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Autore: NotFadeAway    14/09/2012    3 recensioni
Severus, adesso tu sei libero, libero di andare avanti, di là c’è qualcosa che ti aspetta, potresti rivedere chi hai perso e chiudere qua la tua partita con il mondo. Hai già dato tanto, hai sofferto, adesso di meriti un po’ di pace. Oppure potresti scegliere di aiutare me.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Silente, Lily Evans, Severus Piton | Coppie: Lily/Severus
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VI libro alternativo
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Era una sensazione stranissima, lontana dall’oppressione che provocava la Materializzazione o dall’amo all’ombelico della Passaporta. Per primo, fu alzato da terra, poi vide scorrere cose confuse, velocissime davanti a lui, mentre sentiva l’aria attorno comprimersi e dilatarsi, riscaldarsi e congelare. Il tutto durò poco più di una manciata di secondi, poi Severus si ritrovò sbattuto al suolo,  su un inzaccherato marciapiede di pietra. Appena toccò il terra, si sentì mancare l’aria, boccheggiò in cerca di ossigeno, poi qualcosa gli entrò, con forza, nel petto e lui riprese a respirare. Il cuore ricominciò a battergli e sentì il sangue sfrecciargli di nuovo nelle vene. Le sue mani ripresero repentinamente colore sotto i suoi occhi, così come percepì tornare il calore in tutto il suo corpo. D’istinto mosse la mano alla gola, la pelle lacerata dal morso del serpente era integra. Era appena tornato in vita.
A quel punto, iniziò a guardarsi attorno: era in una stradina laterale, dove non v’era anima viva, il cielo grigio, i colori cupi del circondario descrissero subito nella sua menta la sua Inghilterra.
A quel punto si alzò in piedi, e non fu stupido di ricordare ancora perfettamente come si facesse a vivere, in fondo lui era morto solo poche ore prima. Si tolse il fango dalla tunica e si affacciò sulla strada dove dava il vicolo, l’orfanotrofio di Riddle era chiaramente visibile anche da lì, in tutto il suo squallore: era un edificio decadente, imbottito di finestre piccole e inquietanti, aveva il colore di qualcosa andato a male e l’aspetto di una prigione. Per qualche strano motivo, quella vista gli riportò alla mente Spinner’s End, per questo la trovò disturbante.
L’uomo scacciò il pensiero e indugiò ancora sulla soglia del vicoletto, cercando di mettere assieme i fatti: si ritrovava nella Londra del 1929, non aveva un’identità, non aveva un alloggio, non aveva denaro, ma soprattutto non aveva un piano. Pensò subito di andarsi a sedere ad un bar, per elaborare quanto sapeva, ma si rese presto conto che quello che sapeva era pressoché zero, in più non poteva andare in giro con i suoi abiti da mago, avrebbe dato troppo nell’occhio. Dunque la prima cosa da fare era procurarsi dei vestiti Babbani.
Uscì dal vicolo, sentendosi immediatamente una calaminta per gli sguardi sbigottiti o anche solo curiosi dei passanti, e si mosse in fretta in cerca di un negozio di abbigliamento maschile. Per sua fortuna, ne trovò uno poco lontano, era angusto, polveroso e affatto invitante, ma faceva al caso suo.
Ci s’infilò dentro, facendo suonare il campanellino sulla porta, e si trovò in un luogo illuminato da una lampadina ad incandescenza che emetteva una luce fastidiosa agli occhi, che sottraeva alle tenebre la bottega imbottita di naftalina; era un ambiente unico e affollato di scaffali, c’era un bancone a lato, delle pile di maglioni e camicie disposte ordinatamente dietro di esso, e, dal lato opposto vi erano giacche  e pantaloni appesi per colore e per taglia. Si mosse più verso l’interno, quando la voce di una donna lo fermò:
-Salve… ehm… signore – disse, lanciando anche lei un’occhiata stupita alla vista dell’abbigliamento del nuovo cliente – Posso aiutarla? –
L’uomo esitò a voltarsi e, quando si decise a farlo, lo fece molto lentamente, valutando, in quel frangente diverse ipotesi: esclusa a priori la possibilità di proseguire rispettando le norme del buon vivere civile, nonché la legge,  pensò di Confondere e Immobilizzare la commessa con la magia e di prendere, così, il necessario indisturbato. Ma forse quella era una misura un po’ drastica, sarebbe bastato, probabilmente, farsi aiutare, portare nel camerino i vestiti, indossarli e Smaterializzarsi con essi. Sì, era una buona idea, avrebbe fatto così.
-Sì, cerco un completo da giorno. – Buttò lì, sperando che quanto aveva appena detto avesse un senso.
Fortunatamente la commessa sembrò capire.
-Bene. Preferisce solo una giacca o anche un gilet sopra la camicia? –
-Solo la giacca andrà bene. –
-E qual è la sua taglia, signore? –
-Ehm… - esitò, non ne aveva la minima idea. Non conosceva le taglie Babbane, era entrato in un negozio di vestiario solo una volta: aveva preso la prima tunica nera che aveva visto e, una volta a casa, ne aveva fatto delle copie e aggiustato la taglia. Questa era la sua unica esperienza in materia.
-Non lo so. – si ritrovò costretto ad ammettere, dovendo assistere ad una nuova occhiata stranita e divertita  della donna. Improvvisamente trovò l’ipotesi del Confundus molto allettante.
-Ah, non si preoccupi… non è un grosso problema… vediamo… - e prese  a squadrarlo, nel tentativo di capirne la taglia. Severus la fissò con uno sguardo di fuoco. – Sì, be’,  se magari… ecco, la cosa, la… la tunica – fece un mezzo sorrisetto, che non migliorò affatto la situazione – se la stringesse un po’ sui fianchi… così cerco di capire… - e si avvicinò con le mani per aiutarlo.
Ci fu un sibilo e un tonfo sordo e la commessa era a terra, priva di sensi.
Un Severus furibondo,mandato al diavolo ogni buon proposito, sigillò la porta e mise il cartello “Chiuso” ben in vista, poi afferrò una giacca, una camicia e un pantalone a caso e prese la via dei camerini. Si tolse la sua tunica informe e il grosso mantello nero, e si infilò i nuovi vestiti, che gli cascavano letteralmente di dosso. Con la bacchetta aggiustò la misura, quindi si rimise gli stivali e tornò nella stanza di prima.
Si avvicinò alla cassa e ne prese parte del contenuto, quindi prese una valigetta tra gli scaffali, la sottopose ad un Incantesimo Estensivo Irriconoscibile e vi gettò dentro i suoi vestiti ed il denaro. Poi fece lo stesso con  una delle tasche del pantalone e vi mise dentro la sua bacchetta. Prima di uscire, si chinò sulla commessa, la Reinnervò  e le modificò la memoria.
Tornato in strada, non attirava più l’attenzione dei passanti, così decise di andare in cerca di un bar, dove poter pensare alle sue prossime mosse.
Se era stato facile trovare un negozio di abbigliamento maschile, tanto più lo era stato trovare un bar nel giro di un isolato, era più che altro una bettola affollata di gente e di tarli, ma Severus era abituato ad ambienti peggiori.
Fece cigolare la porta ed entrò nel bar, che gli diede il benvenuto, investendolo di un pesante tanfo di alcool e fumo. Severus si avvicinò al bancone, si concedette una birra e se la portò ad uno dei tavoli in fondo al locale.
Tra un sorso e l’altro, progettò il da farsi: per prima cosa doveva capire come raggiungere Riddle, dunque doveva sapere com’era strutturato l’orfanotrofio, quanto controllo c’era e dove si trovava il bambino. Per fare questo doveva entrare in qualche modo all’interno della struttura e studiarla attentamente,perché questo sarebbe stato fondamentale per le successive mosse del suo piano. Inoltre non aveva ancora un’idea su come uccidere il bambino, doveva architettare qualcosa di sottile e astuto, perché i bambini non muoiono, così, da un momento all’altro, senza un motivo, e quello non doveva affatto sembrare un omicidio.
Rimandò a dopo la decisione su come assassinare Riddle e proseguì nel suo piano per infiltrarsi tra quelle mura. Ritenne poco pratico Materializzarsi, non sapeva dove sarebbe riapparso, e questa incognita non era accettabile, poteva scatenare il panico tra i Babbani e attirare l’attenzione su di sé. L’idea che ritenne più praticabile, fu quella di farsi passare un ispettore dell’igiene o un assistente sociale, in questo modo sarebbe riuscito ad entrare, poi avrebbe lanciato un Imperius sulla sua guida, che l’avrebbe così condotto da Riddle.
Passò rapidamente in rassegna l’eventualità di dover cambiare i connotati della sua faccia, ma la bollò presto come idea superflua, dato che in quell’epoca lui ancora non esisteva. L’unico problema poteva essere costituito dalla lunghezza dei suoi capelli, che in quell’epoca era inusuale quasi quanto tunica e mantello; così fu costretto ad entrare nei cubicoli che osavano anche chiamare bagni, dall’odore nauseabondo, nel tentativo di accorciarsi i capelli in un taglio più classico con la bacchetta.
Si preparò meglio, invece, sulla sua identità fittizia, sarebbe stato il Signor John Stewart, assistente sociale, venuto lì per un’ispezione a sorpresa per verificare la qualità della vita dei bambini. Ovviamente la cosa avrebbe retto solo se l’addetto non gli avesse chiesto un tesserino o un documento di riconoscimento, a quel punto avrebbe abbandonato la sua copertura e agito non più così raso terra.
Ritenuto tutto pronto, uscì dal bar e attraversò la strada, diretto all’orfanotrofio. Il cancello esterno era socchiuso e lui vi entrò senza alcun problema, non visto e non pensato, e attraversò il cortile che lo separava dall’entrata dell’edificio. Nel giardino v’era solo erba rada e melmosa, e un cartello impiantato del terreno che recitava: “St.Margart’s Orphanage, since 1856”.
Severus passò oltre e bussò ad un fatiscente portone di legno, che tempo addietro doveva essere stato di un rosso lucente. Qualcuno mosse dei passi al di là della soglia, fece scattare la serratura e la porta si aprì.
-Salve, come posso aiutarla?-
A parlare era stata una donna sulla cinquantina, scheletrica, con gli occhi grandi e i capelli pallidi legati sulla nuca.
-Salve, sono John Stewart, dei servizi sociali, sono qui per un’ispezione – disse prontamente Severus.
Il sorriso della donna barcollò, ma miracolosamente lei riuscì a mantenerlo su, forzandolo visibilmente.
-Ah – fece – Non siamo stati avvertiti di una vostra visita. –
-Si tratta di un’ispezione a sorpresa, signora. Ora la prego di lasciarmi entrare. –
-Posso prima vedere il suo tesserino, signor Stewart? –
A quella richiesta, come previsto, Severus dovette passare alle maniere forti. Con un movimento fulmineo afferrò la bacchetta e la agitò, pensando “Imperio!”.
L’effetto fu immediato e la donna aprì la porta, facendo un  ampio gesto con la mano: - Prego, si accomodi.–
I due attraversarono un piccolo ingresso ed entrarono in una stanza più grande, ma sempre deserta.
Senza che Severus avesse bisogno di dire altro, la donna continuò: - Lasci che la porti dai bambini. –
L’uomo non le rispose e la seguì per un corridoio stretto e su per due rampe di scale. Sul quel piano c’era assai più movimento, c’erano  bambini tra i corridoi e assistenti e suore che supervisionavano questi ultimi, con sguardi torvi e attenti. Le donne notarono subito l’intruso, così Severus decise di far sembrare il tutto il  più normale possibile.
-Al primo piano teniamo i bambini dai zero ai cinque anni, adesso sono le 11, quindi è il momento della ricreazione, presto torneranno nelle loro stanze, suddivisi per età. -  iniziò a spiegare lei, per ordine di lui.
-Capisco. Potrei visionare una delle stanze? – disse, facendole, in realtà, passare l’ordine di portarlo in quella di Tom Riddle.
-Ma certamente, mi segua. –
L’assistente superò due porte, poi ne aprì una sulla loro sinistra e fece cenno all’uomo di precederla.
Si trattava di un enorme stanzone, affollato da un numero di lettini con le sbarre incredibili, addossati gli uni agli altri, c’erano solo due finestre e, in un angolo, un letto da adulti, dove, presumibilmente, dormiva un supervisore. Al momento, la stanza era semivuota, si contavano solo una suora e cinque o sei bambini tra le culle.
La donna si addentrò in una delle file formate dai lettini e lo portò davanti ad uno di questi.-
-E questo è un esempio di culla-
Severus la fissò e vide  che sulla testiera c’era un bigliettino attaccato in maniera posticcia, con su scritto “Tom O. Riddle”. Tra le sbarre arrugginite, lo fissava torvo un bambino.
Provò una fitta d’odio a quella vista e le immagini dell’ultima volta che si erano salutati gli affollarono la mente: lui non aveva neanche avuto il fegato di affrontarlo direttamente, gli aveva scagliato il suo fottuto serpente alla gola e poi era uscito dalla stanza, con un “Mi spiace”. I ricordi continuavano ad affluire, uno peggiore dell’altro, quando sentì che l’istinto stava per prendere il sopravvento sulla ragione, rimise mano all’Occlumanzia e si calmò. In poco tempo avrebbe comunque avuto la sua vendetta.
A quel punto la donna parlò di nuovo:
-Bene, andiamo avanti.-
La guida proseguì nella loro visita all’orfanotrofio, che  durò una buona mezz’ora. Era fondamentale che gli altri colleghi di lei non si insospettissero, non poteva interrompere da un momento all’altro ispezione. Almeno, nel frattempo, riuscì a ricavare altre informazioni utili, come ad esempio quando i bambini erano fuori dalle stanze perché a mensa, o quanta sorveglianza c’era di giorno e di notte.
Quando finalmente si avviarono verso l’atrio, Severus tolse la maledizione e modificò la memoria della donna. Prima che potesse rendersi conto di cosa fosse accaduto, l’uomo era già scomparso.
   
 
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