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Autore: Zomi    14/09/2012    6 recensioni
Alzo gli occhi sulla porta principale, accanto alla guardiola, notandone lo spessore rilevante e le rifiniture marcate, più simili ad ex sbarre di prigioni, che ad abbellimenti di una semplice porta ospedaliera. Sopra al bastione elevato dalla cornice della porta, intravedo una scritta bluastra e non molto nitida dalla mia posizione sdraiata.
Strizzo gli occhi per identificarla.
Is… Ist… Istitu… Istituto Ps… Psi… Psichat…
Mi alzo di scatto, mettendomi a sedere nuovamente, le mani che trafiggono il lenzuolo, la schiena intirizzita dallo stupore.
Istituto Psichiatrico Manari.
Il sudore m’imperla la fronte, colando veloce e gelido sui lati del viso, scivolando giù per il collo e scomparendo freddo sotto il colletto della maglia.
-Oddio…- mi sento mormorare lontana, come se non fossi io a parlare -… è un manicomio… sono ricoverata in un manicomio… Dio mio… credono che io sia pazza…-
[Non è una AU]
Genere: Avventura, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mugiwara, Nami, Roronoa Zoro | Coppie: Nami/Zoro
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Dottor Zenit Memoria

 
Lufficio non è molto grande.
È semplicemente una stanza quadrata. Due grandi librerie sullo sfondo, divise da una piccola porta scura, che conduce ad unaltra stanza, la tipica enorme scrivania in legno dabete da dottore, lucente e laccata, posta a sinistra della porta dingresso, coperta da un porta penne e da qualche cartella medica. Dietro ad essa, una decina di brillanti attestati medici notificano gli studi dello specialista, il cui nome scintilla a lettere dorate sul vetro ruvido della porta principale.
Una triste piantina orna un angolino della stanza, affiancando una terza libreria colma di saggi voluminosi e scuri, che fissano clinici la sedia legnoso e dura davanti alla scrivania.
Si, quella sedia.
La sedia del paziente.
La sedia su cui si siede il pazzo.
La sedia su cui sto seduta proprio in questo momento.
Stringo le mani tra loro, reggendole tremanti sul grembo, mentre butto unocchiata oltre la veranda dello studio. La vetrata da sul parco interno dellistituto, dominandolo in tutta la sua triste grandezza, governando sulle poche pallide panchine disposte ai lati delle mura di sicurezza, alte e con il filo spinato, e sulla ghiaia grigia e polverosa che sostituisce il tipico prato curato e verde degli ospedali.
Piccole pozzanghere colorano di un marrone fango il cortile, segno del passato acquazzone. Sposto lo sguardo lungo il profilo delle mura.
Di certo, il patio devessere usato per le attività esterne dellIstituto, regalando qualche attimo di finta libertà ai ricoverati.
Noto alcuni infermieri, che camminano pigri lungo le mura intere, fumando e chiacchierando nella loro pausa pranzo, buttando fugaci occhiate al palazzo principale del centro, nel fondo delle mura, e al portone principale dalla parte opposta, metallico e rinforzato.
Sospiro, riportando lo sguardo sulla scrivania, su cui torno a fissare la targhetta licente e placcata che lorna, riportando lo stesso nome che svetta sulla porta dellufficio: Dottor Zenit Memoria.
Mi mordo un labbro, nervosa.
Non appena mi sono risvegliata dal mio svenimento, la stucchevole infermiera dellastanteria, mi ha aiutato ad alzarmi dal letto, conducendomi qui nellufficio del primario.
-Lui saprà aiutarti- aveva sorriso dolce, facendomi inacidire lo stomaco.
Avevo semplicemente annuito, entrando nello studio, e pronta a fare di tutto, pur di avere delle risposte certe, ma per il momento non potevo far altro che aspettare larrivo di questo fantomatico dottore. Struscio le gambe tra loro, facendo stridere le scarpe basse e chiare che indosso, odiandole per la loro assenza di tacco. Scrollo le spalle, smuovendo le maniche enormi della maglia che indosso.
Linfermiera stucchevole, prima di condurmi qui, ha allentato le cuciture al livello dei polsi, rivelandoli come due elastici, che ha poi spostato fin sulle braccia, stingendole sotto alle spalle.
-Perché?- ho chiesto stupita, ma il suo solito sorriso falso mi ha risposto con un tacito silenzio.
-Qui qualcosa non va- mormoro, tra me e me, mordendomi un labbro.
Uno scricchiolio tenue, e la porta principale finalmente si apre.
Con passo lento e tranquillo, un uomo sulla quarantina entra sorridendo, reggendo sotto un braccio una serie di cartelle mediche.
Ha un sorriso diverso da quello dellinfermiera, più dolce e meno falso. Più umano direi.
Lo fisso senza aprire bocca, standomene seduta sulla sedia improvvisamente fredda per il nervosismo.
Ha i capelli bianchi, accompagnati da una barba curata e grigia che gli circonda tutto il viso. Sul naso, lucidi e fermi, un paio di occhiali sottili e in ferro, che circondano i suoi freddi e grigi occhi di dottore. Le labbra sottili, strette in un sorriso, sono pallide e secche, assetate di un qualcosa di non ben preciso.
-Salve- chiude la porta dietro di se, avvicinandosi alla sua scrivania - io sono il dottor Zenit Memoria-
Mi porge la mano, sedendosi elegante sulla sua poltrona in pelle rossa, leccandosi le labbra divertito.
-Nami- stringo velocemente la mano di sfuggita, raggelando per il suo tocco freddo e liscio. È come ghiaccio secco, e non mi sorprenderei di vederlo fumare di freddo.
-Ben venuta allIstituto Psichiatrico Manari, Nami sono certo che qui ti troverai benissimo- ripone le cartelle su un angolo della scrivania, per poi unire le mani sul ripiano in cuoio che ha davanti, libero da ogni tipo di carta.
-Non so se mi troverò bene- infosso lo sguardo su di lui e sul suo camice bianco e immacolato - non se nemmeno perchè mi trovo qui-
Il dottore sorride, fissandomi da sotto gli occhiali.
-Tranquilla, è normale-
-Normale?!? Le pare normale che io non ricordi assolutamente niente della mia vita, nemmeno di essere pazza?!? Le pare così normale?!?- sbotto stingendo i pugni lungo i fianchi.
-Vuol dire che la cura funziona- risponde calmo lui, rilassandosi sulla sua poltrona.
-Cura?!? Che cura?!? Contro cosa?!? Perché e chi mi ha porta qui?!?-
Sorridendo alle mie domande, il dottore si sfila gli occhiali, sventolando nellaria un lieve fazzolettino nero per ripulirli. Deglutisco, tentando di spegnere le fiamme dellincendio che brucia nella mai gola, arsa di risposte e in panico.
Con calma e pace assoluta, come se io non fossi nemmeno presente nella stanza, Zenit ripulisce i suoi occhiali, rifoderandoli poi con estrema eleganza. Punta il suo sguardo plumbeo su di me, sorridendomi compiaciuto.
-MI RISPONDA!!!- scatto dalla sedia, urlando spazientita dalla sua tranquillità fuori posto e irritante.
Voglio delle risposte e le voglio ora. Voglio sapere che mi è successo e perché sono qui, voglio sapere chi sono e che razza di cura a cui sono stata sottoposta per dimenticare tutto ciò che mi riguarda.
-Calmati Nami...- sorride bonario - sono qui per rispondere ad ogni tua domanda-
-Bene, perché è quello che voglio- mi risiedo, incrociando le braccia al petto.
-Perfetto devi sapere che tu eri in cura presso un altro centro psichiatrico, prima di giungere da noi ieri- racconta tranquillo e fissandomi - eri una schizofrenica sociopatica, e i tuoi precedenti dottori non erano in grado di curarti-
Mi mordo un labbro nervosa  e preoccupata. Schizofrenica sociopatica?
-È stato deciso, per il tuo bene, di trasferiti qui, e come di consuetudine sei stata narcotizzata affinché il viaggio di dislocamento non comportasse alcuni danni sulla tua instabile mente-
Annuisco, capendo il mio sonno profondo e la sonnolenza dei miei muscoli al mio risveglio nellinfermeria dellIstituto.
-Qui, al tuo arrivo quando ancora dormivi, sei stata immediatamente sottoposta ad una cura da me ideata. Una cura avanzata e rivoluzionaria, che mi ha permesso di aiutarti e curarti-
-Che tipo di cura?- chiedo con tono nervoso e mal trattenuto.
Il dottore sorride inclinando il capo su un lato.
-Ti ho cancellato la memoria-
-C-cosa?!?- sgrano gli occhi incredula e spaventata.
-Cancellando ogni tuo ricordo della tua vita, tranne alcuni dati scelti e basilari, ho eliminato anche la causa della tua follia, rimuovendo quellevento scatenate che ha causato dentro di te il tuo crollo psicologico-
Deglutisco a fatica, aggrappandomi alla sedia in cui mi sento affondare.
-Mi ha cancellato i ricordi per cancellare anche la mia pazzia?!? Come?!?-
-Tramite un farmaco da me ideato, sono stato in grado di rassettare la tua memoria nella tua vita, prima del tuo ricovero nel tuo ex ospedale, devi aver subito un qualche shock violento e spaventoso, da cui la tua mente ha tentato di proteggersi creando in te il tuo precedete stato di schizofrenia sociopatica io, cancellando tale evento, ho annullato anche la tua malattia-
Gli occhi mi pizzicano di lacrime di paura, mentre mi porto le mani tremanti alla bocca, per reprimere ogni singhiozzo.
-Io non ricordo niente di tutto ciò- sussurro piano.
-È stato per il tuo bene- afferma il dottore - potevi essere un pericolo per te stessa e gli altri-
Una lacrima fugge al mio controllo, scivolando giù per il profilo del volto, bagnandomi lo zigomo e la guancia.
-Quindi quindi ora che mi succederà? Dovrò ricominciare tutto da capo? La mia vita, i miei affetti, il lavoro?!?-
-Tranquilla per un periodo di tempo, sarai seguita qui nellIstituto, per aiutarti a recuperare i tuoi ricordi e controllare quello in particolare che ti ha reso pazza, affinché non accada più sarai curata e aiutata, e presto tornerai alla tua vita di sempre-
Annuisco, fissando quegli occhi grigi e foschi, che mi osservano studioso.
Rabbrividisco, e un qualcosa dentro di me, di profondo e irremovibile dal mio animo, mi mette in allerta, imponendomi il divieto di fidarmi totalmente del dottor Zenit.
-Resterò qui allora nellIstituto?- balbetto insicura.
-Si avrai una stanza tutta tua e contatti con gli altri pazienti. A tal proposto, il tuo nome sarà celato a tutti gli altri degenti, onde evitare qualche spiacevole incidente-
-Che intende dire?- aggrotto le sopracciglia.
-Tu sarai Arancione, dora in poi- mi battezza sorridendo - non dovrai rivelare a nessuno il tuo vero nome è per il tuo bene e degli altri pazienti ipotizza che levento scatenate di follia, di un altro malato, riguardi una ragazza con il tuo stesso nome: conoscendoti, questo mio paziente potrebbe avere una ricaduta e lo stesso vale per te-
-Quindi non sarò più Nami, ma Arancione? Per il colore dei miei capelli?- alzo un sopracciglio ironica, arricciandomi una ciocca di rame.
-È un nome come un altro, serve solo per identificarti niente di più- sorride amabile.
Un brivido mi attraversa la colonna vertebrale, e una scintilla scoppia nella mia mente: sta mentendo.
Mi mordo un labbro, non convinta della sua spiegazione. È come se, dentro di me, avessi un sensore naturale contro le bugie e i raggiri, un sesto senso anti inganno, e ora, questa mia natura, sta urlando un grido dallarme acuto e dirompente.
-Va bene- annuisco mentendo, fidandomi più di me stessa e della mia natura, che di questuomo.
-Perfetto allora ora puoi andare nella tua stanza, e magari far conoscenza con gli altri pazienti-
Si alza leggero dalla scrivania, invitandomi, con un gesto della mano, ad uscire dal suo ufficio. Fletto appena le gambe, per alzarmi dalla sedia, ma mi fermo a metà del movimento.
-Dottore- lo chiamo piano, attirando la sua attenzione.
Lui mi scruta curioso, sbattendo le palpebre dietro gli occhiali fini.
-Si, Arancione?- sussurra cordiale.
Torno a sedermi fissandolo.
No, non riesco ad accettare di aver perso la memoria. Io voglio sapere chi sono, e se anche lo ricorderò stando qui, lo voglio sapere ora, subito.
Non posso perdere, senza lottare, ventanni della mia vita, accettando questo stato di limbo di assenza totale di memoria. Io pretendo di sapere chi sono.
Mi mordo un labbro, rimuginando una domanda precisa a cui di certo non potrà non negarmi risposta, tentando di comportarmi con finta gentilezza e ipocrisia, come nellinfermeria, pur di ottenere ciò che voglio. Lecco appena il profilo interno delle labbra, per poi sorridere fingendomi impacciata e intimorita.
-Io io vorrei sapere che si intende per schizofrenia sociopatica-
Ai miei occhi pieni di paura per ciò che mi affliggeva, il dottor Zenit sorride pietoso.
Bingo!!! Non può rinunciare a sfoggiare tutto il suo sapere nel campo medico.
-La schizofrenia sociopatica spazia da soggetto a soggetto- risponde generico, fingendo disinteresse nel rispondermi seriamente, ma trattenendosi a mala pena dallaprire una conferenza sullargomento.
-Ma in generale?- insisto, avvicinandomi alla scrivania.
-In generale, le persone schizofreniche sociopatiche, vivono in una realtà tutta loro creandosi una vita parallela e lontana dallevento che le turba psicologicamente, e dalle persone che le circondano-
Il suo tono dotto e colto gronda di piacere nel dimostrare tutto il suo sapere, lubrificandosi al suono della sua stessa voce. I suoi occhietti grigi silluminano bramosi di essere idolatrati, assetati di meriti e devozioni.
Assottiglio lo sguardo e sorrido, sentendolo ormai bisognoso dei miei dubbi, a cui desidera rispondere per la voglia di dimostrarsi esperto.
-Capisco- annuisco impostora - e nel mio caso? Chi credevo di essere?-
Mi fissa stordito, boccheggiando nellaria.
-Non credo sia un bene che tu lo sappia- sussurra.
-Prima o poi lo ricorderò comunque- sorrido sbattendo le ciglia - meglio prima che dopo, no? E poi, se era una realtà falsa, che male potrebbe farmi, ora, che vivo in quella vera?-
Lo fisso rimuginare velocemente nel suo cranio bianco e stracolmo di nozioni psicologiche e neuro psichiatriche, ricercando un qualche motivo per contraddirmi. I suoi occhi mi trapassano, perdendosi a fissare i saggi che dormono nella libreria dietro le mie spalle.
-Dovrei controllare- mormora, portandosi una mano al mento barbuto.
-Io non ho fretta- mi accomodo sulla sedia, accavallando le gambe negli short bianchi, e reggendomi il capo ramato con una mano.
Schiocca la lingua sulle labbra, e poi sinchina sui cassetti della sua scrivania. Apre uno sportellino, al di sotto di due cassetti, armeggiando con la combinazione di una piccola cassaforte nascosta al suo interno.
Di certo, un archivio in cui conserva ogni cartella dei suoi pazienti, con nome e tutti i dettagli della vita che ha cancellato.
Traffica un po con la serratura, facendo roteare la lancetta della cassetta di sicurezza. Sento la lancetta roteare ferrosa tra gli ingranaggi, ricercando i numeri della combinazione: un rullare breve, uno lungo, uno che retrocede di non molto
 tre nove cinque
Al mio orecchio, i cigolii scordati giungono distinti e chiari, traducendosi in numeri e serie perfette, memorizzandosi meccanicamente e senza errori. Senza che veda le mani fredde del dottore ruotare veloci la manopola della casetta blindata, al solo suono della combinazione so perfettamente il codice di apertura dellarchivio dei pazienti.
Sorrido soddisfatta.
Non so come ci sia riuscita, se sia unabilità che possiedo da sempre, o che sia un ricordo di ciò che ero prima di diventare pazza, come il fingere e il mentire abilmente con linfermiera dal sorriso stucchevole, o il non fidarmi del tutto del dottore. So solo che mi è naturale essere così abile nel mentire e capire i raggiri, nellottenere ciò che voglio senza usare la forza.
Mi mordo un labbro nervosa: accidenti, ma chi ero, e come ho acquisito una natura così truffaldina e malfidente?
-Ecco qui- riemerge dalla cassaforte il dottore, estraendo un voluminoso plico di scartoffie - dunque Nami Nami Nami- ricerca il mio nome tra carte e schede - ecco: credevi di essere un pirata la navigatrice di un famoso pirata, per la precisione-
Chiude secco lo schedario, sorridendomi rispettoso.
-Avevi una fervida immaginazione- mi sorride amichevole.
-Si, lo credo anchio- ammetto.
È strano, ma è come se quella bugia della mia mente, quella mia vita parallela di avventure e tesori di pirati, mi appartenesse davvero, fosse stata mi sul serio. Sento le vene bruciarmi sotto la pelle, ribollendo di gioia nel risentire ciò che credevo dessere, e il cuore martellarmi felice e voglioso di libertà, quella libertà che devo aver  trovato nei mari immaginari della mia mente. Sento di essere stata davvero un pirata, un pirata libero e felice.
Sospiro, stringendomi nelle spalle. Ma che penso?!?
Io un pirata? Possibile?
Forse, ero davvero pazza
-Grazie per la gentilezza- mi alzo dalla sedia, avviandomi verso la porta.
-Ricorda il tuo nuovo nome- mi ricorda seguendomi con lo guardo, mentre apro la porta.
-Lo farò- annuisco.
-E rispetta le regole che ti le infermiere timporranno per evitarti delle crisi di follia-
Mi volto sorpresa verso il dottore.
-Del tipo?-
-Non toglierti mai la maglia, non disegnare, non uscire dalla tua stanza se piove o cè vento- elenca sapiente, alzandosi dalla scrivania e avvicinandosi a me - e soprattutto, non mangiare mai mandarini-
Sorrido in mezzo respiro.
-Mangiare mandarini mi farebbe tornare pazza?!? Al massimo mi eviterebbe di aver lo scorbuto- ridacchio.
-Fidati di me- sorride, posando una mano sulla mia spalla sinistra.
Una scarica elettrica scivola dalla scapola fino alla mano, scintillando stridendo dentro di me, attraversando in un lampo il mio sistema nervoso. Sobbalzo, perdendo un respiro. Mi distanzio, staccandomi dal suo tocco uscendo dallo studio e incamminandomi verso linfermeria sorridente, che mi attende per condurmi alla mia stanza.
-Si- annuisco al dottor Zenit, rabbrividendo.
Ora so, con certezza assoluta, che non devo fidarmi di lui.
Me lo dice tutto in me: dalla mia mente svuotata dai ricordi, al mio corpo ringhiante di rabbia contro le balle raccontatemi, e dalla voglia intensa e insopportabile di un mandarino, natami dentro proprio in questi ultimi 5 secondi.
No, non posso fidarmi del Dottor Zenit Memoria.

   
 
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