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Autore: Aitch    17/09/2012    5 recensioni
“Shhh…” mi sussurrò vicino all’orecchio e cominciò a baciarmi il collo. Con le braccia mi aggrappai alla sua schiena, mentre il suo viso si era spostato, le mie labbra danzavano con le sue, la sua lingua, ormai padrona, abbracciava la mia. Sentivo una leggera e piacevole pressione del suo bacino sul mio. In quel preciso istante non ero più Cora, non ero più un essere umano, ero semplicemente un’anima in balia di quell’angelo riccio. Non mi importava della gente che avevamo attorno a noi, forse avrebbero potuto perfino denunciarci. Sicuramente un luogo con così tanti bambini non era adatto per scambiarsi certe effusioni, ma tra le sue braccia nulla aveva più importanza. Il vocio della gente presente era scomparso, così come la musica di sottofondo. Eravamo solo io, lui e i nostri respiri leggermente affannosi. Restammo legati così per molto tempo, anche se sapevo che mai sarebbe stato abbastanza.
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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“Mamma, devo parlarti” cominciai io,
“Lo so cara...hai preso una decisione, vero?”
“Si, e credo che sia quella giusta. Spero tu sia contenta...”

Finalmente avevo fatto una scelta. E questa volta ero sicura che sarebbe stata quella definitiva, perchè ero stata io ad averla presa, non mia madre, non Aurora e nemmeno Harry. Io.
“Ciao tesoro, mi mancherai, chiamami quando arrivi” mi salutò mia madre con gli occhi lucidi.
“Mamma, sono solo poche ore di viaggio...” le dissi con un po' di malinconia addosso e la abbracciai.
“Non ti azzardare a dimenticarmi sai...” mi disse Aurora che mi aveva accompagnata alla partenza,
“Come potrei dimenticarmi di te, scemotta?” le dissi baciandole le guance e asciugandole con le labbra una lacrima che le aveva appena rigato il volto. Quanto mi sarebbe mancata...ma in fondo, non andavo dall'altra parte del mondo. La nostra amicizia sarebbe sopravvissuta, ne ero certa.
“Verrai a trovarmi?” mi chiese,
“No, verrai tu, tutte le volte che vorrai”
“Veramente?” sorrise,
“Certo, anche perchè altrimenti vengo a prenderti io” Ridemmo insieme. Ci fece bene quella risata.
“Sei sicura di aver preso tutto?” mi chiese mia madre per l'ennesima volta,
“Si, mamma, e poi te l'ho detto, se mi dovesse servire qualcosa, potrai sempre spedirmela!”
“Hai ragione cara...ora vai, se no partono senza di te”
“Si, vi voglio bene e mi mancherete un sacco, ma tornerò presto, come promesso!” sorrisi dimostrando sicurezza e allegria. Non volevo che Aurora piangesse ancora, né che mia mamma cominciasse a farlo, altrimenti non sarei più partita tranquilla. Per fortuna, quel mio sorriso funzionò.
Finalmente salii alla ricerca del mio posto, il 18A vicino al finestrino. Non appena mi sedetti, cominciò a battermi forte il cuore. Lo sentivo sotto la pelle, come un tamburo. Chiusi gli occhi e mille immagini scorsero nella mia mente, come fossero tanti fotogrammi diversi l'uno dall'altro. Dopo qualche secondo mi accorsi che eravamo partiti così presi l'ipod e accesi la musica. Di solito ascolto i brani in riproduzione casuale e mi piace immaginare che la prima canzone a presentarsi alle mie orecchie nasconda un significato ben preciso per quel momento. Quella volta, la prima canzone a spingere tra le altre per farsi ascoltare fu “Moments” dei One Direction. Inizialmente mi maledissi per non aver scelto una playlist ben precisa, ma poi il mio corpo fu percorso da una scossa di adrenalina. Per una volta, quel mio gioco assurdo con la riproduzione casuale aveva indovinato: se solo avesi potuto tornare indietro e riprendermi quella vita perfetta che avevo abbandonato, ora non starei così male. Dopo quella canzone, i One Direction non si fecero più sentire, o almeno pensai così visto che dopo aver osservato il mio biglietto per l'ultima volta mi addormentai:

“Trenitalia, freccia argento,
Partenza: Venezia
Destinazione: Milano”

Alla stazione di Milano scesi un po' spaesata, avevo dormito per 3 ore, talmente tanto ero sconvolta e il viaggio non era ancora finito. Lasciai le mie due valige in un deposito perchè volevo presentarmi alla scuola di fotografia senza troppi pesi. Sarei tornata a prenderle più tardi. Guardai l'orologio: le 10:13 del mattino, ero in perfetto orario. Dalla stazione presi un taxi e diedi l'indirizzo della scuola.

“Buongiorno, posso esserti utile?” mi chiese una ragazza non appena entrai,
“Salve, sono Cora, ho mandato delle foto per partecipare alla selezione e l'ho passata, vorrei parlare con il responsabile se possibile” chiesi timidamente.
“Certo, hai un appuntamento?”
“No, però aspetterò se sarà necessario”
“Allora dovrò chiederti di sederti, tra mezzora probabilmente sarà libero”
“Grazie” risposi, e mi sedetti su un comodo divanetto arancione. Era un bel posto, tutto sommato. Gente di età diverse entrava dirigendosi verso i corridoi oltre la segreteria, molti avevano attrezzature fotografiche che definirei addirittura esagerate ma magnifiche, altri invece erano un po' più discreti. Sicuramente avrei potuto incontrare molti bravi fotografi lì dentro. Decisi nell'attesa di farmi un giro. I corridoi erano lunghi e pieni di aule dal nome diverso “Studio luci”, “Sala photoshoot”, “Studio montaggi”, “Preparatorio”, “Aula stidio 1”, “Aula studio 2” e molte altre...ero affascinata da quel luogo. In più le pareti erano tappezzate di fotografie di diversi artisti, come Robert Capa, Henri Cartier Bresson, Steve McCurry, Olivia Arthur, Gerard Rancinan e così via. Poi notai che una porta di quel corridoio era aperta, cominciai a sbirciare e non potei fare a meno di entrare. Quella stanza aveva dell'incredibile: era piena di cavalletti, riflettori e armadi pieni di macchine fotografiche di ogni marca e obiettivi diversissimi tra loro. Ero affascinata da tutto quel ben di Dio e mi chiesi cosa ci facessero un sacco di attrezzature ammucchiate in quella stanza. Poi improvvisamente una voce alle mie spalle mi spaventò,
“Ehi, che ci fai tu qui?” non feci in tempo a girarmi che un flash mi abbagliò per qualche secondo,
“Perfetta!” disse di nuovo quella voce prendendo in mano la fotografia uscita dalla polaroid che era stata usata per fare la foto,
“Scusami, ora esco subito” dissi confusa dall'atteggiamento di quello strano ragazzo.
“No, no, ma cosa dici, vieni qui piuttosto...” rispose. Mi avvicinai ad osservare la foto che quel tipo mi stava allungando. Non appena mi resi conto che quella foto ritraeva me con la faccia spaventata, cominciai a ridere e ben presto, si unì alla mia risata anche il ragazzo che mi stava difronte.
“Piacere, Nicola. Puoi chiamarmi Nik” si presentò,
“Cora, piacere mio. Fai così con tutte le nuove ragazze che incontri?” gli chiesi,
“Ehm, veramente no. Ma sto lavorando ad un nuovo progetto e quindi con te ho fatto un esperimento” Osservai Nicola. Era alto, moro e dagli occhi neri, aveva un bel viso, un orecchino al lobo sinistro e vestiva come uno skater americano. Aveva un certo fascino, dovevo ammetterlo.
“Beh, spero che sia riuscito” gli dissi,
“Eccome, eccome...” confermò riguardando la foto.
“Ma tu sei nuova? Non ti ho mai vista da queste parti”
“Si, cioè...non proprio. Devo parlare con il responsabile della scuola”
“Il responsabile sono io” disse tranquillo,
“Mi prendi in giro?” chiesi titubante,
“Si” disse lui scoppiando a ridere. Che scemo.
“Senti, mi spieghi cosa ci fa qui tutta questa roba?”
“Questi novellini...qui c'è tutto il materiale che un fotografo possa desiderare. Appartiene tutto alla scuola, ma qui, ogni singola lente ottica è a disposizione degli studenti” mi disse facendo un ampio gesto con le braccia.
“Ma è fantastico!”
“Oh si lo è...è un assortimento unico. L'unica scuola migliore di questa sta a Londra!” disse lui. Senza volerlo mi provocò una dolorosissima fitta allo stomaco e il mio sorriso svanì.
“Ho detto qualcosa che non va?” continuò lui alzandomi il volto con una mano cercando il mio sguardo che si era abbassato.
“No niente, mi hai solo ricordato che ho una certa urgenza di parlare con il responsabile, sono già le 11 passate!” sbuffai,
“Gli appuntamenti terminano verso mezzogiorno e mi pare di aver capito che tu non ne hai uno, ma con la pausa pranzo che comincia proprio a quell'ora, probabilmente non potrà riceverti prima delle 15...”
“Così tardi? E va beh...che posso fare, aspetterò”
“Già...ehi! Ho un'idea, perchè non vieni a pranzo con me oggi? Poi ti riporto qui puntuale per il tuo non-appuntamento e ti lascio in pace, promesso!” E dopo aver pronunciato l'ultima parola si spostò la mano destra sul cuore, come se stesse facendo un giuramento. Mi stava simpatico quel Nik.
“Va bene, vengo volentieri”.
Quelle tre ore passarono velocemente grazie a Nicola. Era un ragazzo molto divertente, era difficile che rimanesse serio per più di dieci secondi e con lui le risate erano assicurate.
Finalmente, alle 15 in punto, la ragazza della segreteria mi diede il permesso di entrare nell'ufficio del responsabile. Feci un bel respiro ed entrai.
“Buongiorno signorina, sono Franco il responsabile di questa scuola, a cosa devo il piacere?”
“Buongiorno signor Franco, ecco, io sono Cora, la mia domanda di iscrizione è stata inviata pochi giorni...”
“Cora! Ma certo, lei è l'autrice di queste tre magnifiche fotografie, non è vero?” mi disse tirando fuori da un cassetto un fascicolo con il mio nome scritto sopra e contenente le mie foto.” Come faceva a ricordarsi di me, l'avevo colpito così tanto?
“Esattamente, sono le mie...”
“Beh, complimenti, lei è la benvenuta qui”
“E' proprio a proposito di questo che devo parlarle”
“Ma certo, se vuole possiamo stabilire insieme i corsi che frequenterà in base alle sue preferenze, ne abbiamo per tutti i gusti!” disse mettendosi a ridere. Quell'uomo mi sembrava una specie di Babbo Natale. Era grassoccio, aveva dei lunghi baffi grigi e un tono di voce molto basso ma caldo e rassicurante.
“Vede signore, io sono qui per ringraziarla di tutto quello che mi sta offrendo e per rifiutare tutto ciò” Lo vidi perplesso,
“Signorina, non capisco, questa è una rinomata scuola di fotografia, per quale motivo con le sue competenze dovrebbe voler rifiutare?”
“Perchè non è questo il mio destino. Anzi, non è qui. Io andrò a studiare fotografia a Londra perchè è il mio più grande sogno da quando ne ho ricordo. Quindi oggi sono venuta semplicemente per avvisarla di questa mia decisione. Ho un aereo domani mattina e sono del tutto intenzionata a prenderlo.” Dopo qualche secondo di silenzio, quell'omone rispose,
“La ammiro, signorina Cora. Lei ha fegato, ha stoffa! Sono sicura che farà strada e se un giorno volesse tornare in Italia, sappia che qui sarà sempre la benvenuta. Ora torni ai suoi preparativi e prenda quell'aereo! Vedo una bella luce brillare nei suoi occhi”
“Grazie di tutto, ancora”
“Grazie a lei” mi strinse la mano in segno di saluto e mi aprì la porta facendomi uscire dall'ufficio. Tornavo a Londra, finalmente ero pronta a tornare a Londra.
“Allora? Com'è andata?” mi chiese Nicola,
“Benissimo Nik, vado a Londra!” gli dissi sorridente,
“Cosa?” disse spalancando gli occhi,
“Si, Nik. Hai presente questa mattina? Questa mattina, mentre mi parlavi della scuola di fotografia a Londra? Beh, quella scuola mi ha presa, e domani mattina il mio aereo mi porterà dritta da lei!” il ragazzo mi guardava incredulo.
“Cora, sei mitica! Sono molto contento per te, è una figata!”
“Lo so, lo so!”
“Ma, dove dormi questa sera?”
“Prenoterò una stanza in un alberghetto...”
“Non se ne parla nemmeno, vieni da me, ho un letto libero”
“Dici sul serio?”
“Certo! E poi sono sempre da solo, un po' di compagnia mi farà bene!” conoscevo da poco quel ragazzo e già lo adoravo.

Nik mi accompagnò a prendere le valige alla stazione e mi portò a casa sua. Quella sera portammo a casa delle pizze e le mangiammo davanti alla tv, ma in realtà, a nessuno dei due importava cosa stesse dicendo quella scatola parlante perchè avevamo cominciato a raccontarci di noi, delle nostre passioni, di fotografia, e di tutto quello che ci passava per la testa. Raccontai tutto a Nik, ma non gli dissi di Harry, non so bene perchè, in quel momento non mi sembrava opportuno.
“Però Cora, dobbiamo festeggiare come si deve la tua partenza...mai mangiato il gelato con la vodka?” Guardai Nicola stupita,
“No...” gli risposi,
“E scommetto che vorresti provare, vero?”
“E me lo chiedi?” Oh si. Forse era un mio difetto, ma se si trattava di vodka, non mi tiravo quasi mai indietro, e poi, vodka e gelato? Quella mi era nuova.
Nicola prese una vaschetta di gelato confezionato, due cucchiaini, una bottiglia di vodka liscia e due bicchieri da shot. La cosa sembrava interessante.
“E' facile, mangi un po' di gelato e ogni tanto butti giù un po' di acqua magica, tutto chiaro?”
“Acqua magica? E' così che la chiami o ne hai già bevuta?” E così cominciammo a gustare il gelato e a deglutire la vodka. In ben poco tempo ridevamo ancora di più di quanto non avessimo mai fatto fino a prima. Era una bella sensazione, tutto sommato, non eravamo completamente ubriachi fino a stare male, eravamo semplicemente allegri.
“Hai già bevuto il tuo settimo shot?” mi chiese Nik,
“Settimo? Sarà a malapena il terzo!” risi,
“Ma quale terzo, ti sei scolata mezzo litro di vodka!” rise,
“Però questo gelato è buono, non trovi?” risi,
“Si, io preferisco il cioccolato” rise,
“E io la panna!” risi,
“Siamo perfetti allora” ridemmo.
Quando il gelato finì, io e Nik eravamo seduti sul tappeto con la schiena appoggiata al divano e stavamo giocano alla morra cinese per decidere chi avrebbe bevuto il prossimo shot.
“La forbice taglia il sasso, ho vinto!” urlò Nik,
“Ma se prima era il sasso a vincere contro la forbice?” gli chiesi preparando lo shot,
“E chi ti dice che il mio non sia uno schiacciasassi?”
“Hai ragione, e allora beviamo tutti e due ok?”
“Ok, andata”. E così, in poco tempo mi ritrovai abbracciata ad un peluche a forma di orso che Nik teneva su di uno scaffale e lui senza maglietta a causa del caldo che tutta quella vodka gli aveva provocato. La bottiglia era quasi vuota ma entrambi avevamo rinunciato ad andare oltre, anche perchè poco dopo cominciammo ad inseguirci per casa fino a finire stesi sul divano. Ovviamente ridendo.
“Non ho mai riso così tanto in vita mia” dissi a Nik,
“Nemmeno io. Ma devi per forza partire? Non puoi restare qui? Mi stai tanto simpatica” mi rispose lui,
“Anche tu mi stai simpatico, ma il mio cuore è a Londra. Però potrai venire a trovarmi”
“Allora, ci sto” disse soddisfatto. Silenzio. Restammo zitti per qualche minuto probabilmente, anche se non potrei dirlo con certezza visto che nessuno dei due aveva bene la cognizione del tempo.
Dopo un po' feci per mettermi a sedere sul divano e cercando di alzarmi misi un dito nell'occhio a Nicola che cominciò a piagnucolare come un bambino coprendosi l'occhio con entrambe le mani,
“Sono cieco! Sono cieco!” urlava,
“Ma no dai, fammi vedere, apri l'occhio” lo esortavo io cercando di togliergli le mani dalla faccia, fino a quando riuscii a guardarlo negli occhi.
“Ecco, visto? Ci vedi!” gli dissi senza abbassare lo sguardo e sorridendo. Lui sbatté le palpebre qualche volta, come per verificare quanto avevo detto e ricambiò il mio sguardo. Aveva un buon profumo. In poco tempo, entrambi sentimmo che avevamo oltrepassato una linea oltre la quale era pericoloso stare così vicini, soprattutto in quelle condizioni. Senza realizzare a pieno il perchè, in quel momento il ragazzo mi diede un bacio. Un semplice bacio a stampo. Aveva le labbra morbide e delicate. Ci guardammo per qualche secondo e a me parve di stare in paradiso. Gli misi le mani tra i capelli, Dio quanto mi erano mancati quei ricci, quelle sue magnifiche fossette agli angoli della bocca quasi come fossero lì ad incorniciare quel suo magnifico sorriso, quelle sue braccia protettive, quel suo fisico atletico e soprattutto, quanto mi erano mancati quei suoi occhi scuri, talmente scuri che...
“Oh cazzo no!” urlai spingendo giù dal divano Nik. Nik. Quello era Nicola, non era Harry.
“Non volevo, non volevo, era solo il bacio della buona notte, non volevo!” mi misi a ridere,
“Dai, dividiamo il divano, non vorrai dormire per terra vero?” ma non ricevetti alcuna risposta,
“Nik?” niente,
“Nik?” mi voltai guardando per terra e trattenni una risata. Come aveva fatto ad addormentarsi in così poco tempo? Tornai a guardare il soffitto rimanendo stesa sul divano. Mi strofinai gli occhi ripensando all'assurda visione di poco fa, lanciai uno sguardo alla bottiglia di vodka,
“Acqua magica, eh? Buona notte Nik” e mi addormentai.

Uno strano contatto insistente sulla mia guancia mi richiamò piano piano dal mondo dei sogni. Mi stiracchiai e realizzai che qualcosa di peloso si stava strofinando su di me emettendo uno strano suono.
“Oddio mio!” urlai dallo spavento, realizzando troppo tardi che si trattava di un semplice micetto adorabile che stava solo cercando un po' di coccole facendo un po' di fusa.
“Che è? Non è colpa mia!” balzò in piedi Nik, inciampando e cadendo sul tappeto.
“Non mi avevi detto che avevi un compagno di stanza...” sorrisi io accarezzando il gattino grigio che sembrava gradire le mie attenzioni,
“Quello è Pad, il mio fratellino...” farfugliò Nicola portandosi una mano sulla fronte ancora frastornato da quel dolce risveglio.
“Ma quanto sei bello, Pad? Oh, tanto tanto tanto!” dissi io giocando con le zampette del cucciolo che si era steso a pancia in su emettendo qualche dolce miagolio.
“Scusami, volevo farti dormire comoda e invece avrai un sacco di mal di schiena” disse Nik scattando una polaroid con me e Pad,
“Sei tu quello che ha dormito per terra. Io ho dormito come un sasso, sarà stata tutta quella vodka!” gli risposi senza smettere di giocare con Pad
“Per fortuna è venuto a svegliarci, a che ora devi partire?”
“Che ore sono?” chiesi,
“Le 10.27” Alzai lo sguardo terrorizzata interrompendo i miei giochi con Pad, il quale rimase un po' deluso.
“Ho l'aereo alle 11.30...non posso perderlo!”
“...Corri!” mi urlò Nicola scattando in piedi e correndo in bagno.
“Perchè vai n bagno? Devi prendere la macchina e accompagnarmi in aeroporto, non truccarti!” gli corsi dietro prima che mi chiudesse la porta in faccia,
“Posso farla la pipì, o no?” mi disse lui ridendo,
“Veloce!” lo incalzai io mentre mi mettevo le scarpe e raccoglievo le mie cose. Almeno avevamo dormito vestiti, avremmo guadagnato tempo. Quando Nicola uscì dal bagno gli lanciai la maglietta rimasta sul divano dalla sera prima e in due minuti lui rovesciò un po' di croccantini nella ciotola di Pad e prese qualche merendina confezionata dalla credenza che mi infilò in borsa. Alle 10.40 eravamo in macchina, e alle 11 e un quarto all'aeroporto. Con il fiatone per la corsa, tirammo un sospiro di sollievo,
“Non ho idea di come abbiamo fatto a farcela!” disse il ragazzo,
“Nemmeno io! Grazie di tutto Nik, e grazie per le merendine, durante il volo non morirò di fame”
“Figurati. E' stato divertente Cora, mi mancherai”
“Anche tu, però vienimi a trovare, mi raccomando!” e lo abbracciai per salutarlo,
“Senti, per ieri sera, è tutto a posto vero?” gli chiesi infine,
“Perchè, che è successo ieri sera?” non si ricordava di avermi baciata? Allora era più ubriaco di me. Meglio così.
“No niente, dico...ti ho lasciato un po' di casino tra il cartone della pizza, il gelato e la vodka, mi spiace farti ripulire tutto da solo” tergiversai io,
“Non dirlo neanche...ora vai, altrimenti l'aereo parte senza di te” ci abbracciammo e salutammo per la seconda volta e mi decisi ad andare.
In aereo, un gorgoglio nel mio stomaco mi ricordò che non avevo fatto colazione, così cercai con la mano nella borsa una merendina di Nik e oltre a quella, trovai la polaroid che il ragazzo mi aveva scattato con Pad. Era una bella foto. Mi avrebbe fatto piacere risentirlo, ma non avevo nemmeno il suo numero. Sorrisi ripensando alla giornata trascorsa con Nicola, addentai la merendina e poco dopo mi esplose un gran mal di testa, forse per colpa di tutta quella vodka che avevo bevuto la sera precedente, o forse perchè pensai a quanto ero stata stronza a baciare Nicola. A Londra avrei detto a Harry quanto mi fosse mancato e non l'avrei più abbandonato. Sempre se lui avesse voluto ascoltarmi.
Ancora non avevo avvisato i ragazzi del mio ritorno. Contavo sull'effetto sorpresa.

A pochi passi dalla casa nella quale avevo trascorso alcuni dei momenti più belli della mia vita, osservavo le ragazzine che ancora aspettavano che qualcuno di quei cinque angeli uscisse, firmasse qualche autografo, facesse qualche foto e regalasse qualche abbraccio. Quanto avrei voluto un abbraccio da tutti loro.
Io ero la, ferma, immobile, con due valige appresso e la mia borsa. Mi sentivo paralizzata dalla paura: se Harry mi aveva già dimenticata? Se aveva deciso di voltare pagina? Se aveva cancellato il mio numero? Se, se, se. Troppi interrogativi mi bloccavano in quel momento, così, decisi di aspettare. Mi sedetti sul marciapiede dietro l'angolo della strada e aspettai: almeno lì ero lontana da sguardi indiscreti. Ero arrivata davanti a quella casa alle 16 passate e ormai erano quasi le 17:20. Non mi andava di suonare al campanello con tutte quelle fan lì, sarebbe stato imbarazzante e inopportuno.
Una mano si appoggiò sulla mia spalla e mi risvegliò da quel monologo interiore che stavo intrattenendo con me stessa ormai da mezzora.
“Cora? Cora, sei proprio tu?” mi chiese una voce angelica. Alzai lo sguardo che in poco tempo si appannò. Sentivo le lacrime rigarmi il viso, tutto per colpa di un dannato pakistano dagli occhi più profondi che avessi mai visto. Gli saltai tra le braccia, sprofondando nella sua felpa, mentre cominciavo ad inebriarmi del suo profumo confuso dall'aroma del tabacco.
“Zayn, mi sei mancato così tanto. Tu e tutti gli altri. Non ce la facevo a suonare al campanello. Avevo paura.” tremavo come una foglia tra le braccia del moro, mentre lui sorrideva e mi accarezzava i capelli cercando di calmarmi.
“Cora, grazie al cielo sei tornata. Finalmente potrò umiliarti e batterti a bowling” la sua voce calda mi era mancata veramente tanto, e alle sue parole sorrisi continuando a stringere tra le braccia quel ragazzo.
“Vieni con me” mi disse prendendo una delle mie due valige e tenendomi per mano.
“Che ci facevi qua fuori?” gli chiesi mentre mi guidava chissà dove,
“Ero uscito a fumarmi una sigaretta”
“E le fan?”
“Le adoro, ma loro non sanno di quest'ingresso secondario” mi disse il moro aprendo il cancello di un'alta siepe,
“Ogni tanto ci vuole un po' di pace, no?” e mi fece entrare. Quel cancello conduceva al giardino sul retro della casa, era ben nascosto e permetteva ai ragazzi di entrare e uscire senza essere visti. Caspita.
Zayn mi aiutò a portare le valige nella camera nella quale mi avevano ospitato anche l'ultima volta, dopo di che, mi preparò un tè in cucina.
“Bevilo, il tè è un toccasana, ti tirerà su, vedrai” disse sorridendo.
“Malik, lo sai che ti adoro, vero? In più questo tè è buonissimo...”
“E ti meravigli? L'ho fatto io!” Come mi era mancato il suo essere così spavaldo.
“Dove sono gli altri?” chiesi dopo un po',
“Liam, Niall e Louis a fare la spesa, Harry...” abbassò lo sguardo mentre io lo alzai preoccupata,
“Harry?” insistetti,
“Harry non lo sappiamo, esce la mattina e torna la sera. Cora, non l'abbiamo mai visto così...tu cosa pensi di fare?”
“Dirgli quanto lo amo e quanto mi è dispiaciuto farlo stare male”
“Bene” sorrise fiducioso.

Dopo mezzora, sentimmo la porta nascosta aprirsi e richiudersi.
“Dovevi ricordarti tu delle uova, io stavo pensando alle patate!” sentii Niall protestare,
“Vorrà dire che per questa volta faremo a meno” rispose Liam,
“Io volevo le uova!”piagnucolò Louis.
“Se volete esco io a prenderle” dissi non appena varcarono la soglia della cucina. La scena fu da manuale: Niall dalla sorpresa mollò il sacchetto della spesa che aveva in mano che finì sul piede di Liam mentre Louis aveva cominciato a ridere a crepapelle. In poco tempo, ebbi la fortuna di riabbracciare ancora una volta quei tre amori. Liam, calmo e posato come sempre; Niall in preda all'agitazione; e Louis, il solito pazzoide!
“Potevi dirci che ritornavi, così ti venivamo a prendere all'aeroporto” mi disse Liam,
“Non volevo disturbarvi ragazzi”
“Ma tu sei testarda come poche, eh? Lo sai che tu non disturbi mai!” mi rimproverò Louis
“L'importante è che sia tornata ragazzi. Io non ne ho mai dubitato, mai!” aggiunse Niall con un sorriso che mi regalò una felicità immensa,
“Si però resterò qui solo momentaneamente, non voglio che siate costretti ad ospitarmi per chissà quanto tempo, domani andrò a cercarmi un appartamento da qualche parte...” obiettai,
“Ma sei matta? Non vorrai restare senza soldi vero? Hai idea di quanto costi abitare a Londra? In più tu non lavori, e devi pensare all'università. Credo di poter parlare a nome di tutti dicendo che tu resti qua, sempre che ti faccia piacere” disse Zayn guardando gli altri e raccogliendo tre approvazioni indiscusse,
“Ma è la vostra vita, non posso sconvolgerla così tanto!”
“Beh, allora ti diamo ufficialmente il permesso di sconvolgerla” rise Louis,
“Io non so cosa dire ragazzi...”
“Non dire niente, lo facciamo perchè ti vogliamo bene” disse Liam mettendomi una mano sulla spalla.
“Allora lasciate che cucini io questa sera, cosa volete che vi prepari?” dissi prendendo il sacchetto che Niall aveva fatto cadere e cominciando a sistemare gli alimenti in frigo e nelle credenze. Sembrava che tutto fosse tornato come prima della mia partenza. Già, sembrava. Ma in realtà ancora non sapevo cosa mi avrebbe riservato l'incontro con Harry. Nel frattempo però, decisi di dedicarmi agli altri quattro splendidi ragazzi che avevano cominciato a dibattere animatamente riguardo l'argomento “cibo”, facendomi tornare un autentico sorriso sulle labbra.

Erano già le nove passate e Harry ancora non si era fatto vedere, eravamo tutti seduti sul divano a guardare la televisione fino a quando non potei sopportare oltre,
“Ragazzi, io lo chiamo, è da questo pomeriggio che sono in ansia, perchè ancora non torna?”
“No Cora, non ti risponderebbe” ribattè Liam,
“E magari vedendo la tua chiamata resterebbe fuori ancora di più” aggiunse Niall,
“Forse posso provare a chiamarlo io” si offrì Louis.
“Si, ti prego Lou, provaci almeno” lo supplica.
Il telefono di Harry squillava in viva voce. Eravamo tutti attorno al telefono di Louis e con ansia aspettavamo che quel testardo rispondesse.
“Pronto?” sentimmo alla fine,
“Hazza, hai mangiato qualcosa questa sera? Se vuoi qui abbiamo gli avanzi di un'ottima cenetta!”
“Si, ho mangiato qualcosa in un bar...” mi faceva male sentirlo così giù,
“Dove sei? Non hai voglia di tornare a casa?”
“Sto prendendo un po' d'aria...” odiavo me stessa per il male che gli avevo fatto,
“Non ne hai presa abbastanza? Sono ore che sei fuori...”
“Ho solo bisogno di chiarirmi le idee, lo sai...” un dolore immenso pervase il mio stomaco, come se un coltello mi avesse appena lacerato la carne. Dal dolore improvviso mi sentii mancare il terreno sotto i piedi, tanto che Liam fu costretto a prendermi al volo, salvandomi da una sicura caduta sulle ginocchia. Louis mi guardò preoccupato, ma il mio sguardo lo pregò di continuare a parlargli.
“Hazza, sono giorni che ti comporti così, siamo tutti preoccupati per te...”
“Lou sto bene! Quante volte te lo devo dire? Sto bene!” No. Non ce la facevo, non potevo sopportare oltre, così esplosi,
“No, tu non stai bene! Se stessi bene saresti qui a ridere e...” ma fui bloccata da Liam che mi zittì coprendomi la bocca con la sua mano.
“Louis, chi era?! Chi ha parlato?!” chiese Harry tempestivamente alzando il tono di voce,
“Harry, torna a ca...” ma Louis non finì la frase perchè il riccio aveva già riagganciato.




Bibidi bobidi bu, eccomi :)
Questo capitolo è...mmh, non saprei come definirlo, ma di certo è stato un travaglio perchè quando l'ho finito l'ho modificato due o tre volte! All'inizio ho tentato di tenervi sulle spine facendo andare Cora a Milano senza precisare nient'altro ma alla fine, era ovvio che non potevo lasciarla lontana dai suoi cinque angeli!
Beh, dopo tutti questi sforzi, che ne pensate? Fatemelo sapere con una recensione :) grazie a tutte.
Fe.

  
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