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Autore: Katekat    15/09/2012    3 recensioni
Sentirsi una pagina bianca su cui nessuno si è mai dato la pena di scrivere.
Terribilmente vuoto.
Non rimane più nulla. Solo rabbia.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Rodolphus Lestrange | Coppie: Rodolphus/Bellatrix
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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White Blank Page
 
 
 
 

Alla mia cara Emerlith,
che condivide la mia passione per i Casi Disperati,
sperando che sia di suo gradimento
 
 
 
 
 
Te ne stai lì disteso con gli occhi sbarrati che fissano il soffitto senza vederlo.

Diafane dita lunari s’insinuano tra le tende, si rincorrono sulla moquette, s’inerpicano sul letto, scivolano lungo le lisce dune delle lenzuola viola... fino al tuo cuscino, fino a te.
Riflettono nei tuoi occhi il bagliore mobile e tremulo di due pozze increspate d’acqua sotterranea.
Nei tuoi occhi s’inseguono mille e un pensiero, uno più infelice di un altro, accompagnando lo smuoversi agitato della superficie frusciante.

Percepisci il tuo corpo abbandonato sul letto, le membra stirate in un torpore indolenzito.
L’aria fresca che ti solletica appena la pelle nuda.
La carezza vellutata del buio sugli occhi.
Il calore del suo corpo – quello sormonta tutto il resto, travolge qualsiasi altra sensazione.
Anche se non la tocchi, lo avverti. Lo senti sprigionarsi dalla sua carne come un’aura quasi palpabile, avvolgerti nella sua malia arcana eppure familiare.

Ascolti il respiro regolare di lei sovrapporsi a quello che esala dalle tue labbra.
Ti chiedi perché ti venga automatico, naturale, accordare il ritmo del tuo respiro al suo.
Non riesci a farne a meno. Forse perché così hai l’illusione di sentirla più vicina? Di poter penetrare dietro le sue palpebre abbassate fin nella sua mente, che così accuratamente e gelosamente ti tiene nascosta; nei suoi sogni più segreti, nel cuore dei suoi fondi incubi e dei suoi neri desideri, da dove – lo sai – sei bandito?

Bandito.

Lei non ti vuole lì.
Non ti vuole dentro di sé né da nessun’altra parte.
Lei non ti vuole.
 

 
Can you lie next to her
And give her your heart,
your heart
As well as your body
 
 

Riesci a sentire il suo calore, mentre giaci al suo fianco, e ti senti come ustionato.
Contaminato. Avvolto. Distrutto.


Come ogni notte, le dai il tuo corpo – come lei ti dà il suo.
Ma tu ci metti anche il cuore – lei mai.
Lei esige e tu la accontenti.
Perché dentro di te continui a covare la flebilissima speranza che prima o poi, a furia di scavare dentro di lei, di affondare nella sua pelle e nei suoi gemiti umidi e nei suoi ringhi urlati, riuscirai a raggiungere il suo cuore e a strapparne via un pezzettino – da tenere insieme al tuo; da cullare e adorare come il tesoro più prezioso.
E davvero sarebbe il più prezioso su cui ambiresti a mettere le mani: il cuore di tua moglie.

Lei se ne accorge che tu ci metti il cuore – lo sente.
E la diverte ricambiare il tuo amore con puro sesso, il tuo attaccamento con distacco, la tua adorazione con disprezzo.
Il suo corpo dice che ha bisogno di te solo per quei pochi minuti – il tempo di prendere fuoco, spasimare in un incendio dilaniante e altrettanto rapidamente morire in braci fumose.
Immediatamente dopo, torni a essere nulla per lei.

Sì, almeno c’è qualcosa che lei vuole da te, che ti richiede con forza, notte dopo notte, e che tu sei troppo debole – e troppo smanioso – per negarle.
Sì, lei almeno desidera il tuo corpo, ma non ti basta; non ti consola.
Vorresti che volesse tutto di te – come tu la vuoi tutta, lei.

Non è un conforto per te, anzi… ti sentiresti umiliato, usato, sfruttato, se non fosse che il tuo stesso desiderio ti impedisce di tirarti indietro.
Ti rende un po’ più padrone della situazione, ma è solo un’illusione – anche a letto, è lei a comandare.
Puoi convincerti del contrario, se vuoi, ma sai che è così.
Non riesci neppure a negarle te stesso.

Puoi illuderti di essere tu il più forte, quando lei ti urla il suo orgasmo nell’orecchio.
Ma nel profondo sai che non è così. Nel profondo riconosci la sua supremazia.
Sai che è lei a concederti temporaneamente il dominio sul suo corpo.
Ma non avrai mai accesso a quello che c’è dentro.
 

 
And can you lie next to her
And confess your love,
your love
As well as your folly
 

 
Una volta, giacevi al suo fianco proprio come adesso.
Lei ti aveva appena spinto via, dopo aver fatto l’amore, e accomodava il suo corpo ancora umido tra le lenzuola con la grazia distratta di un micio, cercando la giusta posizione – dandoti le spalle, come sempre.

E tu, guardando il soffitto come adesso, avevi aperto la bocca e detto: «Io ti amo».
Parlavi a te stesso, più che a lei.
Le tue parole erano rotolate nel silenzio della stanza, che fino a pochi minuti prima era stato saturo delle sue urla e dei tuoi gemiti – dei suoi gemiti e delle tue urla.
Parole infilate a forza tra spezzoni del tuo respiro ancora ansimante.

Con la coda dell’occhio avevi scorto le spalle di lei irrigidirsi. I tuoi occhi si erano fissati sulla sua bianca schiena flessuosa, percorrendola dalla nuca corvina fino ai rilievi dei glutei che si arrotondavano alla base della spina dorsale.
Avevi percepito la differenza – nervosa diffidenza impadronirsi di lei, prendendo il posto della sonnolenta pigrizia che sempre incombe sul desiderio soddisfatto.

Eri certo che avrebbe fatto finta di non sentire, come faceva finta da anni.
Le sue orecchie rimanevano costantemente e ostinatamente sorde alle tue parole, fossero esse di minaccia o di persuasione, di rabbia o di tenerezza.
Sorda al tuo amore. Ermeticamente chiusa. Impermeabile, immune, inespugnabile.
E il tuo amore a infrangersi ogni volta impotente conto la muraglia del suo mutismo e della sua indifferenza.

Invece lei, lentamente, molto lentamente, si era voltata. I suoi occhi neri erano scintillati per un attimo alla luna, prima di essere risucchiati nel buio che ti impediva di vedere il suo viso, di leggere la sua espressione.
Ti aveva guardato per un attimo in silenzio.
Immaginavi cosa stava per accadere: ti avrebbe riso in faccia, conoscendola. Ti avrebbe schernito e disprezzato ancora una volta.
Ma tu non avresti dovuto esserci abituato? Erano anni. Era una vita. Era così da sempre.
Anche se non smetteva di fare male. Mai.


Ogni volta ti ripromettevi di essere coriaceo. E ogni volta ti riscoprivi carta velina.
E tornavi a strapparti e sanguinare.
La ferita era diventata piaga. La piaga era diventata ulcera.
Non sarebbe mai guarita in cicatrice – ne morirai, e lo sai.


All’improvviso lei aveva teso una mano; con l’indice ti aveva accarezzato il viso, le labbra.
«Dormi, Rodolphus.»
Era tornata a voltarsi dall’altra parte e non aveva detto più niente.
Neppure tu avevi più aperto bocca, quella notte.

Non ti aveva chiamato Roddie. E non aveva nemmeno riso né si era fatta beffe di te.
Era una cosa che accadeva molto di rado.



Avresti voluto dirle anche un’altra cosa: «Sono pazzo di te. Sono pazzo».
Perché solo un folle potrebbe accontentarsi di briciole, potrebbe continuare a stare con una donna che ama un altro.
Ma sei intrappolato, Rodolphus – tra il dolore che quell’amore mutilato ti causa e la certezza che, senza di lei, saresti più mutilato e derelitto che mai.
Perché lei è parte di te.
O meglio, tu le hai dato una parte di te stesso, se non tutto te stesso.
E, se lei se ne andasse, di te non rimarrebbe più nulla – solo il tuo spettro, forse, quello che ogni tanto s’intravede nelle ombre violacee sotto i tuoi occhi; nel tuo sguardo malinconico e fisso sui suoi gesti, sul suo corpo, sulla sua risata; nel pallore della tua pelle che ogni tanto ricorda la sua, bianca e sottile come quella di una bambola di porcellana.
Solo che lei non è una bambola; è il lupo cattivo.
E non è fatta di porcellana, ma di acciaio.
Inflessibile.
 

 
And can you kneel
before the King
And say I’m clean
I’m clean
 
 

Ma ciò che più sorprende di te, Rodolphus Lestrange, non è solo come tu faccia ad amare una donna – questa donna –, e dopo tutto questo tempo continuare ad amarla, dopo tutto quello che è e quello che ti ha fatto e continua a farti, e quello che hai subito da lei e perso per colpa sua, e quante volte – innumerevoli – tu ti sia piegato, e umiliato, e sottomesso e inchinato e acconsentito, e taciuto, e fatto finta di non vedere, e sperato – sempre –, e implorato ed elemosinato – e preteso – un briciolo di un amore che non è disposta a darti, mai.

Ciò che più sorprende – perché, davvero, non è da tutti, non è umano, a tratti – è come tu riesca a servire Lord Voldemort e a continuare a considerarlo tuo Padrone, e a obbedirgli, e chinare il capo davanti a lui, e a guardarlo negli occhi e a parlargli con tono indifferente, con viso imperscrutabile, e a essergli sinceramente fedele, quando è Lui che ti ha portato via tua moglie.

Come fai a presentarti al suo cospetto con la mente e il cuore puliti e la fedeltà ancora intatta, nonostante la tua anima venga quotidianamente demolita a picconate dall’ossessione che Bellatrix nutre per lui?
Come fai a continuare, nonostante tutto, a essere un Mangiamorte – il suo Mangiamorte – , a servirlo e a profondere ogni tuo sforzo per assecondare i suoi desideri ed eseguire prontamente i suoi ordini?
Non ti è mai passato per la mente di ribellarti, di tradirlo, di rifuggirlo, di allontanarti da lui, di urlargli addosso, di – sì, di... ucciderlo?

Ma certo che ci hai pensato. Parecchie volte. Innumerevoli notti trascorse insonni a vegliare il respiro di tua moglie, a fissare impotente la sua schiena levigata: nitido, muto segno della sua granitica indifferenza.
Perché non lo fai? Perché hai un alto concetto dell’onore.
Hai fatto un giuramento, anni fa, quando accettasti di farti incidere il Marchio nella carne viva. Non puoi venire meno a un giuramento, anche se è a Lui che lo hai prestato.
Non puoi rompere una promessa. Non è decoroso. E tuo padre ti ha insegnato che l’onore viene prima di ogni altra cosa.
E pazienza se parte di quell’onore tu l’abbia comunque perso, nello sguardo febbricitante da gatta in calore che tua moglie incolla addosso al vostro Signore, più eloquente di mille parole.

E poi perché sai che non cambierebbe le cose.
Uccidere Lord Voldemort – come se ciò fosse possibile – non avvicinerà Bellatrix a te, non la farà innamorare di suo marito, anzi: ti odierebbe, ti ucciderebbe a sua volta, vendicherebbe il suo Signore, l’unico uomo che possa decisamente e in tutta onestà dire che è sua. L’unico al quale senta – voglia – appartenere.

Potresti sopportare il suo odio, a ben pensarci; almeno proverebbe qualcosa per te che non sia apatico disprezzo e annoiata indifferenza.
Almeno la faresti bruciare dentro, anche se non d’amore, come hai sperato per tutta la vita.
Ma brucerebbe, sì. Per te, per una volta.
 

 
Tell me now where was my fault
In loving you with my whole heart
Oh tell me now where was my fault
in loving you with my whole heart
 
 

In cosa hai sbagliato, ti chiedi...  Cosa c’è di male nell’amarla con tutto te stesso?
Dov’è la tua colpa? Dov’è il tuo grande peccato?

Amore. Amore è peccato. Questo hai imparato con Bellatrix.
Amore è ossessione, possessione, invasamento.
Amore non è gioia – è  tirannica sofferenza, tormento esclusivo, angoscia febbrile.
Un camminare sul filo, un ribollire nel dubbio, nella gelosia, un macerare nella disperazione senza fine.
Non è essere uno dove prima si era in due – è tremenda, orrida solitudine.
Nel tuo amore per lei ti sei sempre sentito più solo che mai; unico protagonista di una tragedia senza controparte.
È frustrazione, è rabbia – è odio.
È sperare che succeda qualcosa, di grande, di terribile, a mettere fine a quella sofferenza, un uragano a stravolgere le carte in tavola. Tutto, purché finisca.
Perchè non puoi tollerarlo oltre. Sei allo stremo, al limite delle forze e della pazienza.
E, nonostante tutto, continui a lasciarti trasportare passivamente dalla corrente verso il mare aperto, dove verrai inghiottito e digerito e cesserai di esistere per confonderti con migliaia di altri sfortunati relitti come te.
Non vuoi cambiare le cose. Non ne hai la forza e poi non lo desideri davvero.


Ti senti una bianca pagina vuota. Un foglio intonso di pergamena, su cui nessuno si è mai dato la pena di intingere la piuma e scriverci un pezzetto della sua vita, neppure tua moglie.
Tu invece hai scritto tanto in lei. Le tue dita hanno scritto un romanzo accorato sulla sua pelle, ogni notte, ogni volta che l’hai avuta tra le braccia. Una poesia struggente, infinita, su ogni centimetro quadro del suo corpo.
Hai scritto il tuo amore su di lei, con l’inchiostro invisibile della tua saliva e del tuo seme – e tu solo puoi vedere, fiutare, sentire il sapore delle tue tracce su di lei.
L’hai impregnata di te, hai riversato tutto di te in lei. Tutto.
Non ti sei risparmiato. Nemmeno una goccia. Nemmeno un pezzettino di te hai lasciato fuori.

L’hai trasformata nell’affresco più bello, più pieno, più grondante di colori e calore, più trasudante di sensazioni ed emozioni  – amore, ma anche rabbia, gelosia, possesso, frustrazione, rimpianto, tenacia, lotta.


Ma lei no. Lei non ti ha mai dato niente di sé.
Anzi, a furia di darle troppo, di darle tutto, ti sei svuotato lentamente, ti sei spento, sei ingobbito e ingrigito, ti sei intristito e intontito.
Sei diventato una “tabula rasa”. Non ti è rimasto più nulla.
Sei vuoto, sei piatto; non hai più né scopo né senso.
Una pagina bianca.
 

 
A white blank page
and a swelling rage
Rage…
 
 

Vuoto a eccezione di una cosa. Una sola cosa che ogni tanto torna a sollevare la testa nel tuo petto e a scuotere la criniera selvaggia, sputando fuoco dalle narici: rabbia.
Una rabbia che si gonfia come una nuvola temporalesca, ruggendo e tuonando dentro di te.
Una rabbia sconfinata, una rabbia disperata. Una rabbia impotente.
Una tigre senza zanne e senza artigli.
Una rabbia indifesa che non può offendere. E che si rivolta frustrata e sconfitta contro il suo stesso padrone – contro te stesso.
Ti fai del male da solo, Rodolphus – come se lei non te ne facesse già abbastanza.
 

 
You did not think
when you sent me to the brink
to the brink
You desired my attentions
 but denied my affections
 

 
Oh, invece sì. Sì che ne era consapevole.
Ogni volta che ti ha spinto al limite, sull’orlo dell’autodistruzione, ogni volta che ti ha sprofondato nel baratro, ogni volta che ti ha spezzato ed è rimasta a guardarti in silenzio mentre ti affannavi carponi a raccogliere i cocci – ogni stramaledettissima volta lei ne era consapevole.
Lei lo sapeva cosa stava facendo – lei lo voleva.
E solo per questo non dovresti mai, mai perdonarla.

Sei il suo giocattolo, il suo animale domestico, il suo schiavo.
Lei vuole che tu sia suo, ma non vuole concedersi a te. Non è tua.
Ti pretende e ti esige. Però non ti darebbe mai la libertà, nemmeno se tu  – cosa assurda – la volessi.
Non ti permetterebbe mai di allontanarti, di rompere le catene che ti ha messo al collo.
Non lascerebbe mai che tu sia felice senza di lei.
E dal momento che non puoi esserlo con lei – perché lei te lo nega con spensierata crudeltà – ecco il tuo destino, dunque: infelicità eterna.

Le piace essere il centro dei tuoi pensieri, Rodolphus. Essere la tua amara, velenosa ossessione.
Desidera le tue attenzioni, vuole che tu continui a struggerti per lei e a scalpitare nel tuo amore amputato e avvilito. Ma ti nega il suo affetto.
Lei prende e non dà.
E continua a prendere, a risucchiare via tutto da te.
Riducendoti così: una bianca pagina vuota.
 
Anche questa notte, come tutte le altre notti insonni che l’hanno preceduta, pensi che dovresti fare qualcosa.
E come sempre ti sovviene un’unica soluzione: ucciderla. O uccidere te.
Ma, se sai con certezza che la tua morte non la toccherebbe affatto, altrettanto bene sai che invece tu, tu non potresti sopravviverle a lungo. È lei la tua vita.
Ed è il veleno che ti uccide lentamente giorno dopo giorno.

Ma tu hai scelto la morte, Rodolphus, fin dall’inizio. Non ti resta che aspettare.
E, mentre aspetti, non puoi fare a meno di chiederti quanto lunga sarà quest’agonia.
 

 
So tell me now  where was my fault
 in loving you
with my whole heart
Oh tell me now where was my fault
 in loving you
with my whole heart
 

 
Mumford and Sons, White blank page
 
 
 
 
 
 
Fine


  
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