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Autore: berlinene    20/09/2012    4 recensioni
Una raccolta di shot che hanno come protagonisti i Toho Boys e la “mia” Toho Girl Yasu Wakabayashi. Una serie di storielline ad ambientazione scolastica (e dintorni) che non hanno nessunissima pretesa, se non quella di strapparvi qualche sorriso e regalarvi un po’ di sano fluff - che non guasta mai... insomma per far tornare tutti al liceo... suvvia, alzi la mano chi non ha desiderato, almeno una volta, sedersi fra i banchi dell'Istituto Toho...
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Ed Warner/Ken Wakashimazu, Kojiro Hyuga/Mark, Nuovo personaggio
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Stavolta non anticipo niente sulla collocazione temporale... lo scoprirete da soli... e scusate la ficcynosaggine della cosa ma ormai sono una vekkiaminkia rimbambita...


Qualcosa di dolce, qualcosa di caldo





Rabbrividendo, Sorimachi entrò in casa, pregustando il calduccio, al riparo dal gelo che imperversava in quella freddissima giornata di gennaio. La notte prima era persino caduta un po’ di neve. Figurarsi la sua sorpresa quando, entrando nell’appartamento, trovò i suoi coinquilini vestiti da bufera –giaccone, guanti, sciarpe e cappelli- tutti pressati in un divano.
“Beh” chiese con uno dei suoi soliti sorrisetti ironici. “Non usa più togliersi il cappotto per stare in casa?”
“Fallo pure, Sorimachi” sibilò Yasu. “Abbiamo l’imperatore, ma viviamo in un paese democratico.”
Kazuki ridacchiò e scosse la testa, sfilandosi il giaccone. “Ihhhh” trasalì, “ma fa freddissimo! Non va il riscaldamento!?”.
Un applauso ovattato dai guanti si alzò dal divano.
“Riscaldamento andato” spiegò Ken, laconico.
“E fino a domani non possono aggiustarlo” chiosò Takeshi con un sospiro.
Kazuki si sedette sull’altro divano, guardando con invidia i compagni, stretti l’uno contro l’altro.
“Prendi pure il mio posto” fece Yasu, sfilandosi a fatica dallo spazietto dove se ne stava incastrata fra Kojiro e Takeshi. “Abbiamo ancora del cacao in polvere, preparo una cioccolata calda”.
“Buona la cioccolata!” esultò Takeshi.
“Soprattutto calda!” intervenne sarcastico Sorimachi, scimmiottando l’entusiasmo del giovane centrocampista.
Yasu tornò di lì a poco con un vassoio con cinque tazze fumanti. Le distribuì agli altri e prese la propria, andandosi a sedere sul divano vuoto. Mentre soffiava sul cucchiaio colmo di cioccolata, le sovvenne che, forse, doveva avvisarli che la bevanda era bollente, ma non fece in tempo.
Un coro di imprecazioni si levò dai tre ragazzi più grandi, mentre Takeshi li guardava allibito col cucchiaio a mezz’aria.
“Ahiaaaa” protestò Kazuki. “Ma che cazzo è, lava?”
“Scusate, pensavo lo sapeste” disse Yasu, mortificata, spostando d’istinto lo sguardo su Ken. Mentre preparava con cura la bevanda, non aveva mai smesso di pensare al portiere e alla sua passione per il cioccolato… aveva sperato che gli piacesse e le facesse i complimenti per come l’aveva preparata. Invece la sua cioccolata gli aveva ustionato la lingua. Bella prova!
Trattenne il respiro vedendolo passarsi la lingua sulle labbra per valutare il danno. Poi i loro sguardi s’incrociarono: lui sorrise e le fece la linguaccia, accompagnandola con una strizzatina d’occhio.
Yasu sorrise di rimando, alzando gli occhi al cielo con aria birichina. Ridacchiò ancora, vedendo che Kojiro procedeva allo stesso esame del compagno, ma con le dita.
“Così impariamo a fare gli ingordi” disse Wakashimazu, passando a usare il cucchiaio, soffiandoci sopra a lungo, prima di portarselo alla bocca. Yasu si perse un attimo nell’osservare quel movimento, avvicinando a sua volta il proprio cucchiaio alle labbra, immaginando che fosse quello fra le dita di Ken...
Scosse la testa. Doveva smetterla di perdersi in quelle stupide fantasie!
“Ma che si fa?” sbuffò Kazuki, una volta che le tazze furono vuote.
“Magari andiamo a cena in mensa” suggerì Yasu e gli altri annuirono con un sospiro.
“Sì, ok, ma dopo? Se nevica come ieri notte, ci congeleremo!” insisté il numero nove. “Rischiamo di ammalarci, e la prossima settimana abbiamo la partita.”
“Quando a casa mia si rompeva il riscaldamento, e succedeva abbastanza spesso,” bofonchiò Kojiro, alzandosi per raccogliere le tazze e riportarle in cucina, “la notte dormivamo tutti insieme nel lettone dei miei.”
In sua assenza, gli altri si scambiarono sguardi che andavano dallo sconcertato, all’allibito, all’inorridito.
Yasu cercò di non porsi troppe domande sul modo in cui Ken aveva spalancato gli occhi, abbassandoli subito dopo.
“Non ti offendere, capitano,” azzardò Kazuki, quando Kojiro tornò a unirsi al gruppo. “Ma non credo sia la migliore delle strategie”.
“Non è che muoio dalla voglia di dormire con te, Sorimachi… né di essere nei paraggi quando ti togli le scarpe…” disse Kojiro, guardandolo di sottecchi e scatenando una risata generale. “Era per fare conversazione” concluse con un’alzata di spalle.
Kazuki lo guardò inarcando il sopracciglio, chiedendosi da quando in qua il capitano facesse conversazione. Forse anche quello serviva a difendersi dal freddo.
Un gridolino di Yasu interruppe i suoi pensieri: “Ho un’idea!” gongolò la ragazza. “Andiamo a dormire nello spogliatoio! Le panche saranno dure, ma almeno lì il riscaldamento funziona. E io so dove il custode tiene le chiavi di scorta...” concluse con aria soddisfatta.

Dopo la terribile cena della mensa, i ragazzi tornarono nel loro appartamento, presero degli indumenti caldi e tutte le coperte che avevano e si diressero verso il campetto. Se qualcuno aveva ancora dei dubbi sul dormire nello spogliatoio, con quella breve visita all’appartamento si era definitivamente convinto: là dentro era più gelido del vialetto che stavano percorrendo.
Yasu recuperò le chiavi e aprì il paravento d’ingresso all’edificio che ospitava gli spogliatoi, quindi si soffermò davanti al quadro per accendere le luci e avviare il riscaldamento: presto si sarebbe diffuso un piacevole tepore.

I ragazzi l’avevano preceduta nello spogliatoio e si stavano già sistemando, quando Yasu li raggiunse, fermandosi tuttavia sulla soglia di quella stanza che, da sempre, era l’unico posto dove non poteva seguire i suoi amici. E quella volta non avrebbe fatto eccezione: restando con loro, li avrebbe messi in imbarazzo, quindi decise: “Io mi sistemo in infermeria”.
“Non dormi con noi Ya-chan?” chiese Takeshi un po’ deluso. “Speravo che…”
“Cosa, Sawada, volevi la favola della buonanotte?” lo canzono Kazuki.
Il ragazzo più piccolo aggrottò le sopracciglia e non disse niente ma, di nascosto, guardò Ken.
Il portiere aveva sistemato le proprie cose su una panca e stava appoggiando le coperte di Yasu, che aveva insistito per portare lui, su quella di fronte, ma sentendo le parole della ragazza si era interrotto, adombrandosi.
“Credo che così faremo più il nostro comodo…” spiegò lei, con un fremito nella voce.
“Tu di sicuro te ne starai comoda, sul lettino dell’infermeria…” insinuò Kazuki. “E pure più calda...”
“Non è quello è che -” balbettò, imbarazzata.
“Non devi giustificarti, Wakabayashi” intervenne, autoritario, Kojiro. “E tu Sorimachi lasciala in pace e falle fare quello che si sente. Piuttosto, potresti andare in sala attrezzi a prendere qualche tappetino, così magari dormiamo sul morbido anche noi.”
Kazuki annuì e andò a cercarli.
Yasu si scostò dalla porta per farlo passare, quindi, dopo un attimo di esitazione, fece alcuni passi verso Ken, tendendo le braccia per riavere le coperte.
“Te le porto io di là” ribatté il portiere, brusco.

“Mettile pure lì, grazie” disse Yasu, senza guardarlo negli occhi, indicando uno dei due lettini dell’infermeria. “In effetti c’è già caldo qui, non so se mi serviranno...”
Ken borbottò qualcosa sul fatto che in effetti erano troppe, poi fece quanto richiesto. Il cuore gli accelerò quando con le mani sfiorò il lettino, ricordando tutte le volte in cui lì la ragazza si era presa cura di lui. Certo, lo faceva con tutti, ma gli piaceva pensare al tocco delicato delle sue mani, al suo ciarlare allegro, per distrarti. Scosse appena la testa per liberarsi di quei pensieri e si guardò attorno, le mani sui fianchi.
“Sei sicura di voler stare qui?” le chiese, titubante.
“Sì”
“Da sola?”
“Sì, tranquillo, non ho paura.”
“Noi siamo lì” fece indicando la porta dello spogliatoio, poco più su, lungo l’androne.
“Appunto” sorrise lei, “come a casa.”
“Sì, come a casa. Se hai bisogno-”
“Vi chiamo”.
“Sì, mi chiami” parafrasò lui, quasi senza accorgersene.
Yasu aveva iniziato a preparare il letto. Ken si diresse verso la porta, poi si fermò, appoggiando la mano all’imbotte e tamburellando col pugno un paio di volte. Inspirò a  fondo, poi si voltò verso di lei.
La ragazza era di spalle ma percepì quel movimento e trasalì. Fece un paio di respiri profondi, gli occhi fissi sugli armadietti in fondo alla stanza.
“Yasu...” la chiamò piano.
“Sì, Ken?” rispose lei, cercando di controllare la voce e tutto il resto del corpo, mentre si voltava.
 “Sei...”
“Sì?”
“Sei proprio sicura di stare qui? Guarda che a noi non dai fastidio.” disse tutto d’un fiato. Ma non era quello che voleva dire. Voleva restare lì con lei, sorvegliarla, proteggerla e poi magari tenerla fra le braccia, scaldarla e... deglutì a vuoto.
 “Preferisco così” rispose la ragazza, sperando che la delusione non trasparisse. Non le andava affatto di stare da sola. Avrebbe voluto dormire insieme ai suoi amici. Magari vicino a lui…
Si fronteggiarono per qualche secondo, guardandosi negli occhi solo di sfuggita.
“Buonanotte” disse infine il portiere, accennando un inchino.
“Buonanotte” rispose lei, stiracchiando un sorriso e chiudendogli la porta alle spalle più velocemente possibile.

Ken rimase un attimo fermo in mezzo al corridoio, il respiro accelerato, massaggiandosi l’attaccatura del naso, cercando di calmarsi.
E dandosi dello stupido.

Yasu affondò la testa nelle coperte che Ken le aveva portato, sperando che avessero il suo profumo. Ma l’unico odore era quello della lavanda che teneva nell’armadio. Lui era stato dolce e gentile come sempre, ma l’avrebbe fatto con chiunque, no? Doveva smetterla di pensare che ci fosse qualcosa di più.

Kazuki aprì le braccia, lasciando cadere a terra la pila di tappetini che aveva portato dalla sala attrezzi.
“Visto niente?” chiese Kojiro.
“Ho dato uno sguardo veloce, ma non volevo farmi beccare...”
“Speriamo sia la volta buona” sospirò Takeshi.
“E cosa hai visto?” incalzò il capitano.
“Ken era dentro la stanza e parlavano. Se davvero lei gli piace, non può lasciarsi sfuggire questa occasione, cazzo... sarebbe da…”
“… coglioni. Ma stiamo parlando di Wakashimazu, quello che si butta sotto i camion per salvare i cani e para i rigori con il polso rotto…” bofonchiò Hyuga. Eppure non c’era scherno in quelle parole, solo una semplice constatazione dell’inguaribile impulsività del suo amico, spesso a discapito della sua stessa salute fisica. E di quella mentale di chi, come Kojiro stesso, aveva la pessima abitudine di preoccuparsene.
“Assurdo” commentò Kazuki con un gesto di sufficienza. “Non esita a buttarsi sotto un camion o sui piedi di un giocatore in corsa… e non si butta a provarci con una ragazza, ben sapendo che lei non aspetta altro!”
“No che non lo sa” precisò Takeshi.
“Ma è ovvio, non vedi come lo guarda? Ti sembra che si comporti con lui come con noi? Hai presente come vengono stirate le sue magliette e come le mie?”
“Quello è perché Ken se le stira da solo e tu lo fai fare a Ya-chan” spiegò Takeshi.
“Davvero?” chiese sconvolto Kazuki, col rischio che la mascella gli si staccasse.
Gli altri due annuirono convinti.
“Comunque,” riprese l’attaccante, dando una scrollata di spalle. “Non vede tutto il resto?”
“Noi lo vediamo, ma loro no.” continuò il centrocampista, guardando i compagni con aria seria, seduto a gambe incrociate sulla propria panca. “È come se…” si guardava intorno come per cercare le parole, agitando le mani davanti a sé. “Non riuscissero ad… afferrarlo.”
“Per Wakashimazu non dovrebbe essere una sensazione nuova…” ridacchiò Kazuki. “Fra il Tiger Shot e i phrasal verbs, sono diverse le cose che non afferra…”
Kojiro incurvò la bocca in un mezzo sorriso, invece Sawada si accigliò: “Dico sul serio. Magari sono innamorati…”
Gli altri due lo guardarono come avesse le antenne.
“Sawada ma ti sei rincoglionito pure tu?” fece Kazuki, inarcando il sopracciglio.
Takeshi dette un’alzata di spalle e si coricò girandosi verso il muro. Kojiro sembrò riflettere per un attimo, fissando il pavimento. Quindi scoccò un’occhiata torva a Kazuki e stava per bofonchiare un “Buonanotte”, quando la porta si aprì e apparve Ken.

Il portiere entrò a testa bassa, il viso coperto dai lunghi capelli, si avviò verso la propria panca e ci si lasciò cadere pesantemente.
Takeshi lo guardò di nascosto da sopra la spalla, gli occhi tristi. Kazuki prese fiato come per parlare, ma un’occhiataccia del capitano lo fece desistere.
I taglienti occhi neri di Kojiro, ridotti a fessure, fissarono a lungo quelli di Ken, sondandoli, dall’alto di anni di reciproca e profonda conoscenza. Non li aveva mai visti così. Vi aveva visto la rabbia, la sfida, la sconfitta, ma mai tanta inquietudine. Ebbe voglia di avvicinarsi a lui e passargli un braccio attorno alle spalle e chiedergli cosa avesse. Ma non era così che funzionava tra loro e si limitò a distogliere lo sguardo.
Ken si sdraiò, lentamente, cercando di sistemare la propria mole su quello spazio duro e angusto. Hyuga era preoccupato per lui, glielo aveva letto negli occhi. E stavolta, stranamente, non per qualche cazzata che aveva fatto ma per quello che non aveva fatto, proprio lui che di solito prima si buttava a testa bassa e poi rifletteva. Ma non ce la faceva. Yasu gli piaceva, ma gli piaceva così tanto anche quello che avevano già, che la paura che qualcosa potesse cambiare lo bloccava, come mai gli era successo prima. Niente lo aveva mai fermato finora, non suo padre, non gli infortuni, non il buon senso. Ma quella cosa sì, quella cosa che gli bloccava le gambe, le mani, la gola, il cuore.
Chiuse gli occhi e si concentrò sul proprio respiro, facendo appello agli esercizi di rilassamento che proprio suo padre gli aveva insegnato. Per un tempo che parve infinito, fissò la cappelliera sopra di lui.
L’aria era ormai tiepida e il respiro dei suoi compagni si era fatto sommesso e regolare, mentre il suo, riusciva ancora a controllarlo a fatica. Provò a cambiare posizione, ma la panca consentiva poco spazio di manovra e s’impose di stare fermo per non cadere. Sentiva ogni muscolo in tensione. Non sarebbe mai riuscito a dormire, quindi si alzò per fare due passi nel corridoio. E naturalmente si ritrovò di fronte all’infermeria e fu oltremodo felice di vedere che c’era la luce accesa.
Fissò la porta socchiusa per qualche secondo, ruotò le spalle e prese un lungo respiro.
E che diamine. Era o non era quello che si buttava a capofitto nelle cose? Che si lasciava trasportare dalle emozioni?
Bussò.
“Chi è?” chiese Yasu da dentro, un po’ spaventata.
“Sono io, Wakas- ... Ken”.
“Vieni pure” rispose, il tono assai più allegro.
Il portiere aprì piano la porta e la guardò: sorrideva e, come sempre quando lo faceva, gli occhi le brillavano e somigliava molto meno a suo fratello.

Yasu sorrideva, perché era irrazionalmente felice che lui fosse tornato, fosse anche solo per dirle qualcosa di stupido.
Per un attimo aveva pensato che, nel dormiveglia, i suoi pensieri avessero preso forma di fronte agli occhi assonnati, ma invece era tutto vero, lui era lì ed era così carino con quell’espressione un po’ timorosa e la coperta stretta nella mano sinistra che strusciava sul pavimento. Una specie di Linus con un bel po’ di centimetri di altezza e di capelli in più.
“Dimmi” lo incoraggiò.
Lui spalancò gli occhi, come alla ricerca di una risposta. Poi ammise: “Non riuscivo a dormire, di là la panca è scomoda e...” fece una pausa. “Ero un po’ preoccupato al pensiero di te qui da sola e allora ho pensato... visto che comunque nello spogliatoio mi sarei steso sul pavimento... ho pensato che potevo dormire qui davanti, nel corridoio... così se mi vuoi sono qui.” Disse chiudendo la porta, senza darle il tempo di replicare.
Yasu rimase a bocca aperta: era un pensiero dolcissimo, che l’aveva colta di sorpresa e destabilizzata. Avrebbe dovuto dirglielo quanto le sembrava carino, o almeno offrigli qualche coperta in più... il corridoio era freddo, specie il pavimento!
Trattenne il respiro ascoltando lo strusciare delle coperte sulle piastrelle e contro la porta.
Poi più niente.
Che si fosse già addormentato? Yasu si distese, ma continuava a stare in ascolto. Lo sentiva cercare la posizione giusta, facendo tintinnare l’uscio, che aveva un po’ di gioco.
Dopo qualche minuto si rese conto che non avrebbe mai dormito in quelle condizioni. Si alzò e aprì piano la porta.
“Non mi va che dormi per terra... se proprio vuoi stare qui puoi sistemarti sull’altro lettino” sparò, senza rifletterci troppo.
“Si- sicura?”
“Sì, mi... fa piacere. In effetti avevo un po’ paura da sola” sorrise. Non era proprio la verità, ma certo se lui stava lì era... meglio.
Il portiere entrò, chiudendosi la porta alle spalle e, senza quasi guardare Yasu, sistemò le coperte sul lettino e si sedette. Solo allora rivolse lo sguardo verso di lei.
“Anche se il mio sarebbe quello” esordì Ken, indicando nella sua direzione.
“Cosa?”
“Il lettino” spiegò. “Di solito mi... ehm ci fai sedere lì.”
“Ah sì, è vero, mi è più comodo per via dell’altezza. Anche se in confronto a te non si direbbe, sono considerata anche io una ‘spilungona’.”
“Ti dispiace?”
“No ma...”
“Secondo me stai bene così”.
“Grazie” mormorò, arrossendo appena. “E comunque immagino ci si possa far poco... beh, vogliamo dormire?” concluse, desiderosa di girarsi verso il muro.
“Sì, che è tardi, buonanotte.”
“Buonanotte”.
Yasu aveva proposto di dormire ma era uno di quei casi in cui fra il dire e il fare... la brandina, seppur relativamente comoda, le sembrava fatta di spilli e sotto le coperte era percorsa a intervalli da brividi e vampate di calore, neanche avesse quaranta di febbre. Cercando di far piano, si rigirò più volte alla ricerca di una posizione confortevole.
Ken, invece, si godette la sensazione di potersi finalmente distendere su una superficie abbastanza ampia e morbida da poter tentare di dormire. Ma stava a orecchie dritte e a ogni movimento di Yasu se ne accompagnava uno del suo cuore.
Dopo qualche minuto, si decise : “Non riesci a dormire? Hai freddo? Sei scomoda?”
“Non ho sonno” rispose.
“Magari ti va di... ehm... parlare un po’?”
Il cuore di Yasu si fermò un istante, poi ricominciò a battere tanto forte, che temette Ken potesse sentirlo. Controllando la voce, chiese se anche lui non riusciva a dormire.
“Più o meno” disse, tirandosi su seduto.
La ragazza si sedette a sua volta e si allungò ad accendere la lampada sulla scrivania dietro di lei. Faceva poca luce, ma sufficiente per indovinare i profili dei mobili. E quello di Ken. Raccolse le gambe al petto abbracciandosele e poggiò la schiena al muro, poi guardò verso il portiere.
Lui si lasciò scivolare giù dal lettino. “Posso sedermi vicino a te?” sussurrò, con la gola secca.
Yasu si spostò di lato e guardò nella sua direzione, poi batté con la mano sulla parte libera del materassino.
“E’ il tuo posto, no?” disse, sforzandosi di ridere.
Ken fremette: lo sapeva che lei si riferiva alla battuta di poco prima sul lettino, ma non riuscì a trattenere il pensiero che sì, il suo posto era vicino a lei.
Si sedette sul bordo del giaciglio, le gambe penzoloni e i piedi che sfioravano il pavimento. Lei era leggermente più indietro. “Di cosa parliamo?” gli chiese dopo un po’, fissandogli la schiena.
Silenzio.
“La tua cioccolata era buona.” Buttò lì Ken, girando la testa per guardarla con la coda dell’occhio.
“Davvero? Ma se ti ha ustionato la lingua...” rispose imbarazzata, rapita dal profilo perfetto del suo naso, e dal movimento ipnotico delle labbra, e dei capelli che lo celavano a tratti.
“E che c’entra, perché sono goloso... ciò non toglie che fosse buona. Bollente, ma buona” ridacchiò.
“Non tutto il male viene per nuocere” commentò Yasu, ridendo di rimando. “Si dice così, no?”
“Sì e io...” Esitò. “Lo penso sempre quando vengo qui dentro...”
“In infermeria?”
“Sì, perché anche se mi son fatto male, ci sei tu...”
Yasu ringraziò di essere appoggiata al muro: quelle ultime tre parole, udite in una qualsiasi altra posizione l’avrebbero mandata a gambe all’aria. Socchiuse gli occhi e inspirò a fondo.“Non importa, sai, che ti fai male..” sussurrò, esitante. “Io... ci sono sempre, per te...” concluse, mettendogli una mano sulla spalla e sporgendosi in avanti.
Ken le sfiorò la mano, staccandola dolcemente per prenderla fra le proprie. I suoi palmi erano grandi e caldi, nonostante il freddo. Yasu si sentiva come se, al posto dello stomaco avesse il vuoto cosmico, un buco nero o qualcosa del genere. Tremava, mentre alzava lo sguardo a incontrare quello del portiere.
“Lo vorresti davvero... insomma... esserci sempre per me? Stare... sempre... con... me...” balbettò Ken, chiedendosi cosa diavolo stesse dicendo. Quando vide quegli occhi color nocciola fissare i propri, il ragazzo non abbassò lo sguardo, anche se per un attimo indugiò sulle labbra rosee, appena dischiuse.
Sembrava stupita.
E lui aveva voglia di baciarla.
Non sapeva da dove venisse quel desiderio... come si poteva desiderare qualcosa di cui non si aveva idea?
Eppure lo voleva. Socchiuse gli occhi e si chinò verso di lei.
Quando scorse quel movimento, Yasu serrò gli occhi. Aveva paura. Quando le labbra di Ken sfiorarono le sue, per un attimo, ebbe voglia di scappare. Ma il suo corpo non le obbedì, ormai rispondeva a un altro richiamo. Quello che la spinse a dischiudere le labbra e ad accogliere quel bacio che, si rese conto, aspettava da mesi.
O forse da sempre.
Yasu sentì un piacevole torpore diffondersi per il corpo e cominciò a ricambiare il bacio, prima timidamente, poi con maggiore confidenza. Finché, con un gemito, Ken non si staccò e si allontanò, premendosi la mano sulla bocca.
Il calore si trasformò in una doccia gelata che la fece vacillare. “Scusami io...” borbottò la ragazza ritraendosi.
“No, no” si affrettò a chiarire Ken. “Era tutto... bellissimo... è solo che ho... la lingua ustionata” disse, trattenendo a stento le risa.
Yasu scoppiò a ridere a sua volta. Poi si fece di nuovo seria, tornò a fissarlo negli occhi e gli poggiò una mano sulla guancia.
“Allora cercherò di essere delicata” sussurrò prima di baciarlo ancora.

***

Yasu si svegliò e dovette sbattere gli occhi due o tre volte prima di realizzare dove si trovava, mettere a fuoco la stanza che la circondava e capire la strana posizione in cui si era addormentata.
Quando le tornò in mente cos’era successo la sera prima, sentì come se della lava incandescente le si riversasse dallo stomaco nell’addome, e il cuore cominciò ad accelerare.
Si girò lentamente e, dalla posizione fetale in cui si era addormentata, si mise a pancia su. Alzò piano il mento e vide il volto addormentato di Ken sopra di lei.
Era come sospettava: lui si era addormentato con la schiena contro il muro, dove la sera prima si era seduto per chiacchierare e poi… Yasu deglutì a vuoto e resistette alla tentazione di portarsi una mano alle labbra, per paura di svegliarlo, muovendosi. Sì perché lei aveva dormito tutto il tempo con la guancia poggiata sulle gambe di Ken, con una delle sue mani grandi posata sul fianco.
Rimase per un po’ lì, cercando di controllare il respiro e di riordinare le idee, ma le uniche parole che riusciva a pensare erano: “E ora?”
I muscoli, irrigiditi dalla strana posizione in cui aveva dormito cominciarono a darle il tormento. Doveva alzarsi, fare due passi, sgranchirsi muscoli e cervello.
E comunque, prima o poi avrebbero dovuto muoversi, non potevano restare lì in eterno. L’idea era allettante ma, ahimè, irrealizzabile.
Si era quasi decisa ad alzarsi, quando qualcuno bussò alla porta un paio di volte. Lei rimase immobile, Ken scosse appena la testa, mugolando piano.
Dopo qualche attimo la maniglia si abbassò e Kazuki fece capolino.
Yasu si alzò di scatto. Ken si svegliò e, d’istinto, la abbracciò come a difenderla.
“Buongiorno piccionc- ahia” esclamò l’attaccante girandosi verso chi, evidentemente, lo aveva interrotto con modi poco gentili.
La porta si spalancò rivelando che il torturatore non era Kojiro bensì Takeshi, che, dopo aver dato un forte pizzicotto a Sorimachi, comunicò loro con un sorriso che a breve sarebbe arrivato il custode ed era dunque ora di sloggiare, quindi richiuse rapidamente la porta rischiando di schiacciare la mano del compagno.
Ken e Yasu, che erano rimasti come imbambolati, si riscossero solo dopo che la porta fu chiusa di nuovo.
“Dobbiamo andare” esalò la ragazza, quasi senza voce.
“Certo.”
“Ehm…” ridacchiò lei. “Dovresti… togliere…”
I suoi occhi divennero enormi e svelto la liberò da quell’abbraccio. Yasu scese lentamente dal lettino e lo guardò stiracchiarsi e scendere a sua volta.
In silenzio, raccolsero le coperte e Ken si avviò verso la porta. Quando poggiò la mano sulla maniglia, Yasu, rimasta qualche passo indietro, lo chiamò.
“E ora?” disse, finalmente ad alta voce.
Lo osservò mentre si voltava e le mancò il fiato perché, dopo quella notte, le parve ancora più bello del solito.
“Beh ora siamo una...” fece una pausa, arricciando il naso, come se cercasse la parola giusta “...squadra” concluse, con una certa soddisfazione. E un sorriso disarmante.
Yasu lo guardò perplessa, ma poi un piacevole calore le si diffuse nel petto, a dispetto del refolo d’aria fresca che veniva dal corridoio. Una squadra suonava decisamente bene, pensò mentre, orgogliosa, afferrava la mano che lui gli aveva teso.
 
*************
Grazie rel, grazie agatha
   
 
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