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Autore: shining leviathan    27/09/2012    4 recensioni
Zack e Aeris sono felicemente sposati. Ma il loro matrimonio, per un motivo o per l'altro, non funziona come dovrebbe.
Tifa è frustrata dalla freddezza di Cloud, spesso assente e rigido, incapace di donarle l'amore che la ragazza vorrebbe.
Cloud dal canto suo non sa scegliere, condizionato da una misteriosa ragazza che fa di tutto per rovinare la relazione tra i due.
Questo porterà Zack e Tifa ad avvicinarsi pericolosamente l'uno all'altro, un gioco di resistenza che entrambi sanno di non poter vincere. Sarà vero amore o una trama del destino?
Tra colpi di scena, e ritorni inaspettati i protagonisti di questa storia metteranno in discussione se stessi e i loro sentimenti, scoprendo che niente è come sembra, che nessun segreto è destinato a durare.
(Zack x Tifa)(Aeris x Tseng)(Cloud x Sorpresa)
Genere: Erotico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Aeris Gainsborough, Cloud Strife, Tifa Lockheart, Tseng, Zack Fair
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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La guida di Aeris era poco fluida.

Zack ormai si era rassegnato a tenersi saldamente alla maniglia e prevedere frenate brusche all’intervallo di due minuti circa, vigilando sull’andamento della macchina per evitare di finire in un fosso prima del tempo.

Avevano parlato poco per quasi tutto il viaggio, cosa strana dato che la ragazza si occupava di riempire i silenzi anche con giochi e indovinelli in grado di redigere un ipotetico libro “ Come divertirsi raccontando barzellette del Giurassico”, tuttavia non aveva aperto bocca, se non per rispondergli che andava tutto bene e, no, non soffriva il mal d’auto. In realtà, era stata silenziosa sin dalla sua uscita dall’ospedale, distratta da riflessioni che Zack non riusciva a decifrare a dovere.

Preparava le valige con una calma assoluta, la fronte leggermente corrucciata e gli occhi vitrei. Fissava a lungo un abito, il kit del primo soccorso, soppesava tutto quanto come se non avesse fra le mani un involto di stoffa inanimato ma un essere vivo, desideroso delle sue attenzioni e più pesante di una confezione di analgesici. Dopo un’eternità sorrideva, riponendolo con la massima cura.

Zack non aveva dato peso alla questione, attribuiva l’alienazione improvvisa alla felicità di partire e lasciarsi alle spalle la vita caotica della città almeno per qualche settimana. Elmyra stessa era stata favorevole, perché da quando erano sposati le emozioni continue non erano mancate, cadendo anche su di lei per conseguenza diretta. Vivendo a Kalm i suoi contatti con la figlia non si erano affievoliti come temeva, anzi, una volta a settimana Aeris si recava da lei. Allora parlavano di tutto come di niente, mantenendo quel rapporto di complicità e fiducia.

“ Tieni d’occhio il tuo uomo, non voglio perdere un genero beneducato come lui.”

Alcune volte sembrava che Elmyra tentasse di preservarli dallo stesso destino che aveva subito in passato,  irrompendo con battute che non si premuravano di celare avvertimenti accorati.

“ Non voglio che tu rimanga vedova così giovane, Aeris.” Le disse un giorno, posando una tazza di tè davanti alla figlia “Tu sai meglio di chiunque altro quanto sono stata male. So che la vita delle volte ti mette alla prova, ma per quanto sia possibile non smettete di sostenervi a vicenda.”

“ Lo farò, mamma.”

Zack non era incluso a queste conversazioni. Semplicemente le intuiva dai silenzi improvvisi rientrando nel salotto dopo essere andato in bagno. Certe macchinazioni sulla sua sicurezza non gli andavano a genio per il puro e maschilistico motivo che doveva essere lui a vegliare su sua moglie, rimediare la lunga assenza con ogni premura possibile.

Motivazione stupida, a detta della fioraia stessa. “ Allora cosa ci sto a fare nel nostro matrimonio?”

“ La donna di casa.” Zack sapeva toccare tutti i tasti giusti per punzecchiarla, e lei stava al gioco, desiderosa di prendersi la rivincita.

“ Quindi sono una semplice bestia da riproduzione!”  le sopracciglia formavano un arco corrucciato, e i suoi occhi smentivano l’irritazione riversando una genuina ilarità. Zack rideva, finché alla sua risata non rispondeva anche Aeris.

Schiaffetto sulla spalla “ Sei un pagliaccio sessista!”

Non proprio, avrebbe voluto ribattere, solo con te.

Sposarsi era stata una delle cose migliori che Zack avrebbe potuto fare nella sua vita. La carriera come Soldier l’aveva ricompensato così malamente da renderlo  immune al prestigio delle cariche, solo il poco che basta per intascare uno stipendio e mantenere lui ed Aeris in condizioni adeguate. Comunque i suoi sogni giovanili non si erano spenti del tutto. Quella fiamma brillava ancora, la debole luce che gli aveva permesso di mettere al tappeto quei teppisti e di tirare avanti, di vivere dopo l’orrore che avevano passato. Un eroe nel suo piccolo, un sogno spogliato delle velleità di sedicenne, finalmente libero dall’obbligo di mostrarsi grande quando in realtà era l’ultimo verme in un covo di sanguisughe.

Guardò fuori dal finestrino: lo sterrato alzava spesse nubi di polvere brunastra e gli arbusti immobili per l’assenza di vento cominciavano a farsi più fitti mano a mano che si avvicinavano a Gongaga. Si mangiucchiò il labbro, ripensando alla conversazione di Elmyra. Non si sarebbe fatto uccidere facilmente, ne era sicuro, lui ed Aeris sarebbero invecchiati insieme, con le mani consumate dal tempo e dal lavoro. Un orto, ecco cosa ci vorrebbe, si disse, e se mio nipote un giorno mi chiederà come abbia conosciuto la nonna io gli risponderò: “ Le sono caduto in testa.”

Sì, gli piaceva quel programma di vita.

Un sonoro rutto segnalò che aveva digerito l’involtino alla cannella della colazione. Aeris si voltò un attimo verso di lui, trattenendo a stento un ghigno: “ Salute, tesoro.”

“ Grazie.” Si stiracchiò, terminando con uno sbadiglio colossale che lo portò vicino a slogarsi la mascella. Perlomeno sua moglie si sarebbe degnata a spiccicare parola.

“ Stai cercando di farti notare?” chiese, scalando la marcia. Un rumore improvviso, brusco, fece stringere i denti ad Aeris. Aveva grattato di nuovo.

 Sbuffò.

 Possibile che questa macchina non mi renda le cose più semplici?

“ Nha!” esclamò Zack, ignorando l’inquietante stridio. “ Stavo pensando che sei particolarmente silenziosa, oggi.” Le note di una vecchia canzone aleggiarono nell’abitacolo, frusciando per la scarsa ricezione, alternando il ritmo con le conversazione di due speaker su un altro canale. Zack alzò il volume, storcendo il naso. Non gli piaceva, sembrava che stessero strozzando uno scoiattolo, e partì subito alla ricerca di una melodia decente.

All’improvviso Aeris squittì. “ Aspetta, aspetta! Questa l’adoro!”

“ Ah!” ridacchiò, poi appena prese il tempo iniziò a cantare anche lui, formando un grottesco  duetto con il cantante dalla voce roca.

“ Ma Zack, dai, rovini la canzone!” lo reguardì non troppo seriamente, ma poi scosse la testa. “ Sei cattivo!”

Eravamo giovani, ma non avevamo la libertà che abbiamo adesso.

Ho superato ogni ostacolo per te, ma non era mai abbastanza, mi spingevano sempre via, ed io lasciavo alle spalle tutto, anche il tuo amore.

Se lo avessi capito sarei rimasto.

Gli anni sono passati, non ti ho visto diventare donna. La gente che ti stava attorno delle serpi con la maschera di amici, mi aspettavi fiduciosa, nel domani in cui ti avrei fatta mia sposa.

Siamo qui, il tempo cambia, ci ha cambiati.

Lei non è te. Lei è sola come tu lo eri allora.

Siamo cambiati .

Adesso siamo due estranei che giocano a conoscersi.

Poco prima dell’ultima sillaba, Zack si bloccò. Non gli andava giù, ed era bugiardo a non sapere il perché. Si accasciò sul sedile, chiudendo gli occhi. Un profumo speziato nel buio, due labbra morbide sul collo, sulle guancie, le mani minute aggrappate alla camicia. Quella notte non avrebbe desiderato altro, un’illusione che preferiva non essere etichettata. Lei, sola e senza amore, Lui, lui…

Di amore ne aveva anche troppo, ma non sopportava le carezze di Aeris come per metterlo alla stregua di un bambino da raddrizzare. Non si era chiesto il perché, e nemmeno Tifa l’aveva fatto – bhè, fino ad un certo punto- ma la sua presenza gli aveva tolto Aeris dalla mente, una sconosciuta insieme a tutti gli altri nel rosso limbo creatosi nella cupa dispensa del Blue Tomberry Bar.

Era spaventato dall’effetto che la ragazza aveva esercitato inconsapevolmente. Il suo corpo curvilineo fremeva ai suoi tocchi, donandosi innocentemente per ottenerne ancora.

“ Non canti più?”

“ No.” Sulla lingua ricordava il sapore salato del suo petto, del rigonfiamento dei seni. La stoffa del vestito odorava di sudore e bergamotto. Assaporò il ricordo per un attimo, aprì gli occhi. “ Non dovrebbe mancare molto ormai.”

Adesso siamo due estranei che giocano a conoscersi

“ Chiudi il becco.”

Aeris inarcò un sopracciglio.

“ E’una lagna!”

“ Questo è perché hai la sensibilità di un gufo impagliato.” Rispose saputa, picchiettando l’indice sul volante “ D’altronde l’amore è come un colpo al cuore.”

Un ramo sporgente sbatté in maniera violentissima sul parabrezza. Aeris urlò, affondando il piede sul freno e Zack venne quasi soffocato dalla cintura. Ricadde all’indietro, una fitta al costato che lo lasciò ansimante per qualche secondo. Il vetro trasparente era ricoperto da more selvatiche spiaccicate che scivolavano pigramente ai tergicristalli, disegnando linee viola e appiccicose.

Zack sospirò, passandosi una mano fra i capelli “ Il colpo c’è stato. Più che altro mi ha quasi fatto venire un infarto.”

“ Dillo a me.” Replicò leggermente scossa. Allungò un dito e spense la radio, poggiando la fronte sul volante per calmarsi. I riflessi dorati fra i riccioli rallegravano la sua figura, facendo risaltare il fiocco legato in cima alla treccia.

Stettero in silenzio, ascoltando il battito dei propri cuori, respirando silenziosi come per evitare di disturbarsi a vicenda, e Zack non trovò alcuna comunanza in grado di riavvicinarli. Aeris sembrava prendere seriamente le questioni esterne a tutto ciò che riguardava il loro matrimonio, lo aiutava sempre, ma mai in quel senso, mai come una moglie. Zack si malediva: dobbiamo parlare, Aeris, non girare attorno alle cose e far finta di niente. Perché non c’è più quella complicità? Perché non parli, non scherzi, ultimamente?

Perché mi stai tenendo nascosto qualcosa?

Si riprese di botto.

Non era felicità, non era preoccupazione.

“Ma certo, un segreto.”

 Rovinava la gente, faceva sorgere sospetti, li allontanava dalle persone a cui si vuole bene. Lei non ne aveva mai avuti, ed ora, dopo che era finito in ospedale, qualcosa stava cambiando. Aveva scoperto la serata con Tifa? Si irrigidì.

No, non è possibile, nessuno lo sa.

“ Dopo.” Cercò di ricordare “ E’ successo quando mi hanno ricoverato.”

Aeris sollevò la testa, portando una ciocca dietro l’orecchio. Girò la chiave, ma Zack la fermò.

“ Senti, Aeris…”

 Aeris si mostrò sorpresa“ Mh?”

Zack immaginava l’immenso casino della sua mente: tutti gli avvenimenti giravano a intermittenza, mescolandosi fino a perdere i contorni. Poteva essere una sua suggestione, un’idea che si era fatto a partire dalle sue pensate cretine di passare un quarto d’ora con la ragazza del suo amico, ed ora cauterizzando la colpa cercava il male dove non c’era. Esitò, esitò ancora. Questo era anche un suo problema, in due l’avevano fatto diventare semplicemente più complicato, un nodo impossibile da sciogliere, un coraggio inesistente.

“ Guido io.” Si decise infine.

E dire che dovevo chiarirmi qui.

“ Casa dolce casa.” Si ripeté amaramente, vedendo la sagoma del reattore svettare dagli alberi.

 

 

 

“ Non hai consegne, oggi?”

“ No.”

Tifa smise di lavare un bicchiere, distratta dal flusso d’acqua che correva in rivoli sul cristallo. Una bolla di sapone galleggiò a mezz’aria, e il ritmo ipnotico dei colori sulla superficie assorbì la luce del primo mattino, distogliendola del tutto dai piatti sporchi. Visto attraverso, il mondo appariva esattamente come se lo immaginava lei: distorto, ingannevole, pronto a spostarsi per evitare di farle posto. Sedie e tavoli, il ventilatore, e un breve scorcio di lui. Con la testa più grossa e ridicola, intento – o almeno ci provava- ad ammassare gli avanzi lasciati dai clienti insieme a tazzine e bottiglie vuote. Metteva una metodica cura nel riordinare come nel combattere, un valzer di tartaruga che tempo addietro la affascinava ed ora la portava pigramente a domandarsi se i chocobo prendessero lezione di salsa data questa grandissima macedonia animale di balli assortiti.

Cloud sfuggiva ad ogni logica, saltava da uno stereotipo all’altro in modo da non poterlo classificare, ed in effetti, non avevano più toccato la questione che infiammava la barista. Stentava ad associarlo al ragazzo solitario sparito senza notizie per settimane, allo sconosciuto che aveva preso le ordinazioni per aiutarla con gli avventori, tanto sollecito da insinuare il sospetto che si sentisse in colpa.

In ogni caso, una mano più non fa mai male.

Scrollò le spalle, ripetendo la stessa azione di quando Cloud le aveva detto che avrebbe lavorato al bar, per quel giorno. Non le piaceva tenere il broncio, ma quando poteva permetterselo per le giuste ragioni, un pizzico di sdegno guastava ben poco. Ripose il bicchiere sulla rastrelliera e alzò lo sguardo su Cloud.

Fu in quel momento che la bolla esplose, sparando gocce di sapone diritte negli occhi.

Tifa strillò, portando istintivamente le mani al volto e Cloud si voltò di scatto.

 Corse immediatamente da lei “ Cosa succede?” domandò ansioso “ Ti sei tagliata?”

Aveva bisogno di piangere. Non sapeva il perché. Aveva un sacco di buone ragioni per farlo, e questa era da prendere al volo. L’irritazione delle sostanze chimiche cominciava a palpitare nell’occhio destro, se lo immaginava arrossato e gonfio. Forse versare qualche lacrima non era una cattiva idea.

Afferrò lo strofinaccio, posandolo delicatamente sulla parte bagnata, asciugando con rabbia una goccia che indugiava sulle ciglia. Fece un cenno a Cloud, e tornò alle sue occupazioni, desiderando buttare nella spazzatura tutti i piatti del locale.

Chiuso per mancanza di stoviglie e di buon senso.

Il ronzio dello stereo sul ripiano delle conserve gracchiava notizie del telegiornale, seguito da una maratona di vecchie canzoni ormai dimenticate. Titoli polverosi di anni in cui lei lottava per la vita fra le strade di Midagr, carpendo parole rauche vagamente confortanti.

Questa la ricordo bene, pensò, parlava di una ragazza in fuga da se stessa e dall’amore.

Alla fine l’ha trovata.

“ Ed era il marito della sorella.” Completò inacidita.  C’era stato un periodo di malinconie e amori finiti male o mai iniziati nella musica di qualche tempo fa. Dopo Meteor la moda tornava in auge. Purtroppo.

Cos’è che diceva il manuale, a proposito?

“ La seduzione è un’arma che non permette bronci. Le donne sono brutte quando sono immusonite, e non attirano uomini  che cercano compagne vibranti e piene di vita.”

Certo, perché devo essere io a fare tutto. E lui sbattersene altamente fino a che non mi incollo un sorriso a trentadue denti anche quando vorrei mandarlo a fanculo e spedircelo a calci nel didietro!

Stritolò il canovaccio, fulminando le bottiglie di liquori che la guardavano dalle mensole.

E voi cosa avete da fissare?

“ Non ci arrivi?”

Tifa sbandò un attimo nel notare Cloud al suo fianco. Tolse la pezza dall’occhio, inarcò un sopracciglio. “ Ero… sovrappensiero. Scusa?”

“ Devi prendere qualcosa dalla mensola in alto?” domandò indicano in su, senza staccare gli occhi da lei “ Pensavo che…”

“ Ah!” Stavo solo litigando col vino rosso “ No,no. Dovevo, ehm…”

Cloud cercò di carezzarle la palpebra, ma Tifa si ritrasse “ Forse dovresti sciacquarlo.” Disse, leggermente incupito. Uscì dal bancone, tornando a pulire, e Tifa si sentì male ad averlo trattato con sufficienza, eppure durò il tempo di rievocare la freddezza dell’ex Soldier nel lasciarla a piedi con sette isolati da fare, nel scansare spiegazioni e telefonate ingrigite dalla paura di un incidente sulla strada di casa.

Se lui era una tartaruga che scivolava sulle note di un valzer, Tifa si adeguava a volteggiargli attorno desiderando un suo contatto, e con una piroetta la scansava continuando a danzare, ipnotico e ripetitivo. Non parlavano, parlavano così poco, e Tifa aveva la tentazione di abbandonare la pista, guardare i suoi volteggi da lontano. La musica, però, la routine, la soggiogava, comprendeva di non potersene andare senza soffrire per l’ultimo ballo mai concesso.

Finì di lavare con la tristezza cucita addosso come un abito bagnato e liso. L’occhio lacrimava, bruciava flebilmente e lo strizzava. Tirò indietro i capelli e ci passò un foglio di carta assorbente inumidito, sentendosi un po’ meglio.

Anche Cloud aveva finito. Si schiarì la voce perché attirasse la sua attenzione, e lei si voltò distrattamente. Sospirò, ringraziandolo per il disturbo.

 Aggrottò le sopracciglia, confuso dall’insolito comportamento formale della sua fidanzata.

Poggiò le braccia sul bancone “ Mi tratti come un estraneo.” Tamburellò le dita, deviando lo sguardo. Già avrebbe preferito tacere come al solito. Odiava i confronti diretti, e uno imminente alleggiava nel bar.

“ Ultimamente è come se lo fossi.” Rimbeccò Tifa senza pensarci, e gettò la palla di carta nel cestino. Cloud si offese per la terza volta, contraendo la mascella. No, non doveva fare così. Si rilassò, cominciando a giochicchiare con un posacenere, spingendolo da una parte all’altra, rovesciando un mozzicone sul legno di ciliegio tirato a lucido.

“ La vuoi piantare?” esclamò Tifa, strappandoglielo di mano. Lo posò sulla caffettiera, incrociando le braccia con occhi sfavillanti di irritazione, e quello destro più del solito, ancora gonfio per il sapone malefico della bolla. “ Vai a fare un giro, Cloud, per il momento non ho bisogno di niente.”

Cloud fece leva suoi gomiti e raddrizzò la schiena. L’azzurro delle iridi tradiva quella rabbia celata dalla solita apatia.

“ Tanto dovevo comunque andare a Kalm.”

“ Non avevi detto che oggi non c’erano consegne?” rispose, imitando apposta il tono d’acredine del ragazzo.

“ Qualcuno che ha bisogno del servizio si trova sempre.”

“ Bene.” Grugnì “ Torni per pranzo?”

“Non so… Fai come se non tornassi.”

Tifa cominciò ad avvertire la sensazione familiare della bile solleticare lo stomaco “ Perché non me lo dici subito, allora!”

Cloud prese gli occhiali dalla tasca, dirigendosi di gran carriera verso la porta. Fenrir in quel momento era l’unica cosa che potesse calmarlo. Stava per dire un ultima cosa, ma la reazione di Tifa, quel pugno sbattuto violentemente sul bancone, tanto da far vibrare gli scaffali e tintinnare le bottiglie, lo zittirono stupefatto.

Una ciocca scura era caduta sulla fronte sudata.

 Cloud strinse le labbra, scuotendo impercettibilmente la testa. Richiuse piano l’anta.

Il rumore sordo la gettò improvvisamente nella realtà, e allora si mise a piangere. Aggrappata al bordo, pianse, finalmente, la schiena scossa dai singhiozzi, la bocca piegata in un ansito rotto. Scivolò sulle ginocchia,aggrappata al bancone.

 

 

 

 “ C’è sempre una possibilità di redimersi dalle proprie colpe, Tseng.”

Tseng non si mosse.

“ Perché la stai buttando via?”

Per una buona ragione.

Tseng raddrizzò la testa, resistendo all’infantile tentazione di comprimersi le tempie con le dita, cercare di far sparire magicamente ciò che aveva sentito quella mattina. Tutto il suo passato, quel passato che aveva pensato di poter dimenticare era calato come un avvoltoio su di lui, riportando alla luce dettagli e scene seppellite da ormai troppo tempo. La sua vita dopo Wutai era diventata la sua unica fonte di sostegno – Io non sono mai stato lì, io sono un Turk senza radici, senza un onore a cui tenere conto.

Sono solo un oggetto in una guerra di menzogne.

“ Per me non c’è stata possibilità sin dall’inizio.” Rispose infine, facendo un passo indietro.

Si voltò, Hiroya stringeva i pugni, ma la sua espressione impassibile non tradiva la tensione.

 Fece una smorfia “ Lo pensi tu.” Proferì con tagliente sincerità “ E non hai mai provato a dimostrare il contrario.”

“ E perché mai? Una questione di volontà non sentita non merita di essere presa in considerazione.”

L’uomo ebbe un tic all’occhio, poi ghignò trovando l’ironia di quella situazione “ Tu non lo ammetterai mai, nemmeno morto, ma sei il ritratto di tuo padre. Se non sapessi che ha reso l’anima alla casa degli antenati continuerei a chiamarti Saito. Hai lo stesso modo di pensare, ed è questo…” una pausa “… questo il motivo per cui farai i suoi stessi errori.”

Tseng sostenne lo sguardo, una stilla di risentimento rendeva la sua rabbia ancora più ardente.

“ Siete convinti di non poterne nulla, di avere un destino segnato e non fate niente per cambiare una rotta. Possibile che tu non capisca?”

“ Ci sono tante cose che io non capisco.” Proferì saggiamente Tseng, lasciando scivolare pigramente le parole dalle sue labbra. “ L’ignoranza è un bene prezioso che non voglio sprecare.”

“ Peccato che tu non sia un ignorante!” sbottò il vecchio funzionario, alzando le mani al cielo, esasperato. Schioccò la lingua, sibilando in wutaiano sulla presunzione della gioventù.

“ Eppure…” lo interruppe Tseng, “ Ho superato da un pezzo quella fase ingrata. La mia presunzione è, a maggior ragione, consolidata.”

Ammutolì, spalancando un poco gli occhi. Per istinto, senza pensarci, aveva risposto fluidamente nella sua lingua natia, sopita da diciassette anni.

“ Anche un vecchio saggio può imparare dal bambino.” Hiroya incrociò le dita dietro la schiena, le sopracciglia piegate all’ingiù “ Solo uno sciocco pensa di aver capito tutto della vita. E tu sei uno sciocco pericoloso, Tseng.”

La smetta…

Hiroya sospirò. Era stanco, e convincere quel ragazzo stava diventando un gioco troppo complicato per resistere a lungo in partita. Forse aveva fatto una cattiva scelta, nessuno poteva assicuragli che Eliza sarebbe stata felice con uno zio come lui. Assottigliò le palpebre, studiando i lineamenti adulti di Tseng, cercando una qualsiasi traccia di umanità, ma lo sporco della Shinra lo aveva deformato, ridotto al silenzio il ragazzino vivace che sognava diventare un pittore per farne una bambola omologata per uccidere.

Sperava di trovarlo integro.

Aveva scoperto un uomo a pezzi, ossessionato dal suo lavoro – se così poteva definirlo-  e tormentato dai fantasmi del suo passato. Ripensò ad Hana, sicura che suo fratello fosse rimasto lo stesso di un tempo, un bambino perseguitato per un errore, per una questione d’onore.

Doveva insistere. Trovare il vecchio Tseng nascosto in quella gara di nascondino eterna.

“ Ricordo che volevi eguagliare i gran maestri pittori dei templi di Leviathan.” Ricordò. Aveva smesso apposta di parlare nella lingua di Wutai, si era accorto di averlo turbato più del previsto.

Tseng fece un sorriso gelido, vuoto, privo di qualsiasi calore “ La vita mi ha riservato altro.”

“ Eri bravo. Hai continuato a dipingere?”

“ Non tocco un pennello da anni. Da quel giorno, ad essere precisi.”

“ Peccato.”

Bussarono, e il viso da squalo dell’avvocato Colleridge comparve.

“ Chiedo scusa per l’interruzione, signor Hakanabe. Ma il tempo per il colloquio è quasi finito.” Rivolse uno sguardo omicida a Tseng, scandagliando il pavimento con criticità. Probabilmente aveva sentito l’odore di fumo. Non poteva nemmeno concepire che un uomo distinto come mister Hiroya si fosse messo a fumare nel suo ufficio! È stato quell’orribile Turk.

“ Abbiamo quasi finito, Anna. Solo qualche minuto.” Rispose dolcemente Hiroya. La donna arrossì, balbettando una risposta affermativa e richiuse.

Naturalmente non era sfuggito a Tseng “ Penso che lei abbia un’ammiratrice.” Commentò fra il serio e il faceto. Hiroya scrollò le spalle.

“ Non sono il mio genere di donna, gli avvocati.” Rispose, mettendo un accento di malizia sull’ultima parola “ Non lascerei la mia Junko nemmeno per la ragazza più bella del Pianeta.”

“ Bella risposta.”

“ Dopo una vita passata a prendere schiaffi dalle donne, qualcosa lo impari. In ogni caso, Tseng…”Non riuscì a trattenere un suono esasperato vedendo che Tseng si trincerava nuovamente dietro una maschera di gelo. “ Non è per me, lo avrai già capito!”

“ Non vorrà farmi credere che è per me, invece.”

“ Sì. Sì, lo è. Forse non ti rendi conto: tuo padre è morto.” Aggiunse, alzando un po’ la voce “ Tua madre è morta, Hana e Mariko sono morte. Potrà non interessarti, ma la tua famiglia non c’è più ,Tseng. Quando sarai solo un giorno pensi che i tuoi colleghi saranno lì? La tua amata Corporazione? Quando diventerai inutile ti butteranno via. Eliza ha bisogno di te.” Si calmò, andò verso di lui “ E tu hai bisogno di lei. Non voglio che tu rimanga solo come è successo con Saito. Si è pentito, Tseng, l’ho visto piangere per un qualcosa che non aveva saputo apprezzare. Gli mancavi, gli mancavate tutti.” Poggiò una mano sulla spalla di Tseng, sentì la stoffa della giacca di un assassino.

“ Non posso tenerla.” Rispose Tseng, mettendoci una dose di decisione “ La vita che faccio non è adatta ad una bambina. Che esistenza può condurre con me?” scostò la mano del vecchio.

“ Ripeto che si tratterebbe di una condizione temporanea. Cerco la sorella di Jesse perché possa occuparsene, ma vorrei che dopo…” esitò “ vorrei che dopo non sparissi dalla sua vita.”

Cercò gli occhi di Tseng, che aveva abbassato il capo.

“ Lei è la sola famiglia che ti è rimasta. E tu sei la sua.”

Un clacson per strada riscosse Tseng, ma non volle incontrare gli occhi di Hiroya.

“ Allora?” chiese il vecchio magistrato “ Cosa hai deciso?”

 

 

 

 

Aeris era scesa dal posto del guidatore con una sensazione spiacevole alla bocca dello stomaco. Aveva intuito che Zack voleva parlarle di una cosa importante, e non c’era riuscito, forse non voleva disturbarla, rispettare il silenzio in cui si era crogiolata immaginando il piccolo progetto. Quel bambino se lo vedeva davanti agli occhi come se fosse reale: le piccole dita, i piedi paffuti, la pelle all’odore di latte liscia ed elastica, i pianti.

Desiderava che somigliasse a Zack, ma che avesse le iridi verdi dei suoi antenati. Maschio o femmina non faceva nessuna differenza, sarebbe stato bellissimo comunque.

Non ne avevano mai parlato, dato  che essendo così giovani vivevano alla giornata, all’esistenza spensierata conquistata a suon di battaglie, ma ora lei bramava ben altro.

Aveva curato i fiori per anni, ora si sentiva pronta ad attraversare quel bivio, non facile, certo, ma con soddisfazioni oltre a tutto ciò che aveva provato sino ad ora. Non era sicura che per Zack fosse lo stesso, ma lo conosceva abbastanza bene da non esserne intimorito o disgustato. Abbandonò le mani al grembo, roteando gli occhi da una parte all’altra: il profilo di Zack, la strada, i residui di more selvatiche sul parabrezza, le ginocchia coperte dal vestito rosa antico comprato al mercato. Si accorse di torcersi le dita sudate quando una fitta all’indice la costrinse a smettere.

Non devo fare così. Non c’è niente di male.

All’ospedale, stringendo al petto la scatoletta con i test per la gravidanza, si era sentita una ladra. E poi una stupida, terrorizzata dal fatto che Zack capisse per tempo e tergiversasse per uscire da quella scomoda situazione. Stupidaggini, non era quel genere di persona.

Deglutì, mettendo in relazione i repentini cambiamenti di umore del marito con il suo nuovo sogno, e dovette tenersi occupata, tirando fuori dalla borsetta il cellulare.

Affondò il pollice nel tasto per accedere alla casella dei messaggi e scrisse, con la lentezza di poca pratica, alla persona in cima alla rubrica. Doveva dirlo, doveva fugare i suoi dubbi, anche se per un mezzo così impersonale.

 

Destinatario: Tifa

Titolo: Ciaooo!

Ciao, Tiffy!

Come stai?

Io e Zack siamo quasi arrivati a Gongaga. Il viaggio è andato bene.

Come sta Cloud?

E invio.

Messaggiare con Tifa la distendeva.  Sperò con tutto il cuore che la perdonasse per la notizia in anteprima senza un resoconto a voce, ma era stata una cosa improvvisa, e doveva sentire il suo parere. Sapeva sempre la risposta giusta, e attese con lo sguardo fisso sullo schermo.

“ A chi mandi messaggi?” Zack la distolse dal telefonino, e sorrise imbarazzata.

“ Tifa. Voleva che l’avvertissi una volta arrivata a Gongaga.” Mentì.

“ Ah!” mise un’attenzione eccessiva nella strada “ Bhè,venti minuti e ci siamo.”

Aeris annuì energica, la treccia ondeggiò sul poggiatesta, e tornò alla casella.

Vuota.

Venti minuti furono sufficienti per raggiungere il paese, ma Zack parcheggiò in uno spiazzo dove alcuni operai lasciavano le loro vetture, e fecero il resto del tragitto a piedi, carichi di bagagli. Gongaga non era affatto cambiata, unico punto fisso in un mondo in crescita e mutevole, e la semplicità di quella gente la mondava da ogni pensiero e paura, rinfrancata dalla brezza sui boschi e le case con le mezzelune intagliate nelle porte di legno grezzo. Zack inciampò in una giara blu sul patio della casa dei genitori, attribuendo la colpa al fatto che fosse carico come un mulo.

“ Viaggiare per il Pianeta non doveva insegnarci cosa è utile portarsi dietro e cosa no?” domandò meditabondo, nel solito borbottio di quando rifletteva su un obbligo ingrato

“ Evidentemente siamo stati due pessimi allievi. Eh, eh…”

Rivedere i suoi suoceri era stato fantastico, la commuoveva il fatto che Martha avesse pulito la capanna da cima a fondo, affermando che le loro visite le regalavano la voglia di gioire e ballare. Le sue mani coperte di macchie segnavano un’età in cui anche alzarsi diventava difficile, la stupiva la giovinezza di Zack contrapposta alla tirannia della carne dei genitori. D’altronde sapeva che Zack era arrivato quando non lo speravano più, superato abbondantemente l’autunno delle loro vite.

Bryce, suo suocero, un uomo con profonde rughe ma con occhi che avevano vent’anni come il figlio, le aveva confidato che sua moglie aveva avuto tre aborti, una difficoltà a concepire mai vista in un posto con famiglie i cui figli sovrannumero si trasformavano in un problema. Quella era stata l’unica volta in cui il velo di tristezza aveva circonfuso le iridi azzurre della sua vera età, ed Aeris, col groppo in gola, aveva pensato con sgomento che Zack apparisse più come loro nipote che figlio. Tutto conduceva ad un ragionamento del genere, e adesso, abbracciando Martha, colse una fitta al ventre che coprì protettiva con una mano. Mentre si sistemavano nella stanza di Zack, piegando con cura i vestiti, Aeris si ricordò di Tifa. Afferrò il cellulare, ma non gli era arrivata nessuna chiamata e nessun messaggio.

Un guizzo di delusione attraversò il suo volto.

Sarà impegnata.

Consumarono la cena in un crescendo di risate e pettegolezzi: Aeris assaporò lo stufato senza fretta, indecisa se fare il bis della zuppa di funghi o servirsi la terza porzione di verdura grigliata piccante. Trattenne un gemito realizzando che sua suocera sapeva cucinare magnificamente, contrariamente a lei Zack non faceva troppi complimenti nel riempirsi il piatto, ridacchiando ai rimproveri di Martha sulla sua ingordigia.

“ Non ti ho cresciuto come un selvaggio, Zack.” Agitava il mestolo, e il ragazzo faceva finta di proteggersi con le braccia dalla sua furia.

“ Argh, pietà!”

“ Allora, Aeris.” Iniziò Bryce, posando la forchetta sul piatto ripulito “ Come ti vanno le cose al negozio?”

“ Vanno bene.” Rispose allegra “ Non lo credevo possibile, ma i fiori si vendono che è una meraviglia. Matrimoni, feste di fidanzamento, compleanni. Devo tutto a Zack, è stato lui a incoraggiarmi.”

Sentendo il suo nome, Zack smise di avventarsi sulla zuppa e lasciò scivolare il cucchiaio nella ciotola, schizzandosi la maglia. “ Cosa?”

“ Ho detto che è grazie a te se ho intrapreso la mia attività.”

“ Lascia stare, mia cara.” Martha si sedette, spezzando un pezzo di pane al sesamo “ Quando si perde fra le nuvole non c’è verso di farlo scendere.”

“ Gli regalerò una cartina.”

Scoppiarono in una fragorosa risata, tranne Zack che finse di offendersi e incrociò le braccia al petto.

“ Ah, ah…” sussurrò sarcasticamente, alla volta di sua moglie.

“ E tu, figliolo? Adesso che sei convalescente…”

Martha lo interruppe “ Non farci mai più prendere uno spavento del genere, ok?”

“ Sì, mamma, scusa.”

“… Adesso che sei convalescente di cosa ti occuperai alla WRO? Immagino un incarico di tutto risposo.”

Già, il peggiore che potesse capitarmi.

Fece leva sullo stelo del cucchiaio in bilico, giocando a farlo dondolare. “ Sindacato, riunioni fra strateghi, penso. Non ne sono ancora sicuro, Vincent mi ha detto che avrebbe spedito le istruzioni una volta che fossi tornato.”

Una lieve vibrazione alle cosce distolse Aeris dall’atmosfera familiare, e tastò la tasca per prendere il telefono, nascondendolo alla vista. Con la coda dell’occhio esaminò il contenuto.

Hai 1 nuovo messaggio.

Da: Tifa

Titolo: Ehi.

Ciao, Ae’

Scusa, non ho risposto subito per… problemi interni.

Sì, sto bene. Siete arrivati?

 

Da: Aeris

A: Tifa

Titolo: Yup!

Tranquilla, lo immaginavo.

Dovresti costringere Cloud ad aiutarti ogni tanto. A te non negherebbe nulla.

Oh, Tifa, non vedevo l’ora di rivedere i miei suoceri. Penso che Zack sia più tranquillo, qui.

 

“ … Il dottore non voleva più lasciarmi andare! Vero, tesoro?”

“ Già.” Aeris rialzò un poco la testa, essendosi persa tutta la conversazione, ma nessuno pareva averla notata.

Intanto, la risposta di Tifa era arrivata puntuale.

 

Titolo: Ti capisco

Sono delle persone eccezionali. Sono felice per voi.

Cloud è impegnato anche lui, ultimamente.

 

Aeris sbocconcellò un grissino fatto in casa, sorpresa dell’asciutta consistenza delle risposte. Che Tifa non stesse bene? Oh, ma ecco!

Il giorno del ferimento di Zack stavano chiacchierando proprio su questo. Aeris aveva capito che con Cloud le cose non andassero rosa e fiori, con il trambusto di quelle settimane se ne era completamente dimenticata. Premette lentamente i tasti.

Titolo: Problemi

Non penso vada molto bene, vero?

Ricordati che se vuoi confidarti io ci sono sempre. E se non funziona prendo la testaccia di Cloud e la scuoto fino a fargli tornare le rotelle a posto. ;)

Sei la mia migliore amica, non voglio vederti triste.

 

 

Grazie, ti voglio un mondo di bene anche io. J

Ma non è niente, davvero, penso sia una fase o… qualcosa del genere.

 

Cloud è Cloud, Tiffy.

Ma il troppo stroppia.

 

Già.

Novità?

 

IN EFFETT…

 

Diamine! Aveva messo il blocco maiuscole…

 

In effetti, qualcosa c’è.

E non… non ne ho parlato ancora con Zack. Mi vergogno!

 

Perché dovresti vergognarti?

Dai, sputa il rospo! XD

 

Non credevo usassi questa emotion. :D

 

Occasioni speciali. Avanti, Ae’, bisogna vergognarsi solo quando si fa qualcosa di male, e non è il tuo caso.

 

Ti offenderai se te lo dico, così, per messaggio.

 

Eh, no! Non puoi lasciarmi con questa curiosità adesso che hai gettato il primo sasso…

 

Ok, vuoto il sacco J

 

Sono tutta… occhi.

 

Aeris rifletté un istante eterno per sistemare le parole, per decidersi a dirlo, finalmente. Rilesse, sentendosi liberata di un gran peso.

 

Vorrei un figlio.

Siamo sposati da due anni, e penso che siamo pronti a compiere questo passo.

Ho sempre desiderato una famiglia, ed ora ne avrò una con l’uomo che amo.

 

“ E i nipotini?”

La giovane fioraia saltò dalla sedia. Intercettò l’occhiata intrigata fra Bryce e Martha, prima che si rivolgessero a lei con un cipiglio dolce.

“ Quando pensate di farcene uno?” aggiunse ancora suo suocero, mentre Martha annuiva febbrile.

Arrossì, e stava per balbettare una mezza risposta quando l’esclamazione di Zack la zittì di colpo.

“ Cosa???” fissava a turno i componenti della famiglia, ruotando la testa come una giostra, gli occhi spalancati. “ Who, who, buoni.” Si riprese, mettendo le mani in avanti “ Non penso sia una cosa che si possa decidere dall’oggi al domani.”

Aeris trattenne il respiro. Il telefonino aveva appena inviato il messaggio, e lo stringeva così forte da far crepitare la copertura di plastica. Permise alle morbide onde sfuggite al fiocco di coprirle una buona parte del volto, evitando la vista delle sue gote sbiancate all’improvviso.

“ Ecco…” gracchiò lei. Non riusciva ad andare avanti e domandò un muto soccorso a Zack.

“ Il punto è che siamo ancora giovani.”

No, non era quella la risposta che volevo.

Nella sua ciotola galleggiava una fogliolina di basilico, e la allontanò. La fame le era passata del tutto, lo stufato si mescolava al peperone e alla paprika fino alla nausea, e provò una tentazione irrefrenabile di scoppiare in un pianto a dirotto.

“ Aeris?”

Sobbalzò “ C-cosa?”

Gli occhi di tutti si erano soffermati su di lei, e si sentì un’estranea, forse per la prima volta in due anni. Voleva che se ne andassero, la lasciassero sola a cullare quell’illusione, pestare i piedi per terra e schiacciare le parole superficiali di Zack, urlare fino a scorticarsi la gola. Quello non era un capriccio, ma il futuro, un futuro sereno e soprattutto normale, non voleva che Zack ci sputasse sopra senza averci riflettuto. Ovvio che lo sapeva, quando aveva accettato di sposarlo, sperava di cambiarlo almeno un po’ ma a quel punto, seduta al tavolo con la famiglia Fair, prese atto del suo errore. Se voleva qualcuno di coscienzioso avrebbe sposato un altro.

Turbata, non si accinse a smentire quei pensieri. L’unica scelta era conviverci.

Sorridi, Aeris. Se lo ripeteva sempre.

Non meritavano lacrime, non voleva essere debole. Sarebbe andata avanti mentendo ancora una volta a se stessa.

Zack è quello giusto, Zack è quello giusto.

Io non mi sono sbagliata, io sono felice.

Io lo amo, non voglio un altro.

Io sono felice.

Represse un singhiozzo, forzando un’allegria meccanica e poco convincente.

“ Cosa c’è per dolce?”

 

 

 

C’erano dei giorni in cui Jhonny avrebbe voluto che le donne fossero automobili.

Inserire la chiave, mettere in moto, scegliere la marcia e via! Tutto prevedibile, l’asfalto che scivolava liscio sotto le ruote, il sospiro della marmitta. Un viaggetto senza tante storie o complicazioni, e se un’auto era davvero buona problemi non ne causava. Per qualche strano motivo una femmina sfuggiva a logiche preimpostate, oscillando fra sommessi intrallazzi con il loro fare delicato e trasformandosi  un minuto dopo in un prototipo per uccidere e sfiancare.

Assolutamente delizioso.

Parlava sul serio, a lui le donne provocavano un miscuglio di protezione e voglia di contemplarle, ma i limiti umani, se travalicati, difficilmente riprendono il nerbo precedente, e se osservava di sbieco un bel sedere ondeggiante o una scollatura nemmeno troppo vertiginosa, la giornata appariva ricca, e lui ringraziava grato ogni divinità esistente. All’apertura del suo bar aveva ponderato a lungo se riservare il luogo unicamente a signore – signorine, matusa, ragazzine del liceo- ma aveva desistito quando Jersey, il suo vicino di casa, aveva ammesso che sembrava una cosa da ricchioni.

“ Con le camicie che porti, poi.” E indicava la nuovissima blusa a fantasie floreali “ Sembreresti un ricchione fatto e finito.”

Jhonny non capiva la mania di Jersey del commentare con la parola “ricchione” ogni cosa che non concernesse con la sua officina e le gare di bevuta libera. Però leggeva, gli ripeteva sempre, ma preferiva ignorare che genere di letture.

“ Come posso essere, ehm, gay se nel mio locale voglio solo donne?”

“ Bha, che ne so. Ti dico che sembra da ricchioni e basta. E un po’ da pedofili, se intendi molestare anche studentesse.”

Jhonny non aveva messo in pratica l’idea, specialmente per il fatto che Jersey conoscesse il significato di “ pedofilo.” E, cavolo, lui non lo era.  Gli piaceva la gente, o una parte nel suo caso, gli piaceva l’imprevedibilità e i profumi dolci, guardarle nel loro stato più alto e anche basso, consolando qualche derelitta colpita da delusioni d’amore. Una sorta di psicologo e angelo custode. Non sopportava vederle in lacrime.

 In particolar modo una donna che conosceva non faceva altro che attendere e sperare il principe azzurro, nonostante gli avesse riattaccato in faccia il telefono affermando il contrario. La prima regola di Jhonny era: “ Tutte le donne sono bugiarde perché non vogliono pesare su qualcuno”

La seconda: “ Bambina, con Jhonny non dovrai più mentire. Sarò sempre qui.” Anche se la frase l’aveva presa in prestito dall’ultimo film di Loveless, suonava figo, ed aveva instituito la sua personale immagine di salvatore del gentil sesso.

Erano a malapena le cinque del pomeriggio, e faceva già buio. Per supplire la deprimente mancanza di luce aveva indossato addirittura una cravatta sulla camicia viola, e con passi baldanzosi si accingeva a risolvere il problema “Lockhart”. Per un lucchetto chiuso ci voleva la chiave adatta, ed era sicuro al centoventi per cento di sbloccare il cuore della ragazza e bearsi del suo sguardo grato e confuso.

Bussò alla porta, notando il cartello di chiusura. Un movimento proiettato dalla luce della lampada alogena lo avvertì dell’arrivo di Tifa.

Sistemò i capelli, raddrizzando la cravatta con un sorriso accattivante. Funzionava sempre.

Spero solo che non sia Cloud.

Sì, ecco, sarebbe stato imbarazzante spingere il mazzetto di rose proprio sotto il naso dell’ex Soldier. Una simile premura l’avrebbe fatto rientrare nel vocabolario di quell’idiota di Jersey. Se sarebbe sopravvissuto al fatto, beninteso.

La porta si aprì, e rinnovò il sorriso, optando di nascondere i fiori dietro la schiena. Il labbro si contrasse, e fece inavvertitamente spalancare gli occhi al massimo, un’espressione di comico orrore che però non fece ridere Tifa. Lo sapeva, ovvio, di avere un aspetto terribile: i capelli raccolti in una coda disordinata, le ciocche appiccicate  alla fronte, le occhiaie profonde che la invecchiavano di dodici anni. E la tuta sformata che usava per le pulizie, troppo piccola sul seno ma che le cadeva spropositata sul fianco. E dire che aveva preso anche due chili.

“ Errr…” Jhonny le mise praticamente in faccia un fascio di boccioli rossi e d’istinto li prese. Lo fissò, apatica.

“ Ciao, Tifa…” Da quell’approccio la ragazza capì che non si trattava di un’affermazione, ma di una domanda.

“ Sì.” Confermò, acida “ Come ti va la vita, Jhonny?”

Shiva, cos’è successo alla sua avvenenza?

Jhonny cercò di rimediare all’imbarazzante balletto grattandosi la nuca. L’atteggiamento di finto pentimento addolcì un po’ Tifa, e accarezzò un petalo con cautela.

“ Sono splendide. A cosa devo questo onore?”

Se fosse stata veramente contenta, le sue rose sarebbero parse un dono in terra – perché è ovvio, i fiori piacciono a tutti- e avrebbe piroettato sul posto affondando il naso fra le foglie. Li stuzzicava appena, come se fossero di poca importanza. Jhonny non si era offeso per quello, intuiva la sua insincerità nel modo in cui guardava la sua cravatta: cosa aveva appeso al collo? Una nuova reincarnazione di Sephiroth?

“ Oh, nulla in particolare, mia cara. Anzi, sono sceso quaggiù per tirarti su il morale.” La voce gli morì in gola squadrando di nascosto la barista, prima di aggiungere un po’ mortificato “ Sembri averne bisogno.”

“ E’ nuova quella cravatta?”

“ Non cambiare discorso!” gli sventolò l’indice davanti agli occhi “ Sappi che sono ancora arrabbiato per l’altro giorno.”

Tifa aggrottò la fronte, chiedendosi a cosa si stesse riferendo. Avevano parlato al telefono, e lei era arrabbiata perché Cloud non si faceva vivo. Basta.

Lo invitò ad entrare, rievocando poco alla volta dove aveva sbagliato, sommando la mezza scenata di quella mattina a tutte le volte in cui la pazienza abbandonava il suo corpo. Cloud non era di nuovo tornato, il pranzo si era raffreddato, e lei aveva pianto senza mangiare nulla. Una maledetta fontana ambulante, e nemmeno questo poteva dirsi nuovo.

“ L’altro giorno, l’altro giorno.” Mormorò fra se, distratta “ Mi spiace, non ricordo.” Mentì infine, posando l’omaggio di Jhonny sul tavolo più vicino. Si grattò il naso con la manica della felpa.

“ Cos…? Ah!” aggiustò il tiro, bloccandosi prima di dire qualcosa di spiacevole. Sventolò la mano “ Ma non importa. Cioè, tranquilla, era solo per dire.”

Cloud non era nei dintorni, glielo diceva il suo settimo senso, e si arrischiò a posare le mani sulle spalle della ragazza. Due iridi color vinaccia fecero risalire lo sguardo lungo il braccio fino a indugiare perplesse nelle sue.

“ Ti capisco, sai?” proseguì mettendoci la dose perfetta di empatia e superficialità “ Seppellita qui. Sola, incatenata alla tristezza, abbandonata.”

Tifa dovette divincolarsi perché la lasciasse andare. Ad ogni parola bellamente drammatizzata l’aveva avvicinata a se, una vaga interpretazione del cliché cinematografico. Peccato che lei avesse poco della femme fatale aborrita dall’amore, soprattutto coi capelli da strega di quella sera.

“ Jhonny, grazie, ma…” Perché non vai a casa e lasci agli attori questa battuta? “ Ho avuto una giornataccia come capita a tutti. Niente di grave. Comunque grazie per i fiori.” Il tono di congedo venne ignorato.

La ghermì di nuovo – tempo sei secondi e lo sfascio- scuotendola “ No, Tifa, è questo il punto. Non va bene: io non posso vederti in questo stato a causa di Mister Incubo Del Pettine, eh!” la interruppe subito “ Non provare a difenderlo! Insomma, guardati! Pensavo fossi la nonna brutta di Dracula…”

“ Stai passando il limite, Jhonny!” Se solo non avesse avuto le sue cose, oltre al mal di testa per la parlantina sciolta dell’amico,  un pugno o due sarebbero partiti immediatamente. Contrasse le braccia, mettendo Jhonny sull’avviso di non stuzzicarla troppo.

Per maggior precauzione il ragazzo mise due passi di distanza, sbattendo il fianco su una sedia.

“ O-ok, calma…”

“ IO sono calma.”

“ Certo, come vuoi tu, mia cara!” aggiunse freneticamente. Compiacerla, almeno per salvarsi la pellaccia.

“ Ho da fare. Perché sei venuto?”

“ Perinvitartiaduscireconeme!”

Un attimo di silenzio “ Eh?” replicò alzando un sopracciglio.

Jhonny contò mentalmente fino a tre, imponendosi di rallentare l’invito “ Vorrei, ehu… Uscire con te?”

La barista non lo aggredì. Non partirono insulti, ne minacce ai gioielli di famiglia. Non lo guardò neppure, limitandosi a far passare sul viso un’ombra di stizza, seguita a ruota libera da indecisione, turbamento, imbarazzo, poi consapevolezza.

E Jhonny era sicuro non si trattasse solo della proposta, ma di un qualcosa che era affiorato fra i ricordi e la copriva di disagio, speranze infrante, tristezza. Decisamente una giornata da dieci e lode, felice che le donne non fossero prevedibili come un’automobile, quando lei accettò sicura.

Occasione d’oro, gongolava il suo ego.

Vendetta, suggerì la ragione.

Shhhh! Zitti tutti!

“ Davvero?” faticava un po’ a crederlo, ma lei abbozzò un sorriso.

“ Davvero. Credo mi farà bene uscire un po’ e Cloud non potrà ribattere. D’altronde io e te siamo solo amici.”

Ahi, faceva male quella mazzata.

Vendetta, sì.

“ Uhm, bene. Conosco un localino niente male, si balla pure. Il Blue Tomb…”

“ Andiamo alla fiera di mercoledì.” Tifa incrociò le braccia, rivolgendogli un’occhiata di truce leggerezza assassina “ Odio le discoteche.” Starnutì, nascondendo il volto nella manica.

Sì, le donne sono decisamente incomprensibili.

 

 

 

 

Quando ricevette il messaggio di Aeris, quella sera, le ci volle un minuto eterno per recepire il senso. Quale, poi? Cosa aveva un senso, adesso? Lei usciva con un altro ragazzo nonostante fosse fidanzata, il suo mondo andava a rotoli, Cloud scappava, i suoi migliori amici prendevano strade difficili.

Nonostante tutto era così sola che non avvertì felicità nel messaggio spedito più per dovere che per altro. Se non una cosa:  Vorrei non aver mai accettato quell’invito.

In cuor suo sapeva bene a cosa si stesse riferendo.

 

 

 

 

 

 

 

 

“ Ma potrebbero sentirci.”

“ Non mi interessa.”

Aveva abbassato la voce fino a farla somigliare ad un ringhio, ed Aeris avvertì una scossa al basso ventre, finalmente risvegliata dal torpore delle lacrime, in un aperto contrasto fra le inibizioni e la voglia di fare l’amore con lui. Zack si chinò, posando le labbra sulle sue, ed Aeris indietreggiò a tentoni, con il ragazzo che la sovrastava fino a coricarla sotto di se. Il bacio plasmava un’atmosfera carica di sottointesi, decisioni che dovevano essere chiarite, ma la mente di Aeris non poté registrare niente di tutto questo. Esigente, lento, con una nota di dolcezza nella pace della notte, consapevole di avere molte ore per approfondire quel contatto, Zack non le permise titubanze e le sfilò il vestito, riprendendo possesso delle sue labbra subito dopo. La tirò gelosamente contro di se, i muscoli formati dall’allenamento Soldier guizzavano eccitati, e spinse repentinamente il bacino contro quello di Aeris, come se volesse prenderla in quell’istante, sibilando un gemito strozzato. Aeris conficcò le unghie sulle lenzuola, gettando la testa all’indietro. Con le pupille dilatate, fissò cauta la camicia di Zack finire sul pavimento, e una serie di baci leggeri sul collo e le spalle, il solletico dei capelli corvini sulla fronte, si convinse di abitare nel corpo di un’estranea che osservava se stessa privare Zack degli indumenti, mordendosi la lingua per non urlare quando lui entrò in lei, muovendosi a scatti, pretendendo ogni ansito, gemito, sensazione.

Quell’errore si prosciugava fino ad annullarsi in un torbido mare di niente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pfiù, che fatica…

Salve gente, rieccomi di ritorno dopo mesi di letargo (estivo) ma pur sempre letargo.

Ho deciso di postare prima dei dieci giorni stabiliti, adesso con le lezioni non so quanto tempo ci vorrà, ma volevo arrivare a questo punto focale di Accidentally in love.

Vi starete chiedendo come mai dello stacco brusco tra la penultima e ultima scena.

E’ voluto.

 Nel prossimo capitolo spiegherò cosa ha portato Zack a cambiare idea e il dialogo fra lui e Aeris poco prima del fatto. Perché le ragioni sono abbastanza egoistiche in entrambi i casi, e durante la cena Zack sembrava non volerne sentire parlare di eredi.

Bhè, siamo qui:

 Il rapporto fra Zack e Aeris inizia a rivelare le crepe che si avvertivano impercettibilmente nei primi capitoli. Nonostante si vogliano bene e si amino c’è sempre un “ma” ed hanno paura di aver fatto scelte sbagliate, tentando di convincersi del contrario. Forse volere un figlio è la soluzione, o forse no.

Tifa e Cloud sono alla deriva. Lui in colpa ma deciso a non lasciarla, lei che soffre e decide di attuare una ripicca con risultati… comici ( D’altronde non è una Jhonny x Tifa, ma sarà divertente vederli assieme come amici e con Jhonny che cerca di sedurla) XD

Tseng deve fare i conti col passato. Ma ve lo dico subito, lascerò perdere il Turk per qualche capitolo così da concentrarmi sulla coppia originale, perché nel prossimo i due coniugi ritornano ad Edge. E lì partirà la relazione fra Zack e Tifa.

Non a caso ho inserito Jhonny per alleggerire le situazione, anche perché mi sta simpatico quel ragazzo. E ho idea che ragioni in maniera a dir poco delirante. XD

La parola “ricchioni” non è rivolta a nessuno. Io non la penso assolutamente come Jersey, grazie al cielo, e lui è il genere di homo idiotis con i suoi schemini da gorilla dettati dall’ignoranza e dai pregiudizi.

Grazie a tutti quelli che seguono. Mi rendete felice, davvero, cercherò di rispondere a tutti.

Ah, e recupererò tutte le recensioni alla storie che seguivo!

Penso di aver detto tutto!

See,ya!

  
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