Fanfic su attori > Alex Pettyfer
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Autore: StopAndStareFan    25/09/2012    5 recensioni
Ventisei. Tredici moltiplicato per due dà ventisei. Tredici è un numero primo, quindi non si può scomporre in altri fattori. Si trae la diretta conseguenza che tredici non può essere diviso dal tre, che è la cifra perfetta. Perciò Alex non è perfetto.
Ho passato la maggior parte del tempo a fare questo ragionamento.
Il risultato? Mi sono innamorata di Alexander Richard Pettyfer.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Cause you’re in Hollywood. There’s something in the air in Hollywood…’ Quella dannatissima canzone risuonava nella sala di attesa da più di dieci minuti. Controllai l’orologio per l’ennesima volta, ancora stordita a causa del fuso orario di diciotto ore. Insomma, erano le dieci del mattino a Los Angeles, ma a Sidney sarebbero state le due di notte. Ero tentata di sdraiarmi sulle seggiole di plastica verdi deprimenti e di farmi una bella dormita. Non ci avrei pensato due volte se fossi stata in un’altra situazione, ma in quel momento non potevo permettermi alcun calo di concentrazione.


 

<< Scusa Cindy, ho da fare. Dopo mi racconterai tutto. Ciao darling! >> La sottospecie di segretaria stazionante dietro alla scrivania non mia aveva minimamente presa in considerazione nei venti o venticinque minuti precedenti. Si era limitata a chiacchierare al telefono con una sua amica, masticando una gigantesca gomma da masticare rosa e arrotolandosi una ciocca di capelli scuri attorno a un dito.


 

<< Posso fare qualcosa per te? >> Domandò lanciandomi uno sguardo disinteressato. Mi alzai in piedi e raggiunsi il bancone della scrivania. Frugai nel mio pratico zainetto ed estrassi una busta di plastica platinata. La deposi sul piano di legno. La tizia aggrottò la fronte.


 

<< Sono Kaeli Anderson. Mi hanno assegnata ad uno stage. >> Le consegnai il foglio che attestava il mio certificato di: stagista Hollywoodiana. I californiani erano davvero strani, come del resto gli americani. Non che noi australiani fossimo gente normale; eravamo il classico popolo che si credeva superiore al resto del mondo soltanto perché discendevamo da una “nobile stirpe di inglesi”, e così via.


 

<< Fammi controllare. >> La donna alzò un dito, mostrando le sue unghie finte colorate di rosa fosforescente. Picchiettò un paio di volte sulla tastiera del computer e poi annuì soddisfatta. Masticò la sua gomma, e, dopo aver preso una penna, scarabocchiò qualcosa su un post-it in formato mignon.


 

<< Lo studios è questo. >> Indicò il suo scarabocchio. Mi diede un cartellino da attaccare al colletto della maglietta, e mi sorrise cordialmente. Sapevo che dietro quel riso si nascondeva una minaccia celata, del tipo: vattene, ho altro da fare che trattare con ragazzine sperdute.


 

<< A chi devo rivolgermi quando arriverò? >> Chiesi, ignorando l’avvertimento nascosto. Insomma, avevo fatto un giorno intero in areo! Non ero arrivata a Los Angeles per farmi trattare da stupida.


 

<< Al regista. >> Disse bruscamente. Borbottai un ringraziamento e poi uscii dalla sala d’attesa, ritrovandomi nel bel mezzo del fulcro principale degli Studios: era una piazza gigante, coperta di cemento armato e piena di turisti giapponesi che scattavano foto persino al pavimento grigio e scottante. Mi feci aria con il foglio che avevo in mano: essendo l’Australia e l’America in due emisferi diversi, a Sidney era inverno, mentre lì estate.

Vidi una guardia giurata dall’aspetto triste e grigiognolo sbuffare ripetutamente.


 

<< Mi scusi! >> Gridai. La sua postazione era dall’altra parte della piazza. Quando si accorse che stavo parlando con lui, uscì dalla piccola cabina e mi raggiunse, felice di avere qualcosa da fare, evidentemente.


 

<< Sì? >> Ansimò. Era un uomo buffo, basso e grasso. Il sudore gli colava sul collo ed era paonazzo per avere fatto pochi metri a piedi.

<< Vorrei sapere dove è lo studio numero dieci. >> Sorrisi, cercando di sembrare cordiale. La guardia osservò per un attimo il cartellino appeso alla mia maglietta, e poi si grattò la testa coperta dal cappello.


 

<< Vedi quella strada? >> Domandò indicando una viuzza sul lato sinistro del grande spazio di cemento. Annui.


 

<< Lo studio numero dieci è infondo alla via, se non lo trovi torna qui. >> Si sistemò la cintura e trotterellò via, facendo rimbalzare il suo pancione prominente. Seguii le sue indicazioni, e quando vidi l’enorme capannone industriale rimasi a bocca aperta. Quando mi avevano inviato la lettera per lo stage, non sapevo per quale film avrei lavorato.


 

Vidi la scritta: Beastly, stampata a grandi lettere sopra alla porta. Dall’interno del capannone proveniva una voce maschile, tonante. Sembrava stesse facendo un discorso. Entrai silenziosamente nell’edificio, e rimasi in disparte, vedendo una folla composta da circa duecento persone ascoltare un uomo sui trent’anni che parlava.


 

<< Quindi, che la nostra avventura abbia inizio! >> Strillò, e dopo un fragoroso applauso, scese dal palchetto improvvisato, composto da una sedia, e sbuffò, dirigendosi verso l’uscita. Quando mi vide socchiuse gli occhi, diffidente.


 

<< Mi spiace, ma questo luogo non è accessibile ai turisti. >> Disse incrociando le braccia al petto. Lo fissai imbambolata: era Daniel Barnz, un regista di fama mondiale che io apprezzavo moltissimo.

 

<< Oh, non sono una turista. >> Mi affrettai a spiegare, scostandomi una ciocca di capelli che mi era caduta sugli occhi. Strinsi tra le mani il sopracitato foglio, e poi glielo porsi. L’uomo lo afferrò, e lesse velocemente le poche righe.


 

<< Ah, così tu saresti la mia stagista. >> Commentò storcendo il naso. Spalancai gli occhi.

<< Ehm, già signore. Mi chiamo Kaeli Anderson, sono di Sidney e la stimo molto. Sa, ho visto… >> Mi interruppe con un gesto infastidito della mano.


 

<< Stammi a sentire Kayla… >> << E’ Kaeli. >> Lo corressi timidamente. Alzò gli occhi al cielo.


 

<< Si, fa lo stesso. Tu sei un po’ troppo giovane per fare la stagista, ma ho il lavoro perfetto per te. >> Concluse. Abbassai lo sguardo, infuriata e impaurita al tempo stesso. Il sogno di una vita che veniva bruciato in pochi secondi, e con poche parole dette senza nemmeno conoscermi.


 

<< Alex ha bisogno di qualcuno che lo aiuti, capisci. E’ molto impegnato, e da solo non ce la farà mai. Potresti fare la sua assistente.>> Spiegò gesticolando.


 

<< Alex? Chi è? >> Chiesi, allungando il collo e cercando di mantenere la mia dignità. Daniel Barnz sembrò stupito.


 

<< Alex Pettyfer, chi altri? E’ il protagonista di questo film… >> Borbottò saccentemente, e scandendo le parole, come se mi considerasse sorda e stupida.


 

La verità era che io ero rimasta a bocca aperta, e il mio cuore batteva all’impazzata, come se stessi per morire di infarto.


 

D’accordo, l’assistente non era il lavoro per cui avevo abbandonato mio padre e per cui avevo deciso di lasciare l’Australia, facendo ventiquattro ore in classe economica accanto ad una portoricana che continuava a blaterare dei suo sette figli. Ma… Alex Pettyfer?


 

Quell’Alex Pettyfer? Per lui avrei potuto fare uno sforzo in più.


 

<< Accetto. >> Dissi forte e chiaro.


 

Oh, accettavo eccome.  

  
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