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Autore: REAwhereverIgo    21/09/2012    3 recensioni
Che succederebbe se una ragazza con autostima pari allo zero si innamorasse di un bellissimo motociclista? E se le sue sorelle si mettessero in mezzo per darle una mano, rischiando di peggiorare la situazione?
Spero che questa storia sia di vostro gradimento, io di sicuro mi divertirò a scriverla! Rea
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Cercare Rea

 

I signori Stevens passarono tutta la mattina a fare telefonate a destra e manca per cercare la figlia, ma nessuno sapeva niente. Laura, Johan, Fabio e Emma erano usciti e si erano divisi, setacciando da cima a fondo tutto il paese, ma non ottennero risultati. Rea era scomparsa.

A nessuno dei sei veniva in mente un possibile posto in cui la ragazza potesse essere andata per rifugiarsi, e nemmeno Jason, che li raggiunse appena poté, fu di qualche aiuto. Sembrava scomparsa nel nulla.

“Cosa possiamo fare?” chiese la madre, disperata, camminando per la cucina senza riuscire a tranquillizzarsi.

“Per avvertire la polizia dobbiamo aspettare ventiquattro ore, altrimenti non è considerata sparizione, quindi non possiamo muoverci fino a domani mattina” ragionò suo marito, sospirando.

I ragazzi erano in stato catatonico, non riuscivano a parlare. Se ne stavano seduti sul divano ad aspettare una telefonata, colpevoli di averle causato tanto dolore. Non erano nemmeno in grado di comprendere appieno la cosa e rendersi conto che lei era scomparsa per causa loro.

Dovevamo dirle tutto subito” sospirò, sconsolato, Fabio.

Secondo te sarebbe cambiato qualcosa? Quella testona, se possibile, si sarebbe arrabbiata anche di più” commentò Laura. Teneva la mano del suo fidanzato stretta nella sua e cercava un motivo per calmarsi.

Ma forse potevamo cambiare qualcosa, ammettendo subito la colpa! E poi, nonostante sapessimo quanto stava male perché si sentiva abbandonata, ferita e delusa, nella nostra arroganza abbiamo peggiorato la situazione. Penso che se ne sia andata e con ragione” ragionò il ragazzo, prendendosi la testa tra le mani. Emma, che era rimasta zitta fino a quel momento, sbottò.

Certo, infatti! È colpa nostra se lei è un’idiota, vero? E’ colpa nostra se le piace farsi del male! Dall’inizio non faccio che pensare a quanto sia stupido che lei creda di essere stata sempre sola e abbandonata, visto che ha noi, ma non fa altro che essere compatita e compresa! Peggio per lei!” gridò.

Sua madre arrivò dalla cucina e le dette uno schiaffo in pieno viso, con le lacrime agli occhi. La ragazza rimase basita da quel gesto inaspettato, ma vide la rabbia negli occhi della donna e non ribatté.

“La stupida sei tu, Emma” le disse. Alzò lo sguardo per puntarlo nel suo.

“E’ normale che si senta abbandonata! Non ci hai mai pensato, vero? Non hai mai riflettuto sul fatto che lei è un’orfana, che i suoi genitori sono morti quando aveva quattro anni e che è sola da allora! Non lo sai, vero, che significa perdere qualcuno di così prossimo? Io me la ricordo la piccola Rea in lacrime che veniva da me durante la notte e piangeva disperata perché mamma e papà l’avevano abbandonata. E io che tentavo di non piangere, di farle vedere che andava tutto bene, e di tranquillizzarla perché no, non era vero che loro l’avevano lasciata lì per volontà, se n’erano andati perché l’aveva voluto qualcun altro. E come glie lo spieghi, a una bambina di quattro anni, che i genitori sono morti? Lo sai cosa significa? Io sento la mancanza di mia sorella ogni giorno, figurati lei” le spiegò. Emma si toccò la guancia, poi si mise a piangere disperata, gettandosi tra le braccia della madre.

Lo so!” ammise in lacrime.

Lo so che ha sempre sofferto, e non dovevo dire niente, dovevo stare zitta, così non avrebbe provato più dolore di quanto non ne provi da sola, ma non sono riuscita a pensare, non volevo! Non volevo che piangesse ancora, che pensasse di nuovo di essere sola. È colpa mia” disse. La donna l’abbracciò, stringendola forte.

“Si aggiusterà tutto” le promise. Anche Laura si avvicinò a loro, tremando, e si unì a loro. Era un dolore comune, quello di aver perso Rea, e insieme, forse, potevano sopportarlo meglio.

 

Mezz’ora dopo nessuno aveva ancora dato notizie della ragazza. Fabio sapeva che c’era un dettaglio che gli sfuggiva, qualcosa di evidente ma che non riusciva a vedere. Eppure era così semplice.

Entrò in camera sua e si guardò intorno: i vestiti erano sulla sedia; il letto era completamente fatto, segno che non aveva assolutamente dormito; i suoi quaderni erano sparsi sulla scrivania, come sempre, e un libro di poesie era aperto in terra, con il segno su una pagina tutta piegata. Prese in mano il volume e lesse.

 

Non sto pensando a niente

Non sto pensando a niente,
e questa cosa centrale, che a sua volta non è niente,
mi è gradita come l'aria notturna,
fresca in confronto all'estate calda del giorno.

Che bello, non sto pensando a niente!

Non pensare a niente
è avere l'anima propria e intera.
Non pensare a niente
è vivere intimamente
il flusso e riflusso della vita...
Non sto pensando a niente.
E' come se mi fossi appoggiato male.
Un dolore nella schiena o sul fianco,
un sapore amaro nella bocca della mia anima:
perché, in fin dei conti,
non sto pensando a niente,
ma proprio a niente,
a niente...

- Fernando Pessoa

 

Da quando in qua leggi Pessoa?” le chiese, ipoteticamente. Rimise a posto il libro, chiudendolo per bene e appoggiandolo sul letto, poi si sedette alla scrivania e sfogliò distrattamente le pagine, senza leggerle sul serio. Non gli importavano più i suoi segreti, ormai. Aveva solo peggiorato le cose nel voler entrare a tutti i costi nella sua vita, lo sapeva benissimo. Vide una poesia scritta a mano da lei sul diario.

Dieci cose che odio di te –dal film era il titolo.

Odio il modo in cui mi parli. E il tuo taglio di capelli.
Odio il modo in cui guidi la mia macchina. Odio quando mi fissi.
Odio I tuoi stupidi anfibi. E il modo in cui leggi la mia mente.
Ti odio talmente tanto che mi fa star male - E mi fa anche scrivere poesie.
Odio il modo in cui hai sempre ragione. Odio quando menti.
Odio quando mi fai ridere - ancora peggio quando mi fai piangere.
Odio quando non ci sei. E il fatto che tu non abbia chiamato.
Ma la cosa che odio di più è il fatto che io non riesca a odiarti - nemmeno lontanmente, nemmeno un po', proprio per niente.

E, subito accanto, un suo appunto. “Stupido Fabio!” sorrise nel leggere ciò, e rise di gusto nel pensarla che scriveva quella frase. Per un istante gli parve che fosse lì. “Lo vedi, a fare di testa tua? Io ti avevo avvertito di non ferirmi, idiota!” gli avrebbe detto col suo tono arrogante e arrabbiato. Gli mancava. Gli mancava più di quanto avrebbe mai potuto ammettere, più di quanto avrebbe mai potuto pensare. Lo sentiva nelle ossa.

Dove sei?” le chiese. E poi, sfogliando il diario la trovò. Trovò quel tassello mancante che aveva avuto davanti tutto il tempo. La prese e corse in cucina.

 

 

“Non è possibile” disse la signora Stevens, allontanando il foglio.

Sì, invece. Ecco dov’è, lei è qui” continuava ad affermare Fabio con convinzione.

“Ma non ha senso! Non è mai voluta venire con noi per non piangere” lo contraddisse il padre.

Pensate che potrebbe stare peggio di come sta già?” domandò retoricamente.

“No, però è comunque strano” ammise la madre.

Ascoltatemi, se ragioniamo come ragiona lei non è così strano. Rea sta male, e tutti sappiamo che il suo dolore principale, anche se non lo ammette, viene da qui. Viene da questo momento particolare della sua vita, che lei ha vissuto come qualcosa che non le appartiene davvero. E, dato che tutto parte da qui, da quest’avvenimento, è qui che lei è andata a ritrovare le risposte. Qui l’ha riportata la sua vita” spiegò. Si guardarono tutti confusi, poi la donna annuì.

“Ok, va bene, ammettiamo che sia come dici tu. Come facciamo per riportarla a casa? Lei se n’è andata di sua spontanea volontà, non credo che sia disposta a tornare così semplicemente, altrimenti sarebbe già rientrata” domandò.

Noi non faremo proprio un bel niente. Siete voi a doverci parlare, signora Stevens. Lei e suo marito, o anche solo uno dei due. Se c’è qualcuno che può capirla e aiutarla, siete solo voi due” le rispose. I due si guardarono preoccupati, ma sapevano che quel ragazzo aveva ragione.

Sospirò e si alzò.

“Va bene, ma se non la troviamo nemmeno lì cosa possiamo fare? Dove possiamo cercare?” chiese. Fabio le mise una mano sulla spalla.

Ci penseremo poi, ma io sono sicuro che lei è lì ad aspettare qualcosa. O qualcuno, non so. Forse sta solo cercando le risposte che le servono per sorridere di nuovo, o forse sta pensando a come fare per essere felice, ma io sento che lei è lì. E l’unica che può aiutarla è lei” le assicurò. La donna lo abbracciò forte.

“Sei un caro ragazzo, non importa ciò che Rea pensa. E sono sicura che perdonerà tutti voi, una volta fatta chiarezza nella sua vita” gli disse.

Lei e il marito si misero i cappotti e uscirono di casa, infilandosi nel freddo di gennaio. Lanciarono la macchina a tutta velocità sulla strada, per poi parcheggiare in malo modo davanti al gigantesco cancello di ferro. L’uomo prese la mano alla moglie.

“Spero che stia bene” ammise. Lei sorrise.

“Sono certa che sta bene, come sono certa che tornerà a casa con noi” lo tranquillizzò.

“E se non volesse? Ha diciotto anni e può decidere di andarsene” chiese preoccupato.

“Non lo farà. Sa di essere amata come e più di Laura e Emma, sta solo passando un momento in cui non regge più il dolore che ha in corpo. Ha bisogno di piangere fino allo sfinimento, stavolta con qualcuno che l’ascolti e la conforti. È di questo che nostra figlia ha bisogno” affermò convinta.

“Però lei non si considera nostra figlia” ribatté l’uomo. La signora Stevens lo guardò dritto negli occhi.

“Non mi interessa ciò che pensa, ciò che dice o ciò che fa, Rea è, è stata e sarà sempre mia figlia. L’ho promesso a mia sorella, che mi sarei presa cura di lei fino alla morte, e non intendo venir meno alla promessa fatta. Era il nostro patto di sangue: l’una per l’altra, ora e per sempre. E so che ciò che vorrebbe Valeria non è che noi lasciamo sola quella bambina che amava tanto” lo sgridò. Lui sospirò.

“Hai ragione, tesoro” ammise, baciandola lievemente. Si strinsero le mani.

“Sei pronto?” gli chiese la donna, sentendo il cuore battere forte. L’uomo annuì.

“Andiamo a riportare a casa nostra figlia” le rispose, varcando il cancello.

 

  
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