Capitolo
4 - Come rendersi conto di avere degli
amici veri
And maybe you should sleep,
And maybe you just need... A friend
As clumsy as you've been, there's no one
laughing,
You will be safe in here.
(Our Lady Peace, "Clumsy")
L'estate successiva al primo anno di scuola, ero tornato a casa con un lieve
sorriso sul volto, un sorriso che mia madre non aveva potuto fare a meno di
notare. Non ero apertamente euforico né facevo i salti di gioia, non essendo
mai stato abituato a manifestare palesemente le mie emozioni in modo da non
privare me stesso di un superiore controllo razionale. Ci tenevo a non
sbilanciarmi, a non essere impulsivo e precipitoso in ciò che facevo, a non
dare mai libero sfogo a me stesso: secondo mia madre non era una buona cosa che
mi imponessi sempre una così rigida fermezza raziocinante, ma nella mia ingenua
visione di ragazzino quello era il modo migliore per dimostrare silenziosamente
al mondo che non ero una bestia, ma un uomo dotato di un'acuta padronanza di
sé.
Chi conosceva il mio segreto mi teneva sott'occhio costantemente, con il
terrore che da un momento all'altro potessi avere uno scatto ferino e reagire
in maniera violenta. Stavano attenti a come mi parlavano, si tenevano a debita
distanza, e un sottile sentore di disprezzo mi giungeva costantemente fino alle
narici. Per questo mi sforzavo sempre di dimostrare a chiunque che ero in grado
di controllarmi, nella vana speranza che questo potesse servire a screditare
quell'ampia gamma di impietosi pregiudizi.
Ad ogni modo, dato che non ero abituato a godere delle felicità inaspettate che
rendevano la mia vita migliore di quanto non fosse in precedenza, ben presto
all'allegria era subentrata la paura. Avevo seguitato per giorni e giorni a
ripetermi che avrei dovuto fare di tutto per non far loro scoprire il mio
segreto. Perché l'esito finale era già terribilmente ovvio. Per prima cosa si
sarebbe verificata la presa di distanza fisica, dopodiché sarebbero subentrate
le sospettose occhiate di sbieco e infine, l'implicita manifestazione di
disprezzo. In genere, quelli che scendevano apertamente in campo con una serie
di insulti razzisti e violenti erano la minoranza; i più preferivano tutelarsi
dietro un velo di palese ipocrisia, lasciando piuttosto trasparire sottilmente
i loro pensieri. Ma io ero sempre stato abbastanza perspicace nel cogliere
questo genere di sottigliezze.
Comunque, di questo ero certo: loro non dovevano scoprirlo. Una vocina maligna
mi diceva che se venendo a conoscenza di questo piccolo particolare mi avessero
giudicato un essere indegno della loro compagnia per un qualcosa che non
dipendeva da me, non si sarebbero dimostrati dei veri amici, e che pertanto, in
nome di una sana rettitudine, avrei fatto meglio a non avere affatto degli amici
piuttosto che averne di ipocriti. Ma io, si sa, ero un codardo coi fiocchi.
Ormai avevo assaporato il gusto della felicità e non avevo più intenzione di
lasciarlo svanire. Men che meno di cancellarlo per mano mia.
Per queste ragioni, non nutrivo nessun desiderio di mettere alla prova James,
Sirius e Peter, e mi giustificavo dicendomi che in fondo sarebbe stato umano e
normale reagire alla notizia come reagivano tutti, perché era la regola e non
c'erano eccezioni. Forse al loro posto l'avrei fatto anch'io.
Chissà.
Stilai una lista di tutte le possibili scuse che avrei potuto utilizzare in
modo efficace nel corso del secondo anno, per continuare a proteggere me stesso
e i miei nuovi amici dalla terribile verità che avrebbe finito per segnare la
fine dell'idillio: nessuna di queste mi convinse appieno, anche se decisi tra
me che forse dicendo loro che mia madre stava male e che dovevo andare a
trovarla avrei avuto più probabilità di sedare i loro sospetti per rispetto
verso un presunto malato. Okay, non ero poi così propenso a credere nella loro
discrezione e nel loro buonsenso anche di fronte ad una balla del genere, ma
non avevo molte altre alternative.
Almeno, se avessero creduto che me ne andavo a casa per una notte, non
sarebbero andati a cercarmi in giro a scuola. Non dissi niente a mia madre del
mio subdolo piano, ma pregai Merlino che comprendesse che la mia era una bugia
a fin di bene e che mia madre non meritava che le accadesse davvero quanto io
raccontavo in giro. E poi, in nome della mia fiera razionalità, dovevo essere
in grado di non abbassarmi a credere a queste stupide superstizioni. Insomma,
passai un'intera estate ad autoconvincermi che il mio
piano era perfetto, che avevo programmato tutto in modo da non lasciare via di
scampo a quelle tre menti superiori del crimine e che tutto avrebbe continuato
ad andare bene. Alla fine, non tutto andò proprio come avevo previsto. Anzi,
per meglio dire, quasi niente andò come avevo previsto.
Un classico.
Funzionò la prima volta, e funzionò anche la seconda. Tenevo una specie di
conto alla rovescia scarabocchiato su un pezzo di pergamena su cui segnavo le
Lune piene che mi mancavano per tirare avanti in quel modo fino alla fine della
scuola. Assurdo, perché dentro di me pregavo che la scuola non finisse mai.
Finalmente, solo Godric sa come, mi ero fatto degli amici. Mi divertivo a stare
con loro, a parlare con loro (sì, qualche volta parlavo anch'io, non me ne
stavo sempre ad ascoltare rintanato in un angolo buio), mi divertivo persino a
prendere parte ai loro scherzi idioti, cosa che avevo sempre pensato di
aborrire. In effetti, mi sentivo in colpa ogni volta che lo facevo: la solita
vocina maligna mi apriva gli occhi sulla mia manifesta irresponsabilità, e sul
fatto che rischiando di farmi espellere stessi giocando pericolosamente con la
magnanima possibilità che Silente mi aveva concesso. Ma alla fine, la
tentazione diventava fin troppo forte per resistervi. La tentazione di ridere
insieme a loro, di comportarmi da ragazzino di dodici anni per una volta nella
vita, invece che da adulto irreprensibile. Non volevo essere sempre infantile
come loro, no. Solo potermi permettere di esserlo
qualche volta.
E poi, mi piaceva aiutarli anche solo per far loro un piacere. Ero pur sempre
molto coscienzioso dei rischi che potevo permettermi di correre, e stavo molto
attento a ciò che acconsentivo di fare; ma quando cedevo, in quegli attimi mi
rendevo conto dell'immensa fortuna che avevo ricavato dal mio ingresso a
Hogwarts. James mi saltellava intorno tutto contento con un sorriso a trentadue
denti stampato in faccia, Peter mi riempiva di congratulazioni entusiastiche e
Sirius mi riserbava uno di quei suoi biechi sorrisi altezzosi con tanto di
sopracciglio inarcato e aria da "lo sapevo, io". Okay, forse Sirius
non era molto affettuoso, ma quello era il suo modo di dimostrarmi la sua
gratitudine, magari con un corredo di due o tre battute sarcastiche.
Insomma, continuavo a pensare ossessivamente che non potevo perdere tutto
questo.
E infatti per i primi due mesi mi diedi da fare. Mi sembrò di essere riuscito a
fregarli, e per quanto i miei mi avessero insegnato a sentirmi in colpa quando
mentivo, io non riuscivo a non esultare dentro di me. Perché finché nessuno
sapeva, eravamo tutti al sicuro, rinchiusi dentro un'unica campana di vetro.
Per la prima volta, in vita mia, avevo degli amici. Ma fino a quel grigio
novembre del secondo anno di scuola, non avevo ancora quantizzato veramente la
portata di questa amicizia. Era il pomeriggio dopo la Luna piena, che
trascorrevo puntualmente in infermeria. Stavo iniziando a sudare freddo perché
ero davvero coperto di troppi graffi, e non riuscivo a farmi venire in mente
una bugia convincente per giustificarli. Avevo già raccontato una volta di
essere caduto in mezzo ai rovi mentre tornavo indietro di nascosto. Forse,
potevo inventarmi che mia madre aveva preso un gatto un po' troppo vivace...
Non feci in tempo a dirmi che era una scusa perfetta, perché subito dopo averlo
pensato le tende del mio letto si spalancarono di colpo.
In quel momento, ricordo che avrei voluto morire.
Non so come avessero fatto ad essere così silenziosi. Me lo chiesi mentre
stringevo i pugni fino allo spasimo, dopo aver sobbalzato violentemente, mentre
il sorriso compiaciuto per la mia trovata mi scompariva di colpo dal volto. Sta
di fatto che in quel momento mi stavano di fronte, tutti e tre, con aria grave,
mentre James si infilava in tasca il Mantello dell'Invisibilità che li aveva
coperti durante il tragitto.
Dissi loro che avrebbero dovuto essere a Trasfigurazione. Non mi diedero retta.
"Perché sei qui? Non dovevi andare da tua madre?"
Come i bambini, sembravano caduti dalle nuvole. Ma poi iniziai a domandarmi
come potessero sapere che mi avrebbero trovato lì, se davvero mi credevano da
mia madre.
"Ti abbiamo seguito."
Gli occhi mi si sbarrarono.
"Quando?"
"Ieri sera." fu l'ovvia risposta che già mi aspettavo di ricevere.
Ero finito.
"Cosa avete visto?"
"Che sei andato con Madama Chips. Dentro il
Platano Picchiatore."
"Perché sei andato dentro il Platano Picchiatore?"
"Guarda come ti sei ridotto."
Mi misi le mani nei capelli, sentendomi salire le lacrime agli occhi. Non
volevo piangere come un bambino, ma quella era la fine. Percepivo già il
sospetto nelle loro voci. Il sospetto che li avrebbe condotti prima al distacco
fisico, e poi a tutto il resto.
Tentai debolmente di reagire ribattendo che avrebbero dovuto farsi gli affari
loro. Tentai di far lavorare il cervello alla ricerca di un'altra scusa
patetica. Mi sentii un verme, perché non ero nemmeno capace di proteggere
quello che non volevo perdere.
Furono minuti agonizzanti. Loro continuavano a pressarmi, con parole e sguardi,
e io non sapevo come difendermi. Non ricordo esattamente che cosa finii per
farfugliare di fronte ad ogni loro accusa. Sta di fatto che alla fine dissi
loro di smetterla e di starmi lontano, perché li conveniva se non desideravano
fare una brutta fine.
Sirius si mise a ridere fragorosamente.
Quando ebbe finito di sfogare la sua ilarità, mi chiese se quello era il mio modo
per dire che ero un Lupo Mannaro. Mi disse che ero molto rassicurante. Io mi
sentii ribollire il sangue nelle vene, e gli risposi per le rime senza pensarci
due volte.
Alla fine, cercai di recuperare il controllo e di comprendere tutto ciò che
durante quel colloquio mi era inevitabilmente sfuggito di mano. Non vollero
dirmi in che esatto modo l'avevano scoperto, ma sapevo bene che standoci
attenti non era poi così difficile capirlo. Bastava sommare una serie di
indizi, il difficile era soltanto trovare il filo conduttore. In genere, la
gente non pensa ai Lupi Mannari ventiquattro ore su ventiquattro, anzi, ancora
più in genere la gente preferisce non pensare affatto ai Lupi Mannari, pertanto
non è certo un argomento di conversazione quotidiano, né un qualcosa con cui si
ha a che fare volentieri. Motivo per cui si tende ad ignorare il problema
comportandosi come se i Lupi Mannari non esistessero. Ma loro ci erano
arrivati, alla fine, e purtroppo sapevo che non avrei potuto aspettarmi di meno
da due degli studenti più brillanti di tutta Hogwarts.
Pensai che avrei fatto meglio a prepararmi un discorso di commiato. Del tipo
"è stato bello finché è durato, grazie per essere stati miei amici,
comprendo le vostre ragioni e vi prego soltanto di non disprezzarmi del tutto
in nome di quello che c'è stato fra noi", ma prima di tutto non sono mai
stato la persona più adatta a fare dei grandi discorsi commoventi, e inoltre
non avevo nemmeno il coraggio di aprire bocca per riconoscere a gran voce che
quella era la fine.
Infatti furono loro a parlare, ma non per dirmi che quella era la fine.
Parlarono per lasciarmi a bocca aperta in modo totalmente privo di decoro. Mi
dissero che ne avevano parlato tra loro, ed erano giunti alla conclusione che
l'unico modo per aiutarmi fosse farmi compagnia anche mentre non ero un uomo,
ma un animale.
Li fissai con aria a metà fra il disperato e lo scettico. Dissi loro a mezza
voce che i Lupi Mannari impazziscono di fronte alla carne umana, e che non
vedevo assolutamente in che razza di modo...
"Perché non la smetti di fare il saccente una buona volta e ci ascolti in
silenzio?"
Per quanto la mia tentazione di rispondere di nuovo per le rime a Sirius fosse
forte, contenni questa mia aspirazione e mi chiusi in
un dubbioso silenzio, rimandendo in ascolto. Mi
dissero che sapevano di non potermi fare compagnia da umani, ma che avrebbero
potuto farmi compagnia da animali. Mi chiesi se il loro progetto era quello di
far trasmigrare le loro anime in un pavone, ma preferii tenermi la domanda per
me. Perché subito dopo arrivò la risposta.
"Quindi, Remus" declamò in tono enfatico James, avvicinandosi poi a
me, come per confidarmi un segreto, "noi diventeremo Animagi."
Giuro che provai a dissuaderli in tutti i modi. Dissi loro che noi al secondo anno
non sapevamo nemmeno cosa fossero, gli Animagi. Che sono talmente rari che
l'unico Animagus vivo e vegeto nei paraggi era la McGranitt, e che il fatto che
gli Animagi fossero rari implicasse che fosse difficile diventarlo, e, ancora
peggio, che fosse controllato legalmente. Non servì a nulla. Nemmeno mi
ascoltarono. Io ancora non riuscivo a credere alle mie orecchie, e loro, ai
piedi del mio letto, stavano già discutendo su che animale scegliere per
effettuare l'incantesimo. Se non l'avessi vissuto sulla mia pelle, mi sarei
rifiutato di credere che qualcuno potesse essere così pazzo da fare una cosa
del genere. I miei amici erano tutti matti da legare, non c'era altra
soluzione. Dovevo farli ricoverare di corsa al reparto psichiatrico del San
Mungo.
E invece, poco dopo mi ritrovai a far notare a Sirius che se avesse scelto di
trasformarsi seriamente in una lucertola probabilmente la McGranitt l'avrebbe
rincorso per tutta Hogwarts nel tentativo di soddisfare il suo istinto felino.
Mentre avevo ormai preso a ridere di gusto insieme a loro, riflettevo sul fatto
che ciò a cui stavo assistendo con estrema incredulità assomigliava moltissimo
alle favole che mi raccontavano quando ero piccolo. Il Lupo Mannaro ha trovato
degli amichetti con cui giocare. Probabilmente prima di approdare ad una tale
decisione i miei tre compagni ne avevano discusso animatamente insieme,
chiedendosi se non sarebbe stato troppo pericoloso, se davvero valeva la pena
fare una cosa del genere per me, se non fosse stato meglio cercare di far finta
di niente. Magari avevano scelto di prendere in considerazione questa opzione
soltanto perché diventare Animagi illegalmente avrebbe costituito una nuova ed
entusiasmante sfida alle loro abilità di maghi e alle regole della scuola, o
magari perché così facendo si sarebbero incaricati di tenermi sott'occhio per
garantire una maggiore sicurezza a Hogwarts. Le pensai tutte, fino ad arrivare
alle ipotesi più assurde, ma ben presto cominciai a rendermi conto che
l'ipotesi più plausibile era davvero quella che mi pareva più assurda di tutte,
e cioè che fossero davvero miei amici quel tanto che bastava per poter decidere
di fare una cosa del genere per me. Ero sempre stato piuttosto scettico per
natura, ma quando nel periodo successivo quei tre cominciarono a sfogliare
forsennatamente i libri di Trasfigurazione, a saccheggiare la biblioteca di
notte e a compiere incursioni nell'ufficio della McGranitt fui costretto, mio
malgrado, a ricredermi. In genere potevo vantarmi di essere piuttosto bravo nel
comprendere fin dall'inizio che tipo di persona mi trovavo davanti, ma
ripensando alla considerazione che nutrivo per loro all'inizio del primo anno,
non potevo fare a meno di ammettere che in questo caso avevo preso un granchio
colossale.
*** fine ***
Breve
nota di fine capitolo: l'espressione Mi chiesi se il loro progetto era quello di far
trasmigrare le loro anime in un pavone richiama la credenza ricordata da
Ennio che l'anima di Omero fosse trasmigrata in un pavone. Che ci posso fare,
mi diverto a citare ironicamente i classici =P per il resto, che dire, mi sono
molto affezionata a questa mia versione del piccolo Remus, ma ormai la fanfic è finita. Posso solo dire che non l'ho scritta
perché volevo inventare una bella favoletta a lieto
fine, ma perché primo mi piace fornire la mia versione personale di episodi e
aneddoti riguardanti i Malandrini a cui magari HP accenna soltanto (chi sta
leggendo "Between You
And The Giant Squid"
ne sa qualcosa, direi :D), e in più perché mi piace giocare con la psicologia
dei personaggi, e mettere in gioco il piccolo Remus che per la prima volta in
vita sua si trova a fare i conti con un'esperienza che lo rende davvero felice
mi ha fatto tenerezza. Spero solo di non essere stata smielata, tutto qui. Ma
l'amicizia tra i Malandrini mi ha sempre affascinata un sacco. Bene, fine degli
sproloqui, rispondo alle recensioni dello scorso capitolo e ringrazio di cuore
chi è arrivato a leggere fino in fondo e chi mi lascerà un commento finale.
x
stellina250: grazie
davvero per i complimenti, sono contenta che ti sia piaciuta!
x LizzyLuna: ti ringrazio. Ti dirò, scrivere di Remus alle prese con
le pozioni è stata la parte più complicata: sono dovuta andare a cercarmi tutti
gli ingredienti per pozioni che potevano essere facilmente preparate da
studenti del primo anno. Insomma, ci è voluto di più per questo che per
scrivere il capitolo T__T però anche a me fa tanta tenerezza Remus. Spero tanto
ti sia piaciuto il capitolo conclusivo ^^
x truelena: in effetti penso non debba essere facile nemmeno leggere
un intero capitolo introspettivo, infatti mi meraviglio della pazienza che hai
tu, che ti sorbisci sia i monologhi di James che quelli di Remus XD però io e
l’introspezione ormai andiamo a braccetto, non riesco più a staccarmene. E
ripeto, ricevere le tue recensioni mi fa sempre e comunque piacere, anche se
sono meno lunghe del solito. Purtroppo poi mi sa che siamo nella stessa barca
per quanto riguarda la mancanza di tempo, infatti per quanto mi riguarda sto
lavorando al capitolo 15 dell’altra fanfic da quanto,
due settimane? Beh, insomma, di tempo per concluderlo ancora non ne ho trovato.
Grazie a dio ora sono in vacanza, anche se mi hanno riempito di compiti T___T
insomma, bando alle ciance, questa fiction è conclusa e spero ti sia piaciuto
anche quest’ultimo capitolo. Ora torno a concentrarmi sulle personalità
multiple di James XD a presto!