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Autore: jas_    16/09/2012    24 recensioni
«Allora, mi vuoi dire o no come mai ci hai messo così tanto a prendere una baguette? Nessuna conoscenza?» mi domandò Carmela, appoggiando le mani sui fianchi.
Alzai gli occhi al cielo, «no» brontolai.
Rimanemmo in silenzio alcuni secondi, «anzi, adesso che ci penso sì» mi corressi. «Non è che sia una conoscenza - precisai - diciamo che ho scoperto che la ragazza che lavora lì è del South Carolina.»
Carmela batté le mani entusiasta, risi lievemente chiedendomi se avesse davvero cinquant’anni quella donna perché a volte ne mostrava venti per come si comportava.
Si sedette nel posto accanto al mio scrutandomi seria, «e dimmi, è carina?»
Scoppiai a ridere piegandomi leggermente in avanti, «ma che c’entra! Non la conosco e non sono interessato!» esclamai, «però sì.»
«E cos’aspetti ad approfondire la conoscenza?»
La guardai sottecchi aspettando che scoppiasse a ridere da un momento all’altro o che mi dicesse “Harry sto scherzando!”, invece era estremamente seria.
«Tra dieci giorni me ne vado» constatai.
«E quindi? Dieci giorni sono più che sufficienti per innamorarsi!»
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Harry e Lennon'
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Giorno 3

 

24 Dicembre

Harry

 
«Cos’hai fatto ieri?» mi domandò Carmela, non appena feci il mio ingresso in cucina.
Mi stropicciai gli occhi che ancora non si erano abituati alla luce del sole e mugugnai qualcosa sedendomi su uno sgabello. Era relativamente presto per me, non mi svegliavo alle nove durante le vacanze da... Praticamente sempre.
«C’è del caffè?» chiesi, ignorando le sue parole.
Carmela non rispose, in compenso mi si piazzò davanti mettendo le braccia sui fianchi, «non ignorarmi, rispondi!»
Sussultai da tutta quell’insistenza, «che c’è?» dissi, sulla difensiva alzandomi a prendere la caffettiera che avevo visto sul ripiano della cucina.
Carmela mi seguì, «nel giro di due giorni sei passato dall’essere sempre chiuso in camera all’andare sempre in giro. Cos’è successo?»
Mi strinsi nelle spalle tornando al mio posto, «niente di interessante» farfugliai.
«Harry...» Carmela si sedette accanto a me, quando si metteva in testa qualcosa non c’era modo di poterla distogliere da quello.
«Okay» sospirai, «hai presente la ragazza della caffetteria?»
Lei annuì sorridendo tutta contenta, «ecco... Ci siamo conosciuti» conclusi in poche parole.
«Ed è la tua ragazza?»
Per poco non sputai il caffè che stavo bevendo, «no!» esclamai, con voce strozzata, «siamo amici.»
«E non ti piace?» insistette lei.
Scossi la testa, «però è simpatica.»
«Non avevi detto che era anche carina?»
Altra caratteristica di Carmela: aveva una memoria di ferro e dovevi stare attento a qualunque cosa le dicessi perché lei se la teneva bene a mente come un computer e la tirava in ballo quando le faceva comodo, tipo come aveva appena fatto.
«E’ carina e simpatica allora» conclusi, «però non è il mio tipo.»
«Come fa a non essere il tuo tipo se è sia carina e simpatica?»
Alzai gli occhi al cielo, «non so, sesto senso» dissi risoluto, portando la tazza vuota nel lavandino per poi dirigermi in camera a cambiarmi.
«E ora dove vai?» mi domandò Carmela.
«A cambiarmi, non vorrai che rimanga in mutande tutto il giorno!»
Per una volta l’avevo zittita, perché lei tornò in cucina in silenzio e io potei andare a prepararmi con calma per uscire con Lennon.
Carmela mi aveva messo una pulce nell’orecchio, per tutta la durata della doccia che feci, non pensai ad altro che “mi piace Lennon?” e il problema era che con me stesso la risposta non era così secca come quella che avevo dato alcuni minuti prima.
Il fatto era che non mi ero mai posto il quesito, non si poteva dire che Lennon fosse una brutta ragazza, ed era così allegra, divertente e diversa da tutte le ragazze della scuola privata che frequentavo in Inghilterra, il tempo con lei passava che era una meraviglia ma nonostante ciò, non sentivo niente di più quando ero con lei.
Lasciai perdere quegli strani pensieri, mi asciugai i capelli, mi vestii ed uscii di casa ignorando le frecciatine di Carmela su dove stessi andando e con chi.
Era la vigilia di Natale e non si era ancora visto un fiocco di neve lì a Parigi, in compenso però si moriva dal freddo. Affondai il viso nella sciarpa che indossavo e accelerai leggermente il passo dirigendomi verso il luogo dell’incontro con Lennon. Per poco non era svenuta quando, il giorno precedente, le avevo detto che non avevo mai visto Notre Dame, né la Tour Eiffel da vicino, né l’Arco del Trionfo né tutti quegli altri monumenti che occupavano la capitale francese, allora si era offerta di farmi da “guida turistica” fino alla fine delle vacanze. Almeno avrei avuto una scusa per vederla, mi ero ritrovato a pensare io, ma solo in quel momento percepii il vero significato di quelle parole. Forse.
Non appena arrivai da Starbucks, riconobbi il suo cappellino rosa tra la folla che attraversava i marciapiedi. Lennon se ne stava lì, a guardarsi a destra e a manca mentre muoveva le gambe probabilmente per non morire dal freddo. Si accorse della mia presenza solo quando fui a pochi metri da lei.
«Ciao» la salutai sorridente, in compenso lei mi indicò l’orologio che indossava al polso sinistro, «la puntualità!» mi riprese, «siamo in ritardo rispetto al programma.»
Non potei fare a meno di ridere, «che programma?» chiesi, mentre Lennon mi trascinava per un braccio probabilmente verso la fermata della metro.
«Quello che inventerò io ora» mi disse, fermandosi invece davanti ad una pianta della città che non avevo mai visto.
«Allora» esordì, indicando un punto della mappa, «noi siamo qui, in Rue de Rivoli, che una delle vie più importanti di Parigi dopo l’Avenue des Champs-Elysées. E’ piena zeppa di negozi, parte da Place de la Concorde» spiegò, indicando un’altra parte, «e prosegue quasi fino a dove vivo io» concluse, trascinando il dito per tutta la via. «Questo è il Louvre» e me lo indicò, «qui c’è Champs-Elysées e qui Notre-Dame. Siamo abbastanza in mezzo a tutto, ad eccezione della Tour Eiffel che è un po’ più lontana ed è qui» spostò il dito più a sinistra.
Annuii serio, «interessante» conclusi, sorridendole. «E noi da dove partiamo?» domandai.
Lennon alzò le spalle, «cosa preferisci vedere per primo?»
«La Tour Eiffel, poi direi di tornare indietro pian piano e vedere ciò che ci capita sottomano.»
«Okay, allora dobbiamo prendere la metro. Ricorda: linea gialla, fermata “Champ de Mars”» spiegò, prima di prendermi per un braccio e trascinarmi dietro di sé come ormai aveva preso l’abitudine di fare.
Sembrava sempre di fretta, Lennon, camminava sempre veloce, sembrava che fosse in una perenne corsa contro il tempo.
«Vuoi anche salirci sulla Tour Eiffel, per caso?» mi domandò, mentre aspettavamo la metropolitana.
Alzai le spalle, «tu che dici?»
«Dobbiamo fare la fila per ore, se me l’avessi detto prima ci saremmo incontrati alle sette di mattina così da non trovare gente.»
Strabuzzai gli occhi, «okay preferisco non salirci allora.»
Lennon rise, in quel momento arrivò la metro piena zeppa di gente e ci ritrovammo a stare in piedi, schiacciati come sardine.
Avevo il capelli di Lennon praticamente in bocca, e i pelucchi del suo cappello che sparavano ovunque mi facevano pizzicare le labbra. Sputacchiai leggermente cercando di liberarmene.
«Ehi, che fai?!» mi domandò Lennon, guardandomi con le sopracciglia aggrottate.
«Mi stai facendo mangiare il tuo cappello» borbottai.
«Non è colpa mia se è pieno di gente» proclamò lei sulla difensiva.
In quel momento la metro si fermò, e un’altra orda di persone salì, qualcuno spinse Lennon che perse l’equilibrio e mi finì praticamente addosso.
«Se volevi che ti abbracciassi bastava dirlo» la presi in giro stringendola a me.
Lei alzò lo sguardo scioccata ma allo stesso tempo imbarazzata, era rossa come un peperone.
«Io...» iniziò a farfugliare, «mi hanno spinta.»
Scoppiai a ridere lasciando la presa, «stavo scherzando, tranquilla!» cercai di calmarla, e lei sembrò rilassarsi leggermente.
Rimanemmo in silenzio fino a quando Lennon non mi disse che dovevamo scendere, alla fermata la metro si svuotò quasi completamente ma la stazione brulicava comunque di gente.
«Attento a non perderti» mi avvertì Lennon prima di avanzare con destrezza in mezzo alla folla, io mi limitai a seguire quel cappellino rosa che vedevo muoversi velocemente davanti a me.
Quando uscimmo dalla stazione il vento freddo m’investì facendomi rabbrividire.
«Si congela» si lamentò Lennon, rallentando leggermente il passo e mettendosi a braccia conserte. «Odio il freddo.»
«Non sei l’unica» le sorrisi, mentre prendevo il telefono dalla tasca per scattare una foto alla Tourr Eiffel che s’innalzava imponente davanti a noi.
«Aspetta» mi fermò Lennon, «se vuoi fare delle belle foto ti conviene andare là» disse, indicando un edificio dall’altra parte della Senna.
Non feci in tempo a replicare che lei iniziò ad attraversare la strada dirigendosi verso il ponte che dovevamo superare. Corsi leggermente per raggiungerla, «vuoi le crêpes?» domandai, notando un piccolo chiosco che le faceva.
«Se proprio me lo chiedi...»
Scoppiai a ridere prendendo il portafoglio dalla tasca posteriore dei jeans e andai verso quella bancarella per ordinarle.
«E’ la prima volta che mangio delle vere crêpes francesi» ammisi, dando un morso a una.
Lennon mi guardò incredula, «sei proprio un danno» mi riprese, cominciando a camminare.
Dieci minuti dopo eravamo su quell’edificio opposto alla Tour Eiffel e dovevo ammettere che da lì la torre si vedeva alla perfezione. Mi pulii le mani sporche di Nutella prima di prendere il telefono e scattare alcune foto, poi, mentre Lennon si guardava in giro con la testa tra le nuvole, ne feci un paio anche a lei.
«Ehi!» mi riprese lei, accorgendosi di essere il soggetto delle mie foto e avvicinandosi con aria minacciosa. Alzai il braccio con in mano il telefono in aria, Lennon iniziò a saltare per cercare di prenderlo ma ovviamente era troppo in alto per lei.
«Cancellale!» mi ordinò.
Scossi la testa mentre ridevo, «certo che no, sono un ricordo.»
Lei si mise a braccia conserte, corrucciata. «Odio fare le foto da sola» si lamentò.
«Allora facciamone una insieme» le proposi, avvicinandomi a lei.
Lennon annuì con sufficienza, le cinsi le spalle con un braccio e sorrisi all’obiettivo, sentii le dita di Lennon sfiorarmi le fossette.
«Che fai?» le chiesi confuso.
«E’ da quando mi hai sorriso in caffetteria che volevo farlo» si giustificò, stringendosi nelle spalle.
 

Lennon

 
Erano appena le nove di sera ed io ero già esausta. Mi buttai sul letto osservando il soffitto sperando che una manna dal cielo facesse sì che Jacqueline mi chiamasse e mi dicesse che aveva cambiato idea e che quella sera non voleva più uscire. Dovevo darle il regalo di Natale, certo, e volevo salutarla prima che partisse per Roma con i suoi però passare tutto il giorno in giro per Parigi con Harry mi aveva sfiancata più di quanto potessero fare otto ore di lavoro.
Mi feci forza e mi alzai dal letto per prepararmi. Avevano previsto neve quella sera, così decisi di mettere al posto delle mie meravigliose Vans, gli Ugg. Storsi la bocca osservando quella specie di babbucce ai miei piedi ma almeno si abbinavano al colore del maglione di lana che avevo deciso di indossare. Presi il regalo per Jackie ed uscii di casa di corsa dato che ero in ritardo. Avevo mandato un messaggio ad Harry chiedendogli se gli andava di uscire ma non mi aveva ancora risposto e non avevo il tempo di aspettarlo così mi diressi velocemente verso la fermata della metro. Odiavo andare in giro da sola alla sera, dovevo ammetterlo, soprattutto a quell’ora che era decisamente più tardi rispetto a quando finivo io di lavorare.
Ero giunta in prossimità del binario esatto quando sentii il telefono vibrarmi nella tasca della giacca. Mi guardai in giro con aria circospetta prima di prendere il cellulare per controllare il messaggio che avevo ricevuto. Quel BlackBerry era il frutto di tutte le mie fatiche in panetteria durante l’estate, a Settembre mi ero concessa un premio e non avrei mai e poi mai permesso a un malintenzionato qualunque di rubarmelo. Piuttosto gli avrei regalato gli Ugg che indossavo e sarei andata in giro per la città a piedi nudi.
Sorrisi inconsciamente nel leggere il nome di Harry lampeggiare sulla schermata, aprii il messaggio con quasi l’ansia per quello che ci poteva essere scritto dentro.
“Dimmi dove e quando ci dobbiamo incontrare che io ci sono :)”
“Riesci ad arrivare da solo a Notre-Dame o devo venire a prenderti?”
La risposta arrivò subito, “Certo, non sai che da piccolo mi chiamavano Tom Tom? :D”
Non potei fare a meno di scoppiare a ridere davanti a quella battuta scadente copiata sicuramente da Facebook, ma fortunatamente il rumore della metropolitana che era appena arrivata mi coprì.
“Vedremo”.
 
Mezz’ora dopo – a mia sorpresa – vidi la chioma riccia di Harry spuntare dalla folla che stava uscendo in quel momento dalla stazione della metropolitana. Alzai un braccio in aria per farmi notare mentre gli andavo incontro, lui sorrise nel vedermi.
«Hai avuto difficoltà, Tom Tom?» lo presi in giro.
Lui rise alzando leggermente il viso con fare arrogante, «ti sembra che abbia avuto difficoltà?»
Scossi la testa prendendolo per un braccio e lo trascinai dall’altro lato della strada approfittando del semaforo che era appena diventato rosso per le auto.
«Siamo in ritardo» gli spiegai mentre mi dirigevo verso St. Michel, un quartiere di Parigi pieno di pub e altri locali.
«Dove stiamo andando?» mi domandò Harry.
«In un pub, devo incontrare Jacqueline prima che parta per darle il regalo.»
«Lo sai che figura fa un uomo con due dame?»
Rallentai leggermente il passo voltandomi a guardarlo, quello sguardo malandrino mi fissava divertito e io sentii un brivido percorrermi tutta la spina dorsale.
«Stai tranquillo, c’è anche altra gente» lo rassicurai.
Lui annuì, abbassando poi gli occhi sui miei piedi, «belle le scarpe» osservò ridendo.
Gli tirai un colpo sulla pancia facendolo gemere guardando poi cosa indossava lui, «stasera probabilmente nevica, voglio vedere come farai tu con quei cosi» ribattei indicando i suoi piedi.
Harry si strinse nelle spalle senza sapere cosa dire, sorrisi aumentando di nuovo il passo vedendo in lontananza l’insegna del locale in cui mi ero data appuntamento con gli altri.
Non appena entrammo la musica che da fuori si sentiva a malapena ci investì e io dovetti socchiudere gli occhi per il buio che c’era e il fumo che probabilmente avevano appena spruzzato. Presi istintivamente Harry per mano conducendolo attraverso la folla verso il tavolo a cui eravamo soliti sederci: era già pieno di gente.
Salutai tutti e presentai loro Harry andando poi a sedermi vicino a Jacqueline che mi aveva tenuto appositamente il posto. Harry invece si accomodò vicino a... Chanel.
Già solo nel vedere per un istante lo sguardo da gatta morta che gli stava facendo sentii il nervoso pervadermi tutta. Jacqueline appoggiò la sua mano sulla mia, «smettila di fissarla o da un momento all’altro si carbonizzerà.»
«E’ proprio quello che voglio» dissi a denti stretti senza distogliere lo sguardo da lei, «che ci fa qua?» domandai poi, voltandomi verso la mia migliore amica.
Jackie sospirò, «l’ho invitata io» ammise.
Strabuzzai gli occhi, «ma come...?»
«Eddai Lennon, se la conosci non è poi così male. Ci siamo frequentate ogni tanto durante le vacanze ed è più simpatica di quello che sembra.»
Guardai Jacqueline incredula prima di voltarmi a guardare di nuovo Chanel che aveva intavolato una conversazione con Harry che sembrava mangiarsela con gli occhi mentre lei si atteggiava da ochetta sbattendo ripetutamente le sue lunghe ciglia e rigirandosi una ciocca di capelli biondi – tinti – tra le dita.
Feci una smorfia di disgusto osservando la scena, «come fa a starti simpatica quella?» dissi tra me e me.
«Guardala!» esclamai a bassa voce poi, rivolgendomi a Jackie, «quella lì ha anche il nome da troia. Dai, chi chiamerebbe una figlia Chanel? E’ una marca da fighetti, non che il mio nome sia molto più comune però... John Lennon era un grande – sempre che il mio nome arrivasse da lì – Chanel che cos’è?»
Vidi Jacqueline alzare gli occhi al cielo, «allora ignorala, non sei obbligata a frequentarla.»
«Sì ma se tu la inviti sempre!» la ripresi.
«E dai, Len saremo qua in una decina, puoi tranquillamente evitarla.»
Lanciai di nuovo uno sguardo di fuoco a Chanel proprio quando anche lei ebbe la stessa idea, non sarei certamente stata io a cedere per prima infatti lei si voltò quasi subito alla sua destra perché... Harry le stava raccontando qualcosa gesticolando animatamente.
Li osservai per alcuni istanti, cosa avevano di così interessante da dirsi?
Ah sì, erano entrambi ricchi sfondati e probabilmente stavano discutendo dell’ultima collezione di Burberry o Gucci o Louis Vuitton o Versace o qualunque altra cosa.
«Carino il tuo amichetto comunque.»
La voce di Jacqueline mi riscosse dai miei pensieri, la guardai smarrita per alcuni istanti. «Tu dici?»
Jackie rise, «e dai, non dirmi che non te ne sei accorta!»
Mi strinsi nelle spalle, «non è male» ammisi con sufficienza.
Sentivo lo sguardo di Jacqueline addosso così mi limitai a osservarmi lo smalto delle unghie leggermente mangiucchiate.
«Vedo come lo guardi e  lo conosco quello sguardo.»
«Quale sguardo?» sussultai.
«Lo stesso che avevi quando guardavi Oliver.»
«Non credo proprio» borbottai.
Perché Jacqueline si era messa in testa di rovinarmi la vigilia di Natale? Prima Chanel – che sa ovviamente che odio a morte – e poi se ne usciva menzionando Oliver, il mio Oliver.
«Va bene ho capito, lasciamo perdere» sospirò Jackie, bevendo un sorso del martini che aveva sul tavolo.
«Era ora» borbottai, improvvisamente incupita.
Già ero partita con la voglia sotto i piedi di uscire quella sera e gli argomenti su cui eravamo finiti a discutere non avevano fatto altro che peggiorare la situazione.
Presi dalla borsa il regalo che avevo comprato a Jacqueline e glielo porsi sforzando un sorriso, l’unica cosa che volevo davvero in quel momento era andare a casa.
I suoi occhi s’illuminarono, adorava le sorprese. Come me.
«Ti ho preso un pensierino» dissi.
Jacqueline osservò prima il pacchetto e poi alzò lo sguardo su di me abbracciandomi come un pupazzo, «grazie!» esclamò felice.
Si staccò e frugò anche lei nella propria borsa, «pure io ti ho preso qualcosa» disse, mentre cercava di trovare il mio regalo in mezzo a tutte le cose che si portava appresso.
Dopo alcuni secondi mi porse una minuscola scatola incartata con minuziosità, tipico di Jackie pensai.
«Tieni.»
Le sorrisi e l’abbracciai molto più delicatamente di quanto lei avesse fatto con me, «grazie.»
«E di che? Allora, cosa prendi da bere?» mi domandò Jackie.
La guardai incerta per un attimo, non volevo offenderla ma in quel momento volevo solo andarmene da lì e schizzare dritta a casa.
«Ecco non so...» borbottai abbassando lo sguardo, «domani è Natale e mio fratello verrà a svegliarmi alle sette di mattina e poi dovrò passare il resto della giornata ad aiutare mia nonna e mia mamma a cucinare» mi giustificai. Il che era la verità, forse solo leggermente ingigantita.
Jackie sospirò, «okay ho capito, allora ci vediamo quando torno.»
Annuii sorridendole incerta aprendo le braccia per abbracciarla, «non fare innamorare troppi italiani.»
La sentii ridere, «tranquilla, non c’è pericolo.»
Le sorrisi di nuovo prima di alzarmi e voltarmi verso Harry, «io vado, vieni?» gli domandai, lanciando un’occhiata fugace a Chanel che sapevo in quel momento avrebbe voluto strozzarmi più del solito.
«Di già?» domandò Harry, leggermente dispiaciuto.
Annuii sistemandomi meglio la borsa sulla spalla, «se vuoi puoi rimanere, insomma, non sei obbligato a...»
«No no va bene!» m’interruppe lui alzandosi e mettendosi il cappotto.
Salutò velocemente Chanel e gli altri – gongolai interiormente perché lei non riuscì a saltargli addosso come una piovra e baciarlo sulle guance ed abbracciarlo come faceva con tutti – e mi raggiunse.
«Hai fatto amicizia con Chanel, ho notato» esordii non appena uscimmo dal locale.
Sentii Harry ridere così mi voltai a guardarlo, incontrando i suoi occhi verde smeraldo.
«Tu mi hai abbandonato, cosa dovevo fare?»
Sussultai a quelle parole, «non è vero» borbottai guardandomi i piedi, improvvisamente in imbarazzo, «i posti rimasti liberi erano solo quelli.»
La risata di Harry si fece più forte e sentii il suo braccio cingermi le spalle fino a quando la mia testa non si appoggiò al suo petto.
Sentii una strana sensazione pervadermi il corpo e le guance andarmi a fuoco.
«Stavo scherzando!» esclamò poi, lasciando la presa. «Comunque non è niente di che, ci provava spudoratamente con me ma non è il mio tipo, troppo viziata.»
Mi trattenni dallo scoppiare a ridergli in faccia e dirgli “perché tu cosa sei?” perché non sarebbe stato carino. Per quanto Harry potesse essere pieno di soldi e viziato, era altrettanto simpatico e gentile, a differenza di quella gallina parlante.
«E anche troia» borbottai.
«Sai, avevo capito che non ti andava a genio, ci hai guardati di storto per tutta la serata» ammise divertito.
Avvampai e mi affrettai a scendere le scale che portavano alla stazione della metro in silenzio.
Mi diressi verso il binario in cui dovevo andare ma mi arrestai quando mi ricordai che Harry non sarebbe dovuto venire con me.
«Tu devi andare da quella» lo avvertii, indicandogli un’altra direzione,
«Ti accompagno a casa» disse lui tranquillo, superandomi e inserendo il biglietto nell’obliteratore. Lo seguii in silenzio, quella sera non ero in vena di parlare.
«Che ti ha fatto Chanel per starti così antipatica?» mi domandò Harry ad un certo punto.
Ci pensai su un attimo ed in quel momento arrivò la metropolitana, gli risposi solo quando fummo seduti.
«Non c’è un episodio preciso che me l’ha fatta odiare, diciamo che mi stanno antipatiche in generale le persone viziate e che se la tirano come lei» ammisi sincera, «ha sempre avuto quell’atteggiamento di superiorità sin dalle elementari e da lì mi è sempre stata antipatica. Poi il fatto che mezza scuola se la sia portata a letto non ha fatto altro che confermare i miei pensieri.»
Harry non rispose, si limitò a sorridermi. Che c’era di divertente in quella storia? Pensai, quasi infastidita.
«Allora non ti piacciono le persone viziate» osservò pensieroso, guardando davanti a sé.
Annuii.
«E che ne dici di me?» domandò, piantando i suoi occhi chiari nei miei.
Avvampai, ci avrei scommesso la mia paga di dicembre che in quel momento ero più rossa del naso di Babbo Natale e mi pentii di aver dimenticato la sciarpa a casa così da non potere neanche nascondere parte del mio viso dietro di essa.
«Tu non sei una troia» borbottai, senza sapere cos’altro dire, «e non sei arrogante quanto lei. O meglio, anche tu sei arrogante ma in una maniera diversa.»
«In che senso?»
Mi strinsi nelle spalle, «non saprei, però non sei odioso come lei anche se, fossi in te, cambierei un po’ lo stile nel vestire.»
Harry mi squadrò da capo a piedi, «disse quella con gli Ugg color caghetta.»
Lo fulminai con lo sguardo gonfiando le guance dalla rabbia, «sei odioso» borbottai alzandomi dalla sedia dato che alla fermata successiva saremmo dovuti scendere.
Harry mi imitò, «sei tu che hai iniziato. E poi io mi vesto bene, che c’è che non va nel mio abbigliamento?»
«Niente, solo che è troppo “inglese”.»
Lui rise, «ma io sono inglese!» esclamò allargando le braccia.
Alzai le spalle senza rispondergli e scesi dalla metro cominciando a camminare velocemente verso l’uscita.
«Poi qualche giorno devi anche spiegarmi perché sei sempre così di fretta!» mi gridò Harry, rimasto qualche passo dietro di me.
Mi voltai continuando a camminare all’indietro, «siete voi inglesi che siete delle lumache.»
«Perché voi francesi invece siete dei fulmini?»
«Io non sono francese, sono americana» lo corressi, riprendendo a camminare normalmente.
Harry mi raggiunse, «hai ragione.»
Sorrisi tra me e me  e mi sistemai meglio il berretto in testa. Rivolsi lo sguardo verso il cielo nero notando con piacere che stava iniziando a nevischiare.
«Era ora» sospirai, cambiando completamente umore.
La neve era l’unica cosa che fosse in grado di farmi percepire veramente il Natale, più dei regali, delle canzoncine, delle luci e degli addobbi che si vedevano per le strade.
«Che c’è?» mi domandò Harry confuso.
«Nevica» dissi semplicemente, con un sorriso che mi andava da un orecchio all’altro.
«E come mai così felice?»
Strabuzzai gli occhi, «come? La neve è la cosa più bella che ci sia!»
«I regali sono la cosa più bella che ci sia!»
«Vedi? Sei proprio inglese!» lo presi in giro.
Harry rise e io mi arrestai accorgendomi di essere arrivata a casa.
«Spero di svegliarmi domani e vedere tutto bianco» ammisi, guardando alcuni fiocchi di neve cadere lentamente davanti a me e posarsi per terra.
«Sarà sicuramente così» mi rassicurò Harry, prendendo il telefono dalla tasca.
«Sono le 11:59 » disse poi, «posso farti gli auguri prima di andarmene?»
Annuii mordendomi il labbro inferiore e cercando di trattenere il sorriso che pretendeva di affiorarmi sulle labbra.
Osservai lo schermo del cellulare di Harry in silenzio fino a quando l’ora non cambiò in “12:00 a.m.”.
Scoppiai a ridere e Harry mi seguì a ruota coprendosi la bocca con una mano. Io gliela presi e l’abbassai, mi nascondeva le fossette così.
«Buon Natale» mi disse poi, quando ci fummo calmati.
Allargò le braccia e io non esitai a buttarmi tra di esse, «buon Natale anche a te, Harold» gli sussurrai, con la testa appoggiata al suo petto.
Lo sentii darmi un dolce e leggero bacio sulla testa e per una volta maledii quel cappellino rosa per avermi impedito di percepire le sue labbra.

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Pensavate ci sarebbe stato il bacio, eeeehh?
Beh, nonostante la storia sarà lunga solo dodici capitoli vi avverto che vi farò soffrire fino all'ultimo come sono solita fare muahahahaha! *risata alla Rico di Hannah Montana*
Questo è uno dei miei capitoli preferiti ed è tipo lunghissimissimo quindi spero di non avervi annoiate :)
Che altro dire? Non dimenticatevi di Oliver perché ne sentirete riparlare e più in là scoprirete anche chi è, cosa significa per Lennon e perché odia sentirne parlare. Per ora però vi lascio con taaaanti dubbi e con un Harry così adorabile che credo qualunque ragazza sana di mente vorrebbe avere al proprio fianco **
Vi ringrazio come al solito per le recensioni ma anche solo per apprezzare questa storia. Ci terrei tantissimo sapere che ne pensate :)
Jas


 



«Potresti avermi tra i piedi più spesso di quanto vorresti.»

   
 
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