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Autore: Hikari93    17/09/2012    8 recensioni
«Nii-san!»
Itachi si bloccò di colpo, rimase immobile. Non tentò neanche di girarsi, sapeva che quel richiamo non era indirizzato a lui. Gli era chiaro e cristallino, tanto da bruciargli dentro, che non avrebbe mai più avuto il piacevole privilegio di sentirsi chiamare in quella maniera.
«C’è qualcosa che non va, Itachi-san?» Era Kisame.
Kisame chiacchierava troppo e sempre al momento sbagliato. Sembrava che volesse costantemente studiarlo e capire cosa gli passasse per la testa, anche se la verità gli sfuggiva tra le mani e rovinava a terra, schiantandosi. Intuiva, Kisame, ma non c’entrava mai il bersaglio.
«Andiamo Kisame.» Itachi ricominciò a camminare, ignorando le grida dispettose e lagnanti di un bambino del villaggio in cui si trovavano che continuava a reclamare le attenzioni di suo fratello maggiore. Era così simile a lui…
[Itachi/Sasuke NO INCEST]
Nota OOC ma con la speranza che non lo sia poi tanto. Si spera, ma non si sa.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Itachi, Sasuke Uchiha
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto prima serie
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Nii-san








 
 
«Nii-san!»
Itachi si bloccò di colpo, rimase immobile. Non tentò neanche di girarsi, sapeva che quel richiamo non era indirizzato a lui. Gli era chiaro e cristallino, tanto da bruciargli dentro, che non avrebbe mai più avuto il piacevole privilegio di sentirsi chiamare in quella maniera.
«C’è qualcosa che non va, Itachi-san?» Era Kisame.
Kisame chiacchierava troppo e sempre al momento sbagliato. Sembrava che volesse costantemente studiarlo e capire cosa gli passasse per la testa, anche se la verità gli sfuggiva tra le mani e rovinava a terra, schiantandosi. Intuiva, Kisame, ma non c’entrava mai il bersaglio.
«Andiamo Kisame.» Itachi ricominciò a camminare, ignorando le grida dispettose e lagnanti di un bambino del villaggio in cui si trovavano che continuava a reclamare le attenzioni di suo fratello maggiore. Era così simile a lui

 

 
*
 

«Nii-san!» sbottò per l’ennesima volta. Quando Itachi finalmente si girò a guardarlo, distogliendo lo sguardo dai compiti dell’Accademia, rise per quel broncio accentuato che decorava il volto del piccolo Sasuke. «Nii-san, hai finito?» Ogni ombra di rancore o collera scivolò via, lasciando soltanto il sorriso angelico e speranzoso di quel pestifero.
«Aspetti solo altri cinque minuti?» gli chiese sorridendogli sincero.
Sasuke spalancò gli occhioni neri dalla sorpresa. «E quanti sono cinque minuti? E’ tanto?»
Itachi si abbassò alla sua altezza e prima gli accarezzò i capelli, poi scese alla fronte e la tastò con l’indice e il medio. Fece piano, ma Sasuke si spinse comunque all’indietro in modo alquanto buffo. «Facciamo una scommessa, otouto?»
«Che tipo di scommessa?»
«Tu ti siedi lì e stai buono.» E gli indicò un punto vicino alla finestra, ai piedi della quale rovistavano i giocattoli di Sasuke, tra cui un peluche che al suo otouto piaceva tanto. La camera era sì sua, ma Sasuke ci trascorreva talmente tanto tempo, che era come se fosse di entrambi in egual modo. «Intanto» riprese, «io finisco gli ultimi esercizi. Dopo cinque minuti vengo da te e, se ti sono sembrati troppo lunghi, allora mi sentirò in debito. Potrai chiedermi qualsiasi cosa.»
«Qualsiasi?» domandò Sasuke, estasiato, avvinghiando i pugni stretti alla maglietta di Itachi. La strattonò più volte. «Davvero, davvero, davvero, nii-san?»
«Soltanto se i cinque minuti saranno troppo lunghi, però.» E Sasuke annuì felice, correndo subito a sedersi tra i suoi giochi. Afferrò quel dinosauro verde e cominciò a giocarci in un modo bizzarro e fantasioso, al modo dei bambini di quasi quattro anni.
Mentre Itachi riprendeva posto davanti ai compiti assegnati – «Ci stai già mettendo troppo, nii-san!» –, ebbe la strana sensazione che, per Sasuke, anche soltanto cinque secondi sarebbero stati troppi.

 

 
*
 

 

I ricordi erano maligni. Potevano essere sia il miglior rimedio per la tristezza e l’angoscia e sia la tristezza e l’angoscia stessa. Itachi ormai li vedeva così distanti che neanche gli risultavano nitidi. Un po’ non voleva più pensare, un po’ non riusciva a impedirselo.
Perché la sua voce – Nii-san, nii-san, nii-san! – faceva a botte con la sua mente. Sempre. E altrettante volte gli ricordava ciò che era accaduto al suo Clan, quello che lui stesso aveva fatto in modo che accadesse.
Dopo avergli reso la vita un inferno, aveva il diritto di provare ancora affetto per lui?
Di ripensare ai tempi felici? Di agognare ancora a quelle emozioni?
Non sapeva neanche come stava, erano anni che non lo vedeva. Esattamente, da quando lo aveva stretto tra le braccia l’ultima volta, tanto forte che le lacrime che non era riuscito a trattenere gli avevano bagnato la maglietta sporca del sudore degli allenamenti e dai brividi di paura che lo avevano percorso da capo a piedi.

 

 
 
*
 
 
 

Sasuke tentò una strenua resistenza lanciandogli contro un kunai. Per Itachi un colpo del genere non costituiva nessun problema. Eppure, la punta dell’arma si schiantò contro il suo coprifronte e lo fece cadere al suolo.
Itachi osservò di sbieco – le lacrime che riempivano gli occhi gli concedevano soltanto una visione pallida della realtà; offuscata – le ultime forze del suo otouto che scivolavano via dal suo esile corpo, lasciandolo scivolare giù. Lo prese per sotto le ascelle, se lo rannicchiò contro il petto. Non si sentì in diritto di toccarlo con le stesse mani che avevano ucciso i loro genitori – anzi, i genitori di Sasuke – ma gli sfiorò comunque la fronte quando gli sollevò una ciocca di capelli dagli occhi, scostandola di lato.
«Perdonami, Sasuke» gli chiese egoisticamente. Comportandosi ancora da più egocentrico, appoggiò la nuca del suo fratellino contro l’incavo del suo collo. Se si sforzava, sentiva ancora l’odore delle lacrime che impastavano le guance di Sasuke. Sì, anche lui stava piangendo, ma erano due situazioni diverse.
Le lacrime di Sasuke era quelle di un innocente, non di un colpevole.
Per quanto Itachi si ripetesse che no, non c’era stata altra scelta, non se voleva salvare almeno Sasuke, non riusciva a concepirsi come vittima e non come carnefice. Rimirò un’ultima volta il visino appena appena sereno del suo otouto, poi lo lasciò a terra, vincendo il desiderio assurdo e folle di portarlo con sé.
«Ti troveranno presto, Sasuke. Starai bene» bisbigliò più a se stesso che a suo fratello. Voglio che tu stia bene. Vivi, vivi, non lasciarti abbattere. Fa’ che il desiderio di uccidermi ti renda più forte. Scusami se non ho potuto fare altro per te. Abbandonarti è l’ultima cosa che vorrei.

 
 
 

*

 
 
 

«Itachi-san, che ne dici di fermarci qui per la notte?»
Itachi alzò gli occhi al cielo. La notte inglobava ogni cosa. Neanche se n’era accorto che si fosse fatto così tardi, forse perché camminare nelle tenebre gli era usuale. Non si sentiva eccessivamente stanco, non fisicamente. Moralmente, lo era talmente tanto che il dolore si era assuefatto. In ogni caso, il riposo lo avrebbe aiutato.
«Hai ragione, Kisame» gli disse pacato come suo solito, «questo bosco è l’ideale.» Avanzò di qualche passo, inoltrandosi nel buio. Si abbandonò a sedere contro il tronco del primo dei tanti alberi che gli capitò a tiro.
 «Difficilmente ci troveranno qui.»
Kisame appoggiò la Samehada a terra, tenendola però con l’elsa. Ne osservava, alla poca luce che la Luna piena produceva, il teschio all’estremità, accarezzandolo col pollice a gesti circolari. «Ho sentito dire che questa zona è poco trafficata. Difficilmente troveremo ninja in grado di tenerci testa. Inoltre, chi mai immaginerebbe che due ricercati del nostro calibro di trovino nei pressi di un villaggio così poco influente? I grandi vengono cercati tra i grandi» riassunse, sogghignando.
«In ogni caso è prudente organizzare dei turni di guardia. Non si sa mai.»
«Sei sempre così cauto, Itachi-san.»
Lui preferì lasciar cadere il discorso, come al solito. Soltanto: «Comincio io. Riposati, Kisame.»
Quello adagiò la katana al terreno e posizionò meglio la schiena contro la corteccia dell’albero dietro di lui. Si espresse in un risolino di assenso e che sapeva di come vuoi tu, Itachi-san, poi chiuse gli occhi e tacque.
Itachi avvertì solo allora un po’ di tranquillità, ma sapeva che sarebbe durata poco. Era complicato, quasi un paradosso: le chiacchiere di Kisame, per quanto apparentemente superflue e fastidiose per un amante del silenzio come lui, lo distraevano un po’ dal suo passato sempre presente, lo aiutavano. Ma le rifiutava, e preferiva immergersi nel dolore e frastornarsi al battere incessante e rumoroso del suo cuore che, ancora, a distanza di tempo, aumentava le pulsazioni se ripensava – e lo faceva in automatico – al momento in cui la spada aveva spento ed esaurito l’ultimo respiro di Mikoto e Fugaku Uchiha. Più volte aveva pensato che uccidendo i suoi genitori aveva ammazzato anche Sasuke. Nella sua mente vorticavano talmente tante domande che, se anche ne avesse avuto la risposta, non avrebbe fatto in tempo ad argomentarle tutte.
Dalle domande fondamentali – Sei ancora vivo, Sasuke? Sei riuscito a trovare qualcuno che ti abbia sollevato dal baratro? Hai trovato qualche amico che ti è stato vicino?  – a quelle più semplici e quotidiane, quelle che avrebbe potuto fargli sua madre, ai tempi, le solite raccomandazioni che Sasuke non aveva potuto ricevere più – Ti sei lavato i denti? Non stai mangiando soltanto schifezze, giusto? Stai risparmiando qualche soldo o li stai scialacquando?
Itachi sospirò, stanco di riflettere.
Acuì l’udito e, sentendo il respiro profondo di Kisame, ipotizzò che si fosse già addormentato. Ne approfittò per alzarsi; camminare gli faceva bene: concentrandosi sulla stanchezza aveva modo di distrarsi, perché trovare vie alternative era l’unico modo per tirare avanti. Arginare i sensi di colpa.
Si promise che non si sarebbe allontanato troppo. Gettò uno sguardo alla figura dormiente di Kisame e si avviò, semplicemente perché il silenzio congiunto alla notte faceva troppo frastuono – urla di terrore, grida meravigliate e confuse. Cosa stai facendo, nii-san!
 
Camminava attraverso le ombre che quel bosco tutto uguale proiettava, destreggiandosi con grande facilità. Sapeva perfettamente come tornare indietro e quanto si stava allontanando, per cui non aveva problemi.
Poi, all’improvviso sentì un mugugno. Qualcosa di tanto indistinto ma troppo familiare che proveniva tra i cespugli, più avanti. Si sporse quant’era necessario per vedere e capire. E capì davvero.
Lo oppresse un peso allo stomaco di quelli che non conciliavano il sonno nel vedere suo fratello. Indubbiamente era cresciuto: aveva guadagnato centimetri in altezza e i tratti del suo volto non apparivano più come quelli del bambino dei suoi ricordi. Inoltre, il suo corpo stava assumendo le fattezze di un adolescente. Rimase stupito, tanto che a una prima occhiata non reagì prontamente quando scorse le braccia legate dietro la schiena, la bocca zittita e gli occhi che, confusi, si agitavano in tutte le direzioni.
Itachi comprese subito che suo fratello non vedeva in quel momento. Probabilmente quella zona non era così sicura come Kisame credeva o, almeno, non lo era per un ninja del livello di suo fratello, presumibilmente ancora genin.  Qualche nemico aveva inibito i suoi sensi, e in particolare la sua vista, con qualche intruglio o forse qualche veleno, con un solo sguardo non poteva esserne certo.
Si disse che forse trasformarsi in un uomo qualunque era quanto meglio potesse fare, ma evitò. Desirò di avvicinarsi lui stesso a suo fratello, di aiutarlo lui stesso per una volta. Sapeva già che non sarebbe riuscito a non parlargli, ma sperava che il tempo avesse mutato il suo timbro di voce – erano passati ben cinque anni, del resto –, rendendolo così irriconoscibile a un Sasuke già di per sé intontito. Non avrebbe dovuto avere problemi.
Mentre muoveva gli ultimi passi che lo separavano dalla figura insospettita di Sasuke – Bravo, otouto, ti sei accorto della mia presenza, nonostante tutto –, scorse anche un altro ragazzo, forse un suo compagno di squadra. Lui, a differenza di suo fratello, dormiva della grossa, magari era svenuto. Itachi ipotizzò che il mugolio che lo aveva attirato fosse atto a svegliare quel ragazzino, ma non poté avere la conferma.
Qualcosa gli diceva che poteva bastare così, che dopo tutto quello che aveva fatto non doveva osare neanche azzeccarsi a suo fratello – Sai che non ne hai il diritto, lo sai –, tuttavia non poteva neanche lasciarlo in quelle condizioni.
Si permise di sorridere – sincero per la prima volta, magari anche felice – alle proteste vivaci di Sasuke quando lo prese per il mento con l’intento di scrutarlo e studiarlo meglio. Di ricordarselo, magari, come se ne avesse una foto più recente, un ritratto stampato negli occhi e nella testa che non sapesse di stantio e non risalisse a ben cinque, durissimi e sofferti anni prima.
Era buffo ma allo stesso tempo dolorosissimo incrociare gli occhi – in quel momento ciechi, spenti – di Sasuke. Quelle iridi avevano molta influenza su di lui, più di quanto ne potesse avere uno Sharingan. Se vi leggeva dentro, riusciva a percepire tutta la sofferenza e l’odio che gli aveva imposto. Preferì non pensarci.
Argina, argina i problemi.  
Prima che Sasuke, che cercava di liberarsi e di parlare, rischiasse di strappare a morsi benda e labbra insieme, Itachi gli lasciò proferire parola, liberandolo. Sasuke fece dei lunghi respiri, quasi cercasse di agguantare tutta l’aria di cui i suoi polmoni non avevano potuto disporre appieno fino ad allora.
«Chi sei?» gli domandò, arrogante. «Dobe, sei tu che mi stai facendo uno dei tuoi stupidi scherzi?» Dalla mancata risposta, Sasuke dovette intuire che non si trattava del suo compagno di squadra. Itachi non sapeva che tipo di ragazzo fosse l’amico di Sasuke, ma dalle parole di suo fratello capì che dovesse essere un burlone. «E’ chiaro che non sei lui» disse, voltando il capo prima verso un lato e poi verso l’altro. «Sei uno di quei farabutti di prima? Che cosa hai fatto a Naruto?»
Oh, se Sasuke avesse potuto vederlo davvero in faccia non si sarebbe limitato a definirlo soltanto un semplicissimo farabutto.
«Non sono un tuo nemico» gli sussurrò. Sasuke sobbalzò, e Itachi temette per un istante di essere stato scoperto per davvero. Decise di non farsi intimorire e di riprendere: «Naruto sta bene, è soltanto svenuto.»
«Ehi, dobe! Datti una mossa e svegliati!» urlò Sasuke, non sapendo bene in quale direzione indirizzare il suo ordine.
«Non può sentirti, ti ho detto che è svenuto.» Avrebbe voluto dirgli tante cose, ma tutte impossibili. Avrebbe voluto abbracciarlo, stringerlo ancora almeno per sopravvivere finché non sarebbe morto contro di lui per davvero, ma non poteva. La vita gli riservava più proibizioni che permessi.
«Quel dobe… non c’è mai quando serve» riprese Sasuke a voce bassa, dopo un po’, e Itachi ne riconobbe il tono lamentoso che da piccolo utilizzava ogni qualvolta le cose volgevano diversamente da come voleva lui. Era stato un bambino capriccioso, Sasuke, e qualcosa di quel bambino rimaneva ancora adesso.
E’ soltanto un ragazzino di dodici anni, in fondo.
«Non mi sembra che tu sia nella posizione di poter accusarlo» lo rimproverò, accorgendosi di averlo davvero fatto – e non solo pensato – soltanto quando l’aveva già detto. Lo sorprese la spontaneità con cui aveva rimbeccato suo fratello, come se non fosse mai successo nulla. Non ne aveva il permesso, ma del resto erano tante e troppe le cose che non si sentiva più in diritto di fare.
«Si può sapere chi diavolo sei?» sbottò Sasuke, irritatosi.
«Il mio nome non ti interessa.» Non ti deve interessare. Non ti può interessare. «E ti consiglio di non alzare così tanto la voce. Non puoi sapere se ci sono dei nemici in giro.» Ma se ci fossero ti proteggerei come ho sempre fatto.
«Così come non posso sapere se fidarmi o meno di te.»
Itachi sorrise appena; suo fratello aveva ancora una testa molto dura. «Giusta osservazione» lo assecondò docilmente. «Però, te lo ripeto, proprio come è successo con me, potresti attirare dei ninja armati e nemici. In realtà chiunque potrebbe farti del male, in questo momento.»
«Perché diamine ti interessa? Non ho bisogno dell’aiuto di nessuno.»
Itachi fece finta di non ascoltare i suoi reclami. Semplicemente, si sedette al suo fianco, sull’erba. Sebbene sapesse che Sasuke non poteva vederlo, indugiava sempre un po’ prima di osservarlo con attenzione e preoccupazione. Scrutava il suo corpo, in modo da scovare eventuali ferite e capire se fossero gravi o meno. Sasuke, comunque, non accusava alcun dolore, o almeno non lo dava a vedere; tuttavia, nemmeno da piccolo il suo otouto si era mostrato dolorante davanti agli altri, facendo del suo meglio per nascondere le ferite.

 
 
 
*
 
 
 

Sasuke si trascinava la gamba a ogni passo. Stringeva le labbra in un’espressione sofferente e pareva sforzarsi oltre l’immane per muoversi di mezzo centimetro. Gli occhi di Itachi captarono subito il problema.
Fermò di colpo la sua andatura. «Come ti sei fatto male, otouto?»
Il bambino alzò le spalle di scatto, colto in flagrante. Girò il viso, nella speranza di sfuggire allo sguardo indagatore di Itachi. «Sto bene, nii-san.»
«Va bene» gli diede corda. Suo fratello non poté neanche sospirare di sollievo per aver detto una bugia a buon fine – per non fare preoccupare il nii-san! – ed essere stato creduto, che Itachi lo sollevò in braccio.
«Nii-san, ho detto che sto bene!» borbottò Sasuke, affondando il volto paonazzo contro la spalla del suo nii-san.
«Perché, posso prenderti in braccio soltanto quando ti fa male qualcosa?» scherzò Itachi, sorridendo al comportamento del suo fratellino di cinque anni in stile io sono già grande e so badare a me stesso. Sasuke borbottò qualcosa di incomprensibile contro i suoi vestiti. «E adesso me lo dici come ti sei fatto male?» richiese.
«Volevo lucidarti i kunai per la tua prima missione da chuunin» bisbigliò, sempre senza lasciarsi guardare in viso. «Uno mi è scivolato dalle mani.»
Itachi gli accarezzò i capelli, stringendolo più forte a sé. «Sei uno sciocco, otouto» sorrise.

 
 
 
 
*
 
 
 

Scacciò quei pensieri.
Probabilmente sapeva molto meno su suo fratello di quanto credeva. Il bambino dei suoi ricordi differiva dal vero Sasuke, era cambiato e a lui, naturalmente, non era stato concesso di assistere. Poteva comprenderlo davvero basandosi solo sui suoi ricordi?
«Se è vero che non sei mio nemico, allora perché non mi sleghi?»
«Mi attaccheresti, non ti fidi di me» gli ricordò. «Inoltre, sei stato tu stesso a dirmi di non necessitare di aiuto.» Ignorò – no, custodì gelosamente – il dissenso quasi infantile che trapelò dalle labbra di suo fratello. «Sei in missione? Dov’è il tuo Team?» gli chiese. Sasuke era sempre stato un tipo introverso, nonostante le apparenze, e immaginava che da quel giorno si fosse chiuso ancora di più. Riuscire a cavargli fuori qualsiasi tipo di informazione, almeno qualcosa di basilare, poteva tranquillizzarlo un po’.
«Non avrai alcuna informazione da me. Né sulla mia missione, né su altro» rispose perentorio.
«Avrei dovuto immaginarlo. Sei uno shinobi, dopotutto.» Un bravo shinobi, Sasuke, ne sono sicuro.
«Ora tocca a me farti qualche domanda.» Itachi si fece attento: probabilmente Sasuke lo riteneva un nemico – e lo sei, Itachi – e voleva scovare qualche indizio su di sé. «Non hai voluto dirmi chi sei, e francamente non mi interessa. Però…» Ti interesserebbe eccome, se lo sapessi. «Tu sei uno shinobi?»
«Sì» rispose franco, deciso a non mentirgli almeno su quello. In realtà non sapeva che dirgli e non aveva nemmeno importanza. Contava soltanto ascoltare la sua voce che ora, più bassa, si spargeva tra i soffi leggeri del vento tra i capelli, perdersi in essa, coglierne le diverse sfumature che la rendevano più matura e adulta. Che effetto gli avrebbe fatto sentirsi chiamare nii-san da quella voce così simile ma così diversa da quella del suo Sasuke, del Sasuke del suo tempo? Non aveva risposte.
La vita da’ più proibizioni che permessi.
«Vieni da Konoha?» ricominciò suo fratello.
«Chi può dirlo.»
Sasuke alzò un sopracciglio, stupito. «Sei str-»
«Sei stato ferito?»
«Sei forse un ninja medico con l’innato senso di pronto soccorso?» sbottò. «Se è così, occupati del dobe e fa’ in modo che si riprenda.»
«Ci tieni molto al tuo compagno di squadra, vero?» Itachi sorrise. Dietro l’atteggiamento da arrogante di suo fratello, vedeva chiaro e cristallino un bene profondo verso quel ragazzino steso lì di fianco che mentalmente ringraziò.
«Affatto» lo smentì Sasuke, sussurrando, proprio come si era aspettato. «Il mio Team mi è soltanto di intralcio. Queste missioni non mi aiuteranno mai a raggiungere il mio obiettivo» disse convinto.
Dal tono diventato improvvisamente cupo, Itachi intuì che Sasuke stesse parlando di lui. Naturalmente non credeva di essere ancora amato dal fratello, tuttavia sentì come un pugno allo stomaco nel trovarsi faccia a faccia con l’odio che gli riserbava. Inoltre, voleva sentirglielo dire, voleva udire minacce di morte uscire dalle labbra di Sasuke. Gli servivano, gli occorreva carpire quell’odio profondo nella voce tremante per essere certo che suo fratello avrebbe fatto di tutto e di più per ucciderlo. Soltanto in quel modo sarebbe stato certo che il suo otouto avrebbe saputo difendersi in ogni occasione.
«Qual è il tuo obiettivo?» provò dunque a domandare. Deglutì, piuttosto in ansia anche se non lo dava a vedere.
«Devo uccidere una certa persona, non ti interessa chi.»
E Itachi sorrise, e per la seconda volta fu un sorriso vero. Riuscì a tirare un sospiro di sollievo, sapendo di aver intuito giusto quella notte. Di aver sì condannato Sasuke a una vita fatta di odio , di odio e di odio, ma almeno lo vedeva vivo. Morto dentro, forse, ma vivo. E chi lo sapeva, magari sarebbe rinato quando lui si sarebbe fatto ammazzare, alla fine di tutto.
Aveva scoperto da poco di essere ammalato. Una malattia strana, mortale; la si poteva rallentare, ma mai arrestare. Ed era ciò che Itachi stava facendo. I medicinali che assumeva sistematicamente avrebbero dovuto concedergli più di qualche anno di vita. Sperò, egoisticamente, che Sasuke fosse pronto in tempo. Facendosi uccidere da lui, avrebbe in qualche modo anche riscattato il suo Clan.
«Ce la farai» gli disse, «chiunque egli sia.» Ma fai presto, Sasuke. Quasi come se il solo pensiero della malattia avesse risvegliato il vero malanno, fu colto da un colpo di tosse. Non violento, non come sarebbe potuto essere più in là, ma comunque abbastanza forte da far voltare Sasuke nella sua direzione.
«Sei un ninja medico e pensi a voler curare me, anziché te stesso?»
«Bisogna adoperarsi per chi cammina nella luce, non per chi giace già nelle tenebre, ricordatelo.» Allungò il braccio contro il viso di Sasuke, e per un istante fu tentato davvero di accarezzarglielo. Poi ci ripensò e ritrasse la mano. «Non si risolve niente se si concede speranza a chi non può permettersi più nemmeno di conoscere il significato di tale parola.»
«Morirai?» azzardò Sasuke dopo un po’.
«Nessuno scampa alla morte, e a volte sei fortunato se ti becca prima quella del corpo che quella interiore. Tuttavia, se muori dentro puoi sempre risorgere. Il contrario diventa un problema, perché non puoi più redimerti, non puoi correggerti.»
Si accorse di essersi fatto prendere un po’ la mano da quei discorsi alquanto macabri. Trattenne un altro attacco di tosse e lanciò un’occhiata vera a suo fratello – in realtà non aveva mai smesso di fissarlo in volto, ma c’aveva guardato attraverso. Gli trovò il labbro storto e gli occhi puntati in aria, come se riflettesse ma non afferrasse il concetto.
Itachi se ne compiacque. Faceva ancora un certo effetto sul suo otouto, in fondo.
«Sei complicato» gli confidò, infatti, «forse rimugini troppo.»
Detto proprio da te, otouto… «Forse.» Lo guardò con più accortezza quando si poggiò  velocemente una mano sugli occhi, come se gli pungessero. «Che cos’hai?» gli chiese, cercando comunque di mantenersi calmo.
«Niente.» Se li strofinò ancora.
«Ti hanno dato qualcosa che ti ha inibito la vista. Probabilmente il suo effetto sta per finire.» E invece vorrei rimanere altre ore a parlare con te, otouto.
Ma la vita fa’ più  proibizioni che permessi.
«Finalmente.»
«Al tuo amico sarà stato somministrato un sonnifero. A te hanno dato altro?» Parole che uscivano da sole, ultime preoccupazioni che poteva permettersi.
Avrei voluto che mi vedessi, otouto, ma che mi vedessi per quello che sono davvero. Però sono stato io a volerlo, e non rimpiango nulla. Non posso.
«Non credo.»
«Ti hanno fatto ingerire qualcosa?» domandò insistentemente.
«No.»
«Hai dei graffi da qualche parte? La punta del kunai poteva essere avvelenata.»
«Se fosse stato veleno, sta pur certo che avrebbe avuto già qualche effetto» rispose seccato.
«Già.» Tacque, e Sasuke con lui. Gli ultimi istanti, doveva alzarsi e andarsene. Si pulì la divisa dell’Akatsuki dal terriccio appiccicoso. «Quindi sei sicuro di sentirti bene» constatò.
«Uffa, ho detto di sì, smettila di preoccuparti nii-sa…»
Cogliere di sorpresa Itachi era difficilissimo. Costantemente attento, con tutti i sensi sempre vigili. Sasuke non c’era mai riuscito veramente, non come in quel momento.
Itachi non seppe che pensare, si rifiutò. Vide Sasuke stringere i denti e strappare a forza l’erba del prato su cui sedeva. C’era rabbia, frustrazione. Vi lesse – e chissà se sbagliò – anche un po’ di rimpianto e di domande senza risposta. Che così sarebbero dovute rimanere; Sasuke non avrebbe mai dovuto conoscere la verità su di lui, solo così le cose sarebbero andate nel verso giusto.
Si avvicinò a suo fratello, gli scompigliò i capelli con affetto, anche se quella non era la mossa giusta da fare. Ma lui non credeva più che gli uomini fossero in grado di determinare quello che andava o non andava fatto. Sasuke sbandò al suo tocco, risvegliandosi da chissà quali funesti pensieri.

 
 
 
*
 
 
 

«Sei in debito con me, nii-san!»
Itachi roteò gli occhi, divertito: non l’avrebbe mai detto. «Allora, cosa vuoi che faccia?»
Sasuke gli allungò il mignolo. «Mi prometti che mi vorrai bene per sempre, nii-san?»
Lo strinse. «Sì, otouto, te lo prometto.»

 
 
 
*
 
 
 

Gli baciò la fronte, un tocco leggero e appena percepibile. Me l’hai concesso di nuovo – nii-san. «Grazie, Sasuke.»

 







 









 

 
Salve! *.*
Bella la vita pre-universitaria quando è effettivamente PRE-universitaria. Dopo sarà un inferno, lo so, ma intanto godiamoci quest’altre due settimane di meritate vacanze! =w=
Comunque. Ho qualcosuccia da precisare su questa fanfiction. Premetto che di solito evito il punto di vista di Itachi perché, differentemente da Sasuke (che mi viene detto di saper comprendere, anche se non so quanto sia esatto >/////>), non lo afferro appieno. Ergo, ho messo la nota OOC perché io non riuscirò MAI in vita mia a rendere IC un personaggio complesso come Itachi Uchiha, che tende a sfuggire dal mio controllo. Al massimo, riesco a renderlo vagamente soltanto quando è bambino. Solo lì.
In ogni caso, mi piacerebbe sapere cosa pensate dell’IC dei personaggi (se esiste); confesso che odio la nota OOC, e vorrei evitarla in tutti i modi. =.= Se per favore mi dite cosa c’è da cambiare nel mio modo di vedere Itachi (se c’è, tante volte sono fortunata XD), ve ne sarei grata.
Poi, altre cosucce.
Sapete che ho pensato in stile doujinshi quando l'ho scritta? O.o Non so come spiegarmi... forse ho pensato a ciò che mi piacerebbe vedere in una doujinshi. Non esattamente le stesse battute (magari di meglio U.U), ma una situazione simile. Ah... se sapessi disegnare. TT.TT
Andiamo avanti, che è meglio.
Sasuke non riconosce Itachi dalla voce. Ecco, ho considerato che sono trascorsi ben cinque anni, e dai dodici ai diciassette, credetemi, la voce cambia tantissimo. Sasuke, alla fine, ha riconosciuto suo fratello dal modo di fare, non dalla voce. Inoltre, Sasuke, quando va a sfidare Itachi, dopo che questi ha parlato gli chiede pure chi è. Figuriamoci, allora! XD
Non so se Itachi è parso un po’ troppo protettivo o Sasuke un po’ troppo antipatico e scontroso. Ho pensato che, essendo sempre questi benedetti cinque anni che non si vedono, Itachi abbia comunque sentito il bisogno di capire qualcosa di Sasuke. Abbia voluto, poi, ritornare almeno fintamente al passato, come se volesse rivivere gli anni dei sorrisi, dove tutto andava bene. Ah, da notare che alla fine Itachi ha chiamato Sasuke per nome, sebbene lui non si fosse presentato. Diciamo che ha voluto insinuare il dubbio in Sasuke! XD
Forse ho finito. Per qualsiasi problema sto qua! ^_____^
Buon inizio anno scolastico a chi ha cominciato, eh! ;)
Su, che come è iniziato finirà. Don’t worry, be happy!
E, se vi va, sarei grata di sapere cosa ne pensate! Grazie di cuore! ^.^

   
 
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