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Autore: Melanto    25/09/2012    7 recensioni
Aria. Acqua. Terra. Fuoco. Alla disperata ricerca del Principe scomparso, mentre nel cielo rosseggia un'alba che odora di guerra. Una lotta contro il tempo per ritrovare la Chiave Elementale, prima che finisca nelle mani del Nero, e salvare il pianeta.
Siete pronti a partire?
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Hajime Taki/Ted Carter, Mamoru Izawa/Paul Diamond, Teppei Kisugi/Johnny Mason
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
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- Questa storia fa parte della serie 'Elementia Esalogy'
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ELEMENTIA
- The War -





CAPITOLO 15: L'uomo senza Inconscio (parte II)

Avamposto Sud dell’AlfaOmega – Sistema Montuoso del Nohro, Regno degli Ozora, Terre del Sud Meridionali

Yuzo riprese conoscenza in maniera lenta. Così come era stato addormentato, allo stesso modo lo stavano svegliando: per mezzo di qualche incantesimo; il volante lo sentiva pur non avendone la certezza assoluta. Aprì gli occhi e la stanza gli apparve buia; simile, nella struttura, a quella in cui aveva scorto Faran Konsawatt. Sbatté le palpebre un paio di volte e gli aloni luminosi delle candele conferivano forme sfuocate alle sagome delle fiammelle. Si sforzò di metterle a fuoco, ma gli occhi bruciavano leggermente. Emise uno sbuffo.
“Bentornato tra noi. Lieto di avere la tua presenza.”
Gli occhi di Yuzo cercarono subito il proprietario di quella voce dai toni acuti e fastidiosi. Lo trovò di spalle, presso quello che gli sembrò un banco da lavoro. Correva per tutta la parete e sopra ospitava oggetti di ogni genere: ampolle, barattoli pieni di erbe, forme aldeidi di strane creature e animali vivi che strisciavano contro il vetro per uscire. Poi bisturi, martelletti, pinze.
Strumenti.
Pugnali, fruste, mazze.
Strumenti di tortura.
Merda.
“Il piacere… è solo tuo” impastò, le parole si appiccicarono tra palato e lingua, nemmeno fossero fatte di colla.
Lo Stregone rise sottilmente e si volse permettendo al volante di poterlo guardare dritto negli occhi: incredibilmente azzurri e allo stesso modo malevoli.
“Strana scortesia per un Elemento d’Aria. Che ne è della vostra decantata pazienza?”
“Ho finito le mie scorte personali, chiedo venia.” Yuzo lo disse con un mezzo sorriso sulle labbra e il mago rimase colpito dalla sua acuta, quanto inusuale ironia. Sbottò in una risata piena.
“Arguto! Lo stesso non può dirsi di coloro che son venuti prima di te.”
“Che cosa vuoi?”
Lo Stregone nicchiò. La sua figura era piccola e il viso imberbe, dai tratti delicati. A Yuzo parve addirittura più giovane di lui, ma non poté dirlo con sicurezza. Lo vide poggiarsi al bordo della mensola e incrociare le braccia al petto. Il mantello nero oscillò ai movimenti.
“Fare due chiacchiere.”
“Da quando fare due chiacchiere è divenuto sinonimo di tortura?”
“Da quando vi ostinate a non voler rispondere alle mie domande.”
Il sorriso tornò sulle labbra del volante. “Forse perché non usi la parolina magica.”
“Se la usassi mi risponderesti?”
“Chi può dirlo. Prova.”
Lo Stregone lo guardò fisso, con intensità. Anche lui aveva un accenno di sorriso sulle labbra sottili. Stette al gioco.
“Rivelami tutti i segreti della Scuola di Alastra. Per favore.”
“Non ci penso nemmeno, ma è stato divertente vedertelo chiedere.”
La risata del mago risuonò per tutta la stanza, rimbombando nell’eco del soffitto alto e vuoto. “Per Kumi! Tu sì che mi piaci! Mi piaci tantissimo! Sono sicuro che mi farai divertire più di chiunque altro!”
Non che Yuzo morisse dalla voglia di essere usato come giocattolo, ma le cose non sarebbero cambiate, visto che chi dei due continuava ad avere il coltello dalla parte del manico non era lui. Lanciò un’occhiata alle armi che erano dietro lo Stregone, accennandole con il mento. “Cominciamo, allora. Non ho preferenze: pugnale, frusta-”
“Oh! No, no! Gli oggetti che vedi sono per i tyrani, amano il gioco duro.” Il giovane ci tenne subito a mettere le cose in chiaro. Cambiò posizione e rivolse una rapida occhiata agli strumenti, prima di tornare a osservarlo, stringendo lo sguardo. La sua malevolenza trasudava da ogni gesto, anche il più piccolo. “Per quelli come te ho metodi diversi. La vostra educazione mentale è ciò che vi rende i più resistenti alla tortura, lo sapevi? Ma siete anche coloro che soffrono più a lungo. Per questo vengono mandati gli Stregoni come me a lavorarvi e io conosco un metodo infallibile per prolungare all’infinito il vostro dolore. Mi supplicherai di ucciderti.”
Il lamento dell’uomo torturato a morte e il suo sguardo vacuo tornarono alla mente in un ricordo abbagliante come un lampo che il volante si sforzò di mettere da parte.
“Forse. Ma i segreti moriranno con me.” Per quanto non fosse mai stato realmente preparato ad affrontare tutto quello, Yuzo non si fece intimorire dalle sue minacce. Non si aspettava che sarebbe stato semplice né piacevole, ma non avrebbe ceduto il passo contro quel bastardo per nessun motivo al mondo.
“Staremo a vedere.” Lo Stregone si avvicinò con cadenza lenta, quasi stesse assaporando i pochi momenti che ancora lo separavano dal mettere in pratica i suoi propositi.
Yuzo non lo perse d’occhio nemmeno un attimo. Il mago era più basso di lui, fisico minuto, capelli inverosimilmente biondi. A occhi inesperti sarebbe potuto apparire innocuo, ma non ai suoi che sapevano leggere benissimo la minaccia annidata nell’azzurro di quelle iridi.
Lo Stregone si fermò davanti a lui che non avrebbe potuto muoversi nemmeno se l’avesse voluto: le mani erano legate dietro la spalliera, e le caviglie ai piedi della seggiola su cui si era svegliato. Piano gli toccò le tempie, appoggiando sulla pelle tre dita di ogni mano.
Yuzo sbatté le palpebre e nel frammento d’istante in cui le chiuse gli sentì mormorare una formula. L’attimo dopo il laboratorio era scomparso, l’intera base con le sue mura non c’era più, mentre l’azzurro era ovunque.
Azzurro. Luce.
Vento.
La brezza spirava piacevole attorno a loro che sembravano perduti nel cielo tanto che la terra non era nemmeno più visibile.
Una phaluat volò davanti allo Stregone che rispondeva al nome di Fredericks che la osservò compiere un’elegante evoluzione prima di tornare indietro e rimanere sospesa poco sopra la spalla dell’Elemento. Si fronteggiavano.
Fredericks sorrise. “Così la phaluat è l’animale che ti è più vicino. Banalotto.”
E quella non era una phaluat qualunque, Yuzo la riconobbe all'istante: avere Taleja(1) al suo fianco, emersa dai suoi ricordi pronta a difenderlo, lo fece sentire improvvisamente più forte. Il volante fece vagare lo sguardo senza muovere la testa e infine lo fermò su di lui. “Un Illusionista.”
“Perspicace. Quelli come me sono gli unici a poter affrontare quelli come te. E sai perché? Perché le vostre discipline mentali, il vanto della Scuola di Alastra, quelle che considerate il vostro punto di forza… sono anche la vostra più grande debolezza. Il vostro ordine, il vostro rigore ci permettono di entrare. Tsk, se provassi a intrufolarmi nella mente di un Elemento di Fuoco verrei ucciso all’istante; come potrei mai contrastare il loro caos mentale? Impossibile, nessuno può. Mentre voi… il disordine, il caos, l’istinto primordiale di ogni essere umano lo avete separato da tutto il resto, circoscritto, dominato.” Si profuse in un elegante e ironico inchino. “Grazie infinite della cortesia.” Poi allargò le braccia, esalando un profondo sospiro estatico. “Ah! La tua mente è così ordinata e calma. È come passeggiare in un giardino.” Lo sguardo vagò per il cielo sconfinato e infinito, calò sulla figura dell’Elemento e infine si concentrò oltre la spalla del volante dove centinaia di sagome sfuocate si muovevano e parlavano, ma le loro voci erano un brusio non comprensibile.
Yuzo si accorse del ghigno predatorio dello Stregone e inquadrò le proprie spalle con la coda dell’occhio per un fugace attimo.
“E lì…”, riprese Fredericks, “ci sono tutti i tuoi segreti e ricordi che aspettano solo d’esser colti come frutti maturi.”
“Prova a toccarli e ti uccido.” Il volante lo disse senza mezzi termini, niente giri di parole né retorica. Era la seconda volta che minacciava di morte qualcuno e se la prima si era sentito spaventato da sé stesso, non avrebbe mai creduto che farlo ancora potesse rivelarsi così facile. Soprattutto, non avrebbe mai creduto di essere di nuovo sicuro che sarebbe andato fino in fondo alla prima occasione.
“Accidenti che freddezza!” Fredericks non nascose la palese sorpresa. “Che fine ha fatto il pacifismo degli Elementi d’Aria? Non eravate tutti buoni, voi?”
Yuzo accennò un leggero sorriso, ma piegò solo le labbra, mentre gli occhi non sorridevano affatto. “Perdonami, sono il peggiore tra i miei compagni.”
Lo Stregone si limitò ad accennare col capo, sinceramente divertito dall’insolita aggressività del suo avversario e si preparò ad affrontarlo.
Il giovane non si mosse quando lui avanzò, né la prima né la seconda volta, ma sembrò quasi aspettare che si avvicinasse ancora per poi attaccarlo. Fredericks decise che non gliene avrebbe dato il tempo e agì per primo. Velocissimamente lo scartò di lato dove c’era lo spazio libero, infinito; riusciva a scorgere le sagome. Allungò una mano per afferrare brandelli di ricordi, nomi, volti ma l’Elemento gli apparve davanti l’attimo prima che potesse entrare nella parte più nascosta e protetta della sua mente.
“Pensi che non ne sarei capace?”
Il volante lo domandò guardandolo con occhi di sfida.
Fredericks dovette ammetterlo: quel ragazzo era diverso da tutti gli Elementi di Alastra che si era trovato contro.
“Credi che non ti ucciderei? Farei qualsiasi cosa per proteggere ciò che ho di più caro dalle grinfie di quelli come te.”
Il mago non prestò troppa attenzione alle sue parole, occupato com’era a domandarsi come avesse fatto a muoversi così velocemente. Girò lo sguardo e, per assurdo, vide il volante dove l’aveva lasciato. Ma, allo stesso tempo, era anche davanti a lui.
Erano due.
“La mia mente. Le mie regole” decretò il giovane con un sorriso. La voce raddoppiata e poi triplicata quando provò a scartarlo di nuovo, e quadruplicata, quintuplicata. In un attimo, le copie dell’Elemento d’Aria avevano formato un muro a protezione di tutti quei segreti di cui aveva bisogno.
Con sorpresa di Fredericks, il suo avversario ci aveva messo poco a capire come funzionava, tanto da prendere subito in mano le redini del duello. Non si smentivano. Gli Elementi d’Aria erano in gamba davvero, ragionavano in un attimo e nello stesso tempo formulavano strategie, che fossero di difesa o attacco non era differente, sapevano sempre come agire. Questo lo mandava in bestia. Detestava il loro trovarsi sempre pronti a ogni evenienza, il loro non farsi sorprendere né cogliere impreparati. Sembravano sempre essere un passo avanti a lui ed era una cosa che non riusciva ad accettare. Aveva torturato decine di alastri, ma mai da nessuno di loro era riuscito a strappare più che banalità, informazioni superficiali che lasciavano il tempo che trovavano. Addirittura, a volte trovava più facile fare breccia nel loro spazio personale, nei ricordi legati agli affetti, piuttosto che in quelli relativi alla scuola. Avrebbero difeso fino alla morte i loro segreti e la morte era proprio ciò che avevano trovato una volta finiti nelle sue mani. Più che altro, Fredericks nutriva un’invidia sconfinata per le loro abilità e se era vero che li detestava, d’altro canto adorava torturarli e prendersi, in un modo o nell’altro, la sua piccola rivincita.
Il ragazzo che aveva davanti era più giovane di quelli che aveva avuto il piacere ‘conoscere’ eppure sembrava avere quella fermezza che solo l’esperienza poteva dare. Si sarebbe divertito un mondo a fargli del male.
Velocemente cominciò a correre lungo il perimetro che quella barriera umana aveva creato, alla ricerca di un minuscolo spazio in cui provare a intrufolarsi, ma come sembrava trovarne uno, spuntava una nuova copia dell’Elemento a coprirlo.
Masticando delle formule, Fredericks fece piovere centinaia di piccole sfere di energia. Il suo era un attacco diversivo, sperava di distrarre l’avversario quanto bastava per provare ad affondare il colpo decisivo. Il tentativo andò a vuoto perché Yuzo non si fece cogliere impreparato e mentre le copie affrontavano l’incantesimo, un altro paio balzarono in avanti, attaccando direttamente lo Stregone e costringendolo ad arretrare.
Il mago ringhiò un insulto, ma le corde di sottili fulmini neri seppero andare a bersaglio, facendo scomparire i due cloni fastidiosi.
Sempre senza smettere di correre – o volare, visto che si trovavano in cielo –, Fredericks tornò indietro deciso ad affrontare il vero Elemento, anche se non avrebbe saputo dire quale di quelli fosse. Non a una prima occhiata, ovviamente, ma c’era quella phaluat che girava intorno solo su di un unico punto. Per quanto fosse una creatura che era lì per difendere il suo avversario, stava facendo anche un favore a lui, perché gli aveva permesso di individuare l’alastro vero in mezzo a quell’esercito di falsi.
Fredericks tese il ghigno e sfruttò le illusioni per triplicarsi: se poteva farlo l’Elemento, a maggior ragione poteva farlo anche lui, visto che era la sua specialità. Le tre figure corsero in circolo, ben distanziate l’una dall’altra, ma l’alastro sfoderò la sua difesa, sollevando delle raffiche di vento tanto forti, quanto insidiose.
Lo Stregone e i suoi cloni furono costretti a rallentare e contrastarlo con tutta la loro forza, poi misero contemporaneamente mano alla cintura. Da una specie di tasca lanciarono una manciata di polvere grigia che si insinuò nello spirare del vento. I tre pronunciarono una formula magica e la polvere si gonfiò all’improvviso, espandendosi in maniera inverosimile fino a coprire la visuale del volante.
Le teste di Yuzo si volsero in tutte le direzioni, ma il grigio era ovunque e non permetteva di vedere attraverso la cortina che aveva creato. Il vento si intensificò, le raffiche riuscirono ad aprirsi un varco e a disperdere l’incantesimo. Poi, il verso forte della phaluat avvertì il volante che sollevò il capo. Due Stregoni avevano sfruttato il diversivo della nube per attaccarlo di sorpresa e il giovane li vide piombare su di lui, fruste di fulmini neri alle mani. Yuzo contrattaccò con la stessa moneta e poiché era in superiorità numerica, riuscì a trafiggerli con le sue scariche elettriche ben prima che le armi altrui riuscissero a toccarlo.
“Sei mio!”
Quel sibilo arrivò deciso e troppo vicino. L’Elemento originale, in quella moltitudine di copie, si volse giusto in tempo per vedere il vero Stregone emergere dal basso. Preso com’era stato dall’attacco arrivato dal cielo, Yuzo non si era accorto che mancava uno degli avversari all’appello. Era qui che si vedeva la differente esperienza: nonostante avessero la stessa età, Fredericks aveva già torturato decine e decine di Elementi, aveva affrontato centinaia di duelli mentali e si era fatto le ossa sul campo molto prima dell’alastro, che invece basava tutto sulla teoria e solo adesso stava muovendo i primi passi nella pratica vera e propria. Lo Stregone lo aveva capito e aveva atteso il momento giusto affinché compisse il famoso passo falso, affinché gli lasciasse un misero varco attraverso il quale riuscire a entrare. E il momento era arrivato.
Il braccio di Fredericks affondò nell’unica falla di quella barriera invalicabile, tra il fianco e il gomito. Le dita fecero breccia, toccarono l’essenza della mente di Yuzo e si chiusero come tenaglie, intrappolandone un frammento nel palmo.
Tutte le copie del giovane si piegarono su loro stesse, afferrandosi la testa: era come se gli avessero sfondato il cranio per estrarre il cervello.
Fredericks sorrise, trionfante. La mano ancora intrappolata dall’altra parte e il vento che gli spirava intorno sembrava impazzito, le raffiche erano incostanti.
Ormai l’aveva in pugno, ma la phaluat, che aveva continuato a restare al fianco del volante, non fu dello stesso avviso. In picchiata ed emettendo un verso acuto e stridente si gettò su di lui. Il dolore delle beccate che lo colpirono alla testa e sulle spalle lo fece contorcere e imprecare. Strattonò il braccio e lo liberò dall’incastro.
“Va’ via, dannata bestiaccia! Smettila!” Volando s’allontanò, cercando di colpire l’uccello alla cieca, ma senza riuscirci. Taleja lo lasciò perdere e tornò al fianco dell’Elemento.
Fredericks gli vide reggersi ancora la testa, ma il dolore stava passando ora che non c’era più la sua mano a scavargli dentro. Le copie erano scomparse e rimaneva solo l’originale.
“Strapperò le ali a quell’odioso pennuto, parola mia!” minacciò lo Stregone, poi sollevò il pugno ancora chiuso e lo fissò con occhio bramoso. “Adesso vediamo cosa sono riuscito a tirarti fuori.”
Aprì lentamente la mano e un bagliore simile a un batuffolo di luce si levò dal palmo. Sotto lo sguardo preoccupato di Yuzo, venne assorbito dagli occhi neri dell’Illusionista il quale li chiuse appena la luce fu entrata in lui completamente.
Quando li riaprì, l’espressione che fece fu di pura perplessità.
“Perché?” domandò infatti, guardandolo con evidente sorpresa. Per un attimo, a Yuzo non parve nemmeno ostile, ma subito il ghigno malevolo tornò a rendere temibile la sua espressione. “Deve essere molto importante per te. Sì. Deve essere così. D’accordo, allora. Mi è venuta una bella idea.”
E quell’espressione non piacque al volante, così come non gli piacque il modo in cui seguitava a sorridere. Con cautela assunse nuovamente una posizione di difesa, ma nell’attimo in cui sbatté le palpebre, l’azzurro scomparve e la penombra della stanza alla base gli apparve più buia di quanto ricordasse. Si guardò attorno, girando completamente il capo da una parte all’altra. Le mani e i piedi di nuovo bloccati.
“Non agitarti, non potrai liberarti.”
Lo Stregone era fermo presso il ripiano su cui erano poggiati gli strumenti di tortura. Yuzo accennò un mezzo sorriso preparandosi mentalmente a ciò che avrebbe dovuto affrontare. Sapeva come resistere al dolore, almeno per un po’, ma non aveva mai provato a fronteggiare una cosa simile. Eppure, questo non sarebbe stato sufficiente a piegarlo. Tutto ciò che aveva affrontato fino a quel momento, tutto il dolore, il coraggio e la volontà ferrea dei suoi genitori erano il motivo per cui non avrebbe potuto essere da meno.
“Ma quelli non li usavi solo con i tyrani?” domandò. “Vedo che hai cambiato idea.”
“Oh, no. Affatto.” Fredericks gli dava le spalle, prendendo e valutando le lame dei suoi strumenti. “Questi giochini li uso davvero solo con loro. Sai, hanno la pellaccia dura. Quelli reali almeno.”
“Reali?” Yuzo fece eco, l’espressione mutò in sospetto.
“Già, siamo ancora nel pieno del nostro duello mentale.” Fredericks si volse, il sorriso malevolo e ampio più che mai, gli occhi neri per la magia dilagante. “Ci siamo solo spostati, ora siamo nella mia mente e qui le regole le faccio io. Il bello di questo tipo di tortura è che posso farti di tutto: marchiarti, sfregiarti, ridurti a pezzetti e non resterà il minimo segno sul tuo corpo.” Assottigliò il tono. “Quando sarai sull’orlo della morte, mi basterà fermarmi e aspettare qualche momento prima di ricominciare da capo. Un dolore infinito.” Gli volse nuovamente le spalle. “E sia chiaro: qui le tue difese contro il dolore non valgono.”
Yuzo deglutì e strinse le labbra. “Allora accomodati. Ma non aspettarti soddisfazioni.”
Fredericks agitò un dito. “Ah, dimenticavo. Non sarò io a torturarti. Non con questo volto, comunque. Sai, prima sono riuscito a carpirti solo un nome e qualche misera informazione a esso legata. La prima cosa che mi sono chiesto è stata cosa avesse a che fare con te. Appartenete a mondi talmente diversi. Al che mi sono detto che se lo tenevi così nascosto, così protetto, allora deve essere una persona importante. Molto. E cosa c’è di meglio che essere torturati da coloro cui si vuole bene?”
Nel momento in cui si volse e lesse chiaramente lo sconcerto sul volto dell’Elemento – che non si premurò nemmeno di celarlo –, lo Stregone capì d’aver fatto centro.
Un largo sorriso si distese su quel volto che non aveva più i suoi tratti né i capelli biondi e gli occhi azzurri, ma aveva preso in prestito quelli appartenenti al fantomatico nome, assieme ai suoi colori: scuri come il buio.
“Mamoru. Dico bene?” Anche la voce non era più la sua e per quanto Yuzo stesse continuando a ripetere a sé stesso che era solo una maledetta illusione, non poteva negare quanto fottutamente sembrasse reale.
Serrò le labbra, non rispose.
“Oh, è inutile che mi ignori è chiaro che non puoi farlo come vorresti. Ciò non fa che dimostrarmi quanto lui sia importante per te.” Fredericks avanzò adagio, accorciando la loro distanza in modo lento e subdolo. Ad ogni passo, Yuzo non poté fare altro che vedere quanto la somiglianza fosse perfetta. Lo Stregone non imitava solo l’aspetto, ma anche i movimenti, i gesti, le espressioni. Dovette riconoscerglielo: “Sei davvero bravo.”
Fredericks sorrise, fermandosi davanti a lui. Avvicinò il viso.
Addirittura le sfumature nei suoi occhi erano le stesse.
“Solo bravo? Ragazzo mio, io sono il migliore.”
La situazione gli apparve di improvviso così irreale che Yuzo si ritrovò a ridere sottilmente, scuotendo il capo.
“Mi fa piacere che lo trovi divertente.” Lo Stregone gli passò una mano tra i capelli per poi afferrarli e tirargli indietro la testa.
“Anche così, ti posso giurare che non uscirà un fiato dalla mia bocca.”
Yuzo non smise di sorridere e nel suo sguardo, nel modo in cui lo fissava o, meglio, fissava l’illusione che aveva creato, Fredericks sembrò comprendere.
“Quindi è in questo modo che stanno le cose tra voi. Interessante. Aria e Fuoco sono una miscela esplosiva.”
“Lo so. Ma ce la siamo sempre cavata bene. Anzi. Non immagini quante volte avrebbe voluto essere al posto tuo per darmele di santa ragione.”
“Oh, allora gli farò un favore.” Fredericks stette al gioco, mentre la mano libera scendeva a sciogliere i bottoni della casacca per scoprire il torace.
Negli occhi del volante il sorriso non scomparve e nemmeno quella sorta di intoccabilità che sotto sotto lo indisponeva.
“Di sicuro. Ma tieni ben a mente ciò che ti dirò: se non sarai già morto, una volta che sarò libero ti ucciderò con le mie stesse mani.”
Fredericks sbuffò un ghigno nel serrare la presa sui suoi capelli. Quella minaccia, o forse il modo in cui gliel’aveva rivolta, gli fece provare una sensazione di fastidio che si ostinò a minimizzare. “Tu credi?” L’altra mano iniziò ad arroventarsi, perché le sue illusioni erano complete sotto ogni punto di vista, compreso quello della magia. “Staremo a vedere.”
L’attimo dopo le grida di Yuzo gli esplosero nella mente quando gli marchiò il petto.

Mamoru spalancò gli occhi di scatto e la prima cosa che vide fu il soffitto o ciò che gli sembrò tale. Si tirò a sedere velocemente e la stanza girò attorno a lui per una frazione di secondo, poi tutto rimase perfettamente immoto e silenzioso. La penombra veniva ricreata da una torcia appesa al muro opposto alla sua posizione e arrivava come filtrata da quella barriera trasparente che delimitava lo spazio intorno a lui.
Mamoru la seguì con gli occhi, l’espressione che virava dallo smarrito al furente nel capire di essere in ‘gabbia’, anche se quella non aveva comuni sbarre. Odiava sentirsi rinchiuso, lo mandava in bestia; si sentiva come un fuoco che cercavano di contenere, limitare, ma nessuno si rendeva conto di quanto fosse difficile trattenere le fiamme: sarebbe bastata la minima distrazione affinché divampassero senza pietà. Ecco, lui si sentiva proprio così: fremeva dalla voglia di scatenarsi, di fregare coloro che cercavano di domarlo e renderli cenere.
Senza pensare alle conseguenze, la sua impulsività agì prendendo il sopravvento sulla ragione. Caricò delle palle di fuoco e, con un balzo, le esplose contro la barriera trasparente dall’aspetto spesso e solido. Le fiamme si espansero sulla superficie e morirono in un attimo. La barriera non aveva riportato nemmeno la più piccola bruciatura, non un alone, niente.
Mamoru non si diede per vinto, tentò un secondo assalto e contemporaneamente colpì la struttura con un pugno ben piazzato e un calcio. Tutto inutile.
La roccia, perché di roccia si trattava anche se di un tipo che Mamoru non aveva mai visto prima, tremò con un suono cupo ma rimase in piedi, senza essere nemmeno scalfita.
L’Elemento di Fuoco smise di attaccare alla cieca. Rilassò le braccia lungo i fianchi e inspirò a fondo un paio di volte, dipingendosi un’espressione più mesta e crucciata di quella che avrebbe voluto mostrare. Solo allora, il raziocinio sembrò prendere nuovamente il controllo sul suo orgoglio e lo convinse a guardarsi attorno. La stanza era ampia, priva di finestre, e la gabbia che lo conteneva disegnava una cupola sulla sua testa. Non aveva porte, doveva essere stata creata con la Magia Nera altrimenti sarebbe riuscito quantomeno a scalfirla o sfondarne una parte.
Oltre il muro trasparente, alla sua sinistra, c’era un’altra cupola, anch’essa trasparente, ma questa sembrava fatta di vetro, ed era vuota.
Dei suoi compagni non c’era traccia e in quel momento, solo in quel momento, si domandò se non avesse compiuto un grave errore di valutazione nella scelta di arrendersi. Sperò di non averli condannati a una morte peggiore di quella che avrebbero potuto incontrare sul campo di battaglia; non avrebbe mai potuto perdonarselo.

“Secondo te come starà? È da un bel po’ che è svenuto…”
“Chi lo sa. Magari è già morto. Beh, in tal caso meglio per lui.”
“Ryo, non dire assurdità, per favore. Non è morto. Guarda? Sta respirando.”
“Chi può dire che non sia l’ultimo respiro?”
“Ryo!”
“Sì, sì! Ho capito! Ma mi spieghi come può essere uno di coloro che ci salveranno se è in cella come noi?”
“La risposta è solo una, Ryo: abbi fede. Oh! Guarda! Si sta svegliando.”
Hajime arricciò le labbra, mentre apriva gli occhi.
Quel vociare confuso lo aveva tirato via dal sonno profondo che lo aveva colto all’improvviso, opera dello Stregone di nome Brolin, di sicuro. Nella sua mente, si accavallavano i ricordi della corsa nei corridoi della base, dei suoi compagni, dei fratelli Konsawatt che intimavano loro la morte o la resa e di Mamoru che sceglieva proprio quest’ultima. Doveva ammetterlo, ma quella decisione lo aveva lasciato spiazzato. Era stato convinto che Mamoru si sarebbe fatto fare a pezzi prima di arrendersi, ma dopotutto aveva avuto ragione: non c’era altra scelta, il loro scopo era sopravvivere fino a che non avessero trovato il Principe Tsubasa.
La prima immagine che riuscì a mettere a fuoco gli restituì il pavimento su cui era appoggiata la faccia. Dondolandosi – si sentiva ancora intontito – riuscì a piantare saldamente le mani al suolo e si mise in ginocchio, crollando poi sui talloni.
“Te l’avevo detto che era vivo.”
Una delle due voci che avevano facilitato il suo risveglio parlò di nuovo e lui si volse, stringendo gli occhi. Era rinchiuso in una cella davvero strana, a suo parere. Non aveva sbarre, ma c’era come un velo che l’avvolgeva: sembrava di trovarsi all’interno di un palloncino. Al di là dello spessore latteo, ma trasparente, scorse altre due gabbie, questa volta tradizionali, con all’interno altrettanti ospiti. Non doveva trattarsi di maghi, altrimenti avrebbero usato degli accorgimenti mirati come nel suo caso.
“Chi siete?” impastò, la bocca aveva un pessimo sapore. Spostò i capelli alla buona, ma questi ricaddero indisciplinatamente sull’occhio. “Chi siete voi?”
Uno dei due, quello con i capelli più lunghi, si avvicinò alle sbarre e le strinse tra le mani. Era in condizioni ottime, rispetto a tutti gli altri prigionieri che aveva incrociato nella sua ricerca, magari non era arrivato lì da molto o forse non era un giovane che poteva essere trattato con noncuranza.
Hajime lo guardò meglio, gli parve familiare anche se aveva i capelli arruffati e gli abiti in disordine. Abiti ricchi, di stoffe pregiate.
Gli sorrise e in quegli occhi scuri che gli apparvero sereni e pieni di fiducia, nonostante la loro condizione fosse quella di prigionieri alla mercé degli Stregoni, il Tritone riconobbe l’immagine che gli era stata mostrata a Raskal, prima di partire.
“Siamo coloro che stavate cercando” disse con sicurezza.
Hajime schiuse adagio le labbra.
“Vostra… Altezza… Tsubasa?”

Dopo più di un’ora e le orecchie in cui ancora rimbombavano le grida di dolore dell’alastro, Fredericks dovette ammetterlo tra rammarico e ammirazione: quel ragazzo era davvero un osso duro. Aveva detto che non avrebbe parlato e così era stato. La sua bocca si era aperta solo per urlare. Torturarlo con le sembianze di una persona a lui ben più che cara non era servito a piegarlo. La sua volontà era forse la più forte con cui avesse mai avuto a che fare.
“Niente male” esalò, interrompendo l’incantesimo: il giovane aveva perso conoscenza per il troppo dolore, ma ciò rappresentava anche un limite alla sua magia poiché agiva solo quando la vittima era sveglia.
Fredericks incrociò le braccia e rimase a fissarlo: aveva il capo mollemente riverso in avanti e sulle ginocchia il sangue pianto dagli occhi continuava a cadere in piccole stille cremisi dalla punta del naso dove erano scivolate.
Avrebbe dovuto aspettare che si fosse ripreso per continuare, nel frattempo ne avrebbe approfittato per organizzare una nuova strategia, più efficace e magari più violenta. Poi si ricordò di aver promesso a Brolin di non esagerare, visto che c’era quel presuntuoso di Faran che aveva reclamato il colpo di grazia per sé.
“Ti sei già fatto un sacco di amici da queste parti” ridacchiò lo Stregone, anche se era infastidito dall’intromissione del maggiore dei Konsawatt. Con passo lento e meditabondo prese a girare intorno alla vittima fino a portarsi alle sue spalle. Figurativamente cercava un varco dove poter fare breccia nelle sue difese e costringerlo a parlare anche se dava l’idea di uno che si sarebbe fato uccidere piuttosto. Quelli così erano un piacere da torturare. Da spezzare.
Accennò un sorriso, poi l’occhio colse un tenue luccichio. Qualcosa brillava alla debole luce delle candele.
Fredericks inarcò un sopracciglio e si avvicinò: nascosto dal bordo della maglia spuntava qualcosa, qualcosa che lui non aveva visto e che l’Elemento aveva saputo abilmente celare, qualcosa che gli fece accentuare il sorriso. Passò le dita sulla pietra d’onice e un fugace bagliore porpora l’attraversò rispondendo alla presenza della Magia Nera.
“Sorpresa, sorpresa” esalò, rendendosi conto d’aver fatto una scoperta importante anche se non sapeva bene fino a che punto. “Così anche i bravi ragazzi possono avere dei piccoli e subdoli segreti. E io credo d’aver appena scoperto il tuo.”
Lo Stregone cercò di carpirne il possibile, di capire cosa fosse di preciso, ma dall’esterno sembrava solo una semplice pietra. La cosa strana era che fosse per metà immersa dentro il corpo dell’Elemento, circondata da una sottile bordatura in platino. Sul fatto che fosse pregna di Magia Nera non c’era dubbio, poteva vederlo e addirittura sentirlo quando la toccava.
“Vediamo dove mi porti” disse infine, appoggiando le dita sulla pelle attorno a dove si trovava il monile.
Fredericks chiuse gli occhi e cercò di stabilire una sorta di contatto con l’onice, anche se il suo proprietario era privo di conoscenza, ma la prima sensazione che ebbe fu di venire risucchiato dalla pietra stessa e di correre lungo le migliaia di fili di Magia Nera che si diramavano nel corpo del volante come le zampe d’un ragno. E il potere che fluiva, seppur sopito, era veloce, velocissimo. Feroce. Per tutto il tragitto non fu in grado di vedere nulla se non lampi purpurei che nascevano e morivano nello stesso istante.
Poi si fermò e fu in grado di percepire sé stesso abbastanza da poterne creare una proiezione. Attorno era tutto buio, nero, denso.
“Decisamente diverso da prima.”
Qui non c’era il cielo sconfinato né nulla che potesse assomigliargli. Non c’erano phaluat né brezze piacevoli. C’era solo oscurità come quella che lui, in qualità di Stregone, conosceva bene. Forse era addirittura più buia. Troppo. Soffocava, opprimeva.
“Dove diavolo mi trovo?” Non poté non chiederselo quando le prime sagome iniziarono ad emergere dal nulla: tronchi d’alberi ritorti e spezzati, secchi; spuntoni di roccia viva e tagliente. Sembrava una palude dove le acque avevano solo suono e non consistenza.
Fredericks si girò di scatto ma il panorama non cambiò: il buio era anche dietro di lui, eppure gli era sembrato di sentirsi osservato, aveva nettamente percepito la presenza di un paio di occhi fissi sulla schiena. Forse era solo quel luogo che riusciva a suggestionarlo più di quanto potesse accettare. Sbuffò un sorriso, si volse e li trovò lì.
Gli occhi che aveva percepito erano davanti a lui e risaltavano come luci in mezzo al buio. Il nocciola dell’iride, spalancato e attento, era talmente carico da sembrare giallo. Non erano umani.
Fredericks allungò appena una mano, chinandosi. Sulle labbra, il sorriso si era teso di lato.
“Ciao, bel gattino.” Il tono era sottile, fintamente cordiale. “Cosa fai qui? Sei una specie di guardiano?” Come la phaluat durante la prima fase del loro scontro. “Lo sai che hai proprio dei begli occhi? Forza, avvicinati.”
Ma l’animale rimase al suo posto, immobile. Le iridi seguivano vigili ogni suo movimento e Fredericks cercò d’essere il più cauto possibile. Non aveva idea di chi o cosa dovesse affrontare ed era meglio essere prudenti.
L’attimo dopo gli occhi mutarono forma, assumendone una che riconobbe umana ma che non cambiò colore. Chiunque si celasse nell’oscurità era in piedi, lo capì dalla posizione delle orbite. Piano, un piede emerse dall’oscurità avvolto in un sandalo. Il buio sembrò ritrarsi lungo tutto il suo corpo mentre avanzava e più vedeva quegli abiti, più gli sembravano familiari e diversi al contempo. Ma solo quando ebbe finalmente un volto da associare agli occhi comprese il motivo di tale familiarità.
“Ancora tu?” Fredericks non si premurò di nascondere la perplessità. “Dovresti essere svenuto. Mi hai forse ingannato?”
L’Elemento rimase fermo a qualche passo di distanza, senza rispondere. Le azioni si limitavano solo a un attento osservare.
C’era qualcosa di strano in lui, lo Stregone sembrò comprenderlo solo dopo qualche momento. E non era solo nell’ambiente così oscuro o negli abiti, neri e grigi; ma era nello sguardo a partire dal colore. Quest’ultimo era troppo chiaro e poi… avvertiva netta una sensazione di pericolo imminente, come se il suo istinto di conservazione gli stesse dicendo di andarsene finché poteva, ma lui si fece sordo e sfoggiò ancora il sorriso.
“In quale strano posto della tua mente mi ha portato quella pietra? Sappi che preferivo di gran lunga il cielo azzurro con le phaluat.”
Ancora silenzio.
“Cos’è? Improvvisamente ti hanno mangiato la lingua? Che fine hanno fatto tutti i tuoi bei discorsi e le risposte sempre pronte?”
La provocazione non attecchì e il giovane sembrava sordo e immune a tutto ciò gli venisse detto, quasi non lo capisse.
Fredericks iniziò a innervosirsi. Detestava venire ignorato in maniera così persistente o forse era solo la forza di quegli occhi a intimidirlo. Quegli occhi che, non poteva negarlo, erano diversi da quelli che aveva visto nel suo prigioniero e che erano stati sì più scuri ma anche più caldi. Minacciosi ma umani.
Questi invece… il loro colore era vivo e intenso, ma freddo. E senza pietà.
“Tu non sei il ragazzo che ho torturato fino a questo momento.” Lo Stregone girò leggermente il viso facendo scomparire l’espressione sorridente che venne assunta dall’altro al posto suo, in un’inquietante inversione dei ruoli. Tese le labbra il necessario senza snudare i denti. Con movimenti lenti iniziò a camminare, girando attorno allo Stregone.
“Ho indovinato, vero?” Ormai, Fredericks aveva messo in piedi un vero e proprio monologo. “Ma com’è possibile? Il ragazzo è privo di conoscenza e non si può entrare nella mente di qualcuno se questo è inc-… a meno che…” L’occhio nero si fece enorme, tatuandosi sul giovane che aveva appena completato il suo giro per fermarsi nella posizione iniziale.
L’aspetto uguale ma diverso.
La forza dominante.
Non gli sembrò vero. Aveva compiuto l’impresa in cui tutti avevano sempre fallito.
“Sei il suo Inconscio?”
Il sorriso sulle labbra valeva più di mille ‘sì’ e Fredericks si esaltò. “Nessuno era mai riuscito a violarne uno! Gli Elementi d’Aria lo hanno talmente isolato da renderlo irraggiungibile!” D’improvviso gli sembrò di capire ogni cosa. “Dunque la pietra! La pietra è collegata all’inconscio! Ha creato un ponte!” Doveva assolutamente sfruttare questa notizia a suo vantaggio. Se non era riuscito a piegare la Coscienza, magari l’Inconscio sarebbe stato più corruttibile. “Perché non me ne parli? Tu sai cos’è, vero? Discutiamone. Non ti senti solo, rinchiuso in un luogo così buio? Io potrei fare in modo di renderti libero se lo volessi. Potremmo metterci d’accordo.” Gli stava offrendo delle illusioni ma sarebbe stato disposto a giocarsi tutte le carte che aveva per farlo parlare. E forse osò troppo, incautamente, commettendo l’errore di relazionasi a lui come se stesse parlando ancora con l’Elemento d’Aria.
L’Inconscio era diverso. Umano nell’aspetto ma nell’animo chiudeva tutta la negatività, l’istinto e l’aggressività che la Coscienza aveva rifiutato. Era disordine. Era quel frammento di male che nasceva con ogni essere umano.
“Avanti. Tu conosci i segreti di questo Elemento. Vedrai… resteranno solo tra me e te.”
L’Inconscio di Yuzo fissò intensamente lo Stregone che continuava a parlare, tendendo dapprima una mano e poi avanzando d’un passo. Il sorriso s’assottigliò e si tese come lo sguardo e tale cambiamento fermò Fredericks.
Quest’ultimo si rese conto d’aver fatto una mossa sbagliata, forse troppo aggressiva: ebbe la sensazione che il suo avanzare fosse stato preso come un’invasione di quello che l’Inconscio considerava il suo territorio. Mentalmente cercò di ricordare tutto ciò che aveva appreso sull’argomento attraverso gli studi degli altri Stregoni e una frase in particolare gli sovvenne: ‘L’inconscio umano è la spugna che assorbe le negatività espulse dalla coscienza individuale, i suoi istinti e tutto ciò che il raziocinio considera amorale. Il risultato è quindi un individuo inadatto a vivere in una comunità e che fa delle zone oscure della mente il proprio territorio. L’inconscio, nei fatti, è una bestia e come tale dovrà essere trattata da chiunque sarà in grado di entrare in contatto con lui.’
Una bestia.
E con le bestie bisognava essere cauti.
Una smorfia fugace di disappunto passò sulle labbra di Fredericks. Avrebbe dovuto pensarci prima invece di lasciarsi prendere dalla brama di conoscenza.
Doveva rimediare.
Adagio arretrò dello stesso passo di cui era avanzato, sollevando piano le mani.
“Sono stato invadente, perdonami. Non devi rispondermi adesso, magari potremmo palarne un’altra volta, sei d’accordo? Facciamo… facciamo che ora me ne vado, vedi? Tolgo il disturbo così come sono arrivato.”
L’altro continuava a sorridere, tanto che a un certo punto si concesse addirittura di snudare appena i denti.
Fredericks non seppe come interpretare quell’ennesimo silenzio, ma quando lo vide indietreggiare per tornare a immergersi nell’oscurità pensò di essersi comportato nel modo giusto, così si concesse di sorridere a sua volta.
Il giallo degli occhi era tutto ciò che dell’Inconscio spuntava ancora dal buio.
“Allora siamo d’accordo. Ne riparler-”
Lo Stregone si accorse che qualcosa non andava: il terreno sotto i suoi piedi era divenuto improvvisamente molle, tanto che muoversi si era fatto più difficoltoso.
Fredericks sollevò una gamba e l’oscurità era divenuta fluida, melmosa. Era risalita alle caviglie. Stava sprofondando.
Lo sguardo corse all’Inconscio dagli occhi gialli. Occhi che erano nuovamente tornarti ad assumere la stessa forma non umana che avevano avuto al suo arrivo.
“Cosa… cosa significa?!”
Lo Stregone arretrò ancora, ma sembrava di guadare delle sabbie mobili. Dal buio, la risposta che ottenne fu un sottile ringhiare.
No, non aveva fatto la mossa giusta. No, l’Inconscio non l’avrebbe lasciato andare.
No, non poteva trattare con una bestia.
Fredericks comprese che non era più il caso che rimanesse lì né che cercasse follemente di ragionare con quel frammento di male puro. Arrancando, provò a sciogliere l’incantesimo illusorio che lo teneva in contatto con la mente del prigioniero, ma non funzionò. Per quanto ci provasse, tutti gli incantesimi andarono a vuoto.
“Deve essere a causa di quella pietra d’onice…” mormorò, ragionando a voce alta, mentre le iridi restavano immobili, puntate in quelle dell’Inconscio. “Ma che diavolo hanno in mente di fare quelli della Scuola dell’Aria? Quale assurda follia stanno mettendo in piedi?”
L’urto contro qualcosa di solido alle sue spalle interruppe ogni domanda mentre il nero degli occhi divenne vitreo di paura nello scorgere un muro che fino a un attimo prima non esisteva. La creatura modificava lo spazio a suo piacere e l’oscurità gli obbediva ciecamente.
“Vuoi attaccarmi?! Ti avverto, non sarà tanto facile!” Ma stava mentendo in un tentativo fallato di intimorire l’avversario: con la propria magia bloccata dall’onice, Fredericks era alla completa mercé dell’inconscio di Yuzo.
Quest’ultimo l’aveva sempre saputo e aveva riso, refrattario a ogni sua lusinga o proposito, perché non aveva bisogno dell’aiuto di nessuno; perché lui stava solo aspettando il momento opportuno per venire allo scoperto e chiunque fosse stato tanto sciocco da mettersi in mezzo o cercare di avvicinarlo sarebbe stato spazzato via.
Il ringhio aumentò di tono mentre quello che Fredericks riconobbe essere una zampa emerse dall’oscurità. Un passo, poi un altro e la bestia venne partorita dal buio che era ventre e tomba.
Trovarsi occhi negli occhi con quel coguaro permise all’Illusionista di realizzare quanto lontano fosse quell’animale dalla phaluat che aveva accompagnato la Coscienza. Solitudine contro comunità. Terra contro cielo. Forza contro leggerezza.
Fredericks doveva andarsene subito e lo sapeva, ma il terreno gli si era arrampicato fino alle ginocchia, non aveva più scampo. La bestia caricò, prese la rincorsa e gli fu addosso con le sue iridi gialle, gli artigli sfoderati e le fauci spalancate.
L’Illusionista tremò, schiacciato da quel peso contro il muro fatto di nulla.
Che cosa sei?! Che cosa diavolo sei?!
La bestia tornò umana ma gli occhi gialli erano ancora lì assieme agli artigli lunghi e affilati, fermi a mezz’aria. Solo le zanne erano sparite sostituite dal sorriso più folle che avesse mai visto.
Nihil.(2)

 


[1]TALEJA: era la phaluat che Yuzo ha cresciuto. Dalla sua nascita fino alla morte è sempre stata al suo fianco. :) Potete leggere di lei all'interno di "Elementia: Fragments".

[2]NIHIL: ricordate cos’era? Il Nihil, ovvero il Nulla, è come è stata chiamata la più grande guerra che si sia mai svolta su Elementia, secoli e secoli prima dei fatti narrati, e che ha portato al quasi annientamento del pianeta. Nihil è il nome che l’Inconscio di Yuzo ha scelto per sé. :)


 

…Il Giardino Elementale…

 

I puma sono conosciuti – in America – con tantissimi nomi diversi: coguari, leoni di montagna (XD come i golkorhas! Mica lo sapevo!), pantere e spettri grigi (grey ghost). Sono i secondi felini più veloci al mondo, dopo i ghepardi, e i migliori saltatori. Ho scelto il puma perché volevo un contrasto netto tra la Coscienza e l’Inconscio di Yuzo (pumino: *clicca qui* e *qui* e *qui*).
La Coscienza è ciò che viene mostrato, lo spirito del volante, la sua integrità e la phaluat era l’animale a lui più vicino, che rappresentava un po’ il simbolo di Yuzo stesso.
L’Inconscio, invece, è nero già nell’ambiente che si è scelto, in contrasto col cielo sconfinato. Doveva essere un animale forte, feroce, più concreto e meno etereo, più solido e meno leggero. Il coguaro aveva ciò che cercavo. E’ un animale tendenzialmente solitario che si aggrega in gruppi solo durante l’accoppiamento. È attento e diffidente e non apprezza la presenza dell’uomo, tendendo ad allontanarsene quando li vede. All’opposto, le phaluat sono un esempio perfetto di comunità e vita di gruppo, mentre il coguaro è solitario, si basta da sé, non ha bisogno del supporto di nessuno.
Allo stesso modo, mentre la Coscienza di Yuzo ha il bisogno fisico degli altri e teme la solitudine, il suo Inconscio può farne benissimo a meno perché è sempre stato abituato a vivere da solo e a essere relegato lontano, quasi nascosto. Solo ora, che il volante ha spezzato la barriera dietro cui aveva nascosto il suo odio, alcune sue caratteristiche – la forte aggressività e la ferocia – stanno iniziando a emergere e ad arricchire quello che è il vero Yuzo: un equilibrio tra bene e male.
Un equilibrio decisamente difficile, in quanto l’Inconscio vorrebbe prevalere e ha un desiderio di indipendenza talmente forte da essersi scelto un nome diverso da quello della Coscienza.
In questo capitolo si dovrebbe capire meglio anche come funzioni davvero l’onice. La pietra è solo un tramite che permette all’Inconscio di prendere il sopravvento e dominare la Coscienza, quando di solito avviene il contrario. È una specie di ‘lasciapassare’ che annulla il blocco mentale che gli alastri hanno creato per isolare le negatività.
Il motivo per cui esistono contrasti così forti tra Coscienza e Inconscio è dovuto alle capacità mentali dei volanti. Da un lato, queste abilità li rendono più forti, più sicuri, più controllati, dall’altro vi è il problema che l’Inconscio, poiché separato dal resto, assume una sua ‘individualità’ che a un altro tipo di Elemento, ad esempio Acqua, mancherebbe (infatti, Terra, Acqua e Fuoco hanno una psicologia più ‘omogenea’, se vogliamo, mentre gli alastri puntano sulla calma e sulla bontà, estromettendo la normale negatività insista negli esseri umani.)

Mi rendo conto che sono dei personaggi davvero cerebrali e ostici da comprendere, ma spero di esser riuscita a rendere l’idea che ho sempre avuto di loro, fin da che li ho creati. :)
E anche per questo aggiornamento è tutto! Abbiamo avuto un piccolo assaggio del ‘lato oscuro’ della forza del volante. XD
Vi ringrazio di cuore per essere ancora con me e vi rimando al prossimo aggiornamento :)


Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

- Elementia: Fanart

Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega
  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)


  • 7) Enciclopedia Elementale - Volume Settimo: Le Terre dell'Oltre

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Paràdeisos
  • Capitolo 3: Gefüra
  • Capitolo 4: Infero
  • Capitolo 5: Creature: Salamandre
  • Capitolo 6: Creature: Silfidi, Ondine, Gnomi
  • Capitolo 7: Creature: Driadi, Diavoli
  • Capitolo 8: Creature: Maustaki
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