Fanfic su artisti musicali > Beatles
Segui la storia  |       
Autore: Blackbird_    15/09/2012    2 recensioni
Liverpool, 1961. Quattro giovani Beatles sono di ritorno dalla loro avventura tedesca. Ad attenderli non solo i loro vecchi amici, ma anche un turbine di novità. L'enorme successo sorprende tutti quanti, anche Ray e Sun, le due piccole "mascottes" della comitiva liverpooliana.
Dal Secondo Capitolo:
“Magari così trovate un nuovo manager che vi farà fare qualche provino per le etichette discografiche, no?” aggiunse Sun. George annuì sorridente e tornò a guardare gli altri. “Non sarebbe affatto male un provino, magari è la volta buona che sfondiamo sul serio” ammise. Come se fosse stato il cucciolo di un qualsiasi animale iniziai a carezzarlo sulla testa. “Sfonderete sicuramente e magari diventerete famosi in tutto il mondo e cambierete la storia della musica e…” “Frena, frena Ray!” mi interruppe lui ridendo “non starai correndo un po’ troppo?”.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
“Mamma, io esco!” le urlai dal corridoio, correndo verso la porta per non darle il tempo di raggiungermi e bloccarmi. “Dov’è che vai?” sbraitò. Troppo tardi: la sua presenza era già fra me e la mia unica via d’uscita da quella casa. “In giro” sbuffai, cercando di svincolare via. Ovviamente non ci riuscii: era anche peggio di un carro armato, non si sarebbe tolta di lì nemmeno se l’avessi pregata. “Ma siamo appena tornati da Whitby! Devi sistemarti, devi darmi una mano a svuotare le valigie. Non sei stanca?” cercò di dissuadermi. Scossi la testa. “Mi sono fatta una doccia e sono fresca come una rosa. E la mia valigia l’ho già svuotata. Quindi ora levati e fammi uscire” la minacciai. Si mosse di mezzo millimetro: dava già i primi segnali di cedimento, grandioso. “Dai, prometto che non farò tardi. E non tornerò a piedi, mi farò accompagnare da Ted in macchina così non dovrò fare tutta questa strada da sola” cercai di convincerla. Mugugnò: le mie promesse non bastavano. “Domani penso io al pranzo e alla cena e finisco tutti i compiti delle vacanze, promesso!” continuai. Mugugnò nuovamente. Sbuffai. “Se ti togli di mezzo e mi fai uscire domani mattina ti racconto tutto quello che vuoi”. Ero davvero disperata per promettere una cosa simile. Come se avessi azionato una molla mia madre si tolse improvvisamente da davanti alla porta, mi diede un bacio sulla fronte augurandomi una buona serata e se ne tornò in cucina.
Fortunatamente riuscii a prendere l’ultimo autobus della sera per raggiungere il centro. Un solo minuto in più e avrei dovuto fare tutta quella strada a piedi da sola. Mi sedetti al primo posto libero che trovai. Sorridevo come una perfetta idiota all’idea di rivedere tutti i miei amici dopo più di due settimane. Non ero più riuscita a scambiare lettere con nessuno di loro: i miei, i loro amici e il loro stupido figlio erano riusciti ad occuparmi ogni minuto possibile delle mie giornate a Whitby, impedendomi quasi anche solo di pensare a casa.
Nonostante l’ultima lettera ricevuta risalisse alla giornata di Santo Stefano, sapevo esattamente dove trovare gli altri. Scesi alla fermata del porto e con un passo decisamente più sostenuto del solito raggiunsi in pochi minuti Mathew Street.
E proprio come immaginavo li trovai lì, seduti su una panchina a pochi passi dall’entrata del Cavern Club. Erano solo Pete, George e Richard, evidentemente stavano aspettando gli altri.
“Ray?” urlò George, sorpreso di vedermi lì. Non riuscendo a far altro che sorridere mi avvicinai e li abbracciai uno per uno. “Bentornata!” mi disse Pete, scompigliandomi i capelli. “E’ così bello rivedervi! Dove sono tutti gli altri?” chiesi, presa dall’euforia. “Paul e Dot sono scesi a prendere da bere, John è andato alla fermata dell’autobus a prendere Cyn e Ted e Sun saranno qui a momenti” mi riassunse perfettamente Richard. “E il provino? Come vi è andato il provino di Londra?” feci ai due della band. Entrambi si rabbuiarono. “Una merda” commentò Pete. “Non gli siamo piaciuti” proseguì George, scuotendo la testa. “Go back to Liverpool, Mr. Epstein. Groups with guitars are out” ripetè con voce stridula Pete, cercando di assomigliare al tipo della casa discografica.
“State di nuovo raccontando la storia della Decca?” li interruppe John, sbucando da non so quale angolo. “Ray ci ha chiesto come è andata e noi le stavamo rispondendo” rispose scocciato Pete. Sentendomi nominare si voltò. “Oh, ciao” mi salutò con poco entusiasmo. Non mi aveva notato, impegnato com’era ad infastidire i suoi amici. “Ciao” risposi atona. Sorrisi a Cyn, la abbracciai e la salutai in maniera decisamente più affettuosa.
Ero ancora occupata a scambiare due chiacchiere con lei quando, dalle nostre spalle, sbucò Dot, sorridentissima. “Ray! Bentornata!” mi fece, dandomi due bacetti. Un attimo dopo sbucò anche Paul che mi salutò con un cenno della mano, prese la mano della sua ragazza e cercò di portarla via. Si sedette sulla panchina e fece accomodare Dot sulle sue gambe e, insieme, iniziarono a seguire i discorsi degli altri. Erano così carini insieme che per un attimo un brivido mi corse per la colonna vertebrale. Probabilmente erano i sensi di colpa che iniziavano ad impossessarsi di me. Sebbene Dorothy non fosse a conoscenza di quanto fosse successo fra me ed il suo ragazzo mi sentivo enormemente in colpa per averle fatto un simile torto: lei era sempre terribilmente carina con me e di certo non si sarebbe mai meritata una cosa simile da parte mia.
Cercai di non pensarci e, insieme a Cyn, mi unii nuovamente alla conversazione dei ragazzi. “Buonasera a tutti” dissero in coro Ted e Sun, sbucando anche loro dal nulla. Li salutai entrambi con la mano ed un enorme sorriso, ma ricevetti solamente un cenno del capo di Ted e la totale indifferenza di Sun. Probabilmente non aveva apprezzato la mia lettera. Sentendomi leggermente ed improvvisamente fuori luogo decisi di scendere un attimo giù al Cavern per prendermi qualcosa da bere: l’alcool sicuramente mi avrebbe aiutata a non pensare troppo. Richard si propose come mio accompagnatore. Probabilmente dopo l’esperienza passata durante la mia ultima uscita voleva controllare che nessuno m’infastidisse.
“Allora? Ti sei dichiarato con Sun?” gli chiesi mentre scendevamo con difficoltà le scale del locale. Alla prima rampa già iniziava a sentirsi quell’odore nauseabondo, quel mix micidiale di birra, sudore e detergente, che tanto detestavo ma che tanto mi era mancato. “Lasciamo stare” replicò, alzando i suoi enormi occhi azzurri verso il cielo. “Cosa hai combinato?” sghignazzai, divertita dal suo imbarazzo. Si allontanò un attimo per lasciar passare una coppietta che saliva decisamente troppo euforica e si riavvicinò per raccontare. “Eravamo alla fermata dell’autobus quando mi sono fatto coraggio. Le ho chiesto se potevo dirle una cosa importante e alla sua approvazione le ho detto ‘Mi piaci’. Non so cosa sia stato, se i suoi occhi sorpresi o il mio improvviso imbarazzo, fatto sta che appena le ho detto quella cosa ho concluso la frase con un ‘come persona’”. Scoppiai a ridere come una pazza. “Cosa c’è da ridere? Ho fatto la figura del cretino! Ora non riesco nemmeno a guardarla! Sono un completo idiota!”. Non riuscivo assolutamente a smettere di ridere. Mi diede una leggera botta sulla spalla per farmi zittire ma non funzionò. "Possibile che sia così stupido?". Mi uscivano le lacrime dagli occhi dal tanto ridere. "Dai, smettila!". Notai che era davvero mortificato per la sua pecca e mi fermai. Gli poggiai una mano sulla spalla. "Non farti troppe paranoie. Sicuramente ha apprezzato lo sforzo. Magari ci sta solo pensando, che ne sai?” lo rassicurai. “Dal ‘Grazie’ che mi ha detto dopo questa mega figura di merda e dopo il modo in cui mi evita questi giorni non ne sarei così sicuro” rispose, coprendosi il viso con le mani come un perfetto disperato. “Tempo al tempo, Richie. Tempo al tempo” gli dissi sorridente, continuando a dargli delle pacche affettuose sulla spalla.
Prendemmo qualcosa da bere e ce ne tornammo su in un batter d’occhio. Persino il barista mi riconobbe e mi diede un allegro bentornato. Era evidente che gli era mancata una delle poche donne camioniste della città. Di sopra, ovviamente, i ragazzi non si erano spostati di un millimetro. Ci unimmo agli altri. “Di cosa parlate?” chiesi, sorseggiando la mia birra. Per ascoltare meglio mi feci spazio fra di loro. Sun, trovandosi decisamente troppo vicina a me, si spostò per sistemarsi qualche centimetro più in là. John approfittò del mio attimo di distrazione per togliermi il bicchiere dalle mani e bere una sorsata. “Niente di importante” rispose infine, restituendomi ciò che era mio.
Passammo la serata così, lì fuori al Cavern. Nessuno spostamento, nessuna novità epocale o avvenimento eccezionale. Solo una panchina, una birra, quattro chiacchiere e tante risate. Era questo che più mi piaceva dei miei amici: mi bastava semplicemente stare in loro compagnia per stare bene davvero, senza bisogno di fare tante cose. Togliendo le occhiatine strane di Sun, probabilmente quella sarebbe stata una serata perfetta.
Ero così felice di essere tornata a casa da loro.

 
Proprio come promisi a mia madre tornai presto a casa e, di conseguenza, la mattina seguente ero già in piedi di buon’ora. M’impegnai al massimo per finire tutti gli esercizi di francese durante la mattina e, come promesso, preparai con le mie mani un pranzo coi fiocchi.
Fortunatamente mentre mangiavamo mia madre era troppo occupata a lamentarsi delle poste britanniche per ricordarsi che avrebbe potuto farmi tutte le domande che voleva. Fuggii da tavola prima che se ne potesse ravvedere e mi chiusi nuovamente in camera per finire di leggere il libro che la Parr ci aveva affibiato e rispondere al questionario a riguardo. Questa operazione richiese più tempodi quanto immaginassi.
erano quasi le sei quando mia madre entrò in camera, senza nemmeno bussare. “Vieni dillà? Abbiamo ospiti” disse tutta eccitata. Mi squadrò da capo a piedi nei pochi istanti che impiegai a raggiungere l’uscio. “Magari fatti più presentabile, prima”commentò, storcendo il naso. “Chi è l’ospite, la regina madre?”risposi indispettita, facendo una smorfia e cambiando la mia traiettoria dalla porta all’armadio. Non ricevetti risposta. Scelsi il primo vestito che mi capitò a tiro e glielo mostrai. “Perfetto, sbrigati!” ponunciò con impazienza, richiudendo la porta alle sue spalle. In quattro e quatt’otto ero pronta per ‘l’ospite’ del quale ero seriamente incuriosita. Mia madre mostrava tanta impazienza di rado, tanto da rendere questo suo comportamento motivo della creazione di decine di film mentali.
Raggiunsi il salone in tutta velocità, seguendo il suono del chiacchiericcio di mia madre. “Oh, eccoti finalmente” mi annunciò. “Buonasera” mi salutò garbatamente Nicholas. “Nicholas?” replicai, sorpresa di trovarlo lì. Si alzò, mi prese la mano, finse di dargli un bacio e si sedette nuovamente. Che modi antiquati. “Potresti anche salutare più garbatamente” mi rimproverò mia madre. La incenerii con uno sguardo e mi sedetti al suo fianco, sul divano. “Nicholas ci stava giusto raccontando il motivo della sua venuta a Liverpool” lo introdusse mio padre, dando un taglio al fastidiosissimo silenzio imbarazzante che si era venuto a creare. Il ragazzo annuì, riprendendo il discorso da capo: “Mi sono arruolato nella marina e mi hanno assegnato qui a Liverpool”. “E a Whitby non c’è la marina?” lo interruppi. La gomitata sul fianco proveniente da mia madre mi fece zittire. Il ragazzo scoppiò a ridere. “Certo che c’è la marina a Whitby. Ci sono anche stato per tre mesi, più o meno. Solo che ho deciso di fare domanda per questa città. È decisamente la migliore d’Inghilterra, sotto questo punto di vista”. Mio padre non faceva che annuire, orgoglioso della propria città e di quel ragazzo che la pensava esattamente come lui. “Quando ti devi presentare?” gli chiese. “Domani pomeriggio, alle due. Sono partito prima per potermi ambientare un po’” rispose.
Continuammo a cincischiare per un bel po’. Non che m’importasse veramente di tutte le storie che si era messo a raccontare il nostro ospite. Durante il lungo periodo trascorso a Whitby in sua compagnia e con i suoi genitori non aveva mai accennato alla volontà di trasferirsi a Liverpool. Ad un solo giorno di distanza dal nostro rientro, poi.
Improvvisamente squillò il telefono. “Vado io” annunciai, scattando in piedi. Non potevo di certo perdermi un’occasione simile per fuggire da lì. Corsi in corridoio ed alzai la cornetta. “Pronto?”. Silenzio. Ero quasi tentata di riagganciare quando sentii dei rumori dall’altra parte dell’apparecchio. “Pronto?” ripetei.
“… Ray?” “SUN?” domandai, sorpresa all’ennesima potenza. Di nuovo silenzio. “Ho bisogno di parlarti”disse infine, tutto d’un fiato. “Ora?” replicai istintivamente, mordendomi il labbro. Me ne pentii immediatamente. “Disturbo?” chiese la mia amica. Aveva sentito l’indecisione nel mio tono di voce. “Non è esattamente un buon momento per parlare, mi spiace” mi giustificai. “Ah, d’accordo”. La sua voce sembrò improvvisamente spenta. “Però stasera esco, quindi magari parliamo più tardi, in giro, che ne dici? Tanto non credo che gli altri si offendano se ci isoliamo un attimo” mi ripresi. Speravo di cuore che mi dicesse di sì. “Sì, sì. Perfetto! Allora ci vediamo dopo all’Albert. A dopo” e riagganciò prima che potessi augurarle una buona serata.
Rientrai in salone ma non feci in tempo a sedermi nuovamente sul divano che mia madre mi aveva già ordinato di andare in cucina per preparare la cena. Per quattro, ovviamente. Sul tavolo trovai un foglietto microscopico. ‘E’ tutto già pronto. Tira fuori le cose dal frigo e mettile a scaldare. Mi raccomando: quando apparecchi la tavola usa il servizio buono! Mamma’. Ora era chiaro come la luce del sole che i miei sapevano perfettamente che, per quella sera, avremmo avuto un ospite e che, per inspiegabili ragioni, non me lo avevano detto. Come ordinatomi misi a scaldare la cena. Era un’enormità di roba. Era affar tipico di mia madre voler fare le cose in grande anche con un solo ospite a cena. Mentre il fuoco lento lavorava per me, andai in salone ed apparecchiai in maniera impeccabile, come richiesto, sotto lo sguardo vigile di mia madre. Non faceva che controllarmi con la coda dell’occhio mentre continuava a parlare con Nicholas, noncurante dei suoi doveri di donna di casa.
La cena fu un successo. Il nostro ospite non faceva che congratularsi con me per le mie grandi doti culinarie, mettendomi assolutamente in imbarazzo. “Hai intenzione di uscire, questa sera?” mi domandò mia madre nel bel mezzo del pasto. “Certo che esco” le risposi, leggermente interdetta, mentre mi versavo da bere. Cosa pretendeva, che rimanessi in casa solo perché un ragazzo montato di Whitby era venuto a far carriera nella mia città? “Perfetto allora, così potrai far vedere a Nicholas come si divertono i giovani liverpooliani!” era raggiante. Io decisamente meno. Quasi mi strozzai con il sorso d’acqua che stavo bevendo. “Davvero, signora, non ce n’è bisogno. Non vorrei creare disturbo a Rebecca” la pregò il ragazzo, schierandosi incomprensibilmente dalla mia parte. “Ma no caro, figurati! A Rebecca farebbe davvero un gran piacere se ti unissi a lei ed ai suoi amici. Non è vero?”. Il suo sguardo agghiacciante mi congelò. Se non avessi fatto come diceva sarebbe stata in grado di farmela pagare in qualsiasi modo. “Certo” risposi annuendo, con la voce ancora roca per colpa dell’acqua andata di traverso.
E fu così che mi ritrovai a percorrere la lunga strada tra casa mia e l’Albert in compagnia di Nicholas. Eravamo entrambi così imbarazzati che non pronunciammo parola per un bel pezzo. Più che imbarazzata, ero assolutamente seccata della sua presenza. Si trovava decisamente nel posto sbagliato al momento sbagliato, e lo detestavo per questo. Non facevo che sbuffare, pensando in che modo avrei potuto parlare con Sun, liberandomi della zavorra.
“Mi dispiace essere un peso per te, questa sera” pronunciò, sincero, al mio ennesimo sbuffo. Sembrava davvero dispiaciuto. “Tranquillo, non sei affatto un peso”. Non sei solo un peso, se è quello che vuoi sapere. Gli sorrisi, cercando di sembrare il più sincera possibile. “Sei davvero una pessima attrice. Ma apprezzo lo sforzo” mi spiazzò, sorridendo. “Nicholas, io…” “Nick, chiamami Nick. Te l’ho detto tante volte, a Whitby”. Davvero? Probabilmente non ero mai stata ad ascoltarlo seriamente quando ero in sua compagnia. “D’accordo, Nick” annuii, cercando di stamparmelo per bene nella mente. E per troncare il discorso, soprattutto. “Se mi indichi un posto poco costoso, posso anche andarci da solo, senza che mi imbuchi nella tua uscita tra amici. L’importante è che poi ci rivediamo in un posto che conosco, per tornare a casa” mi disse, continuando a fissare avanti a sé. Ora puntava anche sui sensi di colpa? Scossi la testa. “Stai tranquillo. Sono sicurissima che ai miei amici piacerai un sacco” risposi, sperando di essere leggermente più convincente. Mi guardò con un sopracciglio alzato. “Ok, in tutta sincerità non sono stata molto entusiasta quando mia madre mi ha imposto di portarti in giro per Liverpool. Ma ormai ci stiamo, no? Devo farti amare questa città tanto quanto la amo io, dato che ora diventerà la tua casa. E poi devo ricambiare il favore, no? Non mi sono mica già scordata le scampagnate in giro per Whitby che mi hai fatto fare” continuai, più schietta che mai. Mi sorrise. “Sapevo che dentro di te c’era un po’ di dolcezza, Ray” mi canzonò, dandomi una pacca sulla spalla. “Allora ti ricordi come devi chiamarmi!” deviai il discorso, sorpresa che si ricordasse ciò che gli avevo detto. “Certo che me ne ricordo. Io ascolto, mica come te” replicò divertito, ed entrambi scoppiammo a ridere.
Quando arrivammo dai miei amici, all’Albert, guardarono il mio compagno come fosse un alieno. Lo presentai a tutti. Quando arrivò il turno di Sun mi guardò perplessa. Anche lei si stava chiedendo come avremmo fatto a parlare, probabilmente. Alzai semplicemente le spalle per giustificarmi. Sapevo perfettamente che, quella serata, sarebbe stata un limitarsi a tener compagnia al nuovo arrivato per non farlo annoiare. E mi pentii amaramente di aver detto a Nick quelle cose. Avrei dovuto accettare la sua proposta di andarsene da solo. Ma perché pensavo sempre e solo prima al bene degli altri, e poi al mio?
Ci infilammo nel primo bar che trovammo e ci sedemmo ad un tavolo gigantesco. Capitai seduta fra il tipo di Whitby e Lennon. Sun era ad una certa distanza da dove mi trovavo e, dai suoi sguardi torvi, immaginai che non avremmo chiarito nemmeno per quella serata. Ringo, decisamente il più espansivo fra tutti, iniziò a fare due chiacchiere con il nuovo arrivato, rompendo il ghiaccio. Lo seguirono a ruota tutti gli altri. Nick sembrava decisamente più spontaneo con i miei amici di quanto non immaginassi.
Per non sfigurare decisi di non prendere nulla di alcoolico da bere. Non conoscevo abbastanza Nicholas da giurare che non avrebbe detto ai suoi o ai miei genitori che ero una grande bevitrice di birra, quindi evitai. “Ray, come mai non ti sei presa da bere?” mi domandò beffardo John, facendomi passare il suo boccale sotto al naso. Mi stava tentando e, in quel momento, non riuscii a capire se era più grande la voglia di bere tutta la sua birra o di ucciderlo. Guardò di traverso il ragazzo seduto affianco a me e mi diede una botta. “Cosa hai combinato su a Whitby con questo mammalucco qua?” mi domandò John, sussurrandomi ad un orecchio. Gli diedi una gomitata e scoppiò a ridere. “Sei insopportabile” dissi a denti stretti, cercando di non farmi sentire. Il volume della sua risata non fece che aumentare ed abbandonai l’impresa di farlo smettere.
Erano tutti occupati a parlare delle possibilità che offre Liverpool ai giovani, una barba mortale. Cercai di far capire alla mia amica, con lo sguardo, che potevamo uscire dal locale per parlare, ma mi evitò per tutta la serata. Non riuscivo a capirla.
Stufa di quel noioso chiacchiericcio e di John che continuava a farmi passare il suo boccale di birra sotto al naso mi alzai per andare in bagno. In realtà era solo una stupida scusa, e tutti lo capirono.
Mentre ero intenta a fissarmi allo specchio per testare il mio stato, Sun sbucò alle mie spalle. "Chi è quel tipo?" mi chiese. Non ci parlavamo da settimane e tutto quello che aveva da chiedermi era chi fosse quel tipo? "Il figlio degli amici di Whitby dei miei" risposi, senza voltarmi, continuando a guardarmi allo specchio. "È carino" disse, sforzando un sorriso. La guardai attraverso lo specchio. Era tutto ciò che aveva da dirmi? "Abbastanza" replicai, alzando le spalle. Possibile che parlare di quell'impiastro di Nicholas era il massimo che riuscissimo a fare? Ero troppo codarda per fare il primo passo. E, conoscendo Sun, probabilmente era così occupata a prepararsi un discorso articolato da non rendersi conto che il tempo passava e noi continuavamo a fissarci dal riflesso dello specchio, in silenzio. La sua espressione era così concentrata che sicuramente nella sua testolina io e lei stavamo conversando.
Sospirando mi voltai. Poggiai entrambe le mani sulle spalle della mia amica. "Domani dopo pranzo Nick dovrebbe andarsene da casa mia, dato che si deve presentare agli ufficiali. Ci vediamo nel pomeriggio? Dove vuoi, a qualsiasi ora" le dissi senza mai riprendere il respiro. "Alle quattro al Sefton? Solito angolo, solita panchina?" chiese. Annuii. "Mi dispiace per non aver avuto abbastanza tempo, oggi" mi scusai, ed uscii dal bagno.
Tornai a sedermi al tavolo ma erano già tutti in piedi. Aspettavano solo noi per poter uscire e fare una passeggiata lungo il porto. "Ma fa troppo freddo!" si lagnò Sun appena mise il naso fuori dal locale. Ted si avvicinò alla sorella per non farla lamentare, senza risultati. Quando Sun si metteva in testa qualcosa non c'era niente e nessuno in grado di farle cambiare idea. Richard, dal canto suo, si avvicinò semplicemente, le disse sottovoce qualcosa e cinse le sue spalle con un braccio. Ted lo guardò torvo, ma almeno la sorella non faceva più i capricci.
Non si sa per quale miracolo divino in quel momento non stesse piovendo. Ci incamminammo e, già dopo due passi, non potei fare a meno di notare che mi trovavo isolata da tutti. Paul, Pete, George, John e Ted erano a pochi passi da me a discutere insieme a Nicholas di non so quale spassosissimo argomento, mentre leggermente più indietro di me c'erano Sun e Ringo che chiacchieravano tra di loro. Io ero nel mezzo, e mi sentivo una cretina.
Ero già stufa di quella serata e non vedevo l'ora che finisse. Più che altro non vedevo l'ora che arrivasse la serata seguente, dove avrei riavuto finalmente tutti i miei amici per me. Ero assolutissimamente una ragazza fin troppo possessiva.
Quando finalmente Nicholas si rese conto di che ora fosse, indietreggiò e mi raggiunse. "Direi che hai visto abbastanza di Liverpool, per questa sera" gli feci, scocciata. Tutti i ragazzi scoppiarono a ridere. Non ci feci caso e li andai a salutare. Un bacio sulla guancia per ciascuno sarebbe dovuto bastare, ma quella sera sentii la necessità di abbracciarli tutti. Forse per ricordare a me stessa che, dopotutto, nonostante conoscessero sempre gente nuova, in fondo mi volevano sempre bene. Considerando che prima o poi sarebbero diventati famosi, credo avrei dovuto abituarmi a quest'idea.
Lungo la strada del ritorno Nick non fece altro che ripetermi mille e mille volte quanto fossero straordinariamente simpatici i miei amici. Li adorava. E già programmava di andare a sentire il loro prossimo concerto, nonostante fosse consapevole che sarebbe uscito raramente dalla caserma. "Fammi indovinare..." cominciò, portandosi la mano sul mento per sembrare un arguto pensatore "Tu e Sun eravate migliori amiche ma avete litigato per colpa di uno dei ragazzi". "Non sei molto scaltro, sai? Potrebbe avertelo detto Ted, o Ringo" lo smontai. "Hai poca fiducia nelle mie capacità, sai? Ci sono arrivato da solo. Però non sono riuscito a capire per quale di loro avete litigato" rispose. Alzai le spalle. "Hai delle ipotesi, Sherlok?" domandai, incuriosita. "Elementare, Watson, elementare. Ti dirò: sono indeciso fra due" rispose, canzonandomi. "Ovvero?" ero seriamente curiosa di sapere quante delle mie sensazioni trapelassero all'esterno. "Considerando lo sguardo spento con cui entrambe guardate Paul, il mio primo sospetto è lui" cominciò. Tombola."Però ammetto che anche il modo in cui guardi John è abbastanza ambiguo, quindi il mio secondo sospetto è lui" concluse il suo ragionamento. Scoppiai a ridere. Una risata nevosa. “Sei davvero un pessimo detective, mio caro” dissi, dandogli delle pacche sulla spalla. Scrollò le spalle. “Oh bè, ci ho provato”.
”Che dici, abbiamo tempo per una piccola tappa al parco?” domandò, indicandomi il cancello di entrata del Sefton Park. Annuii e ci avviammo. Il parco era assolutamente inquietante, privo di qualsiasi fonte di illuminazione ed incredibilmente vuoto. Dopo una breve passeggiata trovammo una panchina e ci sedemmo su.
”Senti, Ray, dovrei dirti una cosa” disse, fissandomi negli occhi. “Certo, dimmi tutto”.


Ok, ammetto di averci messo davvero troppo anche stavolta. Perdonatemi ç___ç
Ma in tutto questo tempo ho fatto in tempo a farmi un bel viaggetto a Liverpool, ispirarmi il più possibile, e tornare a casa con la sensazione che quella città sia davvero la mia casa. Mmm occhei, forse questo non c'entra niente con la storia.
Nuovo personaggio! Zan zan zan! Ammetto che mi sta antipatico, e nemmeno poco ahaha voi cosa ne pensate?
Spero di essere riuscita a riportare la storia in carreggiata!
Fatemi sapere oooooogni vostro pensiero a riguardo, son davvero curiosa, e mi farebbe davvero molto piacere conoscere i vostri pensieri, che siano pareri positivi o non.
Un bacio a tutti, al prossimo capitolo!
(:
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Beatles / Vai alla pagina dell'autore: Blackbird_