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Autore: Zomi    07/09/2012    7 recensioni
Alzo gli occhi sulla porta principale, accanto alla guardiola, notandone lo spessore rilevante e le rifiniture marcate, più simili ad ex sbarre di prigioni, che ad abbellimenti di una semplice porta ospedaliera. Sopra al bastione elevato dalla cornice della porta, intravedo una scritta bluastra e non molto nitida dalla mia posizione sdraiata.
Strizzo gli occhi per identificarla.
Is… Ist… Istitu… Istituto Ps… Psi… Psichat…
Mi alzo di scatto, mettendomi a sedere nuovamente, le mani che trafiggono il lenzuolo, la schiena intirizzita dallo stupore.
Istituto Psichiatrico Manari.
Il sudore m’imperla la fronte, colando veloce e gelido sui lati del viso, scivolando giù per il collo e scomparendo freddo sotto il colletto della maglia.
-Oddio…- mi sento mormorare lontana, come se non fossi io a parlare -… è un manicomio… sono ricoverata in un manicomio… Dio mio… credono che io sia pazza…-
[Non è una AU]
Genere: Avventura, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mugiwara, Nami, Roronoa Zoro | Coppie: Nami/Zoro
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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ZENIT: DOVE I RICORDI SI ECLISSANO

 
 

Brutto risveglio
 

 
Il rombare del tuono echeggia violento e improvviso, illuminando il soffitto di un bianco accecante.
Mi sveglio di soprassalto, spaventata e con il cuore che batte a mille, spaventato dal boato rombante che ora si disperde in lontananza.
Mi sento frastornata, come se avessi dormito per giorni interi, e ora il mio corpo è totalmente indolenzito. Sbatto le palpebre un paio di volte, cercando di abituarmi al chiarore estraneo del soffitto che mi sovrasta, tentando di capire dove mi trovo. Un leggero picchettare mi avverte delle prime gocce di una leggera pioggia, che canticchiano contro i vetri di una finestra. È un suono dolce, gentile e fresco, che mi calma un po’, aiutandomi a capire dove sono.
Sono in un letto.
Morbido, caldo e insolitamente profumato di antisettico.
Mi metto a sedere tra le lenzuola candide, reggendomi il capo con una mano, mentre i miei capelli rossi mi cadono davanti agli occhi. Mi gira la testa, e devo concentrarmi per mantenere gli occhi aperti e capire ciò che mi circonda.
Tutt’intorno a me, ordinati e immacolati, decine di letti vuoti filano su due linee uguali, una in cui è compreso anche il mio letto, l’altra sul lato opposto, divisi da un lungo corridoio che vi corre in mezzo. Accanto ad ogni giaciglio c’è un piccolo sgabbellino, grigio e triste, che distanzia di una manciata di centimetri ogni letto dall’altro. Non c’è altro arredamento, solo qualche finestra senza tende che illumina lo stanzone in cui mi trovo, illuminandone i grandi e alti muri grigi fino alle sponde del letto, e poi bianchi fino al soffitto, da cui pende una fila continua di lampade giallognole, traballanti e flebili.
Smuovo le spalle, indolenzite ancora dal sonno, sgranchendomi le gambe sotto il lenzuolo. La testa mi fa male, come se fossi stata picchiata da un martello.
-Accidenti…- mugugno, mentre un altro tuono rimbomba fuori dalla finestra.
Punto lo sguardo sulla vetrata, fissando i nuvolosi, scuri e grigi, caricarsi di pioggia, pronti a scaraventare un temporale con i fiocchi proprio su… su…
Sobbalzo senza parole.
Oddio. Non so dove mi trovo.  Non ho la più pallida idea del luogo in cui sono!!!
Inizio ad ansimare presa dal panico, guardandomi attorno in cerca di qualcuno a cui possa chiedere spiegazioni. Deglutisco, stingendo nelle mani il lenzuolo, e respirando a fatica. Nella penombra della stanza non c’è nessuno. Sono io l’unica occupante dei letti.
Il respiro accelera nel mio petto, accompagnando il martellante battere spaventato del mio cuore.
Ok, calma. Calmati Nami. Ragioniamo.
Ultimo ricordo di ieri?
Mi concentro sui miei piedi, fermi tra le coperte, concentrandomi mentre ricerco qualsiasi dettaglio del giorno prima.
No, niente, nessun ricordo.
Non ho memoria di cosa ho fatto ieri, di cosa ho mangiato o di dove mi trovassi. Non mi ricordo niente di niente. Prendo un profondo respiro, portandomi una mano alla fronte imperlata di sudore.
Provo a spremermi le meningi per trovare uno straccio di ricordo riguardo al giorno prima, o al precedente, ma nessuna reminescenza mi appare davanti agli occhi, lasciandomi senza fiato.
Deglutisco a vuoto, terrorizzata, sentendo la gola secca. Accidenti!!! Ma dove cavolo sono?!? E perché sono qui?!? Come ci sono arrivata?!?
Torno a guardarmi attorno, analizzando anche i vestiti che indosso.
Alzo appena il lenzuolo che mi ricopre, giusto per essere certa che ci sia veramente qualche vestito a vestirmi, tirando un sospiro di sollievo vedendo un paio di short bianchi alle gambe e una maglia bianca sul petto, con le maniche lunghe che si stringono al livello dei polsi. Non so se siano miei, questi indumenti, ma non sono proprio il tipo da indossare certa roba candida e priva di colore.
Aggrotto le sopraciglia, capendo che qualcuno deve avermi cambiata d’abito, mentre dormivo.
Mi passo una mano tra i capelli sciolti, tentando di ragionare.
Ok, che luogo può essere, uno in cui ci sono decine di letti, tutti perfettamente ordinati e puliti, in un’unica camera, in cui ti vestono di bianco e ti lasciano dormire per giorni senza disturbarti?
Mi metto dritta con la schiena contro lo schienale del letto.
-Un ospedale…- sussurro –Questo è un ospedale… quindi…- mi fisso le mani -… sto male?-
Uno scricchiolio acuto e ferroso interrompe i miei pensieri, e da una piccola porticciola alla mia destra, entra una donnina non più alta di un metro, che avanza a passi veloci e piccoli verso di me, sfoggiando un sorriso a trentadue denti.
-Ben svegliata…- sorride mielosa ad almeno tre metri da me, affettandosi a chiudere la finestra che costeggia la parete dietro al letto, celando ogni cenno dell’acquazzone che si abbatte fuori dall’edificio..
-Salve…- saluto osservandola.
Porta i capelli raccolti sotto una cuffietta rettangolare bianca, una divisa tutta d’un pezzo, gonna e camicia, candida come neve. Piccole ciabatte chiare ai piedi e calze sottili e lunghe fino al ginocchio. Se questa non è un’infermiera, allora fuori c’è un sole che spacca le pietre.
Veloce e sorridente, apre una cartellina che porta sotto braccio, facendo scattare una penna in un clic inquietante, afferrandola veloce dal taschino che ha sulla sinistra del petto.
-Nome?- sorride con occhi a mezza luna.
-Ehm… io…- balbetto, incerta se risponderle o meno -… io vorrei sapere cos…-
-Nome?- m’interrompe, sorridendo amabile.
Deglutisco, disorientata da quel sorriso falso quanto inquietante, mordendomi un labbro fissandola.
-Nami…- rispondo, rimandano a dopo le mie domande.
Veloce, lei annota sulla cartellina la mia risposta, annuendo cordiale.
-Età?-
-Ho 20 anni…- affermo, dopo aver ricordato incerta la mia data di nascita.
-Provenienza?-
-Vengo dal mare settentrionale…-
Annota ancora, alzando e abbassano il capo sempre con quel sorriso stampato sulle labbra. Stringo forte le mani attorno alle lenzuola, fissandola ansiosa di sapere che ho.
-Bene, si ricorda le conoscenze basi…- annuisce tra se e se, alzando il viso verso di me e sorridendomi stucchevole.
-Professione?-
-Io sono…- ma mi blocco.
Boccheggio cercando le parole giuste, quelle che si riferiscono al mio lavoro, ma non le trovo. Non so quale sia il mio lavoro, non ne ho la più pallida idea.
Sgrano gli occhi, puntandoli nel vuoto, ricercando dentro di me il ricordo di un qualche mestiere, ma trovo solo il vuoto, e la totale assenza di risposte.
-Bene…- sorride la donna, prendendo nota del mio silenzio e scribacchiando sul suo blocchetto.
-Come bene?!?- sbotto irascibile –Non mi ricordo il mio lavoro!!! Come può essere un bene?!?-
Ma l’infermiera continua a sorridermi, e continua il suo interrogatorio.
-Ricorda qualcosa di ieri?- domanda angelica.
-No!!!- ringhio furiosa –Ne del giorno prima, ne di quello prima ancora!!!!-
-Bene, bene, molto bene…- annuisce soddisfatta.
Ma che prende in giro?!?
Non ricordo altro che il mio nome, quanti anni ho e da dove vengo, nient’altro, e tutto ciò sarebbe un bene?!?
-Scherza?!?- domando sporgendomi verso il suo sorriso mieloso e irritante –Non ho memoria di niente, se non di poche cose, e sarebbe un bene?!? Esigo delle spiegazioni!!! Dove sono?!? Che ci faccio qui?!? Che posto è questo?!? E perché non mi ricordo niente del mio passato?!?-
Ansimo presa dal panico, digrignando i denti e sbuffando contro la donna, che continua a sorridermi falsa.
-E la smetta di sorridere!!!!- grido –Non c’è niente da sorridere!!!!-
Provo ad alzarmi dal letto, spostando le coperte, ma lei mi blocca, prendendomi per le spalle e spingendomi verso il materasso.
-Su, su signorina…- sussurra compiacente –Nelle sue condizioni deve stare calma…-
-Calma?!? Io non posso stare calma!!!- mi divincolo dalla sua presa, buttando a terra le coperte –Voglio parlare con un suo superiore!!! Voglio delle spiegazioni, e le voglio ora!!!-
Con una spianta, mi libero dalla presa delle sue manine piccole e fredde, alzandomi a sedere sul letto, puntando il mio sguardo di nocciola su di lei.
L’infermiera inclina il capo sorridendo su un alto, stringendo la cartellina al petto e non accennando nemmeno all’ombra di qualche leggero fastidio per la mia insistenza e irascibilità.
-Deve stare calma signorina…- raccoglie docile le coperte da terra –Deve riguardarsi…-
-Cos’ho?- domando secca, piegando le gambe al petto.
-Credo che una dormita le farebbe bene…-
La fumino, stanca del suo eclissare le mie domande. Arriccio le labbra, fissandola mentre posa la cartellina sullo sgabello, per avere le mani libere e piegare al fondo del letto i lenzuoli.
Sulla plastica trasparente del blocco, intravedo una scritta in blu, semi nascosta dall’esile mole della donna. Mi tendo in avanti, per leggerla, ma subito l’infermiera si alza dal letto, sorridendomi bonaria e impedendomi di leggerla del tutto.
-Perché sono qui, all’Istituto Manari?- chiedo svelta, riferendomi al mezzo nome che sono riuscita a leggere sulla cartellina.
-Per essere curata…- riprende in mano la scheda svelta.
Oh, finalmente una risposta decente!!!!
Quindi questo è davvero un ospedale. Ma come ci sono arrivata fin qui?
Non ricordo di esserci arrivata con le mie gambe, o di essere stata accompagnata da qualcuno, ne di visite specialistiche per chissà quale patologia da cui sarei affetta.
Abbozzo un sorriso, portandomi una ciocca di capelli dietro un orecchio.
-Chi mi ha accompagnato fin qui?- sbatto le ciglia, fingendomi più mansueta e calma, sorridendo finta. Se la politica di questo ospedale è l’ipocrisia, hanno trovato pane per i loro denti. Nessuno è più falso e doppio giochista di me, è una caratteristica che ho imparato ad avere nel sangue, anche se non ne ricordo più il motivo ne dove l’abbia acquisita.
-I tuoi dottori…- risponde cordiale, chiudendo gli occhi a mezza luna.
-Ero già in cura presso un altro ospedale?- sobbalzo agitandomi –Sto così male che mi hanno trasferita qui perché non sapevano curarmi?-
La donnina continua a sorridermi dolcemente, avvicinandosi di pochi passi. Sento il suo pesante profumo di medicinali precedere il suo avanzare, e quando mi è praticamente accanto, una zaffata di alcol e morfina mi intasa le narici.
-Qui sarai curata meglio… il Dottore Zenit saprà aiutarti…- sussurra in un soffio.
-Dottor Zenit? Chi è?-
-È il primario…- annuisce, gongolante nel poter idolatrare il suo capo anche solo nominandolo.
Deglutisco, mordendomi un labbro, incerta di sapere veramente ciò che sto per chiedere.
-È una malattia grave, la mia?- mormoro appena, spaventata.
Forse è per colpa sua se non ricordo niente. Fisso interrogatrice la piccola donna, che sorride inquietante, osservandomi caritatevole.
-Non più degli altri ospiti…-
Non sono sola, quindi. Altri malati abitano l’edificio. Forse sono qui, in quest’austera infermeria, perché mi sono sentita male o per degli accertamenti. Smuovo le labbra, osservando l’infermiera alzare le coperte e invitarmi, con quel suo sorrisetto odioso, ad infilarmi sotto di esse per riposare. Ubbidisco, capendo che per ricevere delle risposte devo accettare le cure di questa svitata.
-Cos’ho esattamente?- mi stendo sul materasso nauseamente candido.
-Sta tranquilla, il Dottore ti curerà dal tuo male…- mi rimbocca le coperte fino al collo -… e presto starai meglio…-
Sorride, allontanandosi veloce da me e dirigendosi verso la guardiola a fine camerata, camminando con quei suoi passetti piccoli e veloci, non lasciandomi tempo per chiederle altro. Assottiglio lo sguardo, puntandolo su di lei e fissandola astiosa per la sua stupida cortesia irritante.
Lascio scivolare lo sguardo sulle sue braccia corte e secche, così strette attorno alla sua cartellina, e sulle sue gambette veloci e scattanti.  Le tiro una linguaccia, rabbiosa per le poche risposte estrapolate.
Veloce e sorridente, raggiunge la sua postazione di guardia, una piccola scrivania dentro una stanzetta in legno che si affaccia sulla camerata, immergendosi tra mille scartoffie più alte di lei, che abbondano sul ripiano. Vorrei poter incendiare quel casotto, solo per il piacere di dar sfogo alla mia rabbia.
Sospiro e cerco di raggruppare le idee, ma per ora so solo che sono affetta da qualche malattia strana, che forse ha a che fare con le amnesie, e che di me so solo il mio nome, e pochissimo altro.
Alzo gli occhi sulla porta principale, accanto alla guardiola, notandone lo spessore rilevante e le rifiniture marcate, più simili ad ex sbarre di prigioni, che ad abbellimenti di una semplice porta ospedaliera. Sopra al bastione elevato dalla cornice della porta, intravedo una scritta bluastra e non molto nitida dalla mia posizione sdraiata.
Strizzo gli occhi per identificarla.
Is… Ist… Istitu… Istituto Ps… Psi… Psichat…
Mi alzo di scatto, mettendomi a sedere nuovamente, le mani che trafiggono il lenzuolo, la schiena intirizzita dallo stupore.
Istituto Psichiatrico Manari.
Il sudore m’imperla la fronte, colando veloce e gelido sui lati del viso, scivolando giù per il collo e scomparendo freddo sotto il colletto della maglia.
-Oddio…- mi sento mormorare lontana, come se non fossi io a parlare -… è un manicomio… sono ricoverata in un manicomio… Dio mio… credono che io sia pazza…-
Forse è la stanchezza, forse lo choc della scoperta di essere creduta pazza, forse la mancanza di ricordi della mia vita, forse i sorrisi falsi dell’infermiera che mi hanno ubriacata, ma svengo e cado tra i cuscini maleodoranti di calmanti dell’infermeria dell’Istituto Psichiatrico Manari.

   
 
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