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Autore: Mockingjayonfire    16/09/2012    1 recensioni
Settantatreesima edizione degli Hunger Games vista attraverso gli occhi dei ragazzi del distretto 8.
Tutti hanno paura dell'arena, chi non dovrebbe averla?
Una piccola recensione? Grazie a chi lo farà.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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-Aprite!

Disse una voce grossa, rauca e maschile mentre bussava violentemente alla porta di casa. Scesi dal letto infilandomi velocemente dei vestiti lasciati in giro il giorno prima..

-Ciaff!

Sentii uno schiaffo e poi delle urla furibonde mischiate a mugolii. Capii solo che qualcuno aveva chiesto perché non rispondeva.. Doveva essere andata ad aprire mia madre, come avevano fatto a non capire che era muta? E come si erano permessi di metterle le mani addosso? Corsi giù per le scale furiosa. Presi mia madre tra le braccia e fulminai con lo sguardo i due enormi pacificatori che mi stavano davanti.

-E’ muta! Non l’avete capito? MUTA! Perché siete qui? Cosa volete?

La mia voce uscii veloce e rabbiosa, quasi volesse aggredirli. Notai che si scambiarono una veloce occhiata sorridendo subito dopo. C’era qualcosa che non andava, percepivo che non avevano buone intenzioni. Solo allora, ricordai chi fossero.. non c’erano poi tanti pacificatori nell’8. Erano quelli che appellavo con i più svariati insulti ogni volta che li si nominava. Erano ladri, bugiardi e approfittatori, soprattutto approfittatori… Uno dei due fece per entrare, mettendo un piede oltre la soglia. Non potevo più chiudere la porta. Cosa ci avrebbero fatto? Perché erano venuti qui? Sapevo che prendevano di mira le donne senza più un marito, ma mio padre era semplicemente a lavorare… L’immagine di mia madre tra le loro braccia mi fece scattare: sputai tanta più saliva che potevo negli occhi del pacificatore che stava per entrare e quando fu distratto, chiusi la porta schiacciandogli il piede. D’istinto lo ritrasse e riuscii a chiudere definitivamente la porta lasciandoli fuori. Con un gesto brusco, ordinai a mia madre di nascondersi in cucina dietro ai mobili. Ora? Avrebbero buttato giù la porta... eravamo in trappola nella nostra casa, come il gatto intrappola il topo in un angolo. Sentii i due uomini prendere la rincorsa e andare contro la porta. Non avrebbe retto un’altra volta. Corsi ai cassetti e cercai qualcosa con cui difendermi. Cucchiai, forchette, spatole.. Dov’erano finiti i coltelli? La porta cadde a terra rumorosamente. Li sentii sghignazzare, felici di avere una preda facile e indifesa. Rimasi immobile pietrificata dalla paura di quella realtà. Mi girai per vedere dove fossero e anche per non farmi prendere di spalle. Uno stava salendo le scale, forse pensava che mia madre fosse su.

-Tranquilla, non ti voglio fare nulla..

Stava dicendo quello che aveva puntato me. Si scrocchiò le dita e fece un sorriso ampio, che mi fece rabbrividire. S’avvicinò così velocemente che mi sorpresi quando sentii la presa delle sue mani sulle mie spalle. Ero completamente immobile, ma tenevo ancora le mani nei cassetti.. Sentii un leggero verso venire dalla direzione di mia madre, purtroppo la sentii anche lui e si voltò.

-Sebastian torn..

Riuscii a dire solo il nome, nemmeno urlato troppo forte, che gli trafissi la mano con uno dei coltelli che riuscii a scovare in fondo al cassetto. Il perché fosse così nascosto, me lo sarei chiesto più tardi ora avevo un pacificatore incazzato, accoltellato e anche dallo sguardo omicida. Non sentii scendere l’altro pacificatore, così tolsi il coltello dalla sua mano e anche dal mobile, visto che l’avevo infilzato e glielo puntai al collo.

-Non urlare.. sh! Taci. Anzi no, rispondi a questa domanda: Cosa fate qui?

Mi guardò ancora un attimo con quel suo sorrisetto sornione per poi diventare serio, mi temeva? Sperai la risposta fosse si, o eravamo fritte. Scrollò le spalle e non disse nulla. L’uomo al piano di sopra avrebbe fatto in fretta a tornare giù, la casa non era tanto grande. Avvicinai di più la punta del coltello al collo facendo uscire un rigolino di sangue. Solo allora parlò.

-Sei sospettata d’aver contribuito all’uccisione di Celine, il tributo. Devi venire al palazzo di giustizia..

Disse con un filo di voce. Stava uscendo parecchio sangue dal buco sulla mano. Senza esitare oltre, lo spinsi a terra e porsi la mano a mia madre. Corremmo fuori casa e poi verso il palazzo di giustizia. Di nuovo a correre, sembrava ormai essere diventata un’abitudine a cui non potevo far a meno: correre per scappare da quello che succedeva, allontanarmi dalla realtà, volare via da un mondo che non mi piaceva. Il pacificatore accoltellato non aveva mentito, al palazzo di giustizia mi portarono dentro senza darmi il tempo di farmi salire i gradini. Mi strattonarono per diversi corridoi, poi su per le scale, altri corridoi.. restai semplicemente in silenzio, sapevo di essere in torto. Celine doveva aver preso il coltello da me fornitole e.. che brutta immagine: Celine per terra, in una pozza di sangue con un coltello nel cuore. Potevo sentire il suo respiro fievole, vedere i suoi occhi socchiusi e le sue labbra in un dolce sorriso che cercano di dire “non sono una loro proprietà”. Mi mettono a sedere facendomi sbattere il sedere contro una rigida sedia.

-Raccontaci pure di come hai portato il coltello a quella ragazza, al Nostro tributo.

Era un uomo con i capelli scuri e tirati indietro ma immaginavo che il suo tratto particolare fosse la barba.. Un pacificatore mi tirò una forte pacca sulla schiena per incitarmi a parlare, il risultato fu che non riuscii a respirare. Sentivo come se mi pressassero la schiena contro qualcosa. Presi a fare lunghi respiri affannosi, sembrava stessi per soffocare. L’uomo seduto davanti a me, appoggiò con non-calanche i gomiti sul tavolo che aveva davanti aspettando impazientemente una mia risposta. Poggiai una mano sul torace e abbassai la testa provando a ritornare a respirare tranquillamente.

-Non sono stata io.

La voce uscii spezzata, ma per fortuna uscii. Il pacificatore stava per darmi una seconda pacca e lì non avrei respirato proprio più. Il signore-dalla-barba-strana rise fragorosamente chiedendo se stessi scherzando. Avevo la faccia di una che scherzava? Sperai di no, perché la punizione per quello che avevo fatto sarebbe stata severa. Non mi avrebbero graziato uccidendomi subito, la cosa peggiore che riuscii a pensare era che mi potevano mandare agli Hunger Games..

-E quindi il coltello si è materializzato tra le sue mani, giusto?

-No signore, doveva averlo di già.. dietro.
Stavo per dire “doveva averlo di già in tasca” ma mi ricordai in tempo che nessuno me lo aveva detto, sarebbe stato un brutto errore. Loro pensavano che io l’avessi uccisa senza uno scopo preciso, magari per ribellarmi a Capitol. Ma la realtà era un’altra: l’avevo fatto perché sapevo cosa Celine stava provando e cosa avrebbe provato sapendo che i suoi genitori l’avrebbero guardata sul grande schermo in piazza. Non le avrei mai fatto del male e ritenevo il mio gesto una carità se non un favore. Ma loro come conoscevano tutto questo? Come erano giunti a quella conclusione, al fatto che IO avevo procurato il coltello?

-Perché mai sarei stata accusata di aver ucciso Celine? Quali prove avete?

Notai che la domanda fece diventare tutti un po’ irrequieti. Loro non avevano nulla contro di me, nessuna prova. NESSUNA.. Il signore-dalla-barba-strana fece per dire qualcosa ma la porta si spalancò. Il cuore balzò in gola. E se erano i due pacificatori che erano venuti a casa? Allora si che ero fritta.. Lentamente mi voltai e vidi la faccia furiosa di mio padre e contemporaneamente afflitta. Con un sospiro di sollievo mi alzai da quella scomoda sedia e gli andai incontro senza dargli un secondo per parlare.

-Se non avete nulla contro di me, posso andarmene..

-Non si aspetti che la faccenda si concluda in questo modo.

Intimò il signore-dalla-barba-strana. Gli sorrisi come per prenderlo in giro e uscii dalla stanza. Non sapevo cosa mio padre sapesse di tutta quella faccenda, né il perché fosse lì.. Chi l’aveva avvertito che mi avevano portato al palazzo di giustizia? Avevo paura di fargli domande, la sua espressione era fin troppo.. strana. Lo seguii per i corridoi e per le scale. Restammo in silenzio fino a quando non raggiungemmo la porta che ci avrebbe condotti fuori di lì..

-L’hai uccisa tu?

Mi chiese sottovoce. Sentii gli occhi riempirsi di lacrime. Sembrava che quella domanda gli avesse spezzato il cuore, come se io l’avessi disonorato o fossi stata un mostro. Credeva che fossi un’assassina? Abbassai la testa fissando le mie scarpe. Non potevamo parlare liberamente in quel posto, ma come spiegare tutta quella faccenda? Voleva una risposta e non voleva che mia madre la sentisse visto che non eravamo nemmeno usci dal palazzo. Oltre a non sapere cosa dire, avevo paura che non accettasse la cosa, che non mi rivolgesse più la parola o peggio, che non riuscisse più a guardarmi in faccia..

-Me l’aveva chiesto lei.. Sai, per non far soffrire i suoi genitori.

Sussurrai trovando un briciolo di coraggio. Tirò su il mio viso e mi guardò negli occhi, ormai colmi di lacrime. Sorrise. Cosa gli aveva fatto cambiare idea? Ora non mi riteneva più un’assassina come mi aveva fatto credere nemmeno un minuto prima? Doveva avere una teoria tutta sua, magari aveva raccolto tutte le informazioni che aveva preso dai miei racconti sui miei amici.. Si, doveva essere proprio così. Conoscevo mio padre e il più delle volte traeva le conclusione ancora prima di chiederti “cosa è successo” e azzeccava sempre. Lo abbracciai velocemente e poi uscimmo da quel bianco palazzo. Trovammo la mamma seduta sulle scale, con la testa tra le mani.

-Amore!

Disse allegro mio padre andandole incontro. La fece alzare e la prese tra le braccia dandole un tenero bacio. Da quando le avevano mozzato la lingua, era un vero tenerone. Sorrisi alla vista dei miei che si baciavano felici. Cosa potevo sperare di più di una famiglia unita e felice?

-Abbiamo il video! Sei in arresto!

La porta alle mie spalle si spalancò e, dalla voce, il signore-dalla-barba-strana uscì urlando. 
  
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