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Autore: marguerite_murcielago    26/09/2012    1 recensioni
Una ragazza che gronda sangue, priva di memoria.
Una bambina scomparsa in un cimitero, nella nebbia di Febbraio.
Una donna che cerca un anello nel mare, in una notte splendente.
Una cantante che tenta di vendicarsi di una rivale invidiosa.
- e sono tutte morte.
Due fratelli separati in vita e in morte, uniti da un delitto d'onore.
Un suicida, ricordo e sostegno del suo amore malato di tisi.
- e sono tutti morti.
Genere: Malinconico, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Orlando sente che la morte lo invade,
dalla testa sul cuore gli discende.

(La Chanson de Roland)

 

Michele Munerati era steso sul pavimento a scacchi del Maddalena, circondato dagli schizzi di sangue causati dalle ferite al busto. L’arma giaceva accanto alla sua gamba sinistra, essendogli sfuggita dalla mano già floscia mentre cadeva all’indietro.
Un silenzio terribile scese sulla sala, come un tremendo olezzo, mentre un filo di fumo argenteo saliva verso il soffitto. Stefano Delfanti teneva ancora il braccio alzato, anche se il suo rivale giaceva a una decina di metri da lui, in una pozza di sangue.
Dalla rampa di scale che conducevano di sopra, Teresa tossì forte.
- Cosa hai fatto, Stefano? – gridò con voce rauca – Cosa hai fatto?
Lui non si voltò; si limitò a scuotere la testa e ad abbassare l’arma.
- Stefano, vieni qui. Nessuno si farà male, lascia andare quella pistola.
Stefano si avvicinò al corpo immobile di Munerati: gli occhi del morto erano ancora socchiusi e fissavano il vuoto, l’odio che l’aveva spinto a quella folle missione ancora impresso nei lineamenti contratti.
Teresa lo inseguì. – Sta’ indietro! – le urlò l’uomo.
Lei si fermò a poca distanza da lui, fissandolo in una muta preghiera.
Stefano sospirò: - Chiudi gli occhi, Teresina: non voglio che guardi.
- Stefano, io non credo… - osò lei, pigolante.
- Fa’ come ti ho detto! – un altro urlo, che riecheggiò nel salone; le altre persone sembravano essere state tramutate in statue di sale, tanto erano immobili e impassibili.
Teresa non chiuse gli occhi e Stefano la guardò con gli occhi celesti luminosi di lacrime.
- Non voglio finire ancora più in basso di quanto non abbia già fatto – mormorò.
Portò l’arma al capo, abbassò le palpebre e premette il grilletto.

 

Quelle sul soffitto… sembravano proprio chiazze di sangue… no, umidità.
Avrebbe voluto domandarlo a Teresina, che gli stava sopra con il viso bianco come calce, ma una febbre untuosa gli aveva preso la testa e scendeva come una cascata di miele.

Stefano… Stefano… qualcosa gli gocciava sulla bocca: avrebbe voluto dirlo a Teresa, ma la febbre non gli lasciava margine di parola.
Ma quelle sul soffitto… dovevano proprio essere macchie… di sangue…

 

La schiena di Teresa pareva un guscio fragile, in procinto di infrangersi ad ogni respiro inframmezzato a parole confuse e a colpi di tosse che le scuotevano tutto il corpo magro.
Si alzò ancora di più, su di lei: le sue mani erano rosse come la maschera sanguinolenta che stringeva con grande tensione. Capì orribilmente che lui era ancora con lei, nonostante gli occhi del suo corpo fossero ormai vuoti.
- Teresa! Mi senti? Dimmi che mi senti!
Un’infermiera la prese per le spalle e la riportò in camera, dove le somministrò una medicina dall’odore pungente. E piano, mentre Stefano tentava di accarezzarle il dorso della mano, le palpebre di madreperla si abbassarono sui suoi occhi stanchi e lei si addormentò, con le guance ancora rosee.
- Teresa… - il suo fiato non smuoveva i suoi capelli, a malapena rabbrividiva. Rinunciò all’idea di renderla consapevole della sua presenza e tornò dabbasso, ad osservare il corpo traforato di Munerati che veniva portato via – un infame che avrebbe colpito alle spalle – e del suo non c’era già più traccia.
Ogni sua impronta cancellata, la sua memoria già offerta alle bestie dilanianti, Tempo e Oblio, la sua intera anima nella mano di un filo: nel pugno chiuso di Teresa! L’ombra di cui era fatto tremò come una foglia al vento. Era perduto.

 

Non capisco se sia questa la panacea contro tutti i mali: è uno scheletro malfatto che sostiene il mio corpo molle. Se crolla, debbo ricomporlo con gran fatica, ma senza sarei perduta. Erano le ultime parole che Cristina aveva ricevuto da Teresa.
Le aveva lette quando gli avevano chiesto di buttar via le carte della sorella morta: si era scaldato al fuoco che aveva acceso, mentre vecchie lettere e confidenze tratteggiate in calligrafie ugualmente femminili, ugualmente chiare e tondeggianti.
Non era stato un buon fratello, lo sapeva, ma Cristina era scappata a diciassette anni e a diciotto aveva bussato alla porta di casa, implorando aiuto contro un amico violento a cui non aveva voluto far corrispondere gli avvertimenti dei suoi genitori.

È uno scheletro malfatto che sostiene il mio corpo molle… senza sarei perduta.
Teresa aveva scritto tutto un foglio, ma ricordava solo quel paragrafo innocente.
- Avrei voluto capirlo prima. Forse sarebbe stato diverso. Forse mi avrebbero perdonato.
Solo una cosa desiderava fare, cioè essere lo scheletro malfatto di cui Teresa necessitava, ora più che mai, piegata com’era sul letto sfatto.
- Oh, Dio, perché sei stato così cattivo? Con me, con Stefano… a volte – abbassò la voce – credo di capire cos’ha visto prima di lasciarmi così crudelmente, Signore. Credo che mi abbia visto, perché i suoi occhi erano vivi, ma non ha potuto dirmi niente. Non ha potuto.
La tosse la costrinse a stringere le lenzuola sottili con entrambe le mani; si inarcò sul materasso, i capelli sparsi sotto una guancia.
- Se solo avessi la possibilità di comprendere cosa voleva dirmi, potrei guarire.

La panacea contro tutti i mali. Stefano era sempre sconvolto dall’ossatura fragile di Teresa, dal suo corpo sempre più magro; si chinò dietro di lei e le prese i gomiti, per sostenerla.
- Teresa!

 

Capelli ancora folti e lucenti, lo sguardo lucido come vetro, Teresa entrò nel vecchio Maddalena da una finestra spaccata. Si ferì una mano, ma lasciò che le gocce rosse formassero una traccia sottile dietro di lei.
La reputazione dell’ospedale non aveva retto allo scandalo: due morti, di cui uno suicida, dopo un duello senza motivazione! Rimaneva solo lei, capì con un senso di vertiginoso terrore, a ricordare cosa era successo.
La curiosità mosse ancora i suoi passi.
Si stese sul pavimento, dove ricordava con chiarezza era caduto Stefano, anni prima; e il sussurro insistente e benevolo che udiva da allora si fece più chiaro, tanto che pensò di poterne discernere le parole. Il suo corpo, mai guarito dalla tisi eppure forte, pallido d’anemia eppure agile, amabile, tremò e seppe che ciò che l’aveva mossa l’aveva abbandonata. Il suo scheletro, l’aveva definita una volta.
- Sapete, mi ricordo ancora del momento in cui Michele è esploso: e Stefano gli ha detto, quando ancora poteva sentirlo: Infame codardo, speravi che non ti prendessi da davanti? Tu solo, Signore, sai quanto abbia temuto e amato quell’uomo, in quel momento. So che Michele era venuto per me.
Le chiazze di umidità sul soffitto si erano allargate negli anni.
Teresa tossì e ricadde sulle piastrelle gelide, terribilmente stanca.
Il catarro le risalì lungo la gola; si tappò la bocca.
All’ultimo momento, il viso di Stefano la sovrastò, angosciato.
- Cosa volevi dirmi? – fece un sorriso sanguinoso. Stefano abbassò la testa.
- Imago mortis – mormorò. Scese il buio.

 

- Stefano?
- Sì?
- Perché hai ucciso Michele?
- Perché lui ha ucciso mia sorella e avrebbe fatto lo stesso con te.
- Sì, ma…
- Volevo dirti di non piangere.

 

   
 
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