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Autore: Flaqui    29/09/2012    7 recensioni
"Vincere significa fama e ricchezza.
Perdere, invece, significa morte certa.
Niente di più.
Ma vincere, perdere, non cambia molto. Se perdi muori. Se vinci, vivi. Ma vivi senza speranza, assillato da incubi che ti tortureranno e ti faranno impazzire, togliendoti il sonno.
Quanto sei disposto a perdere?"
Quando Rose viene scelta per partecipare alla trentaquattresima edizione dei Giochi della Fame, sa benissimo di aver firmato la sua condanna a morte. Ognuna delle dieci scuole magiche europee deve sorteggiare, ogni anno, due studenti, una ragazza e un ragazzo, fino alla maggiore età; questi verranno gettati in un arena a combattere fino alla morte.
Rose sa benissimo che non riuscirà a farcela. Ma ha promesso che farà di tutto per tornare a casa, e non intende arrendersi.
In squadra con lei c'è anche Scorpius, un ragazzo gentile che però non ha la stoffa per farcela. Lui vuole dimostrare di non essere una inutile pedina e fa una appassionata dichiarazione davanti alle telecamere di mezzo mondo. Ma nei Giochi della Fame non c'è spazio per l'amore, per l'amicizia e per i sentimenti.
Che i Giochi della fame abbiano inzio.
E possa la buona sorte essere sempre dalla vostra parte!
Genere: Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Severus Potter, Lily Luna Potter, Rose Weasley, Scorpius Malfoy, Victorie Weasley
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La Buona Sorte -Il Fuoco Sta Divampando-'
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Questo capitolo è dedicato a molte persone.
Alle meravigliose quattordici ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo e che non mi abbandonano mai, anche se pubblico dopo mesi e non mi faccio sentire.
Alle nuove amiche che sto conoscendo su Facebook e con cui mi trovo, se è possibile, ogni giorno meglio. Ci conosciamo da poco, ma siete già importantissime.
E, infine, a quelle vecchie, di amiche. Perchè, se mi gettassi da un ponte, prenderebbero un gommone e verrebbero a salvare il mio stupido culo. (???)
Si, sono particolarmente in vena oggi.
Ma lasciamo perdere.
Vi lascio al capitolo e vi prometto di recensire il prima possibile.
Love all you.
Fra
P.S. Non uccidetemi, il capitolo finisce in modo... come dire...? Sorprendente.
Come sempre grazie a Clare Esse per essere la migliore beta del mondo. <3



Capitolo X

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-Solo ricorda, non scusarti.
Non dire loro quanto è difficile per te.
[Tra le nuvole

 
Quando mi sveglio, mi accorgo di essermi addormentata accovacciata per terra e mentre sento la mia schiena protestare animatamente per il dolore a cui è stata sottoposta, decido che almeno fino all’inizio dei Giochi dormirò sul letto come ogni persona normale.
Non riesco a resistere alla tentazione di dare una sbirciatina dietro alla porta: non so perché la cosa mi deluda tanto, ma Scorpius se ne è andato. Mi do della stupida: è ovvio che il principino non avrebbe mai passato la notte sul pavimento fuori dalla mia stanza.
Non siamo in una favola, stiamo vivendo un incubo.
Mentre mi avvio verso il bagno, passo davanti alle pareti dei quadri e stranamente neanche oggi Stephanie è nella sua cornice. Un po’ mi dispiace: mi era piuttosto simpatica e vedere il quadro vuoto, lo sfondo scuro senza il suo viso allegro e il sorriso smagliante ad illuminarlo mi deprime alquanto.
Forse è meglio così. Una persona in meno a cui dire addio fra qualche giorno e di cui sentire la mancanza.
«Se n’è andata» commenta una voce acuta alle mie spalle «Finalmente, direi. Non la sopportavo»
Quando mi giro, un paio di occhi scuri, molto diversi da quelli di Stephanie, mi fissano al di là della loro cornice. È la ragazza del “Bacio”. Questa mattina, a differenza della prima volta che ho osservato il suo quadro, è sveglissima e mi fissa insistentemente. Il ragazzo ritratto con lei dorme ancora, un’espressione pacifica in volto e il petto che si alza e si abbassa regolarmente.
«Cosa?» chiedo avvicinandomi di più «Perché?»
«Beh, perché era odiosa, ecco! Sempre con quei suoi piagnistei e con quel “non mi importa di essere un quadro”! Davvero insopportabile! Certo, anch’io preferirei non essere confinata qua dentro con la sola compagnia di George e con solo questo vestito, ma mica asfissio tutti gli altri quadri!» esclama la figurina, avvicinandosi di più, tanto da sembrare sul punto di fare uno strano tuffo in avanti «E poi era sempre un “Sybil non la finisce di lamentarsi”, “Sybil è davvero stupida” e cose del genere… come se non l’avessi capito che le piaceva il mio George!»
Lancia un’occhiata dolce, la prima che vedo sul suo viso, al ragazzo addormentato sugli scalini.
«Ok… ma perché se ne è andata? Pensavo che voi quadri… insomma… non potete spostarvi solo di quadro in quadro?» chiedo, mentre inizio a risentire della stanchezza dovuta alla notte quasi completamente insonne e del dolore alla schiena.
«Beh, lei non è un vero quadro rispettabile come me. O come George. Ma sta’ tranquilla, in serata ne arriverà uno nuovo»
Si stringe nelle spalle, aggiustandosi la gonna azzurra del vestito con piccoli colpetti delle dita e osservando il suo lavoro corrucciata «Merlino, quanto vorrei che il pittore mi avesse dipinto addosso un bel vestito rosso, di quelli con lo spacco. Il celeste non mi dona affatto, non credi?»
«Stai bene» rispondo automaticamente mentre cerco di decifrare le sue parole. In che senso Stephanie non è un quadro rispettabile? Esistono forse i quadri fuorilegge? Mentalmente scoppio a ridere per l’assurdità del mio pensiero.
Sybil si agita dentro la cornice e blatera di quanto il raso sia uno dei tessuti peggiori, di quanto sia fastidioso indossarlo ogni giorno e agita i lunghi boccoli neri sistemandoseli sulle spalle. È particolarmente graziosa, con la corporatura esile, i capelli lunghi fino a metà schiena, la pelle bianca e le efelidi che le punteggiano deliziosamente le guance rosate.
«Cosa vuol dire che stasera ne arriverà uno nuovo?» chiedo, interrompendola a metà della sua ardente critica al gusto del pittore, mentre penso freneticamente ai significati che possa avere.
Lei rimane zitta per un po’, imbarazzata, e si guarda intorno come alla ricerca di qualcosa «Beh, non dovrei dirtelo, ma…» inizia, ma un tonfo fuori dalla porta la fa sobbalzare e correre alla sua posizione iniziale, sulle scale accanto a George.
Qualcuno inizia a bussare con forza alla porta, ma io, furiosa oltre ogni limite per tale interruzione, mi avvicino al quadro e sussurro: «Cosa? Sybil? Cosa non dovresti dirmi?»
Ma Sybil si è accoccolata sul suo ragazzo e ha chiuso gli occhi, e io non posso fare a meno di dare un calcio alla gamba di uno dei tavolini.
 
Non ho nemmeno il tempo di aprire completamente la porta che qualcosa mi colpisce la guancia e mi ritrovo a pararmi il viso con le mani alzate.
Quando non mi arriva niente, alzo finalmente gli occhi e mi trovo davanti una Dominique dal viso rosso e dal respiro ansante, la mano destra ancora sollevata in aria. Per un attimo rimango immobile, incredula. Mi ha davvero colpita? Mi ha tirato uno schiaffo?
La mia guancia pulsa, così come il mio orgoglio e, senza starci a pensare molto, alzo anch’io una mano, pronta a rispondere all’attacco. È stato un riflesso involontario, ma Dominique è comunque abbastanza veloce e forte da bloccare la mia mano e stringerla fino a farmi male.
«Tu sei una stupida, Rose Weasley!» urla, e le sue unghie affondano nella carne del mio braccio «Cosa ti è saltato in mente, ieri? Abbandonare gli allenamenti?»
Il fatto che le luci della mia camera abbiano iniziato a lampeggiare pericolosamente non mi sorprende più di tanto. Sin da quando era piccola, Dominique ha sempre avuto problemi a controllare la sua energia e, a volte, quando perdeva completamente il controllo, capitava che provocasse scoppi di magia accidentale. Faceva esplodere gli oggetti, rompere i vetri delle finestre, sbattere le porte e andar via la luce. Con il passare degli anni è riuscita ad affinare una tecnica di rilassamento, ma talvolta capitano ancora episodi di questo genere.
Non dico niente, un po’ per non farla arrabbiare, un po’ perché, questa notte, una volta che i miei singhiozzi hanno smesso di sconvolgermi ho capito di avere esagerato, e lei rimane davanti alla porta, il petto che si alza e si abbassa velocemente.
Dominique fissa la sua mano ancora alzata, sconvolta. La guarda come se la vedesse ora per la prima volta, completamente stranita. Poi la stringe di colpo in un pugno e si muove così in fretta da apparirmi indistinta. Per un riflesso incondizionato faccio per pararmi il viso con le mani, senza avere la minima idea di cosa stia per succedermi finché non mi ritrovo con il suo capo poggiato sulla mia spalla, stretta in un abbraccio, il primo in cui sono coinvolta dal mio arrivo qui, che mi lascia sorpresa oltre ogni limite.
Non mi sorprende tanto il gesto. Dominique, per quanto sia sempre stata una tipa piuttosto solitaria, uno spirito libero che nessuno è mai riuscito ad incastrare o a domare, ha sempre creduto fermamente nell’importanza del contatto fisico, anche più delle parole.
Ma, dopotutto, è sempre stato il suo motto: agire, invece che rimanere a riflettere sul da farsi.
No, la cosa che più mi sorprende è il modo in cui, mentre mi tiene stretta, mi sussurra nell’orecchio con voce agitata e piena di un qualcosa che non riesco a decifrare: «Scusami Rose, scusami»
Non ricordo di aver mai, mai sentito Dominique scusarsi per qualcosa. Ma credo che dirlo a me non conti. Fra qualche giorno sarò morta e non potrò comunque andare a dirlo in giro.
Quando si stacca da me, noto due cose contemporaneamente: la prima è che la luce è tornata ed ha smesso di lampeggiare sinistramente come qualche secondo fa; la seconda, è un’ombra di tristezza che infonde gli occhi gonfi di mia cugina, a pochi centimetri dei miei, come se fosse sul punto di scoppiare a piangere.
Merlino, Dominique. Non piangere. Non farlo, almeno tu.
Perché lo so benissimo, se ora Dominique scoppia a piangere, tutto diventerà così maledettamente vero. E se diventa vero, non potrò scappare via, non potrò fare a meno di crollare anche io.
Quando si allontana velocemente da me, dopo pochi secondi, entrando finalmente nella mia camera e chiudendosi la porta del mio appartamento alle spalle, nei suoi occhi si è riaccesa la solita scintilla che li rende così vivi, brillanti quasi.
«Bene, Rosie» esclama lasciandosi cadere con grazia innata sul divanetto rosso al centro della stanza. Accavalla le gambe fasciate dalle calze nere, probabilmente di seta, e si aggiusta il filo di perle attorno al collo «Facciamo così. Tu non racconti a nessuno questo episodio e io non andrò a dire in giro che tu e il tuo amichetto ieri avete fatto gli innamorati sventurati divisi da una porta»
Abbasso gli occhi, lievemente in imbarazzo. Non tanto per il commento mirato e malizioso di mia cugina, ma più che altro per il modo in cui l’ha detto, con un sorrisino quasi di scherno e gli occhi che le brillano divertiti. Finalmente riesco a rivedere in lei la Dominique a cui, anche se sembra impossibile perfino a me stessa, stavo iniziando ad affezionarmi prima della fuga di James.
Evidentemente non si aspetta che io risponda perché afferra una delle miniature poggiate sul tavolino in vetro davanti a lei e inizia a giocherellarci. Per un attimo ho quasi paura che ricominci a tirarle contro il muro.
«Comunque, Rossa» sospira profondamente, e per un attimo smette di passare l’oggetto da una mano all’altra «Oggi c’è allenamento di gruppo. E visto che hai deciso di mandare al bel paese uno dei pochi alleati che avevi fuori dall’arena, che fra parentesi sta diventando insopportabile e pretende le tue più sentite e sincere scuse, e Vic si sta occupando del tuo amichetto, sarò io a spiegarti come funziona»
Sapevo che oggi era previsto il primo allenamento a porte aperte con il resto dei concorrenti e, anche se solo per un attimo, il mio corpo viene percorso da un’irrazionale moto di paura e inadeguatezza. Ma questa sensazione sparisce di colpo, sostituita da una buona dose di perplessità e curiosità.
«Victorie è con Scorpius?» chiedo e sento uno strano groppo alla gola.
So che non dovrebbe sorprendermi tanto tutto questo. È risaputo che il mentore debba scegliere solo uno dei suoi protetti e aiutarlo in tutto e per tutto, in modo che riesca a uscire vivo dal Gioco. Così come è noto a tutti che il mentore debba scegliere chi è maggiormente degno sin dalla fase pre-arena e sostenerlo nei vari allenamenti e nella preparazione delle interviste finali.
E non dovrebbe nemmeno sorprendermi che Victorie abbia scelto Scorpius. Lui è così bravo a combattere, così carismatico e pieno di vita, con la risposta pronta e il sorriso sempre sulle labbra. Ed è un Corvonero intelligente, una mente affine a quella di mia cugina che ha sempre avuto poco da spartire con me, una povera Grifondoro che, davanti alla morte, si mette a fare la bambina orgogliosa e rifiuta l’aiuto del suo allenatore.
Se anche all’inizio Victorie avesse deciso di aiutare me, e la delusione che provo mi fa capire che in fondo ci speravo, mi sono giocata tutto con la scenata di ieri.
Derek e Victorie sono ormai parzialmente contro di me e spudoratamente a favore del mio avversario. Mi resta solo Dominique.
Alzo lo sguardo verso mia cugina, che come sempre sembra fregarsene dei miei pensieri ingarbugliati e si sta aggiustando la maglia nera in modo che il giro di perle bianche risalti sul tessuto scuro. Non sembra per niente interessata alla mia sopravvivenza.
Oh, certo. Soffrirà per la mia morte come, ne sono convinta, soffrirà anche Scorpius. Ma il loro compito è quello di fare in modo che almeno uno di noi ritorni vivo. Non possono spendersi in sentimentalismi.
E Dominique, più di darmi un vantaggio con un bel vestito o suggerirmi una risposta maliziosa e sibillina da dare all’intervista, non può aiutarmi.
Sono sola.
Sono schifosamente sola.
 
Quando scendo a colazione, ignoro deliberatamente mia cugina, il che non è nemmeno troppo complicato perché il suo sguardo è fisso sulla caffettiera, e tento di ignorare Scorpius. E dico tento perché questa mattina sembra aver dimenticato di essere arrabbiato con me ed è tornato il solito bambino in overdose di Api Frizzole.
Sorride entusiasta, mangia carrettate di dolci che prima infilza nella forchetta d’argento e poi punta quasi fosse un’arma particolare contro una sinceramente spaventata Josie. Rachel osserva con un certo disappunto la sua particolarmente visibile vitalità e io stessa inizio a chiedermi quale sia la causa di tanto buon umore.
Non può essere a causa degli allenamenti, vero?
Nessuno sarebbe felice per questo, credo.
«Non vedo l’ora di conoscere gli altri concorrenti!» esclama, mandando giù un boccone particolarmente grosso del suo pancake.
Nessuno eccetto Scorpius “Sono-un-cretino-totale” Malfoy, ovviamente.
Sto per infrangere la promessa che mi sono fatta e rivolgergli la parola, quando una stranamente incupita Dominique – Ma qui sono tutti lunatici, Merlino? Dominique cinque secondi prima è tutta allegra e piena di vita e cinque secondi dopo sembra stranamente spenta. Per non parlare di Scorpius, che sembrava deciso a non rivolgermi mai più la parola fino a ieri e ora è tutto pieno di entusiasmo e di “Rose, non è fantastico?” - si muove irrequieta sulla sua sedia e si sporge in avanti, a pochi centimetri dalla forchetta sollevata a mezz’aria di Scorpius «Raggio di sole devi ucciderli, non farci amicizia!»
Questo commento, veritiero eppure così fuori posto, fa scendere il gelo più totale lungo l’intera tavolata e persino Josie, che sta blaterando da mezz’ora con Matt riferendogli della sua famosa festa a tema giaguari, si interrompe, gli occhi marroni spalancati.
Scorpius ha smesso improvvisamente di sorridere e, anche se posso contare solo sul riflesso deformato del mio cucchiaio per osservare il mio viso, riesco comunque a comprendere che nemmeno la mia espressione è delle più rilassate.
Scorpius sembra essersene accorto perché, quando rialzo gli occhi, mi fa un cenno del capo come a dirmi di stare tranquilla. Ma io lo ignoro, perché Victorie avrà anche deciso che vuole aiutare lui, ma in fondo questo non azzera completamente le mie possibilità e io non intendo arrendermi.
 
Verso le dieci, io, Scorpius e Derek, che ha passato l’intero viaggio in ascensore a ignorarmi completamente e a fissare ostinatamente il pannello dei pulsanti, scendiamo in quello che sembra essere il piano riservato agli allenamenti a porte aperte con gli altri tributi.
Come ho già avuto modo di notare, ogni piano è dotato di una palestra provvista di particolari attrezzature e diversi manichini incantati, in modo che i tributi possano allenarsi anche singolarmente con il loro allenatore o poter provare le proprie mosse speciali in gran segreto.
È quello che mi ha detto Dominique stamattina, mentre ci avviavamo verso la mensa.
«Non far capire agli altri concorrenti in cosa sei davvero brava. Sai lanciare i coltelli? Evita quella postazione. Te la cavi con l’arco? Non pensare nemmeno di usarlo. Visto che non possiamo puntare sul tuo charme o sul tuo talento nel farti degli amici nel pubblico, dobbiamo contare sull’effetto sorpresa»
A quel punto, forse mi sarei dovuta ritenere offesa, ma alla fine Dominique ha ragione. Non sono sexy. Non sono spiritosa. Non ho carisma. Non sono gentile ed educata. Non sono capace di sorridere come in una pubblicità di dentifrici. Posso solo contare su tanta forza di volontà e un grande, disperato desiderio di tornare a casa mia.
Un altro consiglio di Dominique è stato quello di spaziare tutte le discipline che ci verranno proposte «Anche se c’è un seminario su come non morire per mano di perfidi Asticelli, tu seguilo. Non sai cosa potrai trovare lì dentro. Magari metteranno degli Asticelli modificati e pronti ad ammazzarti con le loro gambette esili»
Le porte in vetro dell’ascensore si aprono su un’ampia stanza dalle pareti grigie. Al nostro arrivo, i volti di ben sedici tributi si alzano di scatto e, quando si rendono conto che non siamo gli istruttori che stanno evidentemente aspettando, tornano a farsi gli affari propri.
È preoccupante vedere come, anche se l’appuntamento era fissato per le dieci e un quarto, tutti siano già lì da molto prima. Evidentemente sono nervosi.
Io non sono nervosa. Affatto. Non mi tremano le gambe, non sento l’improvvisa voglia di correre via, non credo che riuscirei a vomitare o a piangere neanche se ne andasse della mia stessa vita - brutto gioco di parole, davvero brutto. Sento solo uno strano vuoto, una sensazione ovattata che mi trascina in un abisso sordo e muto, pieno di nulla.
Io e Scorpius ci affianchiamo ad una coppia di ragazzi che sembrano avere la nostra età e fissano insistentemente le porte davanti a noi.
Una volta appoggiatami al muro, incrocio le braccia al petto e inizio a darmi una prima occhiata in giro. La maggior parte dei tributi è compresa in una fascia di età fra i quindici e i diciassette anni. Fanno eccezione solo alcuni ragazzini che sembrano di poco più piccoli: un ragazzino dai capelli così chiari da sembrare bianchi, una ragazzina dai capelli castani che riconosco essere quella che arrossì davanti al sorriso malizioso di Scorpius alla parata, e una ragazzina minuta dai capelli rossicci che fissa spaurita il pavimento. È proprio quest’ultima ad impietosirmi di più.
Un’occhiata più dettagliata mi fa capire che è ancora più piccola di quanto pensassi, sui dodici o tredici anni. I suoi occhietti marroni sono spenti e gonfi, segno che ha pianto molto, e ha qualcosa nell’espressione del viso che mi fa capire che sì, è consapevole di non poter tornare a casa. Non viva, almeno.
Chi invece sembra essere sicuro della sua vittoria sono i sei ragazzi dalla carnagione pallida che si sono riuniti in un angolo della stanza. Per quanto i tratti somatici dei loro visi e le loro corporature siano diverse fra loro – uno ha le spalle larghe ed è ben piazzato, una ha l’aria da reginetta di concorsi di bellezza e l’altra sembra pronta ad ammazzare qualcuno anche ora, e così via - riconosco in tutti loro qualcosa che li accomuna.
Forse è la loro espressione. Persi nel vuoto davanti a loro, la postura dritta e rigida, le mani dietro la schiena o intrecciate garbatamente in grembo. Sembrano parenti, anche se sono così differenti.
«Sono di Dumstrang» sussurra una voce nel mio orecchio.
Mi trattengo dal ritrarmi di scatto e dal protestare per questa invasione del mio spazio personale solo perché, così facendo, porterei l’attenzione su di me. Ed è un’altra delle cose che Dom mi ha sconsigliato di fare.
Scorpius, dal canto suo, continua a sorridere, a suo agio. Però fissa anche lui di sottecchi il gruppetto che si è creato con una certa sollecitudine.
«Credo che saranno i più difficili da abbattere. Soprattutto se giocheranno alla “Grande Famiglia Del Nord”»
Si stringe nelle spalle e si passa una mano fra i capelli già troppo scompigliati «Ma ce la possiamo fare, penso. Credo che, presi singolarmente, alcuni di loro potrebbero risultare innocui»
In quel momento uno di loro alza lo sguardo, come se qualcuno lo avesse chiamato, e i suoi occhi di ghiaccio incontrano i miei. Non leggo paura o nervosismo nel suo sguardo. Solo forza e determinazione. E morte.
Distolgo velocemente lo sguardo e penso che lui, anche se preso da solo, non sarà mai abbastanza innocuo, almeno per i miei gusti.
 
La porta dell’ascensore si apre qualche minuto dopo e, questa volta, anche la mia testa si alza di scatto, girandosi in quella direzione, per poi riabbassarsi di nuovo quando ad uscirne sono gli ultimi due concorrenti dei Giochi, la ragazza spagnola e il suo compagno. Lei non sembra curarsi degli sguardi nervosi degli altri puntati addosso, anzi, sorride apertamente, come se la cosa la divertisse enormemente. Il ragazzo, invece, ha le mani così sprofondate nelle tasche che è tutto curvo in avanti. Ma almeno ha la decenza di non sorridere entusiasta al nostro indirizzo.
Quando anche loro prendono posto, lui appoggiato al muro di fronte a noi e lei seduta con le gambe incrociate su una delle panchine che arredano l’ambiente, tutti torniamo alla nostra precedente occupazione: fissare il vuoto davanti ai nostri occhi.
Decido che osservare l’atteggiamento dei miei futuri avversari non fa altro che rendermi più nervosa perciò passo i restanti cinque minuti a fissare il grande orologio a pendolo appeso alla parete, proprio sopra all’antipatica francesina con cui mi sono scontrata alla parata iniziale che oggi sembra aver perso il suo atteggiamento di superiorità, battendo ritmicamente il piede sul pavimento.
Alle dieci e un quarto spaccate le porte dell’ascensore in vetro si aprono nuovamente e, questa volta, scattiamo tutti e venti. C’è chi si tira su, chi si alza, chi si stacca dal muro, chi si aggiusta freneticamente la tenuta d’allenamento e chi semplicemente appare terrorizzato, come una delle ragazzine più piccole.
Sulla soglia ci sono tre persone, due uomini e una donna. Lei la riconosco: è Maya Nerubert, colei che, sin dalla prima edizione dei Giochi, è stata incaricata di gestire gli allenamenti dei partecipanti. Mi mette in soggezione.
Dovrebbe avere cinquanta anni, adesso. Sembra una di trenta. È rimasta uguale in tutti questi anni, sempre con il viso giovane, fresco e privo di rughe, con i capelli scuri acconciati alla perfezione e senza nemmeno una traccia del tempo che scorre. Probabilmente è ricorsa ad alcune magie estetiche per migliorare l’aspetto.
I due uomini, invece, sono molto diversi fra loro. Il primo è un tipetto mingherlino con i capelli neri e scompigliati, gli occhiali dalla montatura quadrata e un camice bianco. Il secondo è una montagna di muscoli di colore che ci fissa con i suoi occhi neri e profondi come pozze di petrolio. Improvvisamente penso alla prima volta che ho visto Derek, a come ho pensato che sembrasse un assassino. Ora, mentre lo cerco con lo sguardo, unica conferma di sostegno in questa stanza – anche se al momento i nostri rapporti non sono dei migliori -, mi sento quasi rassicurata nel vedere che ci sta guardando, a me e a Scorpius.
Quando si accorge della direzione del mio sguardo mi fa un cenno con la testa, come a darmi allo stesso tempo la sua benedizione e il suo perdono.
Mi sento stupida. Sono una stupida. Ho rifiutato l’unico aiuto che Royàl era stata disposta a darmi. Spero solo che questa sera sarà abbastanza disposto a darmi qualche consiglio e a riprendere ad allenarmi nelle lezioni private.
Maya si schiarisce la voce e, se è possibile, in sala scende ancora più silenzio.
Lei ci fissa per un po’, i lunghi capelli le ricadono sulla fronte ma lei non fa niente per spostarli. Poi, quando il silenzio diventa quasi insopportabile e alcuni dei tributi danno i primi sintomi di nervosismo e ansia, finalmente inizia a parlare.
«Benvenuti, tributi. Benvenuti alla venticinquesima edizione dei Giochi della Fame. Io sono Maya Nerubert, la responsabile che si occuperà di voi per questi allenamenti di gruppo. E questi sono Case Flint, mio collega e amico» fa un cenno all’uomo muscoloso che la affianca e quello china il capo, in un saluto rispettoso e distaccato «e il professor Tyler Zyne»
Quest’ultimo balbetta un saluto nervoso.
Maya fa una pausa in cui cammina adagio verso di noi. Tutti ci spostiamo di lato e lei, passando in mezzo al varco che abbiamo creato, arriva sino alla porta della palestra, ancora sigillata. A questo punto si gira verso di noi e ci guarda con uno strano scintillio in viso.
«Il tempo è molto importante, non credete?» chiede, e questa domanda ci lascia tutti perplessi mentre già alcuni dei concorrenti iniziano a lanciarsi occhiate confuse.
«Il tempo sancisce il ritmo della nostra vita e per quanto ci riguarda non ne abbiamo mai abbastanza. Vorremmo avere il tempo di fare molte cose nella nostra vita. Ma molto spesso, il tempo, che è un tiranno crudele, finisce prima di quanto ci si aspetti»
Il discorso di Maya continua a non assumere nessun significato ragionevole per me e mi ritrovo a fissare di sottecchi Scorpius, controllando che anche lui sia perplesso come me. Lo è, ma cerca di non farlo vedere e continua a fissare Maya assorto.
Maya sorride, enigmatica «Questa, ragazzi, è la venticinquesima edizione dei Giochi della Fame e, come tale, sancisce il passare di un quarto di secolo in cui la pace e la gloria di Royàl ha influenzato benevolmente il mondo. È un’occasione per festeggiare il tempo trascorso insieme. Perciò, quest’anno, le cose saranno un po’ diverse dal solito»
Questa volta nessuno riesce a trattenersi e, con poche eccezioni, tutti sembrano sconvolti e iniziano a sussurrare con i compagni di squadra o a lanciare occhiate ai loro allenatori. Anche questi ultimi, d’altra parte, sembrano perplessi e ci esortano al silenzio perché Maya possa continuare e spiegarci meglio.
«Prima ancora di entrare nell’arena vi verrà somministrata una pozione ideata dal qui presente dottor Zyne che… come posso dire? Segnerà il tempo che vi rimane. Apparirà sul vostro braccio un orologio a cinque cifre, dalle settimane ai secondi, che sancirà lo scorrere della vostra presenza nel gioco. Non appena atterrerete nell’arena il vostro orologio sarà calibrato per una settimana. Allo scadere del primo giorno, il tempo segnato dal vostro orologio inizierà a correre. E, beh, da quel momento in poi sarebbe meglio che iniziaste a correre anche voi»
Maya conclude il suo discorso con un sorrisetto che mi sento già in diritto di odiare.
«Non capisco» ammette un ragazzo dai capelli chiari, il compagno di squadra della bambina. Ha un’espressione perplessa in viso che rispecchia quella di molti di noi.
Maya ripete con calma lo stesso discorso e mi ritrovo a chiedermi se non l’abbia imparato a memoria. Non può ricordarlo così bene.
Una ragazza che ho osservato qualche minuto fa, quella che sembra essere una reginetta di bellezza, alza la mano, perplessa «Cioè, abbiamo un giorno di tempo prima che l’orologio si attivi e poi una settimana prima che il tempo si esaurisca, ma… insomma, cosa succede quando il tempo finisce?»
«Quando il tuo tempo finisce, muori» risponde Maya, il sorriso così fuori posto adesso.
La stanza è silenziosa, così silenziosa che potrebbe sentirsi cadere uno spillo.
All’improvviso non riesco più a respirare.
Come…? Cosa…? Perché…?
Non era già abbastanza difficile? Non bastava il vederci scannare per sopravvivere? Ora siamo anche cronometrati? Mi viene da piangere.
«In pratica…» esclama il ragazzo spagnolo e la sua voce bassa mi fa sussultare, persa come sono nei miei pensieri «In pratica dopo una settimana il Gioco finisce?»
«Oh, no!» Maya scuote la testa sorridente «Ogni volta che mettete fine ad un avversario guadagnate tutto il tempo che gli restava. Ogni volta che superate una prova particolarmente difficile o superate un ostacolo difficile vi vengono assegnate ore o giorni, a seconda della pericolosità dell’azione. Semplice, no?» chiede, come se tutto questo fosse normale.
Come se si divertisse a spiegarci nel dettaglio come moriremo.
Assomiglia tremendamente a Rachel.
Il ragazzo spagnolo serra i pugni e ribatte di nuovo, questa volta la voce più alta e accesa «E il vostro brillante programma ha pensato a cosa succederà quando rimarranno pochi concorrenti nell’arena? A quando non ci sarà tempo da prendere da altri o imprese da superare? Cosa pensate di fare? Non potete certo restare senza un vincitore, no?»
Quando finisce di parlare, il suo viso è teso ma comunque sorride, in un’imitazione del discorso semplice e facile su come moriremo di Maya.
La ragazza spagnola gli mette una mano sul braccio e gli lancia uno sguardo di ammonimento, preoccupata. Lui la ignora e continua a fissare Maya.
Dal modo in cui la spagnola sospira, comprendo che deve essere abituata a questi scatti d’ira del suo compagno e che, quest’idea mi colpisce forte allo stomaco, loro devono davvero essere stati amici – sono amici - prima dell’arena.
Maya ignora completamente il tono arrabbiato del ragazzo e sorride rassicurante «Oh, caro… ti chiami Nicolas, vero?» chiede e poi sorride senza aspettare una risposta «Non devi preoccuparti! Certo che il Gioco avrà un vincitore! Grazie agli sponsor! Se riuscirete a fare una buona impressione agli spettatori, loro potrebbero decidere di aiutarvi e di regalarvi minuti, ore e, perché no, giorni interi!»
Tutto si riduce a questo, penso. A fare colpo.
Improvvisamente penso a quello che mi ha detto stamattina Dominique: Visto che non possiamo puntare sul tuo charme o sul tuo talento nel farti degli amici nel pubblico, dobbiamo contare sull’effetto sorpresa.
Effetto sorpresa. Effetto sorpresa.
Ho cinque giorni per imparare tutto quello che hanno da insegnarmi, qui dentro.
E poi devo solo cercare di sorprendere il pubblico.
E, possibilmente, anche me stessa.
 
In molti fanno delle domande a Maya. Lei risponde sempre con quell’irritante sorrisino sulle labbra, come se stessimo parlando delle previsioni del tempo. Beh, quelle prevedono tuoni e fulmini in ogni caso.
Tempesta su di me e su tutti noi.
Quanto durerà? Oh, non so. Probabilmente fino a quando il nostro orologio continuerà a correre e il nostro cuore a battere. Ma non mi sento in diritto di fare delle ipotesi.
Ci sono molte persone intorno a me che parlano. Ma non riesco a sentire una parola di quello che dicono.
Io e Scorpius rimaniamo in silenzio, vicini ma distanti, come la scorsa notte. Poi lui mi tocca il braccio con la punta delle dita e vorrei morire. Perché questa tempesta non avrà fine fino a quando non finirò anch’io.
E a questo punto perché continuare, perché combattere?
Continuo a pensare tutto questo mentre Maya ci scorta dentro la palestra assegnataci per gli allenamenti e ci illustra i vari modi che abbiamo per far secco un avversario.
Con la magia ovviamente, con armi di tipo babbano, rubando il tempo del nemico fino a prosciugarlo completamente, spingendolo nelle fauci delle terribili creature magiche che popolano l’arena, facendogli ingurgitare per sbaglio erbe velenose – e qui elenca ogni singola pianta presente nel mio libro “Delle Erbe e dei Veleni” a cura di S. Collins, e così via.
E io penso che ci vuole davvero poco, in fin dei conti. Un movimento della bacchetta, un attimo di distrazione, un incontro sbagliato, il tempo che non basta e scorre inesorabile verso la tua fine.
Dopo una mezzora buona, Maya ci augura buona fortuna e ci lascia alle varie postazioni presenti nella palestra. Io e Scorpius, con un tacito accordo, decidiamo di procedere insieme.
E per il momento mi va bene così: sono troppo frastornata e terrorizzata per fare altrimenti.
E, fra tutte, la cosa che più mi spaventa e mi preoccupa è che Scorpius è nelle mie stesse condizioni. Non dico che è incapace di muoversi e tremante per la paura, ma i suoi occhi continuano a muoversi irrequieti, senza mai soffermarsi su niente.
Il ragazzo dagli occhi di ghiaccio, quello che ho deciso essere il capo della “Grande Famiglia Del Nord”, come li ha chiamati Scorpius, a pochi passi da me, lancia una maledizione che non riconosco ma che lascia dietro di se un lampo di luce viola e un manichino animato che si contorce sul pavimento per cinque interminabili minuti, prima di accasciarsi completamente con uno squarcio sulla parte che rappresenta il petto.
Io deglutisco e cerco di concentrarmi sui gesti dell’istruttore davanti a me, che al momento sta illustrando come si crea un’ottima trappola per conigli, ma poi il mio sguardo scivola un po’ più in là e vedo il tributo Norvegese – la bandierina in miniatura sulla sua divisa conferma le mie ipotesi sulla sua nazionalità - che si intrattiene con la sua compagna, quella con due buchi neri al posto degli occhi, a cui sussurra qualcosa, piano.
 
Cerco di non pensare a come sarebbe avere quei buchi neri puntati sul mio viso, magari con un coltello dalla lama particolarmente affilata a frapporsi fra noi.
Scorpius rimane zitto per tutto il resto della giornata e, confusamente, penso che non serve poi molto per fargli chiudere la bocca. Solo una minaccia di morte, altri diciotto ragazzi che intendono farti morire nel modo più doloroso possibile, e il sangue e il tempo che scorrono veloci nelle tue vene, inarrestabili.
Verso le sette, quando lasciamo la palestra, non ho nemmeno la forza di sentirmi stanca.
La verità? Sono terrorizzata. Non ho mai avuto più paura di adesso. Derek è davanti a noi e ci sta scortando verso la tavola calda al nostro piano. Non dice nulla e, per una volta, gliene sono grata.
È stata una giornata particolarmente dura e non credo che riuscirei a sopportare anche un semplice e spassionato commento. Victorie e Dominique ci stanno aspettando, in piedi davanti alla porta della mensa. Hanno entrambe le sopracciglia aggrottate e sono incredibilmente simili nella loro maschera di indifferenza e menefreghismo.
Per un attimo penso a come reagirebbe Dominique sapendo che l’ho paragonata a “Sua Perfezione Victorie”, poi scuoto la testa, perché la mia morte è vicina e i miei pensieri sembrano incapaci di soffermarsi su altro.
Una volta dentro la Sala Pasti, Derek spiega in breve la situazione, con una voce spenta che non ho mai sentito. Le mie cugine hanno due reazioni completamente opposte: se Dominique inizia ad urlare infuriata con il viso rosso e i vetri delle finestre che traballano pericolosamente, Victorie diventa, se possibile, ancora più calma e indifferente di quanto non fosse prima.
La fisso mentre, con estrema lentezza, inarca un sopracciglio, così tanto da farlo confondere con l’attaccatura dei capelli. Non un gesto, non una parola, non uno sguardo. Solo un’alzata di sopracciglio e quella sua solita espressione fuori dal mondo che ci riserva continuamente. La mia morte, la morte di Scorpius, la morte di diciannove ragazzini equivale a questo per lei. Ad un’alzata di sopracciglio.
Sento la rabbia, il dolore, la paura e il risentimento che mi scorrono veloci nelle vene e la voglia terribile di farla finita qui. Di salire sul tetto di questo stupido posto e di gettarmi sotto, di morire ora, che sono ancora innocente e le mie mani non sono ancora macchiate dal sangue. Di morire ora, per far vedere a questa gente che posso prendermi una mia piccola vendetta.
Ma non posso, perciò rimango lì, a fissare il sopracciglio di Victorie mentre finalmente anche Dominique sembra calmarsi. Derek, che ha un braccio sulla sua spalla, le sta sussurrando qualcosa all’orecchio e sembra volerla far ragionare, ma Dominique si libera dalla sua presa e esce dalla sala sbattendosi la porta alle spalle.
Derek fissa il vuoto davanti a se e dopo un po’ si gira verso di me «Il carattere irascibile allora è una caratteristica di famiglia?» chiede e per un attimo il mondo sembra smettere di pesare sulle mie spalle. Gli sorrido, perché sono così disperata e piena di tristezza che mi appiglio a qualsiasi aggancio mi venga proposto per tirarmi su.
«Chissà se lo è anche la tua capacità di dare sui nervi» sussurro e Derek si passa una mano fra i capelli, imbarazzato. Dopo essersi concesso un’ultima occhiata al corridoio vuoto dove è sparita Dominique, si stringe nelle spalle e ci dice di farci trovare pronti domani mattina, perché deve parlarci delle strategie da adottare nel prossimo allenamento di gruppo.
Il fatto che la richiesta non sia rivolta solo a Scorpius mi fa sentire un po’ meglio ma non troppo, così mi limito ad annuire e a guardarlo andare via, con una strana espressione impaziente, lungo lo stesso corridoio che ha percorso Dominique.
Sono ancora persa nei miei pensieri e vagamente infastidita per il comportamento di Derek –pensavo sarebbe rimasto a cena e invece ora sono sola con mia cugina e il suo pupillo - quando mi accorgo che i due appena nominati si sono avviati insieme verso la tavola imbandita.
So che non c’è nulla di strano in questo gesto. Sono abituata a essere lasciata indietro.
Ma sento la mia ormai famosa mano invisibile serrarsi intorno allo stomaco. Fino a questo momento mi sono fidata ciecamente. Ho sempre pensato che Victorie, pur preferendo Scorpius, sarebbe stata disposta ad aiutarmi, a darmi un minimo di sostegno. Ma non è così.
Fino a questo momento ho sempre avuto dentro di me, nascosta sotto chili di paura e disperazione, la speranza di riuscire a farcela. Mi sono continuata a ripetere, fino a convincermi davvero, che sarei riuscita ad uscire viva dall’arena. Che, in realtà, le cose si sarebbero concluse per il meglio. Che avrei vinto, perché non poteva essere altrimenti.
Perché il mio cuore batte ora e vorrei che battesse anche fra due settimane o più.
Ma non è così.
E non so perché, non so come e non so nemmeno in che modo ma, mentre fisso Victorie e Scorpius seduti a tavola che bisbigliano, il mio cuore accelera sempre di più e vorrei solo che si sbrigassero a farla finita. Chiudo gli occhi e, quando li riapro, mi trovo davanti alla realtà. E la realtà non prevede una mia sicura vittoria o un rapporto idilliaco con mia cugina o un mio trionfale ritorno a casa.
E mi viene da piangere, perché dopo aver passato tanto tempo rinchiusa nel mio piccolo mondo di cristallo, tutte le mie certezze stanno crollando e crollo anch’io. Come un insignificante castello di carte – non necessariamente quelle esplosive - vengo trascinata via da una folata insospettabilmente forte di vento e mi disperdo, mi disfaccio nell’aria.
Scorpius si gira verso di me e mi guarda, perplesso che io sia ancora impalata lì davanti alla porta. Fa un cenno del capo, come a chiedermi di sedermi e per un infinitesimale istante vorrei soltanto avvicinarmi a lui e piangere a dirotto, come questa notte.
Ma la realtà che adesso sono in grado di vedere mi blocca, ancorata al pavimento. Non posso abbracciare Scorpius, non posso piangere davanti a lui. Non dovrei nemmeno volere tutto questo. Lo voglio, certo. Perché nonostante tutto, lui sembra essere l’unico in grado di capire i sentimenti contrastanti che mi sconvolgono dentro alla prospettiva del tempo, il mio tempo che passa.
Ma non posso farlo perché, ah, quanto è dura e terribile la mia realtà, Scorpius morirà. O, in caso contrario, morirò io.
O tu o io, Malfoy. Non c’è tanta alternativa. Quindi smettila di guardarmi con quegli occhi.
La mia mente però ha registrato un pensiero ancora più molesto rispetto ai precedenti e ancora più terribile. E all’improvviso, nella mia mente non c’è più un ragazzino senza volto né identità, né Scorpius con i suoi occhi Foresta Proibita spalancati e vitrei, ma ci sono io.
Io riversa al suolo, con i capelli scomposti e gli occhi sbarrati.
Non ce la faccio.
Non ce la faccio.
I miei piedi si muovono praticamente da soli e mi getto in corridoio, correndo.
Non mi importa di cosa penseranno Scorpius e Victorie. Tanto sono diventati abbastanza amici, non saranno di certo infastiditi dalla mia mancanza o dalla prospettiva di fare due chiacchiere senza la mia asfissiante presenza.
Certo, Vic. Digli come farà ad uccidermi. Dagli i consigli giusti per farmi morire nelle più atroci sofferenze. Non guardarmi negli occhi, non preoccuparti nemmeno. Fa’ pure come se io non esistessi. Tanto fra poco tutto finirà e io smetterò di esistere per davvero.
Mi chiudo la porta alle spalle e singhiozzo. Mi ero detta che non avrei più pianto, che mi sarei allontanata da Scorpius e che sarei rimasta impassibile ad ogni tipo di evento.
Non sono mai stata in grado di mantenere le promesse, figuriamoci quelle fatte a me stessa.
Sybil, dalla sua cornice, mi fissa con i grandi occhi neri spalancati e il suo ragazzo - ha detto che si chiama George, vero? - le accarezza un braccio. Anche lui mi sta guardando. Tutti mi guardano e improvvisamente sento il disperato bisogno di una faccia amica.
Sto per riaprire nuovamente la porta e andare, non so, da Dominique o da Derek, quando una risatina strana mi fa bloccare di colpo.
Mi giro velocemente e percorro la stanza con lo sguardo: è vuota come sempre, e sto per abbassare la maniglia e andarmene, convinta che si sia trattata di un allucinazione, quando la stessa voce ride di nuovo. Appartiene ad un ragazzo, a giudicare dal tono baritonale su cui verte.
«Non avrei mai pensato che Rose Weasley fosse una piagnucolona. Dimmi Rosie, chi devo andare a picchiare? Non esiste che qualcuno, a parte me, ovviamente, faccia piangere così la mia piccola rossa!»
Il cuore mi batte veloce ma la mia mente lo è di più.
E, mentre mi giro verso l’angolo dove qualche ora prima c’era la cornice di Stephanie so già chi troverò al suo posto. Non so come o perché, ma so già che incontrerò un paio di occhi chiari e fini capelli biondi che ricadono sulla fronte alta di qualcuno che, per troppo tempo nella mia infanzia, sono stata costretta a sopportare. Ma adesso, sono stranamente felice di vederlo. Perciò mi avvicino a grandi passi all’ex-quadro di Stephanie e sorrido alla nuova figura rappresentata sullo sfondo scuro.
«Ciao, Lorcan»
 
   
 
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