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Autore: Medea00    22/09/2012    12 recensioni
Tratto dal cap. 5:
“Voi avete bisogno di protezione, e io della vostra spada. Mi donerete i vostri servigi e mi accompagnerete durante il mio compito.”
Blaine fissò Kurt per lungo tempo, come indeciso.
“Che compito?” Chiese, e lo sguardo serio dipinto sul volto del ragazzo fece sparire ogni minima traccia di dubbio.
“Devo cercare una persona.”
Non disse chi; non disse come, o per quale motivo. Semplicemente, sperava che capisse. Dopo quanto avevano passato, potevano vantarsi della loro fiducia?
“Va bene.”
Quasi non riuscì a credere alle sue orecchie.
“Davvero?”
“Sì. Mi fido di voi.”
“Perchè?”
“Perchè in voi ho visto più bene di quanto ce ne sia mai stato nel mio lord.”
“...Da dove provenite, Blaine?”
Ma lui non rispose.
Klaine. Medieval AU. Interazione con molti personaggi di Glee. Scritta per puro divertimento. I personaggi non mi appartengono.
Genere: Avventura, Fluff, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo 4
 



Aveva soltanto poche ore per ideare un piano, uscire da quella cella, trovare il principe Kurt e salvarlo da una sorte orribile. Una passeggiata, pensò tra sé e sé, mentre con la coda dell’occhio cercava di individuare armi, feritoie, o sottospecie di vie d’uscita. L’unico punto a suo favore erano, a suo malgrado, le sbarre: con la loro resistenza e robustezza sarebbero state l’unica offensiva disponibile.
Come prima cosa doveva attirare l’attenzione delle guardie. Considerò l’idea di urlare, ma nessuno faceva mai attenzione alle grida di un detenuto, quindi gli avrebbero donato soltanto l’effetto contrario, oltre che una piacevole soddisfazione da parte del marchese. No, ci voleva qualcosa di più bizzarro e, allo stesso tempo, fastidioso.
Dopo qualche minuto di riflessione, decise di fare una delle cose che gli riuscivano meglio: si alzò in piedi, si schiarì appena la voce, e poi cominciò a cantare. Non era un motivo particolare, in realtà, era una di quelle canzoni da osteria che si imparavano nelle notti solitarie, quando il calice di vino era quasi del tutto vuoto e la giornata di lavoro particolarmente fruttuosa. Parlava di donne, amori e bucanieri, di come la vita fosse tutta da scoprire e terminava in crescendo con un ode al vero re ed un augurio di morte al feudatario di Lantaster.
Una cosa era certa: con quelle ultime frasi, aveva attirato l’attenzione di non poche persone.
Fu grato in effetti di vedere soltanto una guardia, nemmeno la stessa che lo aveva sorvegliato qualche ora prima: corse a grandi passi verso di lui, il fisico scolpito da soldato che non aveva mai perso un duello nemmeno in un torneo e l’aria di chi gli era stato appena rovinato un buon quarto d’ora. Osservò Blaine da capo a piedi, e l’ira che poté scorgere nei suoi occhi non poteva che giovare a suo favore; nessuno è veramente lucido, quando perde il controllo. Né, tantomeno, una guardia che di controllo non ne aveva di suo.
“Pezzente! Come osi pronunciare quelle parole!?”
Stava a pochi metri dalle sbarre, la mazza chiodata ben in vista tra le sue mani; no, quella distanza non era abbastanza.
“Quali parole?” La sfacciataggine nel suo tono di voce gli fece guadagnare un altro passo.
“Quelle parole da bastardo, da straccione, da pezzente quale sei. Ti avrei già strappato quelle tue corde vocali da usignolo se non fosse che sono impaziente di vedere la tua testa rotolare sotto ai miei piedi.”
“Ah sì? E chi ti dice che sarà la mia testa, a rotolare?”
“Oh, lo dico io, pezzente. Perché domani… -seguitò, con tono diabolicamente basso, senza volerlo, avvicinandosi un po’ di più per poter osservare la paura che nasceva negli occhi del giovane- io prenderò quella tua adorabile testolina che ti ritrovi, e te la squarterò in due con le mie stesse mani. Afferrerò quell’ascia che vedi laggiù e ti darò un colpettino sul collo, proprio qui, ma non abbastanza forte da spaccarti completamente. Sai, può capitare, che un boia sbagli a infliggere la sentenza: in tal caso, non resta altro che farti agonizzare lentamente soffocando nel tuo stesso sangue.”
Non voleva veramente rappresentarsi quello che gli era stato appena detto, ma ormai le immagini erano lì, nitide davanti a sé, e poteva quasi sentire il dolore e l’agonia della morte che sopraggiungeva pian piano. Era talmente doloroso anche solo pensarla, una morte simile, che Blaine non riuscì a trattenersi dal toccarsi il collo con titubanza, deglutendo due o tre volte di fila.
“Esatto, proprio in quel modo. –Commentò l’uomo, con un ghigno- Non dimenticarti del mio viso, pezzente, perché sarà l’ultimo che vedrai.”
Stava quasi per crederci; stava quasi per illudersi, quando, tutto ad un tratto, la guardia fece l’ultimo passo. Trovandosi esattamente a dieci centimetri da lui.
“Credo proprio che tu ti dimenticherai del mio.”
Un attimo dopo aveva afferrato la testa dell’uomo con forza e l’aveva fatta sbattere contro le grate della cella. Attraverso un tonfo sordo si accasciò a terra, inerme, e Blaine si apprestò subito a cercare le chiavi, o qualsiasi oggetto contundente.
Trovò un pugnale: due piccioni con una fava, pensò.
Non ci volle molto a forzare quella serratura vecchia ed usurata, ma impiegò un po’ di più nel trascinarci dentro l’uomo e privarlo dei suoi vestiti, per poi indossarli cercando di non fare rumore; si sforzò di non vomitare mentre l’odore nauseabondo di sudore e alcool riempiva i suoi polmoni: quella divisa probabilmente non vedeva l’ombra di un lavaggio da anni, e sperò con tutto il suo cuore di non trovarci anche qualche mezza dozzina di zecche.
Adesso, il più era fatto. Doveva solo trovare il principe Kurt, spiegargli la situazione, rubare un paio di cavalli e riuscire a scappare prima dell’alba. Beh, spiegargli la situazione sarebbe stato divertente: perché mai avrebbe dovuto credere ad un ladro, riguardo ad un eventuale complotto di omicidio nei suoi confronti, da parte di un uomo che gli aveva giurato fedeltà?
Ma non importava: era bravo con le parole, gli avrebbe sicuramente dato ascolto.
Quando salì l’ultimo gradino delle scale, trovandosi circondato da ogni tipo di guardia che aveva cominciato a fissarlo circospetto, si assicurò di assumere un’aria quantomeno grottesca e camminare in quel modo che facevano sempre loro. Sembrava più zoppicante, in realtà: non era mai stato bravo nei camuffamenti.
“Tutto bene, Wallerby?”
Wall-cosa!? Per fortuna che era il suo nome e non doveva pronunciarlo, altrimenti si sarebbe ritrovato in una situazione alquanto imbarazzante.
 “Sì. Sono io.”  Borbottò, con una voce che sembrava aver fumato tutto l’oppio della terra. Era nervoso, lo si poteva percepire da miglia di distanza; la guardia, infatti, lo guardò con circospezione, inarcando un sopracciglio: “Lo so che sei tu. Ma ti senti bene? Ho sentito dei rumori strani dalle segrete.”
No, non poteva farsi beccare in quel modo, non ora che mancava così poco. Doveva dare una risposta rapida, ma che allo stesso tempo facesse concludere la questione ed allontanare definitivamente quel tizio. Una frase rozza, da vero duro, che però fosse efficace.
Diavolo, cosa avrebbe detto Puck!?
“Io, beh, lo sai, ho sfracassato un po’ di palle, cose così.”
L’uomo scoppiò a ridere, dandogli qualche leggera pacca sulla spalla.
“Hai fatto bene, amico. Quel demente ne voleva proprio.”
Quel demente te la sta facendo proprio sotto al naso, pensò accigliato, ma fu bene attento a non dirlo ad alta voce.
“Sì. Già. Uhm. Vado. Sai, a sfracassare, e quelle cose lì.”
“Serata libera, eh? Fatti qualche donna anche per me!”
Con un grugnito non molto convincente salutò la guardia, cercando di non mostrare troppo quanto il suo passo stesse accelerando man mano che riusciva ad avvicinarsi alle scale che conducevano alle stanze per la notte. C’era quasi. Qualche minuto e sarebbe arrivato dal principe. Qualche minuto e-
“Wallerby!”
Maledizione.
“Ma dove vai!? L’uscita è da quella parte! Amico, devi smetterla di farti di oppio tutte le sere!”
Si voltò, un sorriso che sembrava spettrale. Era ufficiale: detestava quell’uomo.
E fu così che dovette farsi tutta l’uscita a piedi, e fu così che si ritrovò esattamente dove non doveva essere, fuori dalla dimora, con un’armatura che cominciava seriamente a dargli fastidio e la stanza di Kurt lontana metri e metri da lui.
Oh, esattamente, trenta metri, constatò, non appena vide un servo chiudere la finestra illuminata di una stanza della torre, posta, in linea d’aria, sopra di lui. Il marchese non avrebbe mai avuto una camera così esposta, quindi, l’unica altra opzione disponibile, era che fosse proprio la stanza di Kurt. E poi rifletté con un brivido di agitazione: gli avevano dato quella stanza proprio perché era la più comoda per i sicari.
Senza indugiare ulteriormente cominciò a scalare le mura, sperando soltanto di non essere visto: con sua grande fortuna, nei paraggi non c’era nessuna guardia pronta a chiedergli cosa diavolo stesse facendo. Affrettò la scalata, rischiando di inciampare una volta o due, appesantito anche dall’armatura. Ma non gli importava: in cuor suo, continuava a domandarsi se fosse tardi; non poteva essere troppo tardi. Non poteva assolutamente accettarlo.
E quando saltò sul davanzale, fulmineo, con un profondo stato d’ansia addosso, si rese conto che su una cosa aveva avuto ragione: quella era proprio la stanza di Kurt, e il marchese l’aveva scelta appositamente per essere presa più facilmente di mira dagli assassini.
Ma c’era una cosa che non aveva calcolato, e che non si sarebbe mai aspettato di trovare. O meglio, di non trovare.
Perché Kurt non si trovava lì.
C’erano i due sicari, però, e sembravano sbigottiti quanto lui.
 
 
Era passato da poco il tramonto quando aveva deciso di scendere da quel letto e darsi da fare. 
Quel ragazzo poteva essere un criminale, poteva perfino essere un assassino, ma gli aveva salvato la vita: non poteva starsene con le mani in mano mentre il senso di colpa lo opprimeva; e sapeva benissimo che tutto ciò non era saggio. Suo padre gli avrebbe sicuramente detto: “Non è così che si comporta un re!” Beh, per fortuna che non era re, allora. Perché non aveva alcuna intenzione di lasciar morire Blaine Anderson, e se quello implicava l’infrangere la sua stessa legge, così sarebbe stato.
Indossò dei vestiti puliti –una casacca grigia e dei pantaloni scuri, niente di troppo complicato- e appallottolò il mantello usato quella mattina dentro ad una sacca, assieme a soldi, qualche scorta di cibo e anche un piccolo pugnale. Si apprestò a scendere le scale con cautela, ma notò, con disappunto, che il posto brulicava di guardie; con un cenno del capo fece loro segno di lasciarli passare, e queste obbedirono senza battere ciglio. Di tanto in tanto gli faceva davvero comodo, il suo nome.
Ora, tutto ciò che doveva fare era chiamare la guardia di turno, ordinarle di consegnargli le chiavi e lasciarla andare; oppure, stordirla con il manico del pugnale. Sperò soltanto di essere abbastanza capace per farlo.
Quando si ritrovò nelle segrete, però, rimase un po’ confuso dall’assenza di persone, per non parlare della luce della lanterna quasi completamente affievolita e quel silenzio inaspettatamente surreale. C’era qualcosa che non andava, lo aveva capito benissimo, e aveva quasi paura a verificarlo. Eppure, con un piccolo moto di sollievo, quando arrivò alla cella di Blaine lo vide lì: disteso sul giaciglio, proprio come quel pomeriggio. Non riuscì a trattenere un sospiro ammaliato mentre, gentilmente, si soffermò ad osservare il suo corpo scolpito ad arte: le gambe lunghe e toniche – gli sembravano perfino più lunghe, ridicolo cosa potesse fare la suggestione - i muscoli dell’avambraccio che si intravedevano dalla tunica –anche se, in effetti, non se lo ricordava così muscoloso-, le vene sul collo che sembravano pulsare dritto in mezzo al suo cuore –un collo un po’ troppo robusto?-, fino ad arrivare a quel bellissimo viso che… che non era il suo.
“Ma che-!?”
Per poco non fu colto da un infarto. Chi diavolo era quell’uomo con addosso i vestiti di Blaine!?
E si sentì anche molto, molto stupido, perché tutto ad un tratto i pensieri appena fatti erano diventati assurdi, e le sue guance divennero istantaneamente rosso porpora acceso mentre, cercando in tutti i modi di evitare sobbalzi o commenti su se stesso e la sua imbecillità, si voltò di scatto e corse via da quella zona, da quell’uomo inquietante, dai suoi pensieri maledetti e sì, per un momento, desiderò anche scavarsi una fossa e sotterrarsi da solo. Giusto per rimarcare ancora di più il suo totale imbarazzo.
Non si era nemmeno reso conto che, con la sua corsa da forsennato, aveva attirato l’attenzione di metà delle guardie del palazzo.
“Ch-chi è quel tipo che corre laggiù!?”
“Ecco io sono-“
“Dev’essere Anderson! E’ scappato!”
“N-no!”
“E’ riuscito a fuggire dalle segrete!”
“No! O meglio, direi di sì, ma-“
“Prendetelo!”
“Chi?!”
“Fatelo fuori!”
“IO!?”
“Voglio vedere le sue gambe da gazzella ridotte in poltiglia!”
Quando ci sono una dozzina di uomini incavolati e privi di senno che ti vengono incontro armati fino al collo, c’è soltanto una cosa che si può fare: correre. E il più veloce possibile. Così fece Kurt, tra un’imprecazione contro se stesso e l’altra, mentre saliva le scale facendo i gradini a tre a tre e cercando di rifugiarsi in qualche ala seminascosta del palazzo. Le urla delle guardie erano ancora nette, vicine, e a lui stava cominciando seriamente a mancare il fiato, per lo shock, per la corsa, e un po’ per tutto il resto; tuttavia, non accennava a fermarsi. Continuava a fuggire senza meta sperando prima o poi di intaccare la porta giusta.
E fu allora che per poco non gli venne il secondo infarto: quando, da un lato, un paio di braccia lo afferrarono per la bocca e per i fianchi, spingendolo con uno slancio verso qualcosa, anzi: verso qualcuno.
“Calmatevi!”
Oh, no, assolutamente no! Quella guardia era praticamente avvinghiata a lui e aveva un pugnale in mano e stava per ucciderlo e lui non voleva morire e-
“Lord Hummel, calmatevi, vi prego! Sono io!”
Io chi!? Stava per strillare, se non fosse stato per quei guanti di cuoio orripilanti che gli tappavano le labbra; ma poi, tutto gli fu un po’ più chiaro: era la sua voce.
“Sono Blaine - sussurrò, poco distante dal suo orecchio – adesso vi lascio andare, va bene? Ma promettetevi di non fare rumore.”
Il principe, silenziosamente, annuì. E dopo qualche secondo fu libero, con gli occhi un po’ più limpidi e il respiro più regolare. Erano in una rientranza delle mura, dietro ad una di quelle statue fatte di armature di un’altra epoca e arrugginite per via del tempo, talmente grandi da coprire in modo abbastanza efficiente i loro corpi vicini, grazie anche all’aiuto del buio.
Kurt si concesse per un secondo di apprezzare mentalmente il luogo scelto come nascondiglio; e poi, finalmente, scoppiò.
“Si può sapere che diavolo ti è saltato in mente!? Potevo morire! Io mi sono quasi ammazzato per venire a salvarti e poi scopro che non eri nemmeno lì! Ma che diavolo hai al posto della testa, segatura per conigli!?”
“Ch-che cosa!? – Sbottò Blaine, allibito, e altamente seccato - IO mi sono quasi ammazzato per salvare VOI, Vostra Grazia, mi sono messo addosso questo ammasso di pulci e questo sarebbe il ringraziamento!? Scusatemi tanto se volevo evitarvi una fine dolorosa!”
“Ma stai scherzando spero! Se sono finito in questo casino è solo ed unicamente colpa tua, e se tu non avessi deciso di giocare al piccolo fuggitivo a quest’ora sarebbe tutto già risolto!”
“Ma di che diavolo state parlando!? Quello in pericolo di vita siete voi!”
“Certo! Perché mi hanno scambiato per TE, mister Robin Hood! Oh che stupido, stupido stupido che non sono altro! Dovevo lasciarti marcire in quella cella!”
“Oh, grazie per avermi salvato allora, senza di voi non ce l’avrei mai fatta!”
“Davvero divertente. Beh sappi che con questa divisa sembri un perfetto idio-“
Fu bruscamente interrotto dalla mano di Blaine che si poggiò nuovamente sulla sua bocca, e l’altra sul suo bacino. Lo tirò velocemente a sé mentre ascoltava con attenzione un gruppo di guardie distante qualche paio di metri che stava arrivando nella loro direzione. Entrambi trattennero il respiro, ansiosi, fino a quando il rumore di passi e di spade che ondeggiavano assieme a loro non fu sparito del tutto.
Ci fu un lungo silenzio, nel quale Kurt si accorse di quanto buono fosse l’odore di Blaine, sebbene camuffato da quello dei vestiti, e Blaine si rese conto di aver appena tappato la bocca ad un principe –per la seconda volta- e di averlo stretto a sé; ed uno poté sentire il respiro dell’altro, così come i battiti dei loro cuori che sembravano impazziti, il rossore delle loro guance che parevano infiammate e, di nuovo, quella strana sensazione di benessere, che sembrava l’unica cosa in grado di calmarli davvero.
“Dobbiamo andare” bisbigliò Blaine, quasi come se lo dicesse controvoglia. Kurt non fece resistenza e si limitò a guardarlo, esitando solo qualche secondo per riordinare le idee.
“Tu... tu vai, io resterò qui a distrarre le guardie. Devo parlare con il marchese, e, e poi...”
L’occhiata che gli rivolse Blaine lo destabilizzò per un momento, facendogli perdere il respiro e, anche, il filo del discorso. Lo stava fissando intensamente, come se non sapesse bene quali parole usare.
“Ku- Lord Hummel” si corresse dopo un attimo, “Io... quando ero in cella ho sentito le guardie parlare di... di voi.”
“Di me? E che cosa avrebbero detto?”
Ci fu una lunga pausa. Blaine sembrava sconvolto e, tuttavia, arrabbiato.
“Non dovete fidarvi del marchese. Lui... aveva organizzato una trappola. Prima sono stato nella vostra stanza e-“
“Sei stato nella mia stanza!? Ma che diavolo-“
“C’erano dei sicari, milord. Erano due, e volevano voi.”
Quella frase lo privò del tutto di fiato. Cominciò a sentirsi strano, disorientato, il mondo attorno a lui girava e il volto di Blaine era tutto ciò che appariva nitido di fronte a sè.
“Ma-ma come...non è possibile, io...”
“Li ho sistemati – intervenne lui - ma non so quanto tempo ci metterà De Gaulle prima di accorgersene e chiamare altre guardie. Non siete al sicuro, qui: dovete andarvene.”
Il marchese aveva detto di sapere. Aveva detto che lo avrebbe aiutato. Per un momento tentò anche di dubitare delle parole di Blaine. E tentò davvero, con tutto il suo cuore: avrebbe voluto guardarlo dritto negli occhi e allontanarsi da lui, dandogli del bugiardo e chiamare le guardie per farlo giustiziare. Eppure, quando osservava le sue iridi ambrate, riusciva a intravedere solo rammarico, forza di spirito. E come faceva a discretidarlo dopo quelle vicende passate? Blaine non avrebbe avuto motivo per mentire. Si era sempre dimostrato gentile, sin da quando lo aveva scambiato per una ragazza; nonostante tutto, fidarsi di lui era semplice ed immediato.
“Mi dispiace, milord. Ma vi giuro che è la verità. Mi dispiace, mi dispiace.”
Il tono del ragazzo arrivò dolce, soffuso. Gli sembrò una carezza, e questo bastò per farlo trasalire con gli occhi che cominciarono a pungere terribilmente.
La verità.
La sola verità era che lui era un semplice ragazzino con una promessa troppo grande da mantenere. Perchè non poteva far affidamento su suo padre, e nemmeno su altri nobili intorno a lui.
Ed era solo. Completamente, terribilmente solo.
Non poteva piangere; non poteva assolutamente piangere. Un principe non piange, soprattutto se ha un compito. Ma poi, Blaine abbassò il volto per incrociare i suoi occhi, ed erano vivi, bellissimi. Gli riscaldarono il petto come un focolare che accendeva la sua balìa durante una bufera.
“Non abbiate paura.”
Paura? Oh, sì, forse, un poco ne aveva. Forse era evidente, visto il suo volto pallido e le sue mani tremanti. Continuavano a stringere un lembo della tunica come speranzose di fermarsi; aveva paura, perchè solo adesso cominciava a sentire l’incoscienza delle sue azioni gravare su di lui, e renderlo un ragazzino stolto e ingenuo.
“Ho sbagliato tutto”, sussurrò. La voce era incrinata e flebile. “Ma cosa pensavo di fare? Sono partito senza scorta, ho smarrito la via, non ho una direzione da prendere... sono soltanto uno stupido. Un grandissimo stupido.”
Ormai era difficile contenere le lacrime, che tentavano con forza di fuoriuscire dai suoi occhi arrossati. Ma tutto ciò che riusciva a pensare era il volto di De Gaulle, le parole che gli aveva detto, a come si fosse sentito aiutato, quando gli era stato offerto un aiuto.
“Milord...”
La mano di Blaine si posò delicatamente sulla sua spalla, facendolo sussultare, rabbrividire. E quando si guardarono di nuovo, non dissero niente: restarono per poco tempo incatenati a quelle emozioni, entrambi immersi nei loro pensieri.
Alla fine, Blaine fece un leggero cenno del capo, rafforzando la presa su di lui.
“Vi porterò fuori di qui. Ve lo prometto.”
“...Perchè.”
Non fu una domanda. Era un’intenzione: era il tacito ordine di dargli una motivazione, qualcosa che fosse più valido di un inutile giuramento da feudatario, qualcosa a cui aggrapparsi.
Ma tutto ciò di cui aveva bisogno arrivò nel momento in cui sentì pronunciare quelle parole.
“Perchè voi avete rischiato la vita per salvare la mia, ed è un debito che ho intenzione di ripagare.”








Angolo di Fra:

Per sapere quando aggiornerò, credo venerdì ma non sono sicura. Sentite liberi di mandarmi un messaggio nella pagina :) e grazie a chi sta leggendo questa storia, davvero.
   
 
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