioni; poi la musica che sentivo nella testa svanì, quell’uragano si calmò, ed io mi scostai.


Lo guardai, mi persi in quegli occhi troppo azzurri, e ora?

< Sei stato bravo. > Mi venne quasi da ridere, l’aveva detto sul serio?

< Lo sono stato?  > Chiesi conferma; lui lasciò i miei polsi, annuì.

Lo guardavo e non sapevo che dire, lui si stava voltando, tornava al suo pianoforte.

Tornava lontano da me e le mie mani bruciarono senza quel contatto diretto.


< Quando torni a casa? > Glielo chiesi e lui si strinse nelle spalle.


< Non lo so. >

Joey era strano, -no, non lo era-, era malato, suona diversamente. Suona peggio-forse meglio- dipende dai punti di vista.

Però Joey non mi ha mai guardato come io guardavo lui.

Non mi ha mai visto; nella sua mente c’era altro, c’era ciò che io non potevo sapere e che non so.

Joey mi vedeva solo quando recitava in quel teatro o nella sua camera.

< Ethan, recita insieme a me. >

Adoravo il modo in cui me lo chiedeva.

< Sì Joey, oggi cosa mi proponi? >

Su quel palco senza pubblico e noi. Non avevo bisogno di spettatori, a guardarmi mi bastavalui.

< Tristano e Isotta, che ne dici? >

Per noi sceglieva solo tragedie, il mio Joey.

Alla fine qualcuno doveva morire, non gli piacevano le cose semplici.

Era convinto che la tragedia fosse la parte migliore della recitazione.

In centro su quel palco tenevo le sue mani strette alle mie, erano diventate fredde.

< Ti vedo proprio? >

< Questi i tuoi occhi? > E alzò una mano a sfiorarmi le palpebre.

< Questa la tua bocca? > Sfiorai le sue labbra.  

< Qui la tua mano? > E ne carezzai il dorso.

< Qui… il tuo cuore? > E posai le mie dita all’altezza del suo petto.

Mi guardò senza dire niente.

Non aveva battute, non le ricordava o non le voleva dire.

Ci guardammo a lungo, lui rimase zitto.

Poi svenne.

Vidi i suoi occhi diventare bianchi, le sue gambe cedere e svenne tra le mie braccia, come la più inanimata delle bambole.

< Joey! Joey! > Lo chiamavo, ero terrorizzato.

Era svenuto avanti a me dopo avermi guardato a lungo, sapeva le parole, ma non riusciva a parlare.

Lo sapeva che stava morendo, lui l’ha sempre saputo.

Fu la prima volta che entrò in ospedale.

Era pallido, le sue occhiaie evidenti, la stanchezza percepibile.

Aveva recitato con me tante di quelle volte Joey, che finii per non distinguere più la verità da un palcoscenico.

Stavi davvero male Joey o era l’ennesima tragedia che avevi inscenato per noi?

I tuoi capelli biondi cominciavano a scolorirsi come il colore della tua pelle già abbastanza pallida e delicata; eppure rimanevi straordinario davanti ad i miei occhi.

Quando i dottori dissero che avevi un tumore non volevo crederci.

Avresti potuto provare a salvarti, ma hai rinunciato ancora prima di iniziare a pensarci.

< Mi cadranno i capelli. > Avevi detto mentre sorridevi. < Io non voglio che i miei capelli cadano, mamma. > Lo avevi detto accarezzandoli, mentre nostra madre piangeva.

< Ethan, Ethan dillo anche tu che non vuoi che cadano. > Mi guardò, mi implorò.

< No, non voglio che cadano. > Risposi freddamente.

Mia madre sarebbe morta di dolore, non poteva essere altrimenti.

Mio fratello non aveva paura. Era coraggioso. Mio padre quando era piccolo diceva sempre “Joey è l’ometto coraggioso di casa”

Aveva proprio ragione.

Io avevo così paura, quando dissero che era malato, che non piansi nemmeno.

Avevo il terrore di offuscarmi la vista con le lacrime, il terrore di non vederlo più così bello e così mio.

Mio fratello, mio Joey, mio tutto.

< Mamma -aveva detto- ho lezione oggi. Quando andiamo via? > Non potevi andare via Joey, ma era l’ultimo dei tuoi problemi quel tumore, vero?

Tu avevo il tuo spettacolo, le tue prove, il tuo pianoforte.

Avevamo deciso -lui aveva deciso- che sarebbe andata bene senza terapia.

< Sono pronto Ethan. Adesso andiamo a recitare. >

Mi fidai di lui. Era l’ennesimo dei suoi piani, sapeva perfettamente, sapeva tutto.

I dottori non gli avevano dato molto, il tumore era ovunque, in ogni sua cellula.

Il mio tumore sarebbe stata la sua morte, sarei sopravvissuto, ma sarei marcito dentro.

Considerando che gli era rimasto poco da vivere i dottori mi avevano detto di non farlo affaticare, ma di farlo vivere.

Il suo modo di vivere era recitando, così trascorremmo più tempo in teatro, e poi all’ospedale.

< Voglio che impari la scena terza dell’atto quinto di Romeo e Giulietta. > Disse quel giorno a teatro.

< La morte? > Lui annuì.

< E quando la reciteremo? > Lui sorrise e scosse il capo. Mi si avvicinò, si rizzò sulle punte e mi baciò le labbra leggero.

< Sarai tu a recitarla Romeo, io sarò morto. >

Lo guardai silenzioso, prima di proseguire. < Vuoi che la reciti, dopo? > Lui annuì.

< Sì, lo voglio. >

< Non morire Joey. > Sentii la mia voce tremare e lui mi carezzò il viso.

< Non aver paura Ethan, starò bene. > Cercò di tranquillizzarmi, ma io scossi il capo.

< Non sono preoccupato per te Joey, ma per me. > Lui rimase zitto, io aggiunsi: < Ho paura di perderti... troppo… >

Mi abbracciò. Le sue braccia esili mi strinsero ed io con la paura di spezzarlo lo tenni forte contro di me. Mi accarezzo i capelli, mi bacio una guancia.

< Io ti amo Ethan, ti proteggerò sempre… >

Chiusi gli occhi.

Lui non mi amava, non quanto lo amassi io almeno.

Non poteva sapere cosa volesse dire l’amore, aveva passato l’ultimo anno e mezzo immaginando la sua vita come una tragedia, il nostro amore che fosse stato adulterio o cosa non permessa.

Ero il suo Tristano, il suo Paolo e il suo Romeo, ero tutto ciò che l’avrebbe portato a morire, e l’aveva fatto essendone consapevole

Joey, la tua vita non era una tragedia, ma qualcosa ti impediva di vedere anche questo.

Quella stessa sera recitò il suo ultimo atto terzo.

Aveva onorato il nostro amore e la nostra tragedia su quel palco, aveva pensato a me e me lo disse poi.

In ospedale, quella notte, Joey esalava il suo ultimo respiro.

Mi aveva stretto la mano rassicurandomi. < Starò bene, tu recita, Ethan, recita per me, scena terza atto quinto… ricordatelo… >

Scena terza atto quinto.

Avrei recitato da solo, lo aveva deciso lui.

Aveva sempre deciso lui.

Poi morì, come la più bella delle Giuliette, con i suoi capelli sbiaditi e le sue labbra rosee.

Morì senza paura e senza vergogna, felice come era sempre stato, vedendo ciò che io non ho mai visto.

Era morto nel suo mondo, nella sua tragedia.

Mi avvicinai al suo viso, i macchinari furono spenti e la sua morte avvenne alle 2:37 del 28 novembre 2001.

Sospirai.

< O amor mio, o mia sposa… La morte che ha libato il miele del tuo respiro, nulla ha potuto ancora sulla tua bellezza: tu non sei conquistata; l'insegna della bellezza è ancora rosea sulle tue labbra e sulle tue guance, e il pallido vessillo della morte non vi si è ancora spiegato... >

La voce mi tremò, ma gliel’avevo promesso.

< Occhi, guardatela per l'ultima volta… Braccia, prendete il vostro ultimo abbraccio… e voi, labbra, voi che siete la porta del respiro, suggellate, con un leale bacio un contratto indefinito con la morte che tutto rapisce… Vieni, amaro conduttore, vieni, disgustante giuda! Via, o disperato pilota, precipita d'un colpo sugli scogli, che la infrangeranno, la tua barca afflitta e stanca dal mare. Bevo all'amor mio… O speziale veritiero… Il tuo veleno è rapido... >

Il tumore che aveva ucciso Joey non avrebbe mai potuto uccidere anche me, ma le cellule di quel male infido le sentivo sotto la pelle, sotto le unghie, fino infondo al cuore.
Posai la mia bocca sulla sua, un bacio leggero, un bacio innocente.

< …Io muoio così… con un bacio. >

Era la nostra tragedia.

Era iniziata e doveva finire così, con un bacio e con una morte.

Nessuno ci aveva mai chiesto chi dei due fosse pronto a morire. Ma io sono pessimo a recitare e  Joey aveva scelto la parte più difficile, quella che gli riusciva meglio.

Joey era sempre stato più bravo di me, aveva recitato bene fino all’ultimo.

Aveva recitato bene anche la sua morte;

fino alla fine della sua tragedia.









Questa Fanfic ha partecipato al contest di kakashina97100, ma purtroppo lei è sparita e abiamo avuto un giudice sostitutivo <3. Ringrazio chiunque leggerà e vorrà recensire. Spero vi piaccia!

Concorrente: England
Grammatica e punteggiatura: 9/10
Nulla da dire al riguardo. Tutto è posto alla perfezione.
Forma e stile: 9/10
Anche questa storia è un flusso di pensieri. E anche questo è molto ben gestito (sto iniziando a pensare di essere l’unica a non sapere scrivere i flussi di pensieri ç_ç ). Le citazioni prese dalle opere di teatro mi sono piaciute da morire. Lo stile è semplice, ma esprime alla perfezione tutti i sentimenti dei personaggi principali.
Originalità: 9/10
Molto innovativa, non c’è che dire. Questo rapporto con teatro-vita è un qualcosa di cui si è scritto parecchio, ma l’hai utilizzato in una maniera assolutamente originale. Lo stile semplice, ma non meno espressivo, contribuisce a rendere la storia molto gradevole .
Caratterizzazione: 10/10
Joey, o quanto ho amato questo personaggio: così delicato, perso nei suoi sogni di palco scenico, che preferisce vivere nelle sue tragedie piuttosto che cozzare contro la dura realtà. E Ethan, coprotagonista di questa tragedia che alla fine si rivela uno spettatore impotente di fronte alla tragedia del fratello.
Semplicemente meravigliosi, tutti e due.
Gradimento personale: 10/10
Mi è piaciuta veramente tanto questa fic. Nonostante il tema ‘teatro-vita’ sia un cliché abbastanza usato, hai saputo gestirlo alla perfezione senza cadere nel banale e nell’ovvietà.
Non posso che farti i miei complimenti.

Toltale: 47/50


   
  
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