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Autore: Gaia Bessie    17/09/2012    3 recensioni
Odora di polvere, la stanza di Ariana. Odore di polvere e ricordi sepolti in un cassetto, fra le bustine di lavanda essiccata che Kendra metteva ovunque. Capitava che Ariana nascondesse il viso nel cuscino, per nascondere le lacrime o il viso, di fronte all’amico di suo fratello. E sente quel profumo familiare, di cui era pregna sua madre: lavanda.
E, ogni volta, crede che sua madre sia tornata per proteggerla. Un sorriso nasce sul suo volto ancora da bambina, illumina gli occhi tristi. Muore, subito dopo.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aberforth Silente, Ariana Silente, Gellert Grindelwald
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Più contesti
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Ad Emma, per il suo compleanno.
Auguri, mogliA :3
 



C’era una vecchia canzoncina, che le cantava sua madre, per farla addormentare. Quella che le ha cantato, ogni volta che ha rischiato di vederla addormentarsi per sempre. Quella che sta cantando adesso, rannicchiata in un angolo del letto, tremante come la bambina che continua ad essere. Non fa lo stesso effetto, se cantata dalla sua voce incerta.
Circonda le ginocchia sottili con le braccia troppo magre. Non fa freddo, ma Ariana continua a tremare. I capelli scuri le coprono il viso scarno, lo sguardo pieno di paura che la caratterizza. Il marchio della pazzia inciso sulla pelle, dove tutti possono vederlo. Una vecchia cicatrice dimenticata da tutti, donata al tempo perché tutti la dimentichino. Ed Ariana che non la dimentica mai, nonostante tutto. Abbassa lo sguardo e lei è ancora lì, silenziosa prova del suo dolore. Di quello che è successo una volta, tanto tempo fa. Quando era ancora una bambina, come tutte le altre. Ricorda vagamente quei tempi lontani, scene di vita che non le appartengono più. È inutile cercare di vedere attraverso la foschia che avvolge i ricordi. Ormai, Ariana ha quasi smesso di provarci. Fissa la parete di fronte a lei, le mani che stringono le ginocchia, cercando di controllare i brividi. Non di freddo.
Fissa i disegni geometrici della carta da parati scura, le crepe dell’intonaco. Bisbiglia le parole della sua canzoncina, per non urlare.
Odora di polvere, la stanza di Ariana. Odore di polvere e ricordi sepolti in un cassetto, fra le bustine di lavanda essiccata che Kendra metteva ovunque. Capitava che Ariana nascondesse il viso nel cuscino, per nascondere le lacrime o il viso, di fronte all’amico di suo fratello. E sente quel profumo familiare, di cui era pregna sua madre: lavanda.
E, ogni volta, crede che sua madre sia tornata per proteggerla. Un sorriso nasce sul suo volto ancora da bambina, illumina gli occhi tristi. Muore, subito dopo.




§





Le piaceva moltissimo, l’erba. Quella che se la tenevi stretta fra le dita colorava di verde l’epidermide. A sei anni e tre mesi, giocare con l’erba era il suo passatempo preferito. Sorrideva felice ed immaginava storie che non avrebbe mai raccontato a nessuno. Lei era sempre la fata buona, quella che salvava la principessa. Quella che non avrebbe mai sofferto: era buona, aiutare la principessa era il suo compito.
Amava i fiori. Accostarli al naso all’insù, macchiandone la punta con il polline. Ridere divertita ed assaporare l’odore delicato dei garofani rossi.
Ogni volta coglieva il più bello e lo portava a sua madre, che non lo rifiutava mai. Era ancora bella, Kendra, durante quei tempi felici. Era ancora giovane. Nessun filo grigio si scorgeva fra i capelli scuri. La bocca non era ancora piegata in quell’eterna smorfia di preoccupazione. Suo padre sorrideva, di tanto in tanto. Invecchiato prematuramente dall’onda di ferro che ingrigiva le tempie. Un padre affettuoso, non ancora macchiato dal marchio della cattiveria.
Giocava fuori, Ariana, finché l’aria non diventava fredda ed Abeforth era costretto ad andare a chiamarla. Giochi di bambine innocenti, quelli.
Di sera faceva freddo, ma lei non voleva mai smettere di giocare. Voleva continuare ad essere una fata, solo per un po’. Faceva freddo ed Ariana non tremava mai. Erano lontani, i tempi in cui avrebbe iniziato a tremare, seguendo il ritmo del suo cuore. Seguendo il ritmo della paura che non l’abbandonava mai.
C’erano degli altri bambini, nella strada dove vivevano. Bambini più grandi, forse ragazzi, che passavano correndo davanti alla casa dei Dumbledore. Ma che, con la piccola Ariana, non parlavano mai.
“Non parlare con loro” l’ammoniva Kendra, ogni volta, prima di lasciarla uscire. “Non sono come noi, non capirebbero”. Lo ripeteva al posto delle favole della buonanotte, Kendra, che era cresciuta fra i Babbani. Ma sua figlia non poteva saperlo. Annuiva ed usciva a giocare, da sola con i fili d’erba con cui si macchiava le mani.
Ariana era solo una bambina, certe cose non poteva ancora capirle.




§





Le lenzuola del letto sono piene di briciole di biscotti al cioccolato. Li porta Abeforth, quando lei non riesce a dormire, e li mangiano insieme. Ama i biscotti, Ariana. Vedere le briciole che cadono sul pavimento, il retrogusto amaro del cioccolato che rimane sulla punta della lingua. Quando Abeforth le porta i biscotti, Ariana smette di tremare. Il suo cuore, in verità, non smette mai. Trema così forte che potrebbe spezzarsi. Forse si è già spezzato, tanto tempo fa.
Quando è Gellert a portarle i biscotti, Ariana non smette di tremare. Lo guarda, spaventata, trema ogni volta che le sue mani la sfiorano, anche solo per porgerle un biscotto. Ricorda, Ariana, cos’è successo l’ultima volta che mani estranee l’hanno toccata. E la parola incisa nel suo cuore, quella vecchia ferita invisibile, sanguina come non mai. Mostro.
E quell’onda di magia incontrollabile cresce dentro di lei. Riempe ogni cellula di quel corpo fragile, provato. Esplode perché Ariana non riesce a controllarla. La tiene tutta dentro, per non farla vedere a nessuno. La magia che l’ha distrutta, tanto tempo fa. Che ha distrutto sua madre, quando Ariana era troppo debole per combattere. Che sta distruggendo lei, lentamente. Un tarlo che la divora dall’interno, che l’annienta. Il dolore continuo provocato dal ricordo di quei contatti forzati. Ariana è ossessionata dai ricordi.
Un torrente che la investe e non le lascia scampo. Una corrente che la inghiotte, la fa andare sott’acqua e non le permette di respirare più. Sott’acqua non si sente nessun rumore, Ariana lo sa. Il dolore aumenta, sale sulle ferite.
Nasconde la testa sotto il cuscino, lo sguardo di Gellert che le brucia la schiena. Un sussuro che lui non deve sentire.
-Voglio smettere di essere una strega- da bambina, Ariana cercava di mandare la magia via con le urla. Non è mai servito a niente. Tornava sempre e non riusciva a trattenerla.
Esplodeva e faceva male, come quando iniziò tutto.
Ariana nasconde la testa sotto il cuscino e si chiede se riuscirà mai a sorridere di nuovo.




§





Aveva sei anni, quando aveva capito che poteva essere una strega. Sedeva sull’erba umida di pioggia, fissando il fiore rosso abbandonato ai suoi piedi.
Assomigliava vagamente ad una farfalla, piegata su sé stessa. Immobile e bellissima, perfino nella sua morte. Una farfalla dalle ali rosso sangue, bella di uno splendore doloroso.
Ariana la guardava, incantata. Teneva in grembo quei dolci che le piacevano tanto, quelle caramelle da masticare solo dopo averne prelevato il succo fruttato. Non le aveva nemmeno toccate, da quando aveva visto quel fiore che sembrava una farfalla. Erano caramelle alla fragola, dello stesso colore del fiore-farfalla.
Aveva aggrottato le sopracciglia, quando quel fiore aveva iniziato a muoversi,  come mosso da una brezza invisbile.
-Vola- aveva mormorato Ariana, piano.
Ed il fiore era diventato una farfalla dello stesso colore del sangue, che era volata via, sbattendo le ali scarlatte.
Ariana aveva sorriso, le mani che prendevano una caramella rossa. Subito erano diventate rosse e profumate di fragola.
La farfalla si allontava lentamente, con una grazia quasi ultraterrena. Figlia della prima magia di una bambina.
-Vola, farfalla-
Un sussurro quasi inudibile. Passi di ragazzi che lei conosce. La caramella cade nell’erba verde, il profumo fruttato che resta sulle dita da bambina di Ariana.
Un sussurro che Ariana non dovrebbe sentire. Che sente lo stesso e che non riesce a scordare.
-Non parlate con quella, ragazzi. È strana-
Unghia che penetrano nella carne, lasciando segni rossi sulla pelle chiara. Ariana trattiene le lacrime. Lei non è strana.
La farfalla continua a volare, lo sguardo triste di Ariana che la segue. Cade nell’erba, quando lei si volta, per tornare a casa. Torna ad essere un papavero vermiglio, che non volerà mai più.
Ariana non poteva saperlo che le cose belle non sono state fatte per durare nel tempo. Queste cose i bambini non possono capirle. Nemmeno quelli strani.




§





Passa la maggior parte del tempo rannicchiata in un angolo del letto, una bambina spaventata che Abeforth dovrà consolare. Non si muove da lì, ha paura di esplodere.
Sente la magia che preme dentro di lei, per uscire fuori. Esplodere o soffocare nella magia che non vuole. È questa la scelta.
Ariana trema, coperta da lenzuola che profumano di lavanda. Non fa freddo, è il suo cuore che continua a tremare.
-Dove sei, mamma?- domanda Ariana, il viso nascosto nel cuscino. Non le risponde nessuno. Ariana lo sa bene che sua madre non è più lì.
E sente l’onda che cresce. Che la distrugge, perché non può fermarla. Un urlo le lacera la gola, i mobili si muovono mossi da quella magia che Ariana non vuole.
Lacrime iniziano a cadere. Le voci esplodono nella sua testa. “E’ colpa tua” urlano “se tua madre è morta”.
Ed Ariana non dice niente, non riesce a mandare via quelle voci. Perché, in fondo, crede che abbiano ragione. Perché hanno ragione.
Assassina.
Gellert che la guarda, assorto, uno strano bagliore negli occhi chiari. Gellert è una di quelle persone che vorrebbe tenerla nascosta, segregata. Per impedirle di farle male ad altre persone.
Ariana ha ucciso, senza volerlo.
Alza lo sguardo, appena sente Gellert che si siede sul suo letto. I suoi occhi chiari la spaventano. Le porta i biscotti, come ogni sera.
Ariana prende un biscotto. Trasalisce quando lui le sfiora la mano.
“Non toccarmi” vorrebbe urlare. Solo che nessuno l’ascolterebbe, esattamente come l’ultima volta.
-Mangia, avanti- dice Gellert, freddo. Il rituale che compie per comprare il suo silenzio. Perché lei vede bene, gli sguardi che lancia ad Albus. Li ignora, perché le fanno pensare agli sguardi che non dimenticherà mai.
Ariana ha paura di quello che lui potrebbe farle.
Le fa cenno di prendere i biscotti ed Ariana obbedisce prontamente. Le candele sono spente, nella stanza di Ariana. Nessuno deve saperlo.
Ariana ha paura del buio.




§





Era in piedi, circondata da piccole libellule fatte di sottili fili d’erba, che la circondavano in un alone verde prato. Rideva felice, Ariana. Amava la magia.
Il giorno prima aveva piovuto e grandi pozzanghere si erano formate nel giardino. Ariana si era divertita a saltellare dentro e fuori quell’acqua torbida, infradiciando le scarpe. Non aveva sentito i passi, Ariana.
Aveva sentito le voci.
-Guarda, Jack!- aveva urlato un bambino dai capelli neri –Guarda! È una magia!-
Jack, un quindicenne allampanato e dai capelli color miele, aveva riso. –Sciocchezze, Pete- aveva detto, alzando le spalle. –Qual è il trucco, bambina?-
Ariana non aveva risposto. Non c’era un trucco. Non ebbe il tempo di dirlo che vide l’orrore sul viso di quei ragazzi.
-Mostro!- esclamò un altro ragazzo, di circa sedici anni, con occhi neri che facevano paura. Ariana aveva sempre avuto paura del buio.
Era caduta a terra, nel fango, spinta da quelle mani troppo dure per essere contrastate.
-Sai cosa facciamo ai mostri, noi?- domandò il ragazzo senza nome. –Lo sai?-
Ariana non aveva risposto, lacrime che iniziavano a scendere. Mani che la toccavano, lasciavano segni che sarebbero diventati lividi violacei.
-Non sono un mostro- urlò Ariana, disperata. –Lasciatemi!-
Non ebbe risposta. La faccia che finiva nel fango.
-Papà!- l’urlo di una figlia disperata. –Papà, aiuto!-
Passi veloci, di uomo non ancora marchiato di cattiveria. Urla, una bacchetta sguainata. Mani di madre che raccoglievano Ariana.
Voce debole, resa roca dalle lacrime. –Mai più, bambina mia. Mai più-
E la magia che inizia ad agitarsi dentro di lei. Per esplodere, subito dopo.





§



 

Tuoni che rimbombano nella stanza che odora di polvere, Ariana che si nasconde sotto le coperte. Pioveva, quel giorno.
Abeforth che prende il posto di Gellert, per calmarla. Per impedire che uccida qualcuno, con quella magia che non vuole più.
Piange, Ariana, come ogni volta che piove. La voce di suo fratello rimbomba nella stanza, unita a quella della madre che non c’è.
-Mai più, Ariana-
Ed Ariana che si rannicchia sotto le coperte, aspettando che tutto finisca.





Bessie's Corner:
Non ci credo. L'ho postata. Questa schifezza immonda. La mia centesima ff nel Fandom.
E' iniziato tutto cento ff fa... il tempo vola.
Ok, basta xD Ci tengo a dire qualche cosina prima che mi prendiate a bastonate:
1) Temo che sia OOC. Dietemi voi
2) Sono l'unica che vede GellertAriana? xD
3) Tanti auguri ad Emma. Amiamo quella ragazza fantastica.
Detto questo, passo ai più che dovuti ringraziamenti. Ringrazio tutte le persone che mi hanno seguito durante la stesura di questa shot, da Mari a Bee. Ringrazio le 126 persone che mi hanno messa fra gli autori preferiti.
Ringrazio Emma, perché lei c'è sempre.
Grazie a tutti, davvero
Bess

   
 
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