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Autore: jas_    24/09/2012    17 recensioni
«Allora, mi vuoi dire o no come mai ci hai messo così tanto a prendere una baguette? Nessuna conoscenza?» mi domandò Carmela, appoggiando le mani sui fianchi.
Alzai gli occhi al cielo, «no» brontolai.
Rimanemmo in silenzio alcuni secondi, «anzi, adesso che ci penso sì» mi corressi. «Non è che sia una conoscenza - precisai - diciamo che ho scoperto che la ragazza che lavora lì è del South Carolina.»
Carmela batté le mani entusiasta, risi lievemente chiedendomi se avesse davvero cinquant’anni quella donna perché a volte ne mostrava venti per come si comportava.
Si sedette nel posto accanto al mio scrutandomi seria, «e dimmi, è carina?»
Scoppiai a ridere piegandomi leggermente in avanti, «ma che c’entra! Non la conosco e non sono interessato!» esclamai, «però sì.»
«E cos’aspetti ad approfondire la conoscenza?»
La guardai sottecchi aspettando che scoppiasse a ridere da un momento all’altro o che mi dicesse “Harry sto scherzando!”, invece era estremamente seria.
«Tra dieci giorni me ne vado» constatai.
«E quindi? Dieci giorni sono più che sufficienti per innamorarsi!»
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Harry e Lennon'
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Giorno 4
 

25 Dicembre

Harry

 
Quando aprii gli occhi quella mattina, dalla finestra entrava una strana luce più chiara del solito. Stropicciai gli occhi per abituarmi a tutta quella luminosità e spostai le tende guardando fuori: era tutto bianco. I tetti delle case, i marciapiedi, le macchine parcheggiate ai lati della strada. Tutto. Era tutto ricoperto di un soffice manto bianco di neve.
Sorrisi rendendomi conto solo allora che era Natale, mi svegliai improvvisamente e indossando il primo paio di pantaloni che trovai appoggiato alla sedia della scrivania scesi al piano di sotto sentendo già un profumo provenire dalla cucina. Trovai Carmela già attiva ai fornelli, con una marea di cose appoggiate ovunque.
«Buon Natale» le dissi, mentre aprivo il frigo alla ricerca del latte.
Lei sussultò portandosi una mano sul cuore, «sono vecchia io, devi smetterla di farmi prendere questi colpi!»
Risi aprendo la credenza prendendo una tazza che riempii di cereali, «non ho fatto apposta» mi giustificai, stringendomi nelle spalle.
L’espressione di Carmela si addolcì aprendosi in un sorriso, «buon Natale anche a te, comunque.»
«C’è il tuo regalo che ti aspetta sotto l’albero» continuai, con la bocca piena.
«Mi hai preso un regalo?» domandò lei sorpresa.
Annuii, «un pensierino.»
«Anch’io ho qualcosa per te» mi disse lei, prendendo a mescolare energicamente qualcosa all’interno di una scodella. «E a tuo padre hai preso qualcosa?» continuò.
Sospirai, l’unica cosa che poteva rovinarmi quella giornata di festa era lui, pensai.
«Sì» borbottai, «una cravatta di Hugo Boss visto che gli piacciono.»
Carmela mi sorrise apprensiva versando l’impasto in una teglia, «vedrai che quest’anno sarà diverso» mi rassicurò, «a quanto pare niente lavoro. Anzi, è ancora a letto.»
Per poco non mi strozzai con i cereali che stavo mangiando, cominciai a tossire energicamente coprendomi la bocca con una mano.
«Davvero?» domandai, con la voce incrinata.
Carmela annuì sorridente, «certo, il che è strano, non trovi?»
Annuii pensieroso e ancora leggermente scosso.
Papà ancora a letto alle nove di mattina, il 25 dicembre, quando nelle aziende con cui collaborava non era ancora Natale. Incredibile.
«Stai cucinando anche per la tua famiglia?» domandai cambiando argomento.
Carmela mi guardò confusa, «no, questo è per voi.»
«Stai scherzando spero, hai preparato da mangiare per un esercito e noi siamo solo in due» osservai, passando in rassegna tutte le delizie che occupavano il ripiano della cucina.
Carmela si strinse nelle spalle senza sapere cosa dire, scossi la testa divertito alzandomi dallo sgabello e andando a cambiarmi.
Era Natale, ed ero di buon umore, così mi vestii per bene con un paio di pantaloni marroni, una camicia bianca e il maglioncino di cachemire che mi aveva regalato Gemma per il compleanno. Mi ammirai davanti allo specchio soddisfatto del risultato, per quanto i miei non andassero d’accordo da tempo, quando mi avevano concepito dovevano essersi messi d’impegno per far nascere un bel giovanotto come me, mi ritrovai a pensare. Mi passai una mano tra i capelli e spostai leggermente la testa verso destra cercando di dare una forma a quella massa disordinata che mi trovavo sul capo, decidendomi finalmente a scendere di nuovo. Aiutai Carmela ad apparecchiare la tavola ed accesi due candele al centro di essa, misi una spolverata di zucchero a velo sulla torta al cioccolato che aveva preparato e tornai a sedermi osservandola mettere il ripieno nel tacchino.
«Allora, come va con la ragazza del pane?» mi domandò di punto in bianco.
Sussultai a quella domanda e mi misi composto schiarendomi la voce, non l’avevo ancora sentita Lennon quella mattina nonostante le avessi già fatto gli auguri la sera precedente.
«E’ molto gentile, mi trovo bene con lei» mi limitai a dire, nonostante fossi tentato di aggiungere qualcos’altro, come per esempio mi era sembrata leggermente gelosa il giorno prima quando avevo chiacchierato tranquillamente con Chanel. Forse era solo perché non sopportava quella ragazza a prescindere, ma il mio sesto senso mi diceva che c’era sotto qualcos’altro. E il mio sesto senso non mentiva mai.
«Le hai preso il regalo di Natale almeno?» mi domandò, alzando per un attimo lo sguardo da ciò che stava facendo.
Non riuscii a fare a meno di trattenere un sorriso, «sì.»
Carmela lasciò il coltello che aveva in mano per battere le mani una volta e scoppiare a ridere quasi istericamente, la osservai allarmato.
«Ma ti vedi? Sei cotto!» esclamò poi, allegra.
Io la guardavo confuso, quasi irritato. Era invadente quella donna, ogni volta che le parlavo mi sembrava di essere ad una seduta dallo psicologo, anzi, peggio, dato che il mio psicologo si limitava a portarsi la mano sinistra al mento, annuire e scribacchiare qualcosa su un taccuino. Lei invece continuava a fare domande, osservazioni e insinuazioni e ad esultare come un’adolescente.
«Sono educato, è diverso» borbottai, prendendo una manciata di arachidi e cominciando a sbucciarle.
Carmela scosse la testa, «sei cocciuto, il che è diverso. Allora, quand’è che me la presenti?»
Stavo per risponderle ma la voce di mio padre mi bloccò, mi voltai verso di lui e lo vidi fare il suo ingresso in cucina già perfettamente vestito in un completo gessato e con il cellulare in mano.
«Buongiorno» disse, rivolgendosi a me e Carmela, «e buon Natale.»
«Buon Natale anche a te, papà» dissi io, lui mi sorrise e porse una busta bianca prima a me e poi a Carmela.
Stavo per aggiungere qualcosa ma lui mi anticipò, «mi hanno chiamato per un imprevisto al lavoro, tornerò subito in tempo per pranzo ma ora devo andare. Ho in ballo un affare importante per un investimento con un cliente grosso.»
Aprii la bocca per ribattere ma come al solito non mi uscì niente, mi limitai ad osservare la figura di mio padre sparire dietro la porta prima di voltarmi verso Carmela che si limitò a stringersi nelle spalle.
Sospirai ed andai a sedermi sul divano.
 
 
Mi alzai infuriato, Carmela – che stava guardando una delle sue telenovele – sussultò.
«Puoi anche andare a casa a festeggiare con la tua famiglia» borbottai, andando in cucina per bere un po’ d’acqua.
Lei mi seguì, guardandomi dispiaciuta, «magari tra poco arriva, insomma...»
«No!» esclamai alzando la voce, «non arriverà, non vale la pena stare qua quando puoi andare con i tuoi cari» continuai, cercando di calmarmi.
«Puoi venire con me, se vuoi» tentò.
Scossi la testa sorridendo amaramente, «credo che rimarrò qua. Portati dietro qualcosa di quello che hai cucinato, anzi, tutto se  vuoi. Il tacchino ha un aspetto squisito.»
Carmela si mise a braccia conserte squadrandomi con espressione dura dalla testa ai piedi, «smettila di fare il bamboccio e di piangerti addosso. O vieni con me o vai dall’americana che ti ha fatto perdere la testa e ti porti il tacchino con te perché io non ho passato la mattinata a cucinare per buttare via tutto e a casa mia, senza offesa, c’è il cibo messicano che mi aspetta. E poi, sbaglio o le hai preso un regalo?»
Carmela mi fece l’occhiolino e io non potei fare a meno di sorridere, quella donna era una forza della natura.
 

Lennon

 
Andai in cucina a vedere come se la stava cavando mia madre e con l’intento di smettere di ridere almeno un minuto dato che sentivo la testa che stava iniziando a farmi male. Era sempre così, ogni anno a Natale, Charles, l’amico di mio padre iniziava a raccontare storie assurde che assomigliavano più a delle barzellette che a degli aneddoti e io finivo per stare male da quanto ridevo.
«Come procede qui?» domandai a mia madre, alzandomi in punta di piedi per vedere cosa stesse combinando oltre alle sue spalle.
«La portata principale è pronta, è meglio che iniziamo a mangiare e non solo a bere» osservò lei.
Annuii appoggiandomi al muro e osservando il maglioncino con le renne che avevo addosso e che mi aveva preparato mia nonna per quel Natale. Era piuttosto infantile – tenendo conto che avevo diciott’anni – ma era stato un gesto carino, inoltre quella sarebbe stata la prima e l’ultima volta che l’avrei indossato, pensai, nonostante dovessi ammettere che era un capo caldo e comodo.
Il campanello di casa suonò, alzai la testa di scatto ritrovandomi a chiedermi chi potesse essere ad andare a casa della gente il giorno di Natale dato che noi non aspettavamo nessuno.
«Lemon, è per te!» sentii mio fratello gridare.
Scambiai uno sguardo confuso con mia madre ed andai di là a vedere chi fosse.
«Ti ho detto di smetterla di chiamarmi così!» ripresi mio fratello per l’ennesima volta prima di alzare lo sguardo e... «oh» dissi semplicemente.
«Ciao.»
Harry mi sorrise, il suo sguardo era divertito, vidi che si morse un labbro quando notò il ridicolo maglione che indossavo. Mi misi a braccia conserte cercando di nasconderlo, improvvisamente a disagio.
«Che ci fai qua?» domandai istintivamente. Non volevo essere maleducata o scortese, ero semplicemente in imbarazzo.
Harry sospirò passandosi una mano tra i capelli mentre con l’altra reggeva un sacchetto di plastica che conteneva qualcosa di abbastanza ingombrante. Che fosse il mio regalo di Natale? Scossi leggermente la testa, figuriamoci se mi aveva comprato un regalo, quando mai era stato in giro da solo da quando ci eravamo conosciuti? Lo vidi lanciare uno sguardo alle mie spalle, restio nel rispondermi. Mi voltai, notando tutte le persone che occupavano il tavolo più mia madre dalla cucina osservarci come se fossimo degli alieni.
Risi un po’ nervosamente, «vuoi un po’ di privacy?»
«Magari» mi sorrise lui.
Annuii guardando di nuovo il sacchetto che teneva in mano, lui sembrò ricordarsi improvvisamente qualcosa.
«Ah, ho portato un po’ di mangiare. Carmela ha cucinato per un esercito.»
Gli sorrisi riconoscente e presi ciò che mi stava porgendo, passando poi il tutto ad Joseph che era rimasto immobile accanto a me.
«Perché non porti questo alla mamma?» gli chiesi gentilmente.
Aspettai che lui se ne andasse per uscire sul pianerottolo e chiudermi la porta alle spalle, sedendomi poi sulle scale. Harry si mise di fianco a me.
«Allora?» chiesi, curiosa e allo stesso tempo preoccupata.
Lui si strinse nelle spalle, «cosa vuoi che sia successo? E’ così tutti gli anni, sono rimasto a casa da solo» disse lui, con una rabbia nella voce che aveva preso il posto del solito dispiacere che invece sembrava provare quando parlava di suo padre.
Annuii senza sapere cosa dire.
«Sei l’unica che conosco qua» continuò poi, alzando gli occhi e guardandomi.
Deglutii sentendomi improvvisamente a disagio, quegli occhi color verde smeraldo così cristallini ma allo stesso tempo profondi, quell’espressione leggermente corrucciata, le sopracciglia un po’ aggrottate e le labbra rosee socchiuse.
«Sai che sei sempre il benvenuto qua» squittii con la voce strozzata.
Harry rise, voltando lievemente la testa dall’altra, «ma se è la prima volta che ci vengo!»
«Beh, d’ora in poi diciamo, allora.»
«Lennon il tuo amico si ferma qua a mangiare?» domandò mia madre spalancando la porta di casa.
Sia io che Harry ci voltammo di scatto a guardarla.
«Ops, ho interrotto qualcosa?» si portò la mano sulla bocca mortificata.
Scossi la testa, «probabilmente avete già finito, insomma, sono quasi le tre» intervenne Harry guardando l’orologio che portava al polso.
«In realtà abbiamo appena finito con l’antipasto» ammise mia madre divertita, «con tutto il ben di Dio che ci hai portato, aggiungere un posto a tavola non potrebbe farci altro che piacere.»
Harry esitò un attimo, ma alla fine accettò la proposta.
Era incredibile come si fosse fatto subito dentro nel gruppo ma, più di tutto, come mio padre ci ridesse e scherzasse insieme quando era sempre stato molto risoluto riguardo all’argomento “ragazzi”. Non che Harry fosse il mio ragazzo ma per quello che ne sapevano loro poteva anche esserlo e dallo sguardo ammirevole che aveva mia mamma nei suoi confronti sapevo che lei sperava fosse così.
Insomma, era inglese, studiava in una scuola privata, era educato, divertente e non si faceva problemi ad auto ironizzarsi – cosa che apprezzava mio padre in particolare – si vedeva lontano un miglio che già stravedevano per lui. Non osavo immaginare il terzo grado che mi aspettava una volta che se ne sarebbe andato.
Io mi limitavo a mangiare in silenzio ciò con cui avevo riempito il piatto, assistendo allo scambio di battute tra Harry e gli altri e le varie discussioni di politica e sport con mio padre, gossip con mia madre e cartoni animati con mio fratello.
«Dove vi siete conosciuti tu e Lennon?» domandò mia nonna, rimasta in silenzio fino ad allora.
Harry mi guardò di sfuggita, prima di risponderle.
«Nella panetteria in cui lavorava, io parlo ben poco il francese, quando sono arrivato le baguettes erano finite e lei mi ha chiesto il nome per tenermele da parte quando sarebbero state pronte. Io pensavo che volesse sapere come mi chiamavo perché era interessata a me» ammise divertito, posando di nuovo gli occhi su di me.
Mi sentii avvampare contro la mia volontà, Harry non mi aveva mai detto quelle cose e sinceramente preferivo che non l’avesse fatto davanti alla mia famiglia nonostante non ci fosse niente di male e tutti ci stessero ridendo sopra. L’unica cosa che volevo in quel momento era nascondermi sotto il tavolo o sparire, mi strinsi nelle spalle nella speranza di diventare invisibile senza osare alzare lo sguardo dal mio piatto ormai vuoto. Sentii qualcuno darmi un colpo al piede, incrociai lo sguardo di Harry che mi fece l’occhiolino, prima che mia madre mi chiamasse per aiutarla a sparecchiare.
«Cos’aspettavi per dirmi che avevi conosciuto un così bel giovanotto?» mi domandò lei, non appena fummo sole in cucina.
Alzai gli occhi al cielo mentre mettevo i piatti sporchi nella lavastoviglie, «non me l’hai mai chiesto» cercai di giustificarmi stringendomi nelle spalle.
La sentii sospirare, «sembra molto meglio di quell’Oliver.»
Trasalii e rizzai la schiena di scatto, «non parlare di gente che non conosci» ribattei stizzita.
Mia madre si voltò a guardarmi sorpresa dalla mia reazione ma allo stesso tempo dispiaciuta per ciò che aveva detto. Lo sapeva che non doveva nominare Oliver in mia presenza, soprattutto in quei termini. Finii di mettere tutto nella lavastoviglie e tornai di là, leggermente di malumore. Sentivo lo sguardo preoccupato di Harry addosso ma cercavo di evitare di incrociare i suoi occhi nonostante fosse dannatamente difficile dato che si trovava esattamente davanti a me.
Lo vidi appoggiare il tovagliolo sul tavolo e spostare leggermente la sedia indietro, «forse è meglio che vada» disse poi.
L’espressione di tutte le persone che occupavano il tavolo divenne dispiaciuta, «di già?» domandò mio padre. Harry annuì serio, «grazie per tutto, siete stati davvero gentili.»
«Grazie a te per la compagnia, qualunque volta tu voglia venire qua non farti problemi» lo rassicurò mio padre, sorridendogli come mai gli avevo visto fare con un ragazzo. Con Oliver. «Lennon, accompagna gli ospiti» aggiunse poi rivolgendosi a me, con un lieve tono di rimprovero.
Sussultai e trascinai la sedia indietro facendo molto più rumore rispetto ad Harry, più pacato di me, e lo seguii verso l’uscita.
«Grazie per tutto» mormorai, mantenendo lo sguardo basso.
Harry porto la sua mano sotto il mio mento costringendomi ad alzare il viso e a guardarlo negli occhi. Brillavano come tizzoni ardenti e per un attimo mi persi in quell’oceano incantevole racchiuso nelle sue iridi.
«Che c’è che non va?» domandò.
Scossi la testa trattenendo a stento le lacrime, non potevo piangere. Non dovevo piangere, non davanti a lui. Mi morsi il labbro inferiore e trattenni per alcuni secondi il respiro per evitare di singhiozzare.
«Niente» mormorai poi.
«Lennon...»
«Devo darti il regalo di Natale» dissi cambiando argomento e sparendo in camera con la scusa di prenderlo.
Mi scostai leggermente i capelli dal viso e osservai il mio volto evidentemente stravolto. Rimasi immobile davanti allo specchio per alcuni secondi prima di allungare il braccio verso il comò li accanto e prendere il regalo di Harry che avevo incartato meglio che potessi quella mattina. In realtà la carta era leggermente spiegazzata e molle in alcuni angoli ma ero impedita nei lavori manuali, soprattutto nel fare pacchetti, e quello era il meglio che potessi fare. Tornai di là attraversando a grandi passi il salotto, Harry era ancora lì davanti alla porta che mi aspettava.
«Che ne dici di andare a fare un giro?» mi domandò.
Annuii esitante, presi la giacca e il mio berretto, misi velocemente le scarpe e lo seguii fuori di casa.
Sentii il freddo pizzicarmi il naso non appena misi piedi sul marciapiede, affondai il viso nella giacca e mi limitai a camminare in silenzio nonostante il freddo mi stesse facendo calmare un po’.
«E’ simpatica la tua famiglia» esordì Harry, «sono dei tipi a posto.»
«Ti amano» scherzai io, nonostante ci fosse ben poco da ridere dato che era davvero così.
«Sono gentili» si limitò a dire lui, «come te» mi sorrise, e nonostante ci fossero zero gradi circa, io mi sentii le guance andare a fuoco.
«Dove stiamo andando?» domandò poi.
Mi guardai in giro, «ti porto io in un bel posto» dissi, dirigendomi verso la Senna.
«Non vorrei sembrarti sfacciato» m’interruppe lui alcuni minuti dopo, mentre camminavamo sul bordo del fiume parigino, «ma vorrei scartare il mio regalo» si aprì in un sorriso tanto da leccaculo quanto meraviglioso e non potei fare a meno di prendere dalla tasca della giacca il pacchetto che avevo portato con me e porgerglielo, lui fece lo stesso.
Avvampai riconoscendo quel pacchetto, la carta color verde acqua e la scritta in stampatello: “Tiffany & Co.”.
«Harry non posso» borbottai, cercando di ridargli il regalo.
«Lennon non fare storie, apri.»
«Ma non posso! Il mio regalo costerà un ventesimo rispetto a quello che c’è qua dentro.»
Lo vidi alzare gli occhi al cielo, «non mi interessa. L’importante è il pensiero, giusto? Non preoccuparti del prezzo» mi disse, concentrato ad aprire il suo regalo.
Rimasi in silenzio e lo guardai levare la carta stracciandola con foga come i bambini, prima di scoprire un paio di boxer neri con l’elastico bianco di Calvin Klein.
Vidi Harry sorridere, «sono della mia taglia?» domandò poi.
Mi strinsi nelle spalle guardandolo di sottecchi, «non so, ho preso una media. Il fatto è che non sapevo cosa prenderti. Tu sei così alla moda e vestito abiti che io mi sogno e non mi andava di prenderti una cosina così. Se devo essere sincera, l’intimo di marca è quello che costa meno» mi giustificai.
Harry guardò ancora una volta il suo regalo sorridendo, poi alzò lo sguardo e con una mossa veloce mi strinse a sé. Ricambiai l’abbraccio riluttante e sorpresa, battendo alcune volte la mano sulla sua schiena. Mi sentii avvampare.
«Non importa Lennon, qualunque cosa mi avresti preso mi sarebbe piaciuta, di marca o no» mi rassicurò, «ora però tocca a te.»
«Io non credo che...»
«Non farmi arrabbiare» mi interruppe.
Sbuffai e osservai la scatoletta incartata da mani abili alla perfezione, a differenza della mia. Cercai l’adesivo e staccai quello, scartando il tutto con molta calma, stando attenta a non rompere nemmeno un po’ la carta regalo. Mi si presentò davanti agli occhi una scatoletta color verde acqua, come mi aspettavo.
Esitai un attimo prima di aprirla.
«Oh mio Dio» fu l’unica cosa che riuscii a dire non appena vidi quegli orecchini a forma di cuore luccicare.
«Ti piacciono?» Harry sorrideva.
«Io...» cominciai a borbottare. «Sono meravigliosi, grazie.»
«E’ un piacere.»
Lo guardai piena di gratitudine prima di avvicinarmi a lui e abbracciarlo un po’ goffamente dandogli un leggero bacio sulla sua guancia gelida.
«Grazie» ripetei.
Harry annuì, «sono felice che ti piacciano.»
«Non dovevi» mormorai, ammirandoli di nuovo, nonostante dovessi ammettere che li amavo già.
«Almeno c’è qualcuno che apprezza i miei regali» borbottò lui, buttando la carta in un cestino lì vicino.
«Cosa intendi?» domandai, riprendendo a camminare al suo fianco senza una meta ben precisa.
Harry scosse la testa, «niente.»
Gli appoggiai una mano sulla spalla, «sai, ogni tanto fa bene parlarne» cercai di persuaderlo.
Lui rise, «parli proprio tu che eri sconvolta fino a venti minuti fa e non so ancora per che cosa?»
Mi strinsi nelle spalle, «non cambiare argomento, stavamo parlando di te.»
Harry sospirò, «di chi vuoi che  stia parlando? Mio padre, non si è nemmeno preso la briga di aprire il mio regalo. Mi ha augurato buon Natale con lo stesso tono che avrà usato con i suoi colleghi di lavoro e mi ha dato questa busta» disse, prendendola da una tasca interna del cappotto.
«E non lo apri il regalo?» domandai.
«So già che cos’è, saranno un po’ di soldi coi quali spera di riempire tutte le sue mancanze quando non è così.»
Rimasi in silenzio senza sapere cosa dire e lui sbuffò. «Non chiedo tanto, insomma, mi basterebbe una giornata, una, con la mia famiglia unita come la tua. Niente di speciale, un tavolo con seduti attorno ad esso i parenti più stretti e qualche amico. Un pranzo che non sia continuamente interrotto da chiamate di lavoro o imprevisti ma in cui si possa chiacchierare in tranquillità, come dovrebbe essere.»
«Ehi» mormorai, prendendo Harry a braccetto, «quando un paio di giorni fa ti ho detto che avevi trovato compagnia, non scherzavo.»
«Ma se mi conoscevi a malapena!»
«Ho un sesto senso» gli sorrisi e mi arrestai in mezzo al ponte che stavamo attraversando, «sai dove abito, la mia famiglia ti adora e ogni qualvolta ti senti solo o vuoi semplicemente un po’ di compagnia ti basta venire a bussare alla mia porta. Dopo cinque minuti che sentirai mio fratello piangere e mia nonna brontolare stanne certo che rimpiangerai la tranquillità che c’è da te» cercai di sdrammatizzare, ed Harry rise. Non resistetti alla tentazione di sfiorargli le fossette con un dito.
«Potresti avermi tra i piedi più spesso di quanto vorresti.»
«Sono quattro giorni che ti conosco e credo di averti visto più di quanto vedo i miei cugini e zii che conosco da quando sono nata. Non credo che potrebbe andare peggio di così» scherzai.
Harry mi diede una leggera spinta ed io rischiai di perdere l’equilibrio, mi aggrappai istintivamente al suo braccio.
Rimanemmo per alcuni secondi in silenzio e in quella posizione, ammirando gli strani giochi di luce che facevano i lampioni riflessi nella Senna al calar del sole.
Non erano nemmeno le cinque e già si stava facendo buio.
Il braccio di Harry che passò a cingermi le spalle mi fece distrarre dai miei pensieri. Sentii una scossa attraversarmi tutto il corpo e non era per il freddo, mi accoccolai istintivamente addosso a lui, appoggiando la testa sul suo petto e respirando a pieni polmoni il suo profumo.
«Sai, ora come ora vorrei non dovere mai abbandonare questa città» lo sentii mormorare.
Alzai leggermente il viso verso di lui, osservandolo così da vicino come non avevo mai fatto. Poi, mi alzai leggermente sulle punte  dei piedi e lo baciai istintivamente sulla guancia.
Vidi le sue labbra incurvarsi all’insù.

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Eccomii!
Scusate per il lieve ritardo nel postare ma nonostante avessi il capitolo già pronto non avevo nemmeno voglia di aprire Word per postare HAHAHA Del tipo che sarà da una settimana che non scrivo, devo mettermi sotto ma la scuola mi fa passare tutta la voglia -.-
Comuuunque, spero che questo capitolo lunghissimo vi sia piaciuto e non vi abbia annoiate :) Si sapeva già quale sarebbe stato il regalo per Lennon, quello di Harry mi è venuto un mente un giorno mentre vagando per Tumblr m'è saltata fuori una sua foto dove gli si vedeva tipo l'elastico delle mutande HAHAHA 
Non credo v'interessi molto ciò da cui traggo ispirazione per ste robe ma volevo dirvelo uù Qua doveva esserci il bacio secondo i piani ma come al solito amo farvi aspettare più del dovuto, sono malvagia lo so :D
Vi prometto però che non arriverà all'epilogo, quindi dovete aspettare meno di sette capitoli dai AHAHAHAHA
Fatemi sapere che ne pensate! Perché sinceramente a me sto capitolo piace abbastanza :)
Grazie mille per le recensioni che mi lasciate, per seguire la storia, avermi tra gli autori preferiti e tutto il resto!
Jas



 



«Quando partite?» continuai.
«Dopodomani.»
Mi sentivo preso in giro, com’era possibile che Lennon mi avesse mentito per tutto quel tempo?


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Vi ricordo che ho altre due Fan Fiction in corso se volete passare :)





 

   
 
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