Crossover
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Autore: Registe    22/09/2012    3 recensioni
Seconda storia della serie "Il Ramingo e lo Stregone". Sono passati tre anni dagli avvenimenti narrati ne "Il Castello dell'Oblio", e i membri dell'Organizzazione hanno perduto gran parte dei loro poteri e sono ridotti a vagare per il loro mondo primitivo come vagabondi o ladruncoli qualunque. Auron e Mu invece si sono uniti alla Resistenza contro il Grande Satana, anche se Auron non e' ancora riuscito a dimenticare la breve storia d'amore vissuta con Zachar tre anni prima. Nella Galassia Mistobaan, ancora sotto l'influsso del condizionamento, e' diventato il fedele braccio destro dell'Imperatore. Ma il Grande Satana non intende rimanere a guardare, e tentera' con ogni mezzo in suo potere di riprendersi il suo servitore...
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anime/Manga, Film, Libri, Telefilm, Videogiochi
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 12 - Le fiamme della fenice


Baran 2

Baran




Non devo guardare giù.
Non devo guardare giù.
Forse non devo guardare e basta!

Strinse i denti e cercò di controllare l’attacco di panico che lo avvolse dalla testa allo stomaco.
“Axel, emana UNA SOLA fiamma e giuro che prima di sfracellarmi a terra uso la falce di Marly per tagliarti le mani e ficcartele in gola una dopo l’altra”
Come se fosse facile …
I momenti in cui perdeva il controllo del proprio elemento era proprio quando era nervoso, furioso o in preda al panico, un po’ come tutti i maghi elementali; aveva perso il conto delle volte che aveva affumicato senza volerlo i boccoli di Marluxia durante le loro litigate, ma in quel momento era di vitale importanza trattenersi. Da quando quella botola maledetta si era aperta aveva perduto il senso del tempo, e quando si era risvegliato la situazione era, se possibile, peggiorata ulteriormente. Lui e Larxen si trovavano prigionieri in quella che sembrava una versione gigante delle reti da pesca che usavano gli abitanti dei villaggi per catturare i pesci di fiume, con gli stessi fastidiosi nodi e persino lo stesso odore di muffa. E, come tutte le reti del mondo, era composta da fasci di corde intrecciate.
Il che per lui sarebbe stato un vantaggio se la suddetta rete non fosse stata appesa sul versante inferiore del Baan Palace, legata ad esso solo da una corda fin troppo sottile per i suoi gusti e soprattutto con numerose centinaia di metri da un lago, un’enorme massa del suo elemento opposto che sembrava fissarlo con le sue acque.
Una folata di vento li fece dondolare in avanti ed indietro, e gli scricchiolii della corda sovrastante gli sembravano centinaia di gatti che graffiavano su uno specchio.
“Beh, di sicuro quel mascherone vuole tenerci in serbo per dopo che avrà ucciso l’armadio e tavola da surf!”
“Perché la prospettiva non mi entusiasma affatto…?”
“Perché ti caghi sempre sotto, ecco perché!”
“Certo, perché tu ti stai divertendo a penzolare come un salame affumicato in attesa del macellaio, vero?”
“Sì, perché voglio essere IO a squartare il macellaio!”
Ma perché continuo a darle retta?
La n. XII non stava facendo alcuno sforzo per contenere il suo elemento, come se la situazione la divertisse o la rendesse comunque calma; non vi era alcuna elettricità nell’aria. Axel si morse l’interno delle guance e cercò una soluzione, qualunque sarebbe andata bene, ma il calore dentro il suo corpo premeva e chiedeva d’uscire in risposta alla sua paura. Era un meccanismo di difesa fin troppo efficace, e per un attimo si chiese se quell’essere mascherato che li aveva imprigionati lì dentro avesse calcolato la sua reazione, rendendolo più simile ad una mosca in trappola che ad un essere umano. E la presenza di Larxen e di una gigantesca falce tra le maglie della rete contribuiva solo ad aumentare il suo nervosismo. Persino le proprie armi, rimaste invischiate lì dentro, vibravano in attesa del potere del fuoco “Forse potrei uscire dalle maglie ed arrampicarmi su per la corda. Certo, una volta lì non ci sono appigli, però sarebbe divertente …!”
Ignorò Larxen ed i suoi movimenti.
Chiuse gli occhi e cercò di immaginarsi di essere in un luogo, un qualsiasi altro luogo: con il vento che ancora gli frastornava nelle orecchie pensò a se stesso nel suo comodo, accogliente e caldissimo letto al Castello dell’Oblio, sotto uno strato di almeno dieci coperte di lana ed il fuoco acceso che lo salutava come una mano rossa dal camino. I movimenti violenti al suo fianco non era Larxen che armeggiava tra i nodi delle corde, ma Saïx con il suo passo fermo che andava su e giù per la stanza vicina in attesa che calasse il sole per poi attingere dalla luna i suoi poteri.
No. Il semplice pensiero di Saïx distrusse la sensazione di calma che si era creata in pochi minuti e represse in tempo la fiamma che stava per formarsi tra le dita. Axel, calmati. È morto. È morto.
“Roscio di merda, se hai deciso di morire dimmelo che ti impalo subito! Quando il mascherone verrà a prendermi non gli darò la soddisfazione di farmi trovare come un pesce nella rete, nossignore! Nessuno appende la Ninfa Selvaggia come un prosciutto!”
Un prosciutto.
Un bellissimo e grasso prosciutto …

Avrebbe dato qualsiasi cosa per far esplodere il fuoco che aveva dentro in un solo colpo. Respirò a pieni polmoni fingendo che le bestemmie di sottofondo di Larxen fossero solo cinguettii di uccelli selvatici e si immaginò di nuovo di essere nel suo bel letto con tra le mani il più grosso prosciutto e la più strabiliante forma di formaggio che avesse mai assaporato nella sua vita. Tutti e due affumicati, proprio come li preferiva. Se si fosse concentrato ancora un po’ avrebbe potuto sentire persino lo strimpellare del n. IX dal piano di sotto e le parole di qualche sua nuova composizione, ma lasciò che fossero le proprie papille gustative ad essere ingannate, immaginando il lauto pasto tra i suoi denti. E l’attimo dopo nella sua stanza entrò Roxas.
No … non adess …
Il ricordo partì.
La scarica glaciale gli attraversò la testa mentre la scena prendeva vita contro la sua volontà, come la maggior parte delle volte che pensava a lui per più di qualche secondo.
E quando iniziava non si fermava fino a quel momento …
La scena tornò precisa come cinque anni prima, con la stanza del Castello dell’Oblio che aveva perso qualsiasi tocco di bianco ed era diventata grigia e nera, con macchie brune in tutti i punti in cui le proprie sfere infuocate avevano mancato il bersaglio e si erano abbattute sulle pareti. Nel cuore aveva abbastanza rabbia che avrebbe dato fuoco a quel luogo intero, ma doveva conservare le sue forze per il traditore. Il rivolo di sangue scivolò preciso come tutte le altre volte, gli attraversò l’occhio sinistro e gli rimase all’angolo della bocca, ma se avesse sollevato il braccio per asciugarlo avrebbe dato al ragazzino un varco sufficiente da farlo a pezzi. Lui era lì, con quell’espressione beffarda che lo meravigliava e lo disgustava tutte le volte che riviveva quella scena, ma prima che potesse cercare di controllarsi il duello riprese vita.
Era in vantaggio, ma non doveva abbassare la guardia. Conosceva i Keyblade di Roxas troppo bene per non sapere che erano in grado di creare una breccia tra i suoi chackram e la barriera di fuoco se gliene avesse dato l’opportunità. “Ti aspettavi sul serio che aderissi al vostro complotto?” disse Roxas.
“No. Ma non mi aspettavo nemmeno che mi tradissi in questo modo”
Spinse tutto l’odio e lo schifo di quel momento contro il pavimento rendendolo più incandescente della lava, e la mossa distrasse il suo nemico al momento giusto. Trovò lo spazio e lanciò il chackram sopra il braccio abbassato in posizione di difesa e lo colpì al petto; l’attimo dopo il fuoco esplose.
Il battito del cuore aumentò come mai. Spinse tutta la propria fiamma difensiva contro le sue braccia, inebriato dal fumo, dalle scintille rosse e soprattutto dall’odore della carne bruciata che prendeva fuoco proprio sotto la sua morsa. Adesso lo vedeva per quello che era, il bastardo traditore, poteva osservare quella faccia da angelo con i grandi occhi blu decomporsi in un sorriso perfido che distrusse con un pugno ben assestato. Le fiamme avvolsero tutto il suo corpo e risposero al senso di vittoria che provava, la gioia di sopprimere la persona che aveva considerato il suo migliore amico fino a poche ore prima. “Un ultimo desiderio, traditore?”
Quello rispose con uno sputo, e la fine del ricordo si sprigionò senza che Axel potesse fare qualcosa per contenerla. La fiamma uscì da tutto il suo corpo e si propagò in quello dell’altro alimentata dall’odio, dall’amarezza e dalla delusione; lo inchiodò a terra e lo tempestò di fuoco, avvampando loro due e l’intera stanza finché di Roxas non rimase altro che qualcosa di carbonizzato che a malapena sembrava un corpo umano mentre i suoi Keyblade scomparvero in due raggi di luce. Non sapeva descrivere se fosse davvero felice di ciò che era appena successo.
“AXEL, COSA STAI FACENDO, BRUTTO …!”
Troppo tardi.
Avvampò insieme al ricordo come era avvenuto altre volte, e prima che riuscisse a riprendere la concentrazione si era avvolto in una palla di fuoco protettiva che consumò le corde della rete in pochi istanti. L’ultima imprecazione di Larxen fu coperta dal suo stesso urlo, e quando la rete sotto di lui si aprì allungò il braccio e si aggrappò alla prima cosa che trovò.



Finalmente giunsero in vista della terrazza, in cima a un'ultima rampa di scale. Gli dèi avevano guidato i loro passi e protetto il loro cammino, perché non avevano incontrato nessun demone lungo la strada, nessun mostro si era parato sul loro percorso.
Non appena i tre sacerdoti sbucarono sulla terrazza il vento li investì in pieno. Camus si scostò i capelli dalla faccia, cercando di dare un'occhiata in giro. Anche lì nessuna traccia di demoni, ma a pochi metri da loro, aggrappata con gli artigli al parapetto che dava sul vuoto, c'era una viverna. Doveva essere l'animale con cui Auron, Mu e Shaka erano arrivati sul Baan Palace.
“Auron non c'è ancora!”
“Vorrà dire che lo aspette...”
Avvenne tutto in un istante: un sibilo squarciò l'aria, che divenne ardente e iniziò a crepitare, e Camus si sentì trascinare a terra, finendo con la guancia contro il marmo del pavimento. Poi un boato.
“CRYSTAL WALL!!”
La sensazione di calore svanì così com'era venuta. Camus gemette per il dolore e cercò di mettersi a sedere, ma un braccio di Mu lo tratteneva contro il pavimento. Sopra di loro, la cupola eterea e violetta del Muro di Cristallo era l'unica cosa che li separava da una coltre di fiocchi di cenere e frammenti di brace ancora in fiamme che avevano tutta l'aria di essere gli ultimi residui di un potente incantesimo. Sul muro esterno del palazzo, vicino a dove poco prima c'erano le loro teste, si apriva un grosso buco nero. La viverna volteggiava nel cielo a distanza di sicurezza, emettendo strida preoccupate.
“Mu, grazie... ottimi riflessi...”
“Ma da dove è venuto...? “
Rimettendosi pian piano in piedi, Shaka indicò un punto in alto, in lontananza. Camus aguzzò gli occhi oltre il velo del Muro di Cristallo, e su una terrazza ancora più alta della loro, all'estremità sinistra del gigantesco palazzo, finalmente li vide.
O meglio vide la luce incandescente dei loro incantesimi tingere le nuvole di toni sanguigni, udì il fragore lontano e martellante del loro scontro. Le due figure che combattevano sulla terrazza si distinguevano a stento tanto erano distanti.
“Dèi onnipotenti, abbiate pietà di noi...”
Nessuna palla di fuoco, neanche quella di un demone, poteva arrivare a quella distanza ancora al massimo della sua potenza.
“Non può essere... il Cavaliere del Drago...”
Il Cavaliere del Drago. L'essere più potente del loro mondo. Lo sterminatore del Tempio delle Dodici Case.
La leggenda, talmente antica da perdersi nelle tenebre delle origini, narrava che il Cavaliere veniva inviato sulla terra dalla Madre Drago ogni volta che il mondo attraversava una fase di crisi. Suo compito era proteggere la pace, garantire l'equilibrio. In lui scorreva il sangue di umani, demoni e draghi, le tre razze del pianeta. Era una creatura neutrale, superiore agli odi e ai conflitti.
La leggenda sbagliava. Nessun umano aveva mai visto un Cavaliere del Drago prima del Generale Baran, ma questi si era schierato palesemente dalla parte dei demoni. E invece di risolvere i conflitti contribuiva solamente a causarne di nuovi. E ora... e ora proprio lui, il “difensore della pace”, si era macchiato dell'assassinio dei suoi confratelli.
“Sta combattendo contro qualcuno...” sussurrò Shaka, anche lui incredulo. “...o qualcosa.”
“Nessuno nella Resistenza potrebbe farcela contro il Generale Baran per più di pochi secondi” disse Mu con un filo di voce. “Nemmeno Dai. Chiunque sia, non è uno dei nostri.”
Le due figure si distinguevano a stento tanto si muovevano rapide, e una dava addirittura l'impressione di cambiare forma di continuo. La danza che intessevano tra le nuvole e i bagliori degli incantesimi aveva un qualcosa di ipnotico; a Camus sembrava che i suoi occhi fossero pezzi di ferro attratti da una calamita, perché non riusciva a staccare lo sguardo dai duellanti, terrorizzato e affascinato allo stesso tempo.
“Qui siamo troppo esposti.” la voce di Shaka ruppe l'incanto. “Rientriamo!”
Lo seguirono.
Solo quando furono di nuovo all'interno, sulla rampa di scale, Camus fece caso alla grossa chiazza rossastra sull'avambraccio di Mu. Il suo confratello continuava a passarvi la mano sopra, i denti stretti per il dolore.
“Fai attenzione Mu, è un'ustione! Lascia fare a me!” lo fece sedere su uno scalino e rapidamente evocò la magia del ghiaccio, creando un'aura fredda attorno alla sue dita, che fece scorrere su e giù lungo l'area colpita del braccio di Mu, senza sfiorare la pelle.
“Per fortuna non è nulla di grave. Hai avuto davvero degli ottimi riflessi, Mu. Non è nemmeno un secondo grado. Purtroppo non ho né bende né pomate, ma se non altro con il ghiaccio riusciremo ad arginare l'infiammazione. Potrebbero crearsi delle bolle nelle prossime ore o giorni, ma non appena saremo fuori di qui...”
“Te ne intendi...” fece Mu respirando pesantemente, sollevato dal contatto con il freddo.
“Mi hanno insegnato bene.” rispose semplicemente lui, senza dilungarsi. Qualcos'altro aveva attirato la sua attenzione. Shaka era ancora di fronte all'uscita sulla terrazza, gli occhi chiusi rivolti in direzione del combattimento lontano.
Aveva la fronte corrugata, un'ombra cupa oscurava quei lineamenti che Camus ricordava come lo specchio perfetto della serenità.
Lo capiva.
Shaka aveva vissuto di persona la distruzione del Santuario. Aveva visto il figlio della Madre Drago calare dal cielo e seminare la morte tra i suoi fratelli, gli edifici sacri che un tempo si erano eretti bianchi e perfetti a gloria degli dèi crollare in pezzi, aveva sentito le grida di dolore dei compagni caduti. Per Camus era stato un dolore indicibile anche solo immaginare la devastazione e gli orrori, chiuso nel buio della sua cella. Non riusciva nemmeno a concepire quanto avesse sofferto Shaka, costretto ad assistere impotente alla carneficina, senza poter muovere un dito per difendere coloro che amava. Eppure il sacerdote della Vergine portava il dolore con dignità, senza che il suo spirito ne restasse intaccato, nemmeno ora che l'assassino dei loro confratelli era così vicino.
Devo prendere esempio da lui.
Non era facile. C'era quel pensiero che non aveva mai smesso di tormentarlo sin da quando era stato rinchiuso nella cella, nemmeno nei momenti terribili in cui aveva fatto i conti con il proprio condizionamento; un pensiero illogico, infondato, ma che erodeva la sua mente come un tarlo. Un tarlo doloroso.
E' colpa mia.
“Qualcosa ti turba, Camus?
Sussultò. Shaka era rivolto verso di lui ora. Aveva dimenticato l'acutezza con cui il suo confratello riusciva a leggere negli animi della gente; il suo tono era gentile, sinceramente preoccupato. Inaspettatamente sentì un groppo di lacrime salirgli su per la gola. Gli erano mancati. Eccome se gli erano mancati. Mu, Shaka... e tutti gli altri. Tutti gli altri fratelli che avrebbe rivisto solo tra migliaia di cicli della reincarnazione, nella luce del Nirvana. Sarebbe dovuto essere un pensiero confortante... ma era troppo presto. Il dolore era ancora troppo vivo. E lui non aveva ancora neppure pianto per loro.
“Non credo che sia il momento giusto per parlarne...”
“I dubbi e le paure che minacciano la nostra anima sono più importanti dei pericoli che corre il nostro corpo.” lo incoraggiò Shaka.
“Ma non possiamo restare qui...”
“Se ci allontaniamo poi Auron non ci troverà mai” intervenne Mu, che dopo il primo soccorso prestato da Camus stava decisamente meglio. “Se ci mettiamo a girare a caso per il Baan Palace rischieremo solo di farci uccidere. Restiamo qui: se arriva qualcuno corriamo alla viverna e fuggiamo.”
Shaka fece un lieve cenno di assenso con il capo, poi sorrise incoraggiante in direzione di Camus.
“Libera pure il tuo cuore, fratello mio. Sei stato solo per tanto tempo, ma ora noi siamo con te.”
E finalmente le lacrime sgorgarono, liberatorie.
Se le era portate dentro per troppo tempo da quando il GSB aveva pronunciato la sentenza di morte per i suoi confratelli, in quei giorni bui e orribili nella cella, tra le percosse e le insinuazioni maligne di padron Marluxia, tra gli insulti di padron Vexen e il gelo nero della sua disperazione. Aveva resistito a tutto, ma ora... ora crollò. E fu una liberazione.
“E' colpa mia” disse semplicemente, tra un singhiozzo e l'altro. “Se il GSB non avesse catturato me... se fossi stato più attento e avessi nascosto la mia armatura, a quest'ora il Tempio...”
La mano di Shaka si posò gentilmente sulla sua spalla. “Non farti colpe per ciò che non dipende da te. Mu mi ha raccontato che eri sotto l'effetto di un condizionamento mentale. E poi non avevi idea del patto che noi al Tempio avevamo stipulato con il GSB... e so che se lo avessi saputo ti saresti disfatto dell'armatura, condizionamento o meno. Su questo non ho dubbi, fratello mio. Tu non hai nessuna colpa, e gli dèi lo sanno.”
“La colpa è di padron Vexen che ti ha condizionato, tu non c'entri nulla...” disse Mu dandogli una lieve stretta al braccio in segno di incoraggiamento.
Scosse la testa. Padron Vexen... aveva tante colpe, ma del Tempio sapeva poco o nulla. Era una vittima del GSB tanto quanto loro.
Si chiese dove fosse in quel momento, e pregò gli dèi perché lo proteggessero. Sentiva che era ancora vivo, da qualche parte nel Baan Palace: se la trappola del cinque di picche fosse stata designata per uccidere gli avrebbe sparato un incantesimo offensivo o qualcosa del genere, invece lo aveva solo fatto sparire. E poi al GSB non conveniva che morisse. Non subito, almeno.
In fondo, io devo ringraziarlo...
Nel momento di crisi più profonda, quando credeva di aver perso tutto, padron Vexen era l'unica cosa che gli era rimasta. Aveva bisogno di aiuto, e Camus era l'unico a poterglielo dare. E facendolo aveva trovato un nuovo scopo per se stesso. Aveva riscoperto il vero significato di essere sacerdote.
Non posso abbandonarlo... i miei confratelli non lo vorrebbero. Non ho saputo proteggere loro, non posso voltare le spalle anche a lui...
“Fatti coraggio, Camus.” la voce di Shaka era ferma e confortante. “Nessuno dei nostri confratelli ti ha mai considerato la causa della loro disgrazia, sappilo. Non hanno mai smesso di pregare per te, fino alla fine. Poco prima che il Cavaliere del Drago calasse su di noi Milo mi ha detto di essere felice che tu non fossi lì, e che era sicuro che gli dèi avessero un destino speciale in serbo per te. Non disonorare la sua memoria e quella degli altri accusandoti ingiustamente. Hai perdonato la persona che ti ha condizionato, trova la forza di perdonare anche te stesso.”
Al sentir nominare il suo amico più caro dei tempi del Santuario Camus sentì le lacrime affacciarsi di nuovo ai suoi occhi, ancora più impetuose, e si lasciò andare al pianto con la fronte poggiata sulla spalla di Shaka.
“Sfoga pure il tuo dolore, fratello mio. Quando le lacrime si saranno asciugate vedrai chiara di fronte a te la via che gli dèi ti hanno indicato, e i dubbi svaniranno. Io so che hai già iniziato a percorrerla: l'ho visto nei tuoi occhi, e lo leggo nel tuo cuore. Non temere, Camus. Non temere. Gli dèi sono con te.”
Confortato dal caldo abbraccio di Shaka, circondato dall'affetto dei suoi confratelli, per la prima volta dopo anni Camus si sentì di nuovo a casa.


L'aveva ottenuta eccome, l'attenzione del Cavaliere del Drago.
Se non avesse avuto la prontezza di riflessi di trasformarsi in uno Zapdos e spiccare il volo quella palla di fuoco l'avrebbe cancellata dalla faccia della terra.
Il suo avversario non sembrava per niente colpito di fronteggiare qualcuno in grado di alterare la propria forma: il suo sguardo era rimasto sempre impenetrabile, e quando la vide sollevarsi in aria si limitò a fare lo stesso con un balzo aggraziato.
Zam spiegò le ali ed evocò il fulmine. Il grande uccello in cui si era trasformata aveva potere solo sull'elettricità, ma in quell'ambito poche creature magiche potevano reggergli il confronto: lasciò che le saette le avvolgessero il corpo dal becco fino alla punta delle ali e con un grido le scagliò verso il Generale Baran. Lui nemmeno si spostò, limitandosi a sollevare una mano e a intercettare il flusso di energia, che si smorzò contro il suo palmo riducendosi a un flebile guizzo di scintille. Se gli avesse lanciato una palla di gomma gli avrebbe fatto altrettanto male.
Tutto secondo i piani: l'intento non era danneggiarlo, ma distrarlo. Contro un avversario così potente velocità, riflessi ed effetto sorpresa erano i suoi alleati migliori. Non appena ebbe rilasciato la scarica di fulmini si trasformò in un Kriw'air, una specie di insetto volante corazzato tipico dei pianeti boscosi dell'Orlo Esterno, e puntò dritto contro l'avversario. Di certo il Generale non si aspettava una creatura così piccola: sarebbe arrivata senza farsi notare a contatto con il suo corpo, e da lì si sarebbe trasformata in qualcosa di più dannoso per scagliare un attacco potente a distanza ravvicinata.
Solo che il Generale fu ancora più veloce di lei. Non appena si rese conto che l'avversaria era sparita dal suo campo visivo incrementò enormemente la sua aura magica e la fece esplodere tutto intorno a sé in un'onda d'energia fiammeggiante che colse Zam a metà della sua trasformazione in Lich. Non fece in tempo a difendersi né a schivare: l'aura la prese in pieno, scagliandola lontano. Il fiato le si mozzò in petto quando la sua schiena sbatté violentemente contro una parete esterna del Baan Palace; mentre precipitava tentò di afferrarsi a uno spuntone di marmo, e con orrore vide che la sua mano era di nuovo quella di un essere umano. Aveva perso il controllo della trasformazione. Il marmo le scivolò sotto le dita e Zam cadde per qualche metro prima di rimbalzare su una scultura a forma di viverna e rotolare su un'altra terrazza, dove la sua caduta si arrestò in mezzo a un mucchio di detriti probabilmente causati da qualche precedente incantesimo del Cavaliere del Drago.
Dal dolore lancinante che la colpì non appena provò a muoversi capì di avere diverse ossa rotte. In alto nel cielo, il Generale era immobile. Attendeva, imperscrutabile.
Zam strinse i denti e raccolse le ultime forze, preparandosi al dolore. Era pericoloso cambiare forma quando il corpo non era in buone condizioni: si rischiava di trasformarsi in una creatura aberrante e ancora più debilitata della forma di partenza, o addirittura di restare bloccati a metà trasformazione e non sopravvivere. Ma non aveva altra possibilità. Scariche di puro dolore si irradiarono per tutto il suo corpo, che si contorse orribilmente in una serie di spasmi di agonia. Zam urlò, e il verso che le uscì dalla gola era a metà tra un grido umano e lo stridio di un uccello.
Poi il dolore cessò. Il suo petto, ora ricoperto di piume dorate, si alzava e si abbassava a fatica e ogni respiro era una pugnalata, ma era viva. Le ali rosse e d'oro giacevano spalancate e scomposte come un mantello di fiamme di seta intorno al suo flessuoso corpo di volatile; non riusciva a muoverle, ma non importava.
Tutto ciò che le bastava era poter piangere.
Lacrime grosse come perle le sgorgarono dagli occhi e scivolarono lungo il becco affilato, cadendo sulle piume del petto e delle ali. Zam girò la testa in modo da bagnare ogni parte del corpo con le lacrime, ognuna delle quali irradiava ondate di benessere nel suo fisico martoriato. Ben presto si sentì più forte, e riuscì a riguadagnare il controllo di tutti i movimenti.
I libri di Saruman non avevano esagerato sulle proprietà curative delle lacrime delle fenici.
Come molte delle altre creature in cui sapeva trasformarsi, Zam non aveva mai visto una vera fenice. Forse non ne esistevano nemmeno più, almeno nei mondi conosciuti della Galassia. Ma ai mutaforma della sua razza bastava vedere l'immagine di una creatura per poterla riprodurre, e l'Imperatore aveva sfruttato a piene mani questa capacità, obbligandola a studiare giorno e notte tutti i compendi magici e i bestiari di Saruman.
Di nuovo sana, la fenice spiccò il volo e andò a pararsi di fronte al Generale Baran.
“Notevole” commentò lui, senza mutare la propria espressione. “Ma non ti basterà.”
Malgrado il loro straordinario potere, le lacrime della fenice non compivano miracoli: Zam sentiva ancora la fatica dello scontro, e sapeva che se non avesse trovato il modo di concludere al più presto la partita avrebbe avuto la peggio. Tuttavia, la sfida la eccitava. Non si era mai trovata di fronte un rivale così potente.
Questo lo vedremo, Cavaliere del Drago.
Dalle mani del Generale proruppe una salva di sfere di ghiaccio che si sparpagliarono in tutte le direzioni, attaccandola da più lati. Zam volò in alto evitandole, fino a raggiungere la massima altezza che le sue ali le consentivano. Poi si gettò in picchiata, veloce come un proiettile. Un'onda di fuoco eruppe dal suo corpo e si riversò sul Generale. Zam volò più rapida delle sue stesse fiamme e vi passò attraverso, lanciandosi di peso contro l'avversario avvolta nel fulgore del fuoco.
In un lampo di luce il Generale Baran sguainò la spada, e la sua lama tagliò le fiamme come burro, riducendole a pochi, innocui sbuffi di fumo; ma non riuscì a sfiorare il corpo di Zam, che ora aveva la consistenza eterea di un Fuoco Fatuo.
Trascinandosi dietro la sua scia luminosa Zam si portò pochi metri sopra la testa del Generale e mutò di nuovo, allargandosi fino a diventare un grosso globo fluttuante di pelle viscida e tentacoli.
Non amava quella forma disgustosa, ma i Beholder erano dotati di ottimi poteri: puntò lo sguardo del suo grosso occhio centrale e di quelli più piccoli sulle punte dei tentacoli contro il Generale, e lasciò che la magia facesse il resto.
Dall'espressione interrogativa del Cavaliere del Drago capì che non conosceva la creatura che aveva davanti. Si lanciò contro di lei a spada sguainata, ma ormai il potere dello sguardo del Beholder si era attivato.
Il Generale arrestò la propria carica quando si rese conto che il braccio che reggeva la spada si stava lentamente pietrificando. Nulla di cui non potesse disfarsi con facilità semplicemente incrementando la sua aura sovrumana, ma l'attimo di distrazione fu fatale. Zam tornò fenice e mirò al volto dell'avversario con becco e artigli, mentre dalle sue piume rosse e oro il fulgore della fiamma divampava in tutta la sua gloria.
Sentì l'artiglio della zampa destra lacerare la carne dell'avversario mentre le fiamme ne avvolgevano il corpo, e si concesse un secondo per esultare tra sé e sé.
“Illusa!!”
Il globo di fiamme che aveva circondato il Generale si aprì come le cortine di un sipario e per un attimo Zam si ritrovò a fissare i due tunnel di oscurità senza fondo che erano gli occhi del Cavaliere del Drago, a pochi centimetri dal suo volto.
Fece appena in tempo a tornare Fuoco Fatuo prima che il fendente del Generale la facesse a pezzi. Volò a distanza di sicurezza e si trasformò di nuovo in fenice, osservando gli effetti che la sua mossa aveva avuto sull'avversario.
Un fiotto di sangue colava dalla tempia sinistra del Generale. Sangue rosso e caldo, in tutto e per tutto identico a quello di un qualsiasi essere umano.
Non sei poi così diverso da noi, dopotutto...
A parte quella ferita e i vestiti bruciacchiati per le fiamme della fenice non sembrava aver riportato altri danni, ma Zam era nuovamente carica di fiducia. Il nemico non era imbattibile come sembrava. Poteva farcela, a patto di rimanere concentrata e non commettere più errori.
Ti avevo sottovalutato.” anche nel compiere quell'ammissione il tono del Generale Baran rimaneva neutro e inespressivo. “Hai un potere notevole, e soprattutto sai usarlo con intelligenza.”
Un uomo che sa riconoscere il valore dei propri avversari. Un'altra ottima qualità.
Ma vedi” continuò con la sua voce profonda “anch'io ho ancora qualche asso nella manica da svelare.”
Mentre diceva questo portò una mano al diadema a forma di fauci di drago che gli circondava l'occhio sinistro e lo strappò via.
In quel momento la sua figura iniziò a mutare.

 

Il flusso della magia era irrequieto, saturo come nubi gonfie e nere che non riescono a trattenere la forza dirompente del temporale. Onde di magia montavano impetuose lungo le pareti e le colonne del Baan Palace, permeavano ogni salone e ogni rampa di scale, si infilavano in ogni anfratto fino a riversarsi in Zaboera e mettere in vibrazione ogni nervo del suo corpo.
Erano millenni che non percepiva una magia così potente.
Ero convinto che due demoni antichi come te e me potessero ormai dire di aver visto tutto.” lui e il Grande Satana erano nella sala del nucleo centrale del Baan Palace, pronti a proteggerlo contro le incursioni dei nemici, i quali però, almeno per il momento, non avevano fatto alcun tentativo di avvicinarvisi. “Eppure questo ancora ci mancava. Nessuno di noi aveva mai messo gli occhi sul leggendario Ryumajin.”
Il Ryumajin era la forma perfetta del Cavaliere del Drago, il suo vero aspetto, in cui il figlio della Madre Drago raggiungeva l'apice del suo potere.
Stiamo per assistere a qualcosa di inedito” convenne Zaboera, ma i suoi occhi si sollevarono preoccupati a cercare il volto del suo signore: “Ma chi sono questi nemici, Grande Satana? Attaccano proprio nel momento in cui il grosso delle nostre forze è alle prese con una battaglia contro la Resistenza, e ora costringono il Generale Baran a trasformarsi... sono ben diversi dagli umani di qui... mi ricordano quasi...”
Lo so.”
Per qualche minuto tacquero entrambi, ciascuno alle prese con i fantasmi del proprio passato.
Forse dovremmo richiamare altre nostre truppe, mio signore.” azzardò infine Zaboera. “Killvearn è tornato e ci ha ridato le Pietre Dimensionali, con quelle potremmo...”
Se il Generale Baran non riesce a fermarli, anche diecimila soldati non potranno cambiare la situazione.” disse il Grande Satana. “Oltretutto le nostre truppe a Bengana hanno ingaggiato battaglia, e se anche pochi di loro si ritirassero ora metterebbero in pericolo le vite dei compagni. Non posso causare una strage sul campo di battaglia per difendere il mio palazzo e la mia vita. Se sarà necessario scenderò di persona ad affrontare questi fantomatici nemici.”
Ha ragione, mio signore” Zaboera chinò la testa, vergognandosi per il suggerimento che aveva appena dato. Era stata la paura a parlare con la sua voce, alimentata dai ricordi di un passato che il trascorrere dei millenni non contribuiva minimamente a rendere meno terribile.
Il mondo sta cambiando di nuovo” disse il Grande Satana dopo un attimo. “Ancora una volta gli umani non ne vogliono sapere di lasciarci vivere in pace nel nostro isolamento. E se le cose continueranno così...”
Zaboera rabbrividì.

.. se le cose continueranno così il fuoco divamperà ancora, e le fiamme della guerra avvolgeranno nuovamente tutti noi.”

  
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