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Autore: bennycucciola    23/09/2012    1 recensioni
-principessa, nessuno deve sapere che esisto-
-lo so-
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sono sicuro di poche cose:
Mi chiamo James, sono anni che mi cercano e so che se mi trovano mi uccideranno.
Il resto è confuso. Credo di avere 18 anni ormai, quindi se l’ipotesi è giusta sono 2 anni che mi cercano e 2 anni che scappo. 2 anni che non vedo Baby o Kate.
Vago ancora senza meta da allora, in questo bosco familiare, dove posso chiamare per nome ogni albero e dove solo gli animali possono vedermi. Gli unici, forse, che non mi considerano un mostro.
Cammino più velocemente, pensando a quanto questa frase potrebbe essere vera se fossero morte. Magari le altre mi vorrebbero vedere appeso a una corda, torturato e umiliato, ma loro no, loro sanno che non ho fatto niente di male. Difficile che due persone riescano a convincere il resto del mondo, per quanto quello che dicono possa essere vero.
Più penso a loro, più le amo. Poi penso al suo sorriso e sorrido anch’io. A questo punto immaginatevi uno con un sorriso da ebete stampato in faccia, solo, in mezzo ad una foresta, che mangia frutta e insetti a pranzo e cena. Forse tutta la gente che pensa male di noi mi sta influenzando negativamente. Per noi s’intendono tutti maschi di questo pianeta, se non si fosse capito. E io sono uno di loro.
Mi piace descrivermi come un maschiaccio lunatico e misterioso ma probabilmente sono solo estremamente pazzo. Anche bastardo. Quello sicuro, ora che ci penso. Comunque la mia storia è la parte più interessante di me, quella che potrebbe illuminarvi un po’ sul mio carattere. Capirmi del tutto penso sia impossibile ma tentar non nuoce.
. . .
 
Campo di addestramento di Londra   2077
Più che un campo di addestramento era un campo di sopravvivenza; avevo sette anni e già mi ritrovavo a lottare per il cibo.
Unici amici: bombe a mano e pistole.
Era difficile che morivano più di 2 ragazzi al giorno, ma comunque dovevi saperti difendere, nascondere e attaccare. Poi dovevi saper cucinare e procurarti cibo da solo; cose secondarie se eri un bullo, potevi rubarlo a quelli più piccoli; purtroppo però io non lo ero, ero uno sfigato che è cresciuto solo grazie a quelle mura.
Dopo un paio di anni mi feci un amico, si chiamava Andrea, un bravo ragazzo, pacifico. Trovammo un posto nascosto tra gli alberi dove potevamo parlare in pace, dove la guerra era solo un sottofondo alle nostre risate. Ovviamente non potevamo stare lì tutto il giorno, anche se avessimo voluto farlo, e, un giorno, proprio quando avevamo ideato la nostra fuga, mi morì davanti agli occhi, per colpa di una di quelle stupide liti tra bulli.
Fuggii anche senza di lui, a 11 anni, quando capii che tutti i sacrifici che stavamo facendo erano per prepararci a qualcosa di ancora peggio: una guerra vera, una guerra mondiale, a cui io non avevo intenzione di partecipare.
Per scappare ci misi 1 ora, per ideare il piano invece impiegai settimane, e all’inizio sarei dovuto uscire in 10 minuti. Ci furono un po’ di inconvenienti.
Andrea era morto da una settimana, ma io non dovevo arrendermi, insieme avevamo scoperto un piccolo foro sulle mura, ma quello era costantemente sorvegliato e lo stavano pure aggiustando. L’altra idea era più complicata, ma era l’unica, dovevo scappare quando i ragazzi grandi uscivano per la guerra. Misi le mie ultime cose rimaste nel borsone che ci avevano dato i soldati, bucato, ma pur sempre utile, strusciai piano sul lato della tenda dai 16enni finché non trovai l’entrata. Erano tanti ma non sarebbero durati neanche 10 minuti là fuori, ormai l’aveva capito. Alcuni piangevano, nascondendosi il viso nella maglia, altri avevano uno sguardo fiero, come se volessero dire: “io non ho paura della morte”, ma io già conoscevo quella parte dell’animo umano e di certo quei ragazzi avevano tutti un bel po’ di paura.
Cercando di non fare il minimo rumore mi nascosi dentro uno dei minuscoli letti, che sinceramente sembravano cucce a più piani di cani di media grandezza; guardai fuori e mi accorsi che erano appena entrate le guardie. Una di loro guardò dalla mia parte, proprio quando ritirai la testa. Quel figlio di puttana si avvicinò così tanto che per poco non svenni di paura, poteva rovinare i miei piani in due luridi secondi. Mi accoccolai ancora di più, mimetizzandomi tra le coperte sgualcite del proprietario della cuccia e quello non si accorse di niente.
Dopo quelle che parvero ore alcuni iniziarono ad uscire e quando fui sicuro che nessuno guardava dalla mia parte gattonai velocemente fino ad arrivare vicino alla borsa di un ragazzo. Il proprietario si stava per girare, per prenderla e portarla fuori con lui ed io, anche sapendo che quella mossa non era affatto nei mie piani, mi ci misi dentro, sperando in un miracolo.
Il ragazzo sollevò con un po’ di sforzo la borsa e se la mise in spalla, pensai che era così abituato a portare pesi che per lui ero abbastanza leggero, ma ci ripensai, quando si fermo e mi posò a terra. “cazzo, ha capito tutto”. Poi mi riprese in spalla e mi posizionò dall’altro lato della spalla, forse, pensai ancora, non si è accorto di me.
Camminammo per una mezz’ora circa, durante continuavo a stupirmi della mia fortuna. Ad un certo punto mi riposò a terra, si abbassò ed aprì piano la cerniera, tutte le mie speranze morirono in un millesimo di secondo quando sentii la voce di quel ragazzo: “non urlare, adesso ti faccio scappare”. In quel momento lo amavo con tutto il mio cuore, non che fossi diventato gay, intendiamoci, ma grazie a lui sono ancora vivo. Pazzo, ma vivo, e non potrò mai smettere di ringrazialo mentalmente, sperando che lì su, nel cielo, lui mi ascolti.
 
  
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