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Autore: Gageta    21/09/2012    1 recensioni
Anno 1960.
Nella poco conosciuta cittadina di Snape, Inghilterra, nasce Sophie Stones.
All’apparenza una strega come tante altre, Sophie cresce insieme alla madre, aspettando il momento in cui potrà finalmente riunirsi a suo padre e fare ciò per cui è stata preparata fin da bambina: conquistare il mondo magico.
Tra magia, amicizie, amore e battaglie Sophie continuerà ad andare avanti per la via più buia finché qualcuno non la cambierà per sempre, riuscendo a smascherare il suo oscuro segreto.
«Non vi saranno altri Smistamenti alla scuola di Hogwarts» annunciò Voldemort. «Non vi saranno più Case. Lo stemma e i colori del mio nobile antenato, Salazar Serpeverde, basteranno per tutti, non è vero, Neville Paciock?»
«Non credo che siano tutti d’ accordo con voi su questo punto». […]
Sophie avanzava verso di lui, la folla che si faceva da parte per lasciarla passare. Aveva gli occhi arrossati come di chi aveva appena pianto molto e il viso stanco di chi non dormiva da giorni. Ma era tranquilla e determinata. Alzò lo sguardo verso di lui e lo guardò, fiera.
«Forse, prima di prendere decisioni affrettate, dovreste considerare alcune cose. Non credete… padre?»
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Silente, Nuovo personaggio, Severus Piton, Voldemort
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Malandrini/I guerra magica, II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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Figlia della notte

“…perché la vera magia è nel cuore di ciascuno” (1)

 

 

Parte I

Anni 1971-1981

 

 

Capitolo I

Una nuova Serpe

L

e persone strane, si sa, esistono. Il concetto di “strano” potrebbe variare da persona a persona ma chiunque si fosse aggirato nei pressi della stazione King’s Cross di Londra, quella mattina, avrebbe, senza ombra di dubbio, trovato decisamente strane la maggior parte delle persone che quel giorno affollavano l’ingresso ai binari.

Il primo pensiero che poteva passare per la testa degli ignari passanti era che si potesse trattare di qualche vacanza organizzata da agenzie di viaggio oppure di semplici convegni di moda. La prima ipotesi era piuttosto insolita dato che per la maggior parte dei lavoratori le vacanze si erano concluse da poche settimane. La seconda ipotesi, invece, sembrava piuttosto coerente con l’abbigliamento di quelle strane persone: erano per la maggior parte vestiti di lunghe vesti dei colori più assurdi e portavano dei cappelli a falde larghe di tutte le forme e dimensioni; alcuni portavano dei lunghi mantelli che sembravano veramente poco adatti per la stagione; coloro che potevano essere considerati i più “normali”, invece, portavano pantaloni e giacche ormai fuori moda.

Ciò che attirava di più l’attenzione dei passanti, però, erano i carrelli che servivano per portare i bauli. Essi erano pieni delle più insolite cianfrusaglie come calderoni vecchi e arrugginiti o nuovi di zecca scintillanti, contenitori di svariate forme, libri di ogni colore e dimensione, bilance d’ottone, d’oro o d’argento, provette di vetro o cristallo, telescopi, e in qualche carrello erano presenti anche dei manici di scopa che di tanto in tanto sembravano vibrare.

Il tutto era sottolineato da un gran caos tra miagolii di gatti affamati o nervosi, gracchiare di rospi o rane che saltavano su e giù, tubare di gufi e civette di tutte le tonalità di marrone, grigio e bianco appollaiati sui manici del carrello o nelle loro gabbiette di metallo.

Erano le dieci e mezzo del primo di settembre dell’anno 1971. Poteva sembrare un giorno qualsiasi per chiunque, ma non lo era per tutte quelle “strane” persone. Esse si trovavano lì per un motivo ben preciso. La maggior parte di quelle persone ignorava come il proprio aspetto potesse attirare l’attenzione e ignorava il motivo per cui erano indicate da alcuni passanti che ridacchiavano o bisbigliavano tra di loro.

Alle undici meno un quarto la folla cominciò a diminuire di numero fin quasi a scomparire. Nessuno si chiese che fine avessero fatto tutte quelle persone e nessuno fece caso al fatto che nessuna di esse poteva aver preso uno dei normali treni in circolazione, perché, nel breve lasso di tempo tra le dieci e mezzo e le undici meno un quarto, nessun treno aveva fatto capolinea o si era fermato alla stazione.

Quando ormai sembrava essersi tutto tranquillizzato, una donna entrò nella stazione seguita dalla figlia.

La ragazza, che doveva avere non più di undici anni, spingeva faticosamente un carrello che conteneva un grosso baule di pelle, mentre la madre teneva stretto tra le braccia un gatto di medie dimensioni. Le due donne si assomigliavano in tutto e per tutto. Sarebbero sembrate una la gemella dell’altra se non fosse stato per la differenza d’età. Erano entrambe abbastanza alte e avevano capelli neri, lisci e lunghi fino alla vita. Sembravano affannate, come di chi aveva appena corso per un lungo tratto di strada.

Le due non sembravano volersi fermare e non lo fecero neanche quando il grande orologio della stazione segnò le undici meno otto minuti, ma, al contrario, sembrarono aumentare la velocità, per quanto le loro gambe potessero permettergli.

Le due percorsero velocemente la banchina da cui partivano i binari.

« Binari uno e due, tre e quattro, cinque e sei… » contava a bassa voce la madre, mentre sfrecciavano affianco ai binari.

« Binari sette e otto, nove e dieci! Finalmente! » esclamò con un sospiro la donna. La ragazza fermò di colpo il carrello. La donna si guardò intorno nervosa e dopo essersi assicurata che nessuno le guardava, fece un segno alla ragazza che tenendo ben saldo il carrello cominciò a correre verso il punto di mezzo tra i binari nove e dieci. Aumentò sempre di più la velocità fino a quando non c’era ormai più spazio né tempo per frenare, e quando stava per andare a sbatterci contro chiuse gli occhi. Nessun muro frenò la sua corsa e quando riaprì gli occhi, si ritrovò in uno spazio del tutto uguale a quello precedente. Si affrettò a frenare il carrello e per poco non andò a sbattere contro un gruppetto di persone. Qualche secondo dopo, la madre comparve dietro di lei con un’aria soddisfatta sul volto.

Nonostante tutti i racconti e le descrizioni della madre, la ragazza rimase incantata mentre osservava lo spazio intorno a lei.

Alla sua destra una locomotiva a vapore scarlatta lanciava sbuffi di fumo che si alzavano in grosse volute verso il soffitto. La banchina era gremita di famiglie. Molti ragazzini della sua età parlavano con i genitori e li salutavano tra baci e abbracci. Alcuni di loro piangevano per la commozione e altri ancora erano già sul treno e si affacciavano dai finestrini salutando a gran voce i genitori.

Animali di tutti i tipi passeggiavano liberamente tra la gente e le voci delle persone che si mescolavano nell’aria rendevano allegra l’atmosfera.

Alla testa del treno un cartello recava la scritta Espresso per Hogwarts, ore 11, mentre un altro, attaccato a un arco di ferro battuto dietro di lei, diceva Binario 9 3/4.

La donna sorrise all’espressione stupita della figlia e si chinò verso di lei stampandole un bacio sulla guancia. « Allora… sei pronta? Il momento che avevi tanto atteso è finalmente arrivato » le disse sorridendo.

Sophie si guardò ancora una volta intorno, poi tornò con gli occhi sulla madre.

« Non sono più tanto sicura di voler partire… ».

Helena s’irrigidì un attimo, stupita dalla risposta della figlia. Poi la strinse in un forte abbraccio pieno di affetto.

« E perché? » chiese, anche se pensava di saperne già il motivo. Sophie sembrò pensarci su un attimo, poi rispose. « E se non finisco a Serpeverde? »

Helena le sorrise e le accarezzò la testa lentamente. « E perché mai non dovresti finirci? Evita di farti queste preoccupazioni, tesoro. Piuttosto, fossi in te mi preoccuperei di attraversare il lago senza cadere dalla barca ».

Sophie rimase un attimo interdetta, poi un sorriso le colorò il viso.

Un lungo fischio risuonò lungo il binario. Tutti i ragazzi si affrettarono ad allontanarsi dalle proprie famiglie e a salire in treno.

Sophie trascinò il proprio baule e con l’aiuto della madre lo caricò a bordo della vettura. Quest’ultima le passò il gatto e la salutò un’ultima volta. Sophie chiuse la porta del treno dietro di se. Tirò giù il finestrino e si affacciò. Sua madre era sulla banchina e le sorrideva raggiante.

Con un rombo il treno si mise in moto e partì, acquistando a poco a poco velocità.

Madre e figlia si salutarono fino a quando il treno non scomparve dietro ad una curva.

Con un sospiro la ragazza si avviò lungo il corridoio del treno, guardandosi intorno alla ricerca di uno scompartimento vuoto, con Lumos al seguito. Lungo il percorso s’imbatté in diversi gruppetti di ragazzi che chiacchieravano con i propri amici. Superò un paio di ragazze che dovevano essere del terzo anno perché sentì una delle due dire « Chissà se esiste un negozio di vestiti a Hogsmeade ».

Verso metà treno urtò contro un ragazzo dai capelli neri e dalla carnagione pallida, che doveva avere la sua età, ma sembrava aver fretta e non le porse neanche le sue scuse.

Trovò uno scompartimento vuoto verso la coda del treno e ci entrò. Sistemò il baule sull’apposita ringhiera e si sedette sul sedile portando le ginocchia al petto.

Lumos si sdraiò al suo fianco e cominciò a fare le fusa, cercando le sue attenzioni. Quando si accorse che la padrona non lo considerava, le diede le spalle, offeso, e chiuse gli occhi con l’intenzione di farsi una bella dormita.

Sophie guardava la campagna scorrere di là dal finestrino, senza però vederla realmente, immersa nei propri pensieri.

Anche se sua madre l’aveva messa sul ridere, lei non si sentiva in grado di scherzare. Temeva veramente di finire in una casa diversa da quella di Serpeverde. La cosa che la preoccupava di più era di deludere suo padre. Che cosa ne avrebbe pensato di lei? Sarebbe diventata la strega che le aveva sempre promesso da bambina? Anche se non lo voleva ammettere a se stessa, aveva paura. Era una brutta sensazione. Si accorse solo in quel momento di avere mal di pancia, mal di pancia per la paura. Scosse la testa, come per scacciare dalla mente i brutti pensieri e si appuntò mentalmente di non fare la stupida e di non preoccuparsi per cose così sciocche. Aveva affrontato cose ben peggiori di quella e le aveva superate senza troppi problemi. Come suo padre le ricordava spesso, aveva più coraggio di un qualsiasi altro uomo e sapeva fare cose che nessuno si sarebbe potuto immaginare, da una ragazzina di appena undici anni.

Il filo dei suoi pensieri fu interrotto da un basso ringhio. Quando si girò, vide Lumos a quattro zampe, con la schiena inarcata che guardava verso la porta dello scompartimento, soffiando piano. Sophie conosceva bene i comportamenti del gatto e sapeva che quando era in quella posizione significava pericolo, o che semplicemente, qualcuno che non conosceva si stava avvicinando alla sua padrona.

Sophie alzò lo sguardo verso la porta e vide una ragazza fare capolino. « Ehm, possiamo entrare? » disse, guardando storto il gatto.

Sophie annuì e si affrettò a prendere il gatto in braccio, prima che quello le saltasse addosso. Lumos si distese tra le sue braccia ma rimase in allerta.

La ragazza entrò seguita da un ragazzino che Sophie riconobbe subito come quello che l’aveva urtata nel corridoio.

Aiutò loro a sollevare i bauli e a metterli nell’apposita ringhiera, accanto al suo.

Quando ebbero finito si sedettero. Sophie dov’era prima, e gli altri due sui sedili al lato opposto.

Sophie si prese un po’ di tempo per osservarli. La ragazza era leggermente pallida, e dagli occhi arrossati Sophie capì che aveva appena pianto. Aveva i capelli lisci e di colore rosso scuro. Quando i loro sguardi s’incrociarono, Sophie si perse negli occhi verde brillante dell’altra e si sorprese a pensare che fossero proprio belli. La ragazza arrossì e distolse lo sguardo imbarazzata, rivolgendolo al finestrino.

Il ragazzo era molto pallido e magro. Aveva l’aria di uno che non aveva passato una bella infanzia, ma al contrario dell’altra era felice e si guardava intorno raggiante. Aveva un lungo naso adunco e dei lunghi capelli unticci che gli scendevano fino alle spalle.

Lumos soffiò di nuovo e Sophie gli accarezzò la testa per calmarlo. Il gatto però miagolò spaventato. La ragazza stava per dirgli qualcosa per farlo smettere quando un altro miagolio le fece capire il motivo del disagio del suo gatto.

La ragazza dai capelli rossi si era alzata e stava tirando giù dalla ringhiera una gabbia per gatti dalla quale tirò fuori un cucciolo di gatto nero come la pece. Come Lumos, anche il gatto della ragazza sembrava infastidito e teneva le orecchie ritte e gli occhi socchiusi, come se fosse pronto a difendere la sua padrona da un possibile attacco. I due gatti si fissarono a lungo soffiando piano.

Seguì un silenzio imbarazzato.

Alla fine il ragazzo parlò: « Non sembra che siano felici di conoscersi ». La tensione si allentò e la ragazza dai capelli rossi sorrise.

Sophie fissò il ragazzo con curiosità. Lui la guardò di rimando e poi abbassò gli occhi verso Lumos imbarazzato. Sophie sorrise mentalmente ripensando a quando la madre le aveva raccontato di come da giovane riusciva a zittire un uomo solamente guardandolo intensamente negli occhi. Pensò anche a come assomigliava alla madre e si compiacque di se stessa.

Lily intervenne. « Bé, ciao. Io mi chiamo Lily Evans e questo è il mio migliore amico Severus Piton. » poi accennando al gatto disse « e questa è Ophelia, la mia gatta. Perdonala ma non si fida degli sconosciuti. Facciamo il nostro primo anno a Hogwarts. E tu? »

Schiarendosi la voce Sophie rispose « Sì, anch’io ». « Mi chiamo Sophie e lui è Lumos » aggiunse.

Passò un altro minuto di silenzio in cui i gatti sembrarono rilassarsi e smisero di soffiare.

« In quale casa vorresti finire? » chiese il ragazzo di nome Severus.

Sophie si animò. « Serpeverde naturalmente, è la migliore. I miei genitori sono stati lì »

Severus guardò Lily sorridendo. Sembrava soddisfatto della sua risposta.

« Visto? » disse. Poi si rivolse a Sophie. « Anch’io voglio finire a Serpeverde ».

Sophie guardò Lily interrogativa. Ella arrossì chinando lo sguardo imbarazzata.

« Ehm, io sono nata in una famiglia di non maghi » disse con lo sguardo basso.

Sophie rimase interdetta. Fin da quando era piccola, le avevano sempre insegnato che i maghi e le streghe Nati Babbani non erano al livello degli altri e che non erano degni di ricevere le sue attenzioni. La ragazza s’incupì e si rivolse al ragazzo. « Anche tu un Nato Babbano? ».

Quello la guardò vagamente imbarazzato, poi bofonchiò un « no » sommesso. « Sono mezzosangue ».

Sophie sospirò sollevata. Lei era una quasi purosangue e i mezzosangue non le dovevano creare poi tanti problemi.

« C’è qualche problema? » chiese Lily scettica.

Sophie la fissò con aria di sfida. Poi strinse a se Lumos e si ripromise di non farlo giocare con l’altro gatto, come se questo potesse nuocergli gravemente.

« No, nessuno » rispose Sophie scettica. « Dopotutto non è colpa tua se sei una Nata Babbana » concluse riportando lo sguardo al finestrino. Sophie ritornò ai suoi pensieri e i tre ragazzi non si parlarono più fino alla fine del viaggio. Lily parlava a tratti con Severus, ma non si dissero nulla di rilevante.

Quando la sera stava ormai calando al di fuori del finestrino, una voce risuonò lungo tutto il treno, annunciando che erano quasi arrivati a destinazione e di cominciare a preparare la roba che avrebbero dovuto lasciare sul treno.

Sophie chiuse Lumos nella sua gabbia e la sistemò sul baule, cercando di fare in modo che non cadesse. A quel punto aprì la porta con l’intenzione di uscire nel corridoio, già affollato da altri studenti. « Ci vediamo in giro » disse rivolta ai due ragazzi che si stavano preparando dentro. Lily le rivolse uno sguardo sprezzante e le diede le spalle con la scusa di mettere Ophelia nella gabbia. Severus invece le fece un cenno con la testa in segno di saluto.

Con un altro fischio acuto il treno si fermò e la fiumana di ragazzi si accalcò sul binario buio.

Una voce possente richiamò l’attenzione dei ragazzi del primo anno, chiedendo loro di seguirlo. Era un uomo molto robusto, con una folta barba che gli ricopriva il viso. Sophie comprese subito che l’uomo che aveva di fronte era un mezzo gigante.

Scivolando e incespicando i ragazzi lo seguirono lungo uno stretto e ripido sentiero.

« Tra poco, prima panoramica di Hogwarts » annunciò Hagrid.

Il gruppo svoltò l’angolo e Sophie per poco non scivolò sulle rocce bagnate per lo stupore.

Un castello gigantesco con una moltitudine di torri e torrette si stagliava contro il cielo notturno, appollaiato in cima ad un’alta montagna. Sotto di esso si estendeva un gigantesco lago nero.

« Solo quattro per battello, mi raccomando » annunciò il vocione di Hagrid.

Solo in quel momento Sophie si accorse di trovarsi su una sporgenza che dava sul lago. Di fronte a se, la ragazza vide una flotta di piccole imbarcazioni che galleggiavano placide sull’acqua. Sophie si unì a un ragazzo dai capelli neri disordinati, con un paio di tondi occhiali, e al suo amico, seguita subito da un'altra ragazza. Quando tutti furono su una barca, quelle si staccarono dalla riva e cominciarono ad avvicinarsi a Hogwarts. Sophie tenne a mente le raccomandazioni della madre e si tenne ben stretta al bordo dell’imbarcazione, per evitare di cadere nel lago e fare così una pessima figura. Intanto la ragazza accanto a lei cominciò a chiacchierare allegramente, attirando l’attenzione degli altri, che giustamente stavano ammirando il panorama in silenzio. Questa non sembrò curarsene più di tanto e continuò imperterrita, narrando ai compagni di barca quella che pareva il giorno in cui aveva compiuto la sua prima magia. Sophie la ignorò completamente, concentrandosi sull’imponente figura del castello e immaginando il momento in cui avrebbe finalmente potuto metterci piede ed esplorarla tutta da cima a fondo.

Le barche attraversarono una cortina d’edera e un lungo tunnel buio fino ad urtare dolcemente contro la riva di una grossa scogliera. I ragazzi saltarono giù dalle barche e si arrampicarono tra le rocce, preceduti dalla fioca luce della lampada di Hagrid. Uscirono di nuovo allo scoperto sull’erba morbida e umida all’ombra del castello, salirono i grandi gradini di pietra di un’imponente scalinata e si affollarono tutti di fronte al gigantesco portone di quercia, dove Hagrid, dopo essersi accertato che nessuno si fosse perso per strada, bussò tre volte con il pugno gigantesco.

Passarono pochi istanti in cui nessuno parlò, poi la porta si spalancò e sulla soglia comparve un’alta donna dai capelli corvini e dall’espressione severa, vestita di una lunga veste color verde acido. Sorrise al mezzogigante e lo ringraziò poi si mise da parte e fece segno ai ragazzi di entrare.

Sophie sentì il nervosismo crescere dentro di lei, mentre con il cuore in gola entrava nella gigantesca sala d’ingresso, illuminata da torce fiammeggianti che lanciavano ombre sinistre sulle pareti. Di là da un’altra porta si udiva un forte brusio e Sophie intuì che si dovesse trattare del resto della scolaresca.

« Benvenuti a Hogwarts. Il mio nome è Minerva McGranitt e insegno trasfigurazione in questa scuola » si presentò la donna.

Cominciò a spiegare che cosa sarebbe successo ai ragazzi ma Sophie, che sapeva già tutto grazie a sua madre, non l’ascoltò e si concentrò invece sul resto dei suoi futuri compagni. Erano tutti nervosi: c’era chi ascoltava la McGranitt con attenzione, chi si torceva tra loro le mani sudate, chi gettava di tanto in tanto occhiate veloci alla porta della Sala Grande (anche di questo Sophie sapeva già) e chi invece non l’ascoltava proprio, come lei. Sophie si accorse con un sussulto che un ragazzo la stava osservando. Era abbastanza alto, aveva dei capelli neri abbastanza lunghi e gli occhi di un castano brillante sembrarono perforarla da parte a parte. Sophie strinse gli occhi e lo guardò di sottecchi. Al contrario di Severus, lui non distolse lo sguardo ma le sorrise, mostrando i denti di un bianco smagliante. Il volto di Sophie si trasformò in una smorfia disgustata mentre tornava a guardare la McGranitt che aveva finito di parlare e stava dicendo ai neo studenti di disporsi in una fila ordinata. Tutti ubbidirono e Sophie si ritrovò al fianco della ragazza della barca che si era zittita e si guardava intorno eccitata.

La porta della Sala grande si spalancò e i ragazzi avanzarono all’interno.

Sophie dischiuse la bocca in un sorriso mentre tutti spalancavano la bocca stupiti. La sala, come le aveva spiegato sempre Helena, non dava sul cielo esterno, come molti avrebbero potuto pensare, ma era stato incantato perché lo rispecchiasse alla perfezione. Quella sera era di un bel blu scuro, punteggiato di piccoli e splendenti puntini bianchi: le stelle. A mezz’aria galleggiavano migliaia di candele accese che illuminavano, insieme a numerose torce alle pareti, i visi degli studenti e i lunghi tavoli cui sedevano. Erano quattro, uno per ogni Casa. Sophie riconobbe subito il tavolo dei Serpeverde, punteggiato qua e là dai colori verdi e argento dei mantelli degli studenti.

La McGranitt si fermò davanti al tavolo dei professori, in fondo alla sala, e sistemò un vecchio cappello tutto rattoppato su uno sgabello. Dopo qualche istante di silenzio si aprì uno strappo nella stoffa e con gran sorpresa dei nuovi ragazzi il cappello cominciò a parlare.

Il discorso non durò molto e il cappello specificò le doti richieste da ciascuna delle quattro Case: coraggio e generosità per Grifondoro, lealtà e pazienza per Tassorosso, intelligenza e saggezza per Corvonero, ambizione e astuzia per Serpeverde. Sophie rabbrividì all’ultimo nome e l’ansia della mattina la assalì di nuovo.

Quando il Cappello Parlante terminò il suo discorso, la sala scoppiò in un applauso fragoroso cui Sophie partecipò con scarsa convinzione.

La professoressa McGranitt aspettò pazientemente e quando tornò il silenzio, srotolò un lungo rotolo di pergamena. Spiegò brevemente che cosa sarebbe successo ai ragazzi del primo anno e poi cominciò.

Sophie sentì qualcosa cominciare a pesargli sullo stomaco e strinse i pugni imponendosi di rimanere calma.

« Ameline Marion! »

Una ragazzina dai capelli riccioli e bruni si avvicinò allo sgabello e si sedette. Il cappello le calò sulla testa e dopo qualche secondo gridò:

« CORVONERO! ».

Il tavolo dei Corvonero esultò e batté forte le mani mentre la ragazza si andava a sedere.

« Avery Charon »

Fu il primo Serpeverde dell’anno e Sophie lo applaudì insieme con gli altri.

« Black Sirius! »

Sophie osservò il ragazzo che le aveva sorriso poco prima, avanzare verso il tavolo degli insegnanti e sedersi. Sophie conosceva il suo cognome: era una delle poche famiglie purosangue ancora in circolazione e sua madre si era spesso lamentata a proposito di una di loro, o forse uno… non se lo ricordava. Sapeva che la famiglia Black era solita vantarsi, oltre alla purezza del proprio sangue, del fatto che tutti i propri membri fossero stati smistati a Serpeverde. Sbuffò, mentre realizzava che avrebbe dovuto conoscere il ragazzo. Poi s’irrigidì al pensiero che forse non ce ne sarebbe stato bisogno, perché non era per forza detto che dovesse finire a Serpeverde pure lei.

Ci fu un lungo silenzio e infine, tra lo stupore generale, il cappello gridò:

« GRIFONDORO! ».

Il tavolo dei Serpeverde rimase impietrito mentre quello dei Grifondoro applaudì allegramente.

Il ragazzo, del canto suo, sembrava felice e si unì ai Grifondoro con piacere. Sophie lo osservò attonita e si chiese perché mai dovesse essere contento alla notizia di aver appena violato la tradizione di famiglia. Scosse la testa tornando a preoccuparsi dello smistamento e dei suoi problemi.

Dounby Rose, che Sophie riconobbe come la ragazza chiacchierona, fu smistata a Serpeverde e Gaius Anne fu la prima Tassorosso.

« Evans Lily! »

La ragazza dai capelli rossi del treno salì i gradini di pietra con le gambe incerte e si sedette sullo sgabello traballante. Con la coda dell’occhio Sophie notò Severus torcersi le mani nervoso mentre il cappello le calava sugli occhi.

Un secondo dopo essersi posato sulla chioma rosso scuro il cappello urlò « GRIFONDORO! »

Sophie ghignò al flebile gemito di delusione del ragazzo e osservò la ragazza correre verso il tavolo dei Grifondoro. Ma a metà strada si fermò e si voltò verso di loro, rivolgendo a Piton un rapido sguardo e un sorrisino triste. Quando raggiunse il tavolo, Black le fece posto sulla panca ma Lily, dopo averlo guardato, incrociò le braccia e gli voltò le spalle con decisione, andando a sedersi più lontano.

Anche Lupin Remus, un ragazzo dall’aspetto malaticcio, fu smistato a Grifondoro e lo seguirono anche una certa McDonald Mary, McKinnon Marlene e Minus Peter, un ragazzo mingherlino che si sedette allo sgabello tremando.

« Mulciber Adam! »

Un ragazzo dall’aria tutt’altro che simpatica si andò a sedere sullo sgabello.

« SERPEVERDE! »

Quando ormai erano rimasti solo una dozzina di ragazzi, la McGranitt chiamò:

« Piton Severus! »

L’interpellato si fece avanti e si lasciò cadere sullo sgabello.

« SERPEVERDE! »

Sophie lo seguì con lo sguardo mentre si sedeva al tavolo dei Serpeverde e un ragazzo biondo con una spilla da Prefetto gli dava una pacca sulla schiena, facendolo sedere accanto a sé.

Potter James fu l’ennesimo Grifondoro e si sedette al loro tavolo con spavalderia, come se gli appartenesse, salutando Black con un gran sorriso.

« Stones Sophie! »

Alla ragazza mancò un battito e guardò il Cappello Parlante tremando lievemente. Poi si calmò, si fece forza e raggiunse lo sgabello. Sentì la McGranitt calcargli il cappello sulla testa e chiuse gli occhi, deglutendo a fatica.

Uhm… hai una bella testa ragazza. Vorresti finire a Serpeverde? Bé, credo di doverti accontentare. Però… no, va bene « SERPEVERDE! »

Sophie tirò un sospiro di sollievo e riconsegnò il cappello alla McGranitt per poi girarsi e andare verso il tavolo che stava applaudendo forte. Sorrise a Severus e gli si sedette di fronte. « Serpeverde! Contento? » gli chiese. Il ragazzo la guardò e annuì lentamente mentre un certo Wilde Elia veniva smistato a Tassorosso. (2)

« Hei! Quanto entusiasmo, ragazzo! ». A parlare era stato un ragazzo dai capelli scuri e anche piuttosto carino (Sophie si pentì di pensare una cosa del genere) che doveva essere del quinto o sesto anno. Sorrise ai due e cominciò a rigirarsi il bicchiere dorato tra le dita. « Mi chiamo Rabastan, e fossi in te, sarei abbastanza contento ».

« Già, avresti preferito finire tra i Grifondoro? » ribadì il ragazzo biondo con la spilla da Prefetto.

Severus rabbrividì impercettibilmente.

« O peggio, i Tassorosso? » rise un altro della stessa età, ma s’interruppe quando nel resto della sala si fece di colpo silenzio.

Sophie fece scorrere lo sguardo per il tavolo dei professori e vide che il preside si era appena alzato.

Lo conosceva abbastanza bene. Si chiamava Albus Silente e nella sua infanzia i genitori non avevano fatto altro che ripetergli di non dargli mai troppa confidenza. Suo padre, poi, le aveva espressamente vietato di parlargli e anche solo di guardarlo negli occhi. Il tono con cui glielo aveva detto, qualche giorno prima di partire per Hogwarts, l’aveva fatta rabbrividire. Sembrava che ci tenesse tanto e Sophie si era messa in testa di non deluderlo. Così, quando Silente percorse con lo sguardo la sala, abbassò gli occhi sul suo piatto e ascoltò le sue parole senza prestargli molta attenzione.

« Do’ il mio caloroso benvenuto agli studenti del primo anno e il bentornato a quelli dal secondo in su. Mi dispiace dovervi intrattenere per molto ma devo darvi i soliti avvertimenti d’inizio anno ». Cominciò. « Prima di tutto devo ricordare che l’accesso alla Foresta Proibita è, per l’appunto, severamente proibito. Com’è naturale che sia, è vietato fare gare di magia nei corridoi nelle pause tra una lezione e l’altra.

« Infine chiunque sia interessato ad appartenere alla squadra di Quidditch della propria casa è pregato di rivolgersi al signor Boris o agli eventuali capitani ». Il suo sguardo vagò per la sala e si soffermò nuovamente sulle facce per niente interessate a ciò che stava dicendo degli studenti, se non per qualche rara eccezione. Sorrise. « Beh, buon appetito! ». Detto ciò batté le mani e i vassoi si riempirono delle più gustose cibarie.

Sophie passò una delle cene più belle della sua vita. Chiacchierò allegramente con Severus e con molti altri ragazzi del primo anno. I ragazzi più grandi spiegarono loro alcune cose e Sophie li ascoltò affascinata, soprattutto Rabastan. Quello poi sembrò trovarla in simpatia e parlarono insieme delle lezioni, soffermandosi su Difesa contro le Arti Oscure.

Quando la cena finì, Sophie si accorse di essere molto stanca. Seguì il Prefetto biondo insieme agli altri del primo anno, con le palpebre pesanti. Rimase un attimo affascinata dalla Sala Comune, ma non vi si soffermò più di tanto. Seguì le altre ragazze della sua età su per una scala che portava ai dormitori. Individuò subito il suo letto e il suo baule grazie alla gabbia di Lumos che, notò perplessa, era aperta, e grazie al gatto, che stava placidamente dormendo sul suo letto. Si mise velocemente il pigiama, spostò senza troppe moine l’animale e si lasciò cadere pesantemente sul materasso.

Si addormentò quasi subito, pensando al primo giorno di scuola che l’attendeva l’indomani.

 

Note:

1_ Vi chiedo di memorizzare questo sottotitolo perché comparirà nuovamente più avanti. Non lo metterò a tutti i capitoli perché mi da un po’ fastidio vederlo sempre lì. Mi è venuto così, ma mi sembra di averlo già sentito da qualche parte.

2_ Note sullo smistamento: Ameline Marion me la sono inventata.

Ho sfogliato il dizionario dei nomi inglesi per cercare un nome ad Avery (dato che di lui sappiamo solo il cognome) e l’ho chiamato Charon, che tradotto sarebbe Caronte. Mi sembra che suoni abbastanza bene e mi piaceva il collegamento con il traghettatore di anime della Divina Commedia. Anche il nome Adam è inventato. Non ha nessun riferimento (anche se si potrebbe pensare ad Adamo ed Eva – ma non lo fate, non centra niente -) ma mi piaceva.

Rose Dounby è inventata anche lei. A parte il nome, il cognome l’ho preso da una cartina geografica dell’Inghilterra.

Gaius Anne invece non è del tutto inventata. Nel capitolo della Pietra Filosofale in cui Harry viene smistato compare anche una certa Gaius Sally Anne ma poi viene completamente snobbata in tutto il resto della saga. Siccome il suo cognome somiglia molto a Gaia, il mio nome, siccome mi ha fatto pena per il fatto che non venisse più nominata e siccome avevo bisogno di qualche Tassorosso (che tra parentesi vengono snobbati un po’ anche loro) ho voluto inserire qua una che le assomiglia. Tanto non credo di fare torto a nessuno con questa mia decisione.

Anche Elia Wilde è di mia invenzione e ho voluto con questo citare il celebre scrittore di nome Oscar.

Nel settimo libro si fa un accenno allo smistamento di Piton & Co. Siccome è stata tradotta dall’inglese, Potter viene smistato prima di Piton (Snape). Siccome questa storia la scrivo io che sono italiana, ho voluto invertirli.

 

Angolo autrice:

Ed eccomi tornata con il primo capitolo della storia. Ho mantenuto la promessa e questo è più lungo del precedente di ben 3852 parole (contatore di Word) ed è quindi di 4674 parole. Magari a voi non interessa, ma a me piace vedere di volta in volta quante parole scrivo. Quindi ogni tanto vi metterò il numero di parole (senza naturalmente contare quelle delle note e delle Nda), magari quando sarà un numero strano, o quando batterò il mio record personale (che per adesso è quello di questo capitolo) :D

Sorvolando su questo spero che il capitolo vi sia piaciuto. Con questo ho presentato la maggior parte dei personaggi che vedremo nella storia. O meglio nella prima parte della storia. Se non lo aveste notato, infatti, all’inizio del capitolo ho messo un’indicazione che spero terrete a mente (insieme al sottotitolo, che è abbastanza importante anche quello). Questa è solo la prima parte della storia, che va dagli anni 1971 al 1981. Lascio a voi il compito di spaziare con la fantasia (cosa che credo non farete, a meno che non siate veramente interessati alla storia).

Scrivendo mi sono venuti molti dubbi che leggendo la saga non mi erano mai passati per la testa. Per prima cosa mi piacerebbe tanto sapere l’anno di nascita di Lucius Malfoy. No perché, su Wikipedia (sito a cui mi affido pienamente), mi dice che è nato nel 1954 e quindi nel 1971 dovrebbe avere 17 anni e dovrebbe frequentare il suo ultimo anno a Hogwarts. Il problema è che nel settimo libro, nei ricordi di Piton, si dice che ha una spilla da Prefetto. E allora mi chiedo, che cavolo di età ha? Anche perché mi pare che al settimo anno i prefetti divengano capiscuola. Se per caso non riuscissi a sbrogliare questa matassa mi arrangerò attenendomi alla Rowling e dando a Lucius un anno in meno di vita, ovvero facendolo diventare del 1955 (anche se mi passerebbe per la testa di metterlo al 1954). Ho reso Rabastan Lestrange un suo coetaneo (visto che di lui non sappiamo la data di nascita), tanto per dare qualcosa in più alla storia (ho recentemente scoperto che nessuno dei personaggi più o meno importanti, oltre ai protagonisti, ovvio, frequenta Hogwarts in quegli anni) ;)

Ah già, quasi dimenticavo. Devo dirlo: nel capitolo troverete alcune citazioni prese dalla Pietra Filosofale e anche dai Doni della Morte (ricordi di Piton). Sono messe lì volontariamente, per rendere omaggio alla cara zia Jo :)

Quando Harry va a Grimmuld Place e trova la lettera di sua madre, scopre di aver avuto un gatto. Ho pensato di dare questo gatto a Lily e ringrazio mia nonna per il suggerimento del nome (che a me piace tantissimo!!!).

Bene, spero di aver detto tutto. Mi piacerebbe che recensiste. Lo so che questa frase e monotona e viene spesso ripetuta da molti, ma mi piacerebbe tanto sapere che cosa ne pensate.

Vi ricordo che questa storia è la rielaborazione di quella intitolata Sophie Stones, arrivata al sesto capitolo e poi fermatasi per ben sei mesi.

Potete venire a trovarmi sulla mia nuova pagina Facebook: http://www.facebook.com/Gageta98?ref=hl (è piuttosto nuova e per ora ha solo pochi “mi piace” di alcuni miei generosi amici).

Grazie per l’attenzione e vi saluto al prossimo capitolo, Gageta98.

   
 
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