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Autore: Vans    16/09/2012    1 recensioni
Ho anestetizzato i miei sentimenti talmente a lungo che ora ho davvero il desiderio di provare qualcosa e non ci riesco. E sai perchè? Perché dovunque vada, qualsiasi cosa mi inventi, gira e rigira è sempre con te che mi trovo a fare i conti.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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Passarono quattro giorni, e di Federico nessuna traccia. Dopo quel messaggio non avevo alcuna intenzione di scrivergli, tantomeno di andare a chiedergli spiegazioni di persona: non mi meritavo quel suo comportamento, non meritavo quelle parole e lui non meritava che fossi io quella ad andare da lui. Col cavolo. ‘Ma se l’amicizia è vera non importa chi parla per primo, l’importante è chiarire’ dicono tutti. E io smentisco, non è assolutamente così. Se io mi sento offesa, se io ho provato dispiacere per delle sue parole gratuite, bè non vedo perché dovrei essere io quella che si prende la briga di alzare il fondoschiena e andare a chiedere spiegazioni. Se a lui andava bene quel silenzio allora significava che non gli importava nulla di me e del mio stato d’animo, quindi perché sprecare tanto fiato? Poteva anche andare al diavolo.

Io e Federico non litigavamo quasi mai, a volte qualche incomprensione ma nulla di così eclatante da non farci parlare per ore, o addirittura per giorni. Questa volta era diverso perché aveva toccato un tasto dolente, una ferita aperta, e sapeva benissimo che io stavo ancora male per quella storia. Si, dovevo ammetterlo: mi mancava. Mi mancava il suo sorriso sincero e i suoi capelli color fieno sparsi all’aria, i suoi occhi color nocciola e le sue battute che toglievano il fiato da quanto erano divertenti, mi mancava uscire con lui in centro e cazzeggiare a casa sua davanti alla tv o al pc. Però quel messaggio, quelle parole così cattive mi facevano ribollire dalla rabbia e ogni volta mi spronavano a tener duro e a non andare sotto casa sua a scampanellare al suo citofono chiedendo il perché di quella frase, il perché del suo atteggiamento generale. Tieni duro, Emma. Non te lo meriti.

-          ‘Allora, testina, cos’è successo che hai quel muso lungo?’ mi chiese Ginevra mentre sorseggiava il suo gin lemon.

-          ‘Ho litigato con Federico’ ammisi io mantenendo lo sguardo fisso sul mio drink analcolico.

-          ‘Per quale motivo?’

-          ‘Vuole fare una festa per il suo compleanno, e la vuole fare con lui’ risposi io, strizzando la cannuccia nera nel pronunciare quella parola.

-          ‘Scusa? Scherzi vero?’ domandò lei evidentemente sorpresa.

-          ‘No, magari. Io ovviamente gli ho detto che se la faceva con lui non sarei andata, figuriamoci!’ esclamai io spazientita, portando un ciuffo di capelli dietro l’orecchio.

-          ‘Adesso vado là e ci parlo io, non ti preoccupare!’ rispose lei elettrizzata, pronta a dare una strigliata a Federico.

Ginevra era la mia migliore amica, ci conoscevamo dall’asilo. Con lei avevo condiviso tutto e mi conosceva meglio di chiunque altro, e ovviamente la stessa cosa valeva per me: sapevo come prenderla, sapevo cosa la faceva imbestialire, sapevo che era una delle migliori amiche che io potessi avere la fortuna di incontrare. Ovviamente c’erano incomprensioni, ma riuscivamo a risolvere tutto semplicemente parlando. O meglio, urlandoci addosso; eravamo due teste calde e non riuscivamo a stare zitte senza dire quello che pensavamo realmente. E in fondo erano stati proprio questi litigi a renderci così unite: sapevamo che nonostante le liti, le discussioni, le incomprensioni e le sfuriate eravamo sempre insieme, pronte ad aiutarci e a spalleggiarci a vicenda.
Avevamo fatto ormai le undici tra una e chiacchiera e l’altra, ed era decisamente ora di tornare a casa dal momento che il giorno seguente entrambe avevamo lezione all’università. Pagammo il conto e ci dirigemmo alla sua auto, passando davanti alla gelateria migliore della città; ovviamente ci fermammo con l’acquolina in bocca a fissare tutti i gusti di gelato e le varie decorazioni che facevano ingrassare di cinque chili solo a guardarle.

-          ‘Emma io mi prendo un gelato, non resisto!’ esclamò Ginevra, incrociando le braccia al petto.

-          ‘Vai pure Gin, ti aspetto qui e mi fumo una sigaretta. Tanto c’è la coda, faccio in tempo a finirla’ dissi io indicando la fila di gente che aspettava impaziente il proprio turno davanti alla casa.

-          ‘Okay, a dopo!’ mi disse lei tutta raggiante mentre varcava la porta d’ingresso della gelateria.

Una cosa che invidiavo da morire di Gin era il fatto che lei poteva mangiare tutto quello che voleva senza ingrassare di un misero grammo: panini, pasta, pizza, dolci a volontà, tutto al modico prezzo di un fisico mozzafiato. Io invece non appena mandavo giù un pezzo di pane prendevo un etto. Che mondo infame.
Accesi la sigaretta e la mia mente andò subito a Federico e a quel maledetto messaggio: ogni volta che ci pensavo mi saliva il magone e le guance si scaldavano automaticamente. Iniziai a camminare nervosamente per sbollire la rabbia, tenendo la sigaretta stretta tra le dita e lo sguardo fisso sulle mattonelle che stavo calpestando furiosamente.

-          ‘Chi non muore si rivede’ disse una voce alle mie spalle, una voce che conoscevo fin troppo bene.

-          ‘Vai via e lasciami in pace’ sbottai io, mentre le mie guance stavano diventando fucsia.

Alessandro si avvicinò a me con un sorriso beffardo sulle labbra. Il mio cuore iniziò ad accelerare il battito e sentii le gambe molli e tremanti; avevo sempre cercato di evitarlo, mi ero sempre fatta la domanda ‘e se lo rivedo cosa faccio? Cosa gli dico?’ e non avevo mai trovato una risposta adeguata, risposta che in quel momento era essenziale, se non totalmente necessaria; mica potevo scappare. Non di nuovo.

Alzai lo sguardo e me lo trovai a pochi centimetri di distanza, sentivo il suo respiro caldo sul viso, cosa che mi fece rabbrividire. Lui adorava tentarmi, voleva che cedessi e che stessi male per lui, cosa che io mi ero fermamente promessa di non rifare. Solo che lui era così  vicino che potevo vedere le sue labbra carnose, il suo naso perfetto, i suoi occhi profondi e scuri e i suoi capelli spettinati color nocciola, i suoi lineamenti delicati ma allo stesso tempo mascolini. Conoscevo a memoria quei tratti: quante volte li avevo sognati, quante volte li avevo toccati e accarezzati, quante volte poi li avevo agognati durante quelle notti passate insonni stretta al mio cuscino. Era così bello, talmente tanto da far male.

Mi allontanai da lui velocemente, quasi come fossimo due calamite dello stesso segno che si respingevano sempre di più man mano che venivano fatte avvicinare. Non sapevo cosa fare, le labbra mi tremavano e sentivo gli occhi bruciare; non riuscivo a reggere il suo sguardo arrogante, non riuscivo a trovare le parole per mandarlo via da me.

-          ‘Ho sentito che sabato non vieni alla festa. Come mai? Per caso ti dà fastidio che ci sia anche io?’ chiese lui, avvicinandosi nuovamente a me e sorridendomi compiaciuto. Sapeva benissimo che stavo vacillando e che bastava poco per distruggermi totalmente, cosa che lui mirava a fare.

-          ‘N-non ho intenzione di venire. Chiuso il discorso. E di certo non devo darti alcuna spiegazione’ risposi io fingendo un atteggiamento sicuro e un’aria indifferente.

-          ‘Certo, certo. Meglio per te, almeno eviti di piangere anche questa volta e rovinare la festa’ disse lui con tono acido, tenendo lo sguardo fisso su di me, consapevole del fatto che quelle parole fossero taglienti come lame.

-          ‘Sei veramente un coglione’ sbottai io, trattenendo inizialmente il respiro per poi ridere amaramente davanti ai suoi occhi indagatori.

-          ‘Ehi, che succede qui?’. Bene, ci mancava solo Federico per completare il quadretto.

-          ‘Niente, ho visto Emma e sono passato a salutarla’ rispose ironicamente Alessandro, sorridendo all’amico. Io aspirai dalla sigaretta, evitando di guardare entrambi e sperando che la mia amica uscisse il prima possibile da quella maledetta gelateria.

-          ‘Ale, lasciala in pace. Hai già fatto abbastanza’ aggiunse Federico guardando male l’amico.

-          ‘Siete veramente due lagne. Uno non può neanche scherzare che subito viene assalito! Bah, ora vado che la mia pollastra mi attende a casa sua. Sapete com’è’ aggiunse Alessandro, dando una pacca sulla spalla a Federico che lo stava guardando malissimo. Quella pacca arrivò direttamente al mio petto, ero veramente devastata e le lacrime stavano già iniziando a salire.

-          ‘Ale vai via e evita queste uscite, ci sentiamo’ rispose Federico con tono serio e deciso. Finalmente si era accorto che il suo migliore amico era una testa di cazzo.

-          ‘Ciao Fede, allora ci vediamo sabato. Ho già invitato un bel po’ di ragazze, ci sarà da divertirsi!’ disse il verme, facendo l’occhiolino all’amico che ormai non lo stava più guardando dal momento che era concentrato su di me e sulle lacrime che stavano già iniziando a scorrere sul mio viso, cancellate velocemente con le maniche del maglioncino che indossavo.

-          ‘Emma, non dargli retta, sai com’è fatto..’ disse Federico con un filo di voce mentre l’amico si allontanava.

-          ‘Ma se è il tuo migliore amico? Vai con lui, cosa stai qui con me a perdere tempo con una stupida bambina piagnucolona’ risposi io coraggiosamente, cercando di risultare il più acida possibile.

-          ‘Cosa stai dicendo? Sai beniss'

-          ‘So cosa? Che sono una bambina? Si, ora lo so grazie al tuo fantastico messaggio dell’altra sera’ risposi io interrompendolo nel bel mezzo della frase.

-          ‘Ma Emma, cosa dici? Che messaggio?’ mi chiese lui strizzando gli occhi e allargando le braccia in segno di resa.

-          ‘Dai, Federico. Non fare il finto tonto’ risposi io con tono sprezzante, lanciando il mozzicone dentro il tombino lì vicino.

-          ‘Non capisco, che messaggio? Stai impazzendo?’

Estrassi il cellulare e iniziai a scorrere la lista dei messaggi. Aprii quello che cercavo e gli piazzai lo schermo del cellulare a mezzo centimetro dal naso, probabilmente troppo vicino dal momento che indietreggiò di qualche passo per poter leggere il contenuto dell’sms.

-          ‘Ma non te l’ho scritto io questo messaggio. Non è il mio numero, poi che senso ha scusa? Cosa vuol dire? Ti giuro su quello che vuoi che non sono stato io. Ma credi a quello che vuoi, sono stanco di essere attaccato per ogni cosa che faccio. O che non faccio, come in questo caso’

Federico se ne andò a passo deciso, lasciandomi in mezzo al marciapiede con il cellulare ancora in mano. Se non era stato lui, allora chi era stato?




Tadannn ** Ecco il nuovo capitolo, un po' più movimentato. 
Vi è piaciuto? Pian piano inizio a presentare i nuovi personaggi e i vari caratteri.
Fatemi sapere se vi interessa come storia e se vi piacerebbe che andassi 
avanti a aggiungessi un nuovo capitolo c:
Ciao splendori <3
  
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