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Autore: Guitarist_Inside    17/09/2012    1 recensioni
Eccomi.
Here I am.
Finalmente, potrei aggiungere.
Finalmente posso lasciarmi alle spalle un uragano di fottutissime bugie a cui non appartengo.
Finalmente posso prendere in mano la mia vita.
[...] E quindi, eccomi qui, che non ne posso più, e che cerco di lasciarmi alle spalle tutto ciò, questa terra di false credenze che non crede in me e in cui nemmeno io credo. Anzi, me ne frego altamente, o almeno così tento di fare.
Eccomi qui, dunque, che cerco di scappare da tutto questo, diventato fin troppo opprimente, per provare a trovare quello in cui IO credo.
...Direte che ho fatto una scelta fin troppo drastica, che ho esagerato, che sono pazza, o altre cazzate del genere. Ma voi non siete me. Voi non abitate nei contorti meandri della mia mente. Voi non avete vissuto quello che ho vissuto io. Voi non potete capire assolutamente niente di tutto ciò, quindi non fate i finti saccenti che si prodigano a dire le solite, ennesime, boiate. [...]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ehm… Saaaalve! *sbircia timidamente affacciandosi all’uscio, per controllare se sono in vista piatti od oggetti volanti*
Vi ricordate ancora di me, vero?
Lo so, sono in ritardo, in abnorme ritardo, ancora una volta. E questa volta è un ritardo peggiore di tutte le altre.
È da otto mesi che non aggiorno, diamine! Sono la prima che si scaverebbe la fossa da sola (vi risparmio anche la fatica, contente/i? xD)
Inutile dirvi che i buoni propositi per aggiornare c’erano, ma come al solito qualcosa non ha voluto che ciò accadesse: gli impegni scolastici, vari motivi personali, il tempo scarso, l’ispirazione che non si faceva vedere neanche a pagarla quando mi serviva ed avrei avuto un po’ di tempo prezioso da dedicarle, il mio caaaaro PC, eccetera eccetera… Spero potrete capirmi/perdonarmi! Pleeeease :3 !
Anyway… Il capitolo è finalmente(?) terminato (da qualche giorno, a dire il vero… solo che dovevo trovare il coraggio per ripresentarmi a postarlo qui! xD).
Non è un capitolo particolarmente movimentato, ma nonostante tutto ci ho messo un bel po’ a scriverlo, sia perché molte volte scrivevo qualche riga per poi cancellarla dato che non mi convinceva affatto, sia per appunto i momenti in cui l’ispirazione si prendeva una vacanza non autorizzata a fan…ehm, okay, avete capito che intendo dire xD
Come sempre, un sentito ringraziamento a coloro che hanno la pazienza di seguire questa storia (nonostante i miei tempi di aggiornamento ç_ç) con costanza, ed un grazie particolare alle care ShopaHolic e Sadako Kurokawa, per le recensioni, per il supporto, nonché per riuscire a strapparmi sempre almeno un sorriso :D
Okay, non mi dilungo oltre, vi lascio al tanto atteso (?) capitolo, sperando possa piacervi almeno un po’…
Fatemi sapere che ne pensate!
See ya :D






Soundtrack: East Bay Night (Rancid)

“When the sun goes down
and the night come around
and the fog come a rollin’ in,
When you cast a line
to go dance one time,
and an old friend invites you in,
hear a punk rock song
and we sing along…
Everything’s gonna be alright…
Another East Bay Night…”
[ East Bay Night – Rancid ]

“It’s not where it goes,
It’s where it can lead you to”
[ Robot Boy (Text Mix, Optional Vocal Take) – Linkin Park ]


CAPITOLO 5
East Bay Night


Non avrei saputo dire con precisione da quanto tempo stavamo camminando. Il sole ormai era calato da un pezzo; la luce dei lampioni e quella che fuoriusciva dalle finestre degli edifici illuminavano il nostro cammino, aiutate dalla luna che risplendeva nel cielo buio, leggermente offuscata da qualche nuvola di passaggio.
Un debole venticello aveva cominciato a soffiare, fischiando tra i ciuffi ribelli dei miei capelli, divertendosi a scompigliarli così come faceva con quelli di Alex.
Il ragazzo tentava invano di liberarsi il volto dai capelli che insistentemente gli si attaccavano sopra, cosa alla quale io avevo ormai rinunciato, sia perché le ciocche che mi si appiccicavano contro la fronte, il naso e gli occhi erano assai meno numerose di quelle che tormentavano il mio amico (trattandosi solo di un ciuffo, per me, e non di un’intera capigliatura, come nel suo caso), sia perché ogni due secondi, altrimenti, avrei dovuto ripetere l’operazione, neanche fossi un tergicristalli.
– Dovresti provare a camminare all’indietro… – scherzai ad un tratto.
– Sai che forse non è una cattiva idea? – fece lui, mettendomisi di fronte e cominciando a procedere a ritroso – Anche se così è un po’ difficile capire la strada… Che dici, fai un po’ tu da guida? – rise.
– Uhm… Ok. No problem. – Affermai, ostentando un’aria che voleva essere seria ed una sicurezza che in realtà non sapevo bene da dove prendere.
– Perfetto. Io seguo te allora. – concluse, con bonaria aria di scherno – Where do we go now?
– Dove andiamo ora? Uhm, vediamo… tra 200 metri gira a sinistra, cioè a destra per te… – tentai.
Lui non disse nulla, quindi non potevo sapere se avessi azzeccato la strada o se invece stessi sbagliando in pieno. Che stronzo!
Si limitò invece a seguire le mie indicazioni, con aria divertita.
– Almeno però potresti dirmi se ho preso la strada giusta per dove stavamo andando, no? –
– Non c’è bisogno. – fece lui, continuando a guardarmi tranquillo – Da qualche parte arriviamo di sicuro. Mi fido di te. E poi non è importante dove va la strada, ma dove ci porta…
Rimasi in silenzio per qualche secondo, colpita da quella frase.
Aveva un che di filosofico, davvero, che si intrufolò nei meandri della mia mente e mi costrinse a ragionarci sopra.
Oltre a quel “mi fido di te”, che benché non l’avessi dato a vedere mi aveva colpita dritta dritta al cuore facendomelo sciogliere, la seconda parte della frase mi aveva spiazzato.
Mi aveva spiazzato per la sua schiettezza, per la sua profondità, per la sua inusuale verità.
Solitamente, la gente è abituata a porsi una meta, un obiettivo, e l’unica cosa che considera allora è appunto come raggiungere quel fottuto obiettivo. Non pensa a come arrivarci, pensa semplicemente ad arrivarci punto.
Invece, riflettendoci, è qui che si sbaglia, in una superficiale ignoranza.
Perché il fine non giustifica sempre i mezzi. Anzi, spesso questa si può rivelare una delle fottute teorie più sbagliate al mondo, che causa solo miliardi di danni e che magari tira in ballo la vita di persone innocenti solo per il capriccio di qualche fottuto potente.
E anche perché è importante andare a fondo nelle cose, non fermandosi alle apparenze. Lo sapevo bene, questo.
Pensando alla mia vita, alle mie esperienze, alle mie riflessioni, non potevo far altro che concordare: la cosa più importante non è dove va la strada, ma dove ti può condurre.
Perché, se la strada può essere la stessa per molte persone, è indubbio che ognuno vivrà il percorso a modo suo, e la stessa meta avrà quindi un significato diverso e personale, a seconda del tragitto che ti ha portato a raggiungerla, a seconda di ciò che tu hai fatto per raggiungerla, di ciò che hai passato, di ciò che hai provato sulla tua pelle, di ciò che hai detto o pensato, delle gioie e delle sofferenze che hai dovuto sopportare, insomma, di tutto quel percorso interiore che hai affrontato dalla partenza all’arrivo. Solo allora, puoi valutare veramente cos’è la tua meta. E la tua meta non è banalmente dove arriva la strada, ma dove il tuo percorso ti ha portato o ti può ancora portare.
Tuttavia, queste riflessioni rimasero, non so perché, momentaneamente custodite nella mia mente e nella mia anima.
– Ora ti diverti a fare l’enigmatico? – mi limitai invece a soffiare, trattenendo una risata.
Per tutta risposta, si strinse nelle spalle, sorridendo.
Dal suo sguardo, che non aveva smesso un attimo di fissare il mio, tuttavia intuii che lui aveva compreso il mio ragionamento, ed era per quello, che ora stava sorridendo.
Già, il suo sguardo era l’unico che riusciva ad intrufolarsi nei miei pensieri, aggirando la barriera che da anni avevo innalzato attorno a me, comprendendoli. Era una delle poche persone al mondo che riuscisse davvero a capirmi, a dir la verità. Così come una delle pochissime, se non l’unica, di cui mi fidassi veramente, a cui avessi dato libero accesso alla mia anima, e con cui avrei condiviso volentieri il mio percorso.
– Bella frase, comunque. – commentai poi, semplicemente, ancora un po’ assorta nelle mie riflessioni –Quella che hai detto prima, intendo. Enigmatica, ma bella. Significativa. E davvero profonda, devo dire. – sorrisi.
Non era necessario dire altro, sapevo che i nostri sguardi avevano già scambiato un discorso sufficientemente eloquente.
Thank you! – rise, leggermente imbarazzato.
Era bellissimo quando rideva. Ma soprattutto, era bellissimo ridere assieme, vagando per una strada sconosciuta, respirando quel vento fresco di libertà.
Aveva pienamente ragione, non era così importante il dove andare, ma il come andarci, il dove poteva condurci, soprattutto in senso metaforico.

– Uhm… vediamo dove ci hai portati. – disse ad un tratto, voltandosi.
Ci fermammo qualche secondo. Alex si guardò intorno, pensieroso.
– Sai una cosa? – proruppe ad un tratto.
Mi voltai verso di lui, ma non feci in tempo a chiedergli “cosa?” che lui riprese a parlare.
– È buffo, credo di non essere mai stato in questa via… –
– Cosa?! – riuscii a pronunciare questa volta, con la voce un po’ troppo acuta che mal celava una certa preoccupazione e sorpresa.
– Voglio dire, vivo qui da sempre, ma questa strada non la conoscevo... O almeno, non la ricordavo. – sorrise – Non preoccuparti comunque, ho capito dove siamo. E dalla leggera nebbia che vedo qui e che diventa più fitta da quella parte, dico che di là si arriva sulla baia. – continuò, indicando un punto leggermente alla nostra destra.
– Dunque, – riprese poi, indicando un’altra direzione – andando per di là dovremmo raggiungere il Gilman in un quarto d’ora o poco più, ti va vero? –
Accettai entusiasta la sua proposta, e riprendemmo a camminare in quella direzione, parlando e scherzando di tutto.
Era strano come, seppur fossi appena arrivata, mi sentissi meno straniera qui che nel mio vecchio Paese, dove avevo trascorso i primi tristi 18 anni di vita.
Era come se una parte di me già avesse appartenuto a quel luogo da prima ed ora si ritrovasse finalmente a casa, felice.
Mi tornavano alla mente i racconti e le foto che mi aveva inviato Alex, così come le informazioni e le immagini che avevo ricercato sul web, o ancora le notizie riguardanti quei luoghi e la loro relazione con varie band che ascoltavo… E mi pareva al tempo stesso surreale e familiare che anch’io fossi lì. Era una sensazione stranissima, davvero, non saprei bene neanch’io come descriverla.
Percorsi quelle strade al fianco di Alex, riflettendo su tutto ciò, pensando alla mia nuova vita che stava cominciando proprio quel giorno.
Camminavamo, fianco a fianco, parlando e scherzando di noi come due buoni amici, come due che si conoscono da una vita, come se fossimo abituati a passeggiare assieme e non fossimo vissuti fino al giorno prima da due parti opposte del pianeta, come se fosse naturale che tutto ciò fosse così, semplicemente. E tutto ciò non faceva altro che aumentare quel senso di familiarità che mi avvolgeva, abbracciandomi ma non imprigionandomi, lasciandomi anzi più libera di quanto mi fossi mai sentita prima.
Era semplicemente fantastico.
Senza quasi renderci conto dello scorrere del tempo continuammo a mettere un piede dietro l’altro con lo sguardo e la voce che esternavano la nostra felicità. Così, dopo quello che l’orologio decretò essere circa un quarto d’ora, come previsto da Alex, arrivammo in prossimità del Gilman.
La prima cosa che ci annunciò la sua presenza, ancora velata dalla leggera nebbia che pervadeva le strade, fu una canzone punk-rock che raggiunse le nostre orecchie facendoci sorridere, prima ancora che i nostri occhi potessero vedere il piccolo edificio in mattoni al 924 di Gilman Street, dove si trovava il locale.
Dopo le prime note, entrambi riconoscemmo la canzone e iniziammo a cantarla, ridendo ed allungando il passo.
Mi sentivo veramente leggera e felice. Era come se, in quel momento, qualcosa mi dicesse che tutto d’ora in poi sarebbe andato bene, o comunque meglio di prima. Era come se la mia nuova vita mi stesse dando ancora il benvenuto, accogliendomi a braccia aperte.
Non potei fare a meno di sorridere.
A pochi metri dall’entrata del locale, abbracciai Alex, all’improvviso, senza sapere neppure io esattamente il motivo.
Lo strinsi con forza e calore, immersa nelle mie riflessioni, ringraziandolo per l’ennesima volta di tutto.
Il mio amico ridacchiò, soffiando sulla mia nuca e scompigliandomi i corti capelli con una mano, mentre con l’altra ricambiava la stretta.
Poi, così com’era cominciato dal nulla, ci sciogliemmo dall’abbraccio, sorridendoci a vicenda.
– Entriamo? – mi chiese, prendendomi per mano e cominciando a trascinarmi in quella direzione prima ancora di sentire la mia ovvia risposta.
– Certo! – risposi, alzando la voce per farmi sentire in mezzo alla musica sempre più forte che ci avvolgeva, correndo per avanzare quel poco che bastava per essere io a trascinare lui.
Rise, superandomi di nuovo, per essere poi nuovamente superato, finché non varcammo l’entrata insieme, ancora ridendo.
Ci fermammo un momento, guardandoci negli occhi e sorridendo ancora una volta.
Subito dopo, mi fece strada verso il bancone bar.
– Cosa prendi? – mi chiese, mentre ci avvicinavamo – Ah, ti ricordo che non puoi rispondermi birra, dato che oltre a “no drugs, no racism, no homophobia, no violence” eccetera, c’è anche “no alcohol” tra le regole del Gilman! Oltre al fatto che, in ogni caso, tu non hai ancora 21 anni e non avresti potuto comunque ordinare nulla di alcolico! – rise.
– Amen! – risposi, ridendo anch’io – Questa volta prenderò una bibita... No problem! –
Poco dopo, Alex mi passò una coca cola, per poi ritirarne un’altra e pagare, impedendomi in ogni modo di pagare la mia parte. Sbuffai, divertita. Era davvero cocciuto, il ragazzo!
– Okay, hai vinto! – mi arresi, ridendo – Ma la prossima volta offro io, e non voglio storie, ok? –
Si limitò a ridere, alzando le spalle, per poi prendermi per mano e trascinarmi verso il palco, dove da lì a poco si sarebbe esibita una band emergente.
They kick asses! – urlò allegro nella mia direzione, mentre ci avvicinavamo.
Nell’attesa mi raccontò anche che li aveva conosciuti qualche tempo prima dopo un loro concerto, che li aveva incontrati ancora un’altra sera sempre lì al Gilman e avevano parlato un po’ di tutto, che erano simpaticissimi, che era la terza volta che si esibivano in questo locale e che erano davvero bravi.
Una manciata di minuti dopo salirono sul palco quattro ragazzi, tra i 18 e i 21 anni circa. Il più giovane pareva il batterista, un ragazzo dai capelli scuri e corti sparati in aria, una faccia divertente e divertita, che si sedette alla batteria e non smise quasi mai di fare espressioni buffe. Il cantante e secondo chitarrista era anche lui abbastanza giovane, aveva meno di un anno più del batterista, anche lui capelli corti e sparati ma tinti quasi completamente di biondo; sul viso aveva un’espressione indefinita, mentre scrutava il pubblico con occhi vivaci ma allo stesso tempo profondi e misteriosi. L’altro chitarrista aveva circa 20 anni, capelli castani e ricci di media lunghezza che gli nascondevano in parte il viso, che riuscii a vedere completamente solo per un attimo, quando, mentre saltava sul palco, i capelli del ragazzo si sollevarono. Infine, il più grande del gruppo era il bassista, un ragazzo ventunenne dalla cresta rossa.
Si presentarono velocemente, per poi iniziare subito a suonare. Il batterista dettò un ritmo serrato, a cui si aggiunsero subito le due chitarre dal suono distorto, il basso dalla linea potente e poco dopo anche la voce graffiante del cantante.
Alex aveva ragione, erano bravi e avevano grinta da vendere! Testi non scontati, musica altrettanto potente e incisiva, voce graffiante e adatta a ciò di cui stavano parlando, ed un’enorme energia.
Mentre la band suonava e saltava da un lato all’altro del palco, ben presto anche il pubblico si caricò di energia ed iniziò a saltare, a pogare, a ballare, a cantare, ad incitare i musicisti e a divertirsi.
Tra una canzone e l’altra ogni tanto un membro del gruppo raccontava un aneddoto divertente o diceva due parole riguardo a ciò che stavano per suonare, oppure semplicemente cercavano di coinvolgere il pubblico, ottenendo ottimi risultati. Altre volte, invece, un brano incalzava l’altro senza neppure un attimo di pausa, in un vortice di note e urla che avvolgeva tutti.
Guardai Alex e notai che anche lui aveva voltato la testa verso di me in quel momento. Ci sorridemmo, con sguardo complice e divertito, per poi continuare a saltare e cantare frasi ascoltate una volta e ripetute poi in un ritornello successivo.
Eravamo fradici di sudore, prendevamo aria solamente tra un salto e l’altro; probabilmente qualche inevitabile livido ed un buon mal di gola ci sarebbero rimasti come ricordo il giorno seguente… Ma in quel momento tutto ciò che ci importava era la musica, era essere insieme, era divertirci insieme saltando e cantando a squarciagola canzoni sconosciute fino al secondo prima facendoci coinvolgere dall’atmosfera.
Nonostante potessi respirare solo a scatti tra un salto ed un altro e benché l’aria fosse impregnata dell’acre odore di sudore, respiravo a pieni polmoni quell’essenza carica di musica, felicità, libertà.

   
 
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