La
luce brillante della lampadina riluceva in maniera sinistra sulla lama
affilata, mentre gli occhi verdi percorrevano la pelle liscia e diafana
del
polso, solcata dal tatuaggio in eleganti caratteri corsivi:
«potendo andare,
resto», lo reputava assolutamente ironico, specialmente in
quegli ultimi giorni, in quel periodo in cui più
d’ogni cosa avrebbe voluto andarsene e
allontanarsi per sempre dalla vita quotidiana.
Anche
quella volta, l’idea del suicidio non gli aveva minimamente
attraversato la
testa: si trattava semplicemente di una questione di resistenza. La
volta
prima, nella vasca, quanto tempo era rimasto senza respirare? E, questa
volta,
quanti tagli si sarebbe inferto senza lasciarsi sfuggire un lamento?
Quante
cose avrebbe sopportato prima di distruggersi con le sue stesse mani?
Sapeva
perfettamente che non avrebbe dovuto farsi scoprire, perciò
si era recato
nuovamente alla villa, quasi fosse un rifugio sicuro dal mondo,
riparato da
ogni preoccupazione. Ed in quel momento si trovava lì,
seduto sul bordo di
quella stessa vasca in cui qualche giorno prima aveva rischiato di
morire, un
taglierino stretto nella mano destra e lo sguardo assolutamente calmo
che
sembrava accarezzare le vene sotto la pelle chiara, con fare quasi
incantato. Il
rosso avrebbe abbellito quel braccio assolutamente scarno, ne era
sicuro,
sarebbe riuscito a farsi
guardare, finalmente.
Avvicinò
la lama alla pelle e la incise senza fiatare, in maniera superficiale
ma
comunque dolorosa, gli occhi attratti in modo quasi insano, maniacale,
che
seguivano il percorso di quella prima goccia scarlatta come se stessero
studiando il corpo d’un altro. La sofferenza era secondaria,
pareva non
esistere altro che il metallo che si trascinava lungo
l’avambraccio, creando
quel solco vermiglio, come se vi stesse crescendo una fila di rose
dalla
tonalità sanguigna. Allontanò il taglierino dalla
pelle giusto il tempo di
spostarlo di qualche millimetro e lo affondò nuovamente
nelle carni, mentre il
sangue iniziava a gocciolare all’interno della vasca.
Due
tagli brucianti, ma ancora non era soddisfatto.
Aggrottò
le sopracciglia e si sporse ad aprire l’acqua per fare in
modo che il liquido
vermiglio defluisse; fatto ciò riprese a passare la lama
sulla pelle morbida e
delicata, e questa volta dovette mordersi le labbra per soffocare un
mugolio.
Strinse i denti ed affondò il taglierino ancora e ancora,
mentre l’acqua
scorreva ai suoi piedi e decine di gocce vi cadevano, sbocciando al
pari di
ninfee di fuoco. Chissà se gli sarebbero rimaste le
cicatrici...
Inclinò
la mano destra in maniera differente e l’ultima ferita che
s’inferse fu una
grottesca sottolineatura al tatuaggio, dopodiché
afferrò le bende che aveva già
preparato e cominciò a medicarsi con cura.