Crack,
fanon o canon? Slash, het o threesome?
GOD SAVE THE SHIP!
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Prompt: Tenzo/Sakura, caffè
La
caffeina aiuta, non fa miracoli
di
slice
“Forse
non sono stata chiara: basta rasenshuriken, ma anche rasengan nani e
super iper rasengan, per un po'!” disse Sakura, inferocita,
“possibile che tu non comprenda l'entità dei danni che
ti procuri?”
“Ma, Sakura chan...” ragliò
Naruto, con quel chan incrinato dalla paura di ritrovarsi il naso al
pari delle sopracciglia.
La kunoichi si massaggiò una
tempia, prima di voltarsi nuovamente verso il maestro.
“E
lei...” aggrottò la fronte, “ma che razza di
bambino imprudente è diventato? Gettarsi così, in
mezzo...” continuò borbottando, senza rivolgersi più
a nessuno in particolare.
Kakashi sorrideva sotto la maschera, con
quegli occhi ridotti a una fessura di scuse in una posizione ideale
per scorgere perfettamente tutta la stanchezza e l'apprensione
dell'allieva.
“Mi dispiace, Sakura, starò più
attento,” disse, placando all'istante i borbottii della
ragazza.
Lei sospirò, ricordandosi di aver sentito quella
frase innumerevoli volte, in altre situazioni, e di non aver
riscontrato cambiamenti nel comportamento del maestro. Tuttavia, quel
tono adulto, colpevole, riusciva a convincerla e, ogni volta, finiva
quasi con stupore nuovamente lì, a sospirare.
“Le
donne diventano molto premurose con l'uomo che amano,” disse
Sai, sorridendo, e Naruto pensò che stesse chiedendo un
pugno.
“Sta' zitto!” gracchiò Sakura, la cui
tensione non riusciva mai ad adagiarsi del tutto, grazie ai casi
patologici che erano i suoi compagni di squadra.
Tenzo sorrise nel
vedersi svolgere davanti quella scenetta, una delle tante che
alleviavano le giornate dopo il disastro che si era lasciato dietro
lo scontro con Pein. Erano necessarie, per tutti loro, ma in
particolar modo per chi aveva qualcosa di cui incolparsi.
Per
quanto lo riguardava, aveva con sé la colpa enorme di non
essere stato presente. Il numero nove bruciava ancora sul suo palmo,
in alcuni momenti, ma quando si toccava con il pollice, in un gesto
istintivo, non vi trovava niente d'insolito. Avevano sfiorato una
tragedia e se non fosse stato per la preziosa lungimiranza del Quarto
Hokage, Konoha probabilmente non avrebbe visto neanche quella leggera
speranza che arrancava per le strade dissestate, le case distrutte e
i cantieri appena allestiti.
Avevano scoperto tutto molto
presto.
Naruto aveva mangiato una decina di ciotole di ramen da
Teuchi, quel giorno; rideva con Kiba, prendendo in giro Shikamaru che
non poteva andare da nessuna parte senza essere tallonato da Shiho,
che si sentiva in colpa. Avevano passato del tempo a scambiarsi
sguardi perplessi, Tenzo e Kakashi, e a chiedersi la stessa cosa:
cosa fosse successo, prima di tutto, ma anche quanto stesse bene,
realmente, il genin.
Quando gli amici si furono congedati, tutti
pieni d'impegni, persino Shikamaru, Naruto aveva appoggiato le
bacchette sul ramen appena terminato e aveva sorriso. Kakashi, dopo
aver scambiato un altro breve sguardo con il Capitano, aveva chiesto
al kohai se fosse tutto a posto. Naruto aveva abbassato la testa e
socchiuso gli occhi in quel suo modo doloroso, ma subito dopo c'era
stato spazio per un sorriso, prima di chiocciare una risata semplice,
serena, di gola: aveva conosciuto suo padre, in quel posto strano tra
la sua mente e la sua pancia, dove dormiva la Volpe. Era stato bello
anche per loro, udire quelle parole, aveva scatenato una bella
sensazione. Sembrava necessario, adesso che era avvenuto, oltre che
logicamente conveniente, era qualcosa che sapeva di giustizia, in
quella vita di incertezze, paure e odio, quella del ninja, per non
parlare di quella di un jinchuuriki.
“Capitano Yamato!”
Per
quel richiamo così vicino e dal tono profondamente irritato,
Tenzo prese paura come non gli capitava da anni, rischiando di cadere
dalla sedia.
“Non è possibile, non mi ascolta
nessuno,” brontolò Sakura mentre tornava al capezzale
del maestro per rimettere la cartella al suo posto.
Kakashi lo
guardò in un modo strano, alzando un sopracciglio, come per
invitarlo a non aggravare la loro situazione con un ninja medico
fornito di potenza tale da ridurli in pezzi talmente piccoli da poter
essere spazzati sotto un tappeto. Tenzo gli rivolse a sua volta uno
sguardo di sufficienza.
“Scusa, Sakura, ero
sovrappensiero...” sorrise poi, beccandosi ugualmente l'ovvia
occhiataccia della ragazza.
“Mi faccia un favore, Capitano,
mi vada a prendere un caffè,” scandì lei,
collerica, per essere sicura che le sue parole venissero
recepite.
Tenzo annuì, ignorando pazientemente l'occhio
derisorio di Kakashi.
“Naruto!”
urlò Sakura dalla collinetta su cui si era incrociata con un
addetto alla documentazione delle scorte mediche per l'imminente
guerra. “Che diavolo ci fai lì?”
Il ninja che
aveva davanti si tappò un orecchio.
“Sakura san, le
manca una firma sola,” così me ne vado e salvo i
timpani, era compreso ma non lo disse.
“Oh,”
sobbalzò lievemente lei, riportando l'attenzione ai fogli che
aveva tra le mani, “tutto a posto, grazie per il tuo lavoro,
Yamaarashi san,” disse, restituendogli il plico prima di
inchinarsi.
Lui le sorrise, facendo altrettanto, perché in
fondo trovava che la kunoichi fosse piacevole quando la sua voce non
toccava picchi ultrasonici, poi proseguì per l'ospedale per
ricevere altre liste che avrebbero necessitato di altre
firme.
“Naruto!” urlò di nuovo, Sakura, “esci
di lì!” si massaggiò una tempia, pronta a
scendere nella piazzola e rimettere in riga anche i sassi. E lo
avrebbe fatto se qualcuno non avesse interrotto i suoi propositi con
una domanda.
“Perché non lasci che passi un po' di
tempo a fare... l'idiota?” sorrise il nuovo venuto, nel
pronunciare quell'insulto con una sfumatura di amore fraterno.
“Lo
so che se l'è meritato, ma non voglio che perda contatto con
questa realtà. Ci sono molte cose da fare e altrettante da
digerire.”
Sakura era rivolta verso il compagno e dava le
spalle al Capitano, tuttavia avvertì l'imminente intrusione di
quest'ultimo e lo anticipò.
“So che Naruto non lo
farebbe mai davvero, ma...” s'interruppe, addolcendo
involontariamente il tono, “è come un gioco per noi: lui
mi spinge a volare, io lo riporto a terra, è un perfetto
equilibrio e non voglio romperlo. Se il suo sogno è
intervallato dalla mia realtà il risveglio non sarà
traumatico.”
Ci fu un momento di silenzio tra i due jounin,
Yamato fissò intensamente quei capelli rosa, pensando a quanto
la kohai apparisse ragazzina fuori e a quanto fosse diventata donna
dentro. Naruto irruppe nell'aria gridando qualcosa mentre si gettava
all'inseguimento di Sai e a lui venne spontanea una domanda.
“E
se un giorno non volesse svegliarsi?”
Sakura si voltò
a guardarlo con rinnovata serenità.
“Gli romperò
la testa,” disse, ovvia, con un sorriso inquietante, “così
scopriremo finalmente cosa diamine c'è dentro,”
concluse, poggiando il pugno sulla mano come se fosse giunta ad una
piacevole conclusione. Come se stesse offrendo un incentivo.
Tenzo
rise, socchiudendo poi gli occhi ad un ricordo abbastanza
recente.
“Sai, in un certo momento sono stato molto sicuro
che tu fossi innamorata di lui,” e disse le ultime parole
ridendo per l'espressione dell'altra.
Sakura sospirò,
tornando a guardare in basso mentre il jounin si avvicinava,
affiancandola.
“Tutti s'innamorano di lui, in un modo o in
un altro,” disse, seguendo con lo sguardo il compagno di
squadra impegnato a sbraitare contro Sai. Sorrideva, con uno sguardo
materno che fece sorridere anche lui, di rimando. “L'amore,
quello tra due innamorati, consuma, spoglia, lascia basiti... il mio
amore per Naruto non ha tutta questa potenza. Purtroppo.”
Sakura
guardava giù, ai piedi della collinetta di terra e Tenzo poté
osservarle il viso, contratto in quella smorfia di dolore appena
accennata eppure così carica di significato; comunicava una
profondità strana che, per un momento, al Capitano sembrò
irraggiungibile.
Volse anche lui lo sguardo nella voragine.
“Ti
sei appena contraddetta: non esiste un solo tipo d'amore. Allora
perché dovrebbe esistere un solo modo d'amare?”
Sakura
rimase impressionata da quelle parole. Si voltò verso il suo
interlocutore senza sapere cosa dire.
Nella sua infanzia aveva
definito in fretta e furia quello che sentiva per quel bambino moro,
cupo e solitario, l'aveva voluto definire in fretta anche e
soprattutto per essere sicura di non aver buttato via l'amicizia con
Ino invano. Negli anni successivi aveva però presto scartato
questa insicurezza, ragionevole per quanto lei l'avesse disprezzata,
potendo confermare l'amore con quel suo continuo interesse per quello
stesso ragazzino. Nell'adolescenza non aveva fatto queste
riflessioni, lei lo sapeva bene, non avvertiva incertezze in quel
sentimento. Poi la vita l'aveva costretta a crescere e nel tempo
aveva semplicemente smesso di porsi quesiti a cui da sola non
riusciva a rispondere. Aveva smesso di avvertire un così forte
sentimento per qualcuno che non c'era e non c'era mai stato, per
qualcosa di lontano che non riusciva a raggiungere; aveva capito che
era solo la necessità di avere proprio ciò che non
poteva, a farla stare così male.
Allora l'ansia l'aveva
consumata per un lungo periodo, la notte, quando si trovava da sola
con i suoi pensieri e quell'amore insano voleva prendere nuovamente
piede attirandola con la promessa di un obiettivo. Sakura si era
trovata ad allontanare qualcosa che sentiva l'avrebbe costretta di
nuovo a pensare che il suo punto fermo fosse volere Sasuke, ad ogni
costo, piuttosto che proteggere Naruto, Kakashi e Yamato, Sai, Ino, i
suoi genitori e tutti gli altri, tutto il villaggio. Riconoscere che
quel rassicurante vortice era in realtà nero di dolore e
rifiutare ciò che per anni le aveva permesso di andare avanti,
nutrendosi esclusivamente di passato, non era stato affatto facile.
C'erano senbon conficcati nel suo cuore e ci conviveva male.
Tuttavia, lei non aveva intenzione di arrendersi, Naruto le aveva
insegnato bene, e ogni volta che piangeva silenziosamente nella sua
stanza, al buio delle stelle, immaginava quel suo cuore, stanco a
sedici anni, che si toglieva uno di quegli aghi affilati. Uno ad uno
sarebbero caduti tutti, prima o poi.
L'ansia non se ne era andata,
però. Era mutata in qualcosa che scavava fra tutte le
insicurezze lasciate da quella battaglia: Sakura si incupiva nel
realizzare con angoscia che quell'esperienza si sarebbe ripetuta,
convinta che l'amore sarebbe stato sempre così, per lei, in un
qualche modo. Non aveva mai pensato di poter amare con altro spirito.
Semplicemente non l'aveva mai guardata da quel punto di vista.
Quella
frase, quelle parole, erano acqua calda dopo una tempesta.
“Sakura...
?”
Si accorse di avere la bocca aperta e di essere rimasta a
fissare il Capitano, probabilmente con aria stralunata.
“Nh...
è un bel concetto! Anche se devo ammettere che mi ha confusa:
sembra uno scioglilingua!” sorrise, in imbarazzo, deviando
l'attenzione sulla ridondanza della frase.
“Tutto
bene?”
Tenzo l'aveva vista sbiancare, non a livelli
preoccupanti, ma era chiaro che qualcosa nelle sue parole l'avesse
turbata. Si avvicinò di un passo, per istinto, in un gesto di
rassicurazione e lei sorrise nuovamente.
“Ma certo, sono
solo un po' stanca, ho bisogno di un caffè,” disse,
inchinandosi brevemente prima di voltarsi e dirigersi verso uno dei
tanti capannoni nelle vicinanze.
Un rasengan esplose in quella che
già era una voragine e per fortuna il fragore coprì
gran parte del bercio di Naruto:
“Io non ho il pene
piccolooo!”
Sakura
frequentava spesso per brevi pause le zone relax sparse per
l'ospedale e la caffetteria se la godeva solo a pranzo quando aveva
più tempo.
Un giorno aveva incontrato là, Yamato,
seduto ad uno dei tavolini bianchi, quelli in fondo, più
nascosti, tanto che la prima volta si era chiesta se non volesse
rimanere da solo.
“Oh, no, mi nascondo da Genma: non perde
mai tempo per essere simpatico come una vasectomia...” e la sua
faccia era così buffa che Sakura era scoppiata a ridere.
Lui
ogni volta che sedeva a quel tavolo sembrava sempre più vicino
a quella tonalità spettrale e sempre troppo giù per
riuscire a dormire decentemente, così si faceva una capatina
in ospedale e - quando Genma finiva il turno, preferibilmente -
girava per i corridoi alla ricerca di Shizune affinché gli
desse un rimedio.
“Non deve essere bello essere stanchi
anche per dormire.”
Lui aveva annuito con un sospiro e lei
si era offerta di pensare a qualcosa che lo tirasse su, così
come aveva fatto con le pillole del soldato per Naruto.
Con le
poche settimane di preparativi davanti avrebbe avuto un sacco di cose
da fare, ma aveva promesso che sarebbe riuscita a dargli sollievo. La
ricostruzione del villaggio era in fondo stata messa in massima parte
sulle sue spalle, per quanto riguardava le strutture in legno.
Yamato
aveva sorriso.
Sakura amava quel sorriso. All'inizio si era
immaginata così anche il sorriso di Kakashi. Sembrava una cosa
da niente ma vedere finalmente il sorriso di qualcuno che ti guida
era stato come ricevere un abbraccio: caldo e rassicurante. L'aveva
subito catalogato come uno splendido sorriso e per i primi tempi era
così occupata a sovrapporlo al viso di Kakashi che non aveva
fatto caso alla sconvenienza dei suoi pensieri. Poi, dopo la
realizzazione, era stata colta da una sorta di ridarella acuta che
Ino aveva descritto schizofrenia da trauma infantile e il
trauma l'aveva chiamato Sasuke. In modo molto originale, tra
l'altro.
Quello che la divertiva era indubbiamente il pensiero di
aver trovato normale ammirare il sorriso di un uomo così
apertamente con se stessa, aver pensato con così tanta
naturalezza ad un uomo, un uomo a lei vicino, gentile, loquace e
privo di vendette nella lista di cose da fare prima di morire.
Eppure
c'era anche qualcos'altro, che però la divertiva e la
inquietava allo stesso tempo.
Una sera, quando Tenzo l'aveva fatta
ridere mettendo le mani in modo da proiettare sul muro la faccia di
Kakashi, blaterando di stupidi ritardi in falsetto, si era accorta di
come quel che aveva dentro non le ricordasse affatto quello provato
con Sasuke, ma allo stesso tempo era come se avesse la certezza che
si trattasse della stessa cosa.
Strano e inebriante.
Poi
c'erano le sue parole.
Era così abituata a sapere di amare
qualcuno senza avere un qualche riscontro, dall'altra parte, che
muoversi in un'infatuazione - così l'avrebbe definita se
costretta a farlo a voce alta - con una persona che interagiva, la
confondeva sempre di più, rendendole paradossalmente chiaro di
cosa si trattasse.
In quel momento, seduta a un tavolo della
saletta relax del primo piano dell'ospedale, Sakura si passò
una mano sulla fronte, in un gesto istintivo, cercando forse di
scacciare quei pensieri. Lo sguardo le cadde sulla sua tazza di caffè
e poco dopo ve ne apparve un'altra, sul tavolino.
“Passavo
di qua e ti ho vista con la testa tra le mani, tutto bene?”
Lei
sorrise per la sua premura e annuì.
“Stessi turni di
sempre e preparativi per una guerra necessitano di una quantità
di energie di cui non dispongo, pare,” ammise, prima di finire
il contenuto della tazza. “E non sono neanche l'ideale se si
vuole avere un bell'aspetto!” rise, con le mani che correvano a
sistemarsi un ciuffo caduto sugli occhi.
“Oh, non
preoccuparti, non hai niente che non vada,” sorrise lui, “anche
se scommetto Ino sia furiosa...”
Sakura si fermò un
momento e nel pensare a quella definizione rivide perfettamente la
scena d'isteria che quella mattina l'amica le aveva offerto. Senza
preavviso scoppiò a ridere dando conferma al Capitano, il
quale mise su un'espressione saputa.
Poi lei abbassò gli
occhi, improvvisamente seria.
“Mi sento in colpa quando
rido...”
Si vergognava di stare così bene in quei
pochi brevi istanti in cui le accadeva di dimenticarsi dell'imminente
guerra, tanto che aveva smesso di uscire la sera e lasciava Ino a
gridare per ore sul suo pianerottolo fino a quando non si
accontentava di rimanere a bere un tè in silenzio.
Le
sembrava irrispettoso, frivolo, le pareva di non avere rispetto nel
cercare lo svago e neanche quando lo riceveva, inaspettato, era
capace di goderselo.
Lui sorbì il caffè lasciandole
il tempo di frugare nei suoi pensieri in profondità così
da rendere le sue parole quel faro che sperava sarebbero state per
illuminare un nuovo punto di vista. Poi diede un colpetto di tosse e
quando la vide riscuotersi, catturò i suoi occhi.
“Credo
che sia un male smettere di vivere, che sia la più grande
mancanza di rispetto nei confronti della vita non godersi i momenti
sereni, così come non reagire a quelli pesanti,” osservò
per un attimo i suoi occhi verdi sgranarsi, “è solo la
mia opinione, ma puoi adottarla se ti piace, l'importante è
che tu per nessun motivo al mondo smetta di ridere, di piangere, di
vivere, Sakura.”
Il suo sorriso amaro incontrò la
tazza da caffè, giacché aveva chinato la testa, poi un
flebile grazie arrivò alle sue orecchie.
Sapere
che c'è sempre qualcuno, accanto a te, è rassicurante.
Sakura aveva avuto modo di sentire sia il calore della presenza di
Naruto che il gelo della distanza di Sasuke e credeva che pochi alla
sua età avessero già realizzato quanta differenza
poteva fare quel gelo. Erano dosi equiparate eppure il gelo era
capace di spegnere il calore come acqua su un fievole falò.
Per quanto lei si fosse sempre sforzata di cercare il calore, appena
i suoi pensieri erano la sua unica compagnia non era stata capace di
avvertirne neanche una scintilla. Sasuke le mancava, lo voleva con
sé, al sicuro, principalmente perché voleva salvarlo,
ma anche per non sentire più quel tremendo e spietato
freddo.
Questa e altre elucubrazioni la spinsero a passare più
tempo in laboratorio e con il naso nei libri polverosi che parlavano
di erbe usate raramente, modificò quello che avrebbe dato al
jounin, spacciandolo per il tonico promesso. Lui lo avrebbe
ingurgitato giornalmente e lei avrebbe stretto i denti fino alla
partenza.
Non si sentì in colpa subito. Mentre lo creava
aveva bene in testa il suo obbiettivo e nessuno avrebbe potuto
cambiare una virgola alla sua logica. Poi, davanti alla macchinetta
del caffè del terzo piano, lui si rigirò la pillola tra
le dita, scoprendola trasparente, le sorrise e poi la ingoiò.
Sakura
si sentì male al pensiero di quel sorriso così
fiducioso. Sentì di averlo tradito. La sera stessa avrebbe
voluto dirgli di non prenderne più, ma ogni volta che ci
provava qualcosa dentro di lei urlava forte e le faceva sempre la
stessa domanda: vuoi vedere ancora quel sorriso?
Che sciocca,
pensava lei, eppure quella vocina la frenava sempre giusto in tempo.
Lui le chiedeva se fosse tutto a posto e lei annuiva. Lui si fidava e
sorrideva e lei lo stava tradendo, ma un giorno forse l'avrebbe
ringraziata o almeno capita; perché si chiedeva spesso se
l'avrebbe mai capita. Sakura pensando in modo razionale non riusciva
a scusare il suo gesto, si condannava e capiva di aver sbagliato, poi
però arrivavano tutte quelle motivazioni, tutta quella paura e
il suo comportamento assumeva sfumature diverse, comprensibili.
Tuttavia non era tanto ingenua da credere che quello potesse essere
anche il punto di vista di qualcun altro.
Non riusciva a smettere
di pensare che, sì, voleva rivedere quel sorriso tutti i
giorni e avrebbe sempre preferito essere odiata da lui al ritorno,
piuttosto che piangerlo.
Aprendo la piccola porta che permetteva
di accedere al tetto dell'ospedale, lei non credeva che avrebbe
potuto incontrare qualcuno, tanto meno lui. Il Capitano trasformò
l'aria stupita e ritirò la mano che aveva proteso verso la
porta per aprirla, sorrise e la salutò.
“Te ne stavi
andando?”
“Sì, ma...”
Le indicò
la balaustra come per invitarla a trascorrere lì del tempo con
lui e si diresse in quella direzione per primo.
Non disse
nient'altro se non alla fine, prima che Sakura finisse la pausa.
Rimasero in silenzio a lungo, lui rispettando il suo e lei troppo
stordita dai pensieri per riuscire a comunicare qualcosa a voce.
“Me
lo dirai, prima o poi?” disse alla fine.
“Cosa?”
Lei
scattò come risvegliata da un'illusione, quasi
spaventata.
“Cosa ti turba così, me lo dirai?”
Annuì,
sul momento, ma non era sicura che sarebbe riuscita a dirglielo prima
che lui lo scoprisse da solo.
Il
sangue puzzava da morire, le pareva che l'odore fosse addirittura più
forte del solito mentre si toglieva il camice per metterlo nel giusto
contenitore. Lasciò il corridoio di chirurgia in fretta e con
la testa leggera si fermò davanti alla macchinetta del
caffè.
Faceva proprio schifo andare in ricognizione prima
di una guerra e morire ancora prima di poter difendere il proprio
villaggio dalla minaccia. Non c'era nessun rispetto da parte del
nemico, per nessuna situazione. Minacciava già le loro vite e
le vite di tutti gli abitanti dei villaggi, ma questo non bastava, si
appostava nei d'intorni e attendeva di trovare un ninja in
ricognizione, una donna a raccogliere erbe, una bambina a cercare i
fiori per la partenza del padre. Sentiva l'indignazione, la rabbia,
l'impotenza e altre emozioni forti, orribili, agitarsi dentro di lei,
solo che agitandosi tutte insieme facevano male e il dolore la
paralizzava.
“Sakura!”
Naruto le si fermò ad
un palmo dal viso e, quando lei si voltò, Yamato aveva appena
svoltato l'angolo per riacciuffarlo.
“Forza, Naruto, vai a
farti fare quei benedetti prelievi!”
Kakashi poco più
indietro ricambiò lo sguardo perplesso del Capitano e si portò
via il jinchuuriki urlante.
“Lo so che te lo chiedo spesso,
ultimamente, ma stai bene?”
“No.”
Sakura
chiuse la bocca; era così assorta che non si era accorta di
avere le labbra dischiuse come un'ebete e, pur rimanendo a fissare la
macchinetta del caffè, la richiuse.
Tenzo si frugò
in una tasca interna del giubbotto e ne estrasse qualche monetina.
Quando le ebbe inserite nella macchinetta, si rivolse nuovamente alla
kohai.
“Ti piace davvero il caffè, mh?”
“Mi
aiuta a pensare.”
Lui prese il caffè dalla piccola
apertura in basso e glielo mise tra le mani, poi fece una leggera
pressione su una spalla affinché lei indietreggiasse fino alle
sedie, addossate alla parete.
“Sakura, cos'è
successo?” chiese, una volta seduto.
Lei si voltò a
guardarlo, per la prima volta in quell'occasione.
“Ho fatto
una cosa che non dovevo fare, ma più vado avanti e più
sono convinta di aver fatto la cosa giusta.”
Lui aprì
bocca, le labbra si mossero ma non seppe cosa dire, aggrottò
la fronte nel tentativo di comprendere e, credeva che lei avrebbe
parlato ancora, invece si alzò e si diresse a passo svelto in
un altro reparto.
La
porta del suo ufficio venne spalancata con abbastanza forza da farla
sbattere sul muro.
“Tieni,” Yamato le posò un
bicchierino di caffè sulla scrivania e lei si massaggiò
le tempie, “adesso pensa in fretta e spiegami bene che cos'è
questo!”
Ino guardò il gesto vago della mano di
Sakura nella sua direzione e uscì dall'ufficio chiudendosi la
porta dietro.
“Lo so, ho sbagliato. Puoi odiarmi se vuoi, da
vivi si possono fare un sacco di cose.”
“Sakura.”
Lei
sospirò forte e si rilassò sullo
schienale.
“Cosa?”
“Hai falsificato il mio
test per non farmi partire?”
La kunoichi spostò in
fretta gli occhi dai suoi, si morse un labbro e dondolò in
avanti, prima di posarli nuovamente sul suo viso.
“Sì.”
Lui
non se l'era aspettato e rimase interdetto da quella resa.
“Cosa...?
Perché?” gli venne spontaneo chiedere, con le braccia
allargate e lo sconforto disegnato in volto.
Lei non rispose e
abbassò lo sguardo sul suo grembo.
Sakura aveva passato le
ultime settimane a convincersi che quello che provava non era quel
qualcosa di più che tanto odiava dover riconoscere. Era
diverso da come lo ricordava e questo l'aveva fatta piangere di
felicità. Preferiva guardarlo da lontano per sempre che
vederlo andar via con il suo cuore. Non poteva succedere un'altra
volta. Non un'altra volta.
Tenzo aggrottò la fronte. Le
braccia tornarono rapidamente lungo il corpo e nella sua mente
miriadi di pensieri e ricordi si accavallarono.
“Quindi
anche Kakashi e Naruto...”
“Naruto verrà
protetto da tutti noi e Kakashi è stato nominato comandante di
un'unità, perciò non avrebbe avuto senso farlo per
loro.”
“Che assurdità...”
La ragazza
si stropicciò gli occhi e buttò la testa indietro,
congiungendo le mani per placare quel molesto tremolio.
“Non
importa, così ho deciso.”
Si alzò e le
rotelline della sedia cigolarono più indietro, in quel rapido
scambio di battute quasi rabbiose, aggirò la scrivania fino ad
arrivargli davanti.
Lui automaticamente si voltò, seguendo
il suo movimento.
“Cosa? Io prendo decisioni da solo da
quando ho otto anni, Sakura.”
“Dovresti ringraziarmi,
c'è chi prega affinché le proprie analisi gli
permettano di rimanere con la propria famiglia.”
“Konoha
è la mia famiglia, dovresti saperlo che questo” sventolò
il certificato d'idoneità con diverse scritte e segni rossi
sopra, “è un castigo per uno shinobi!”
“Il
mio senso di colpa si affievolirà quando tornerò e ti
troverò vivo!”
Aveva urlato, forte, tanto che il
silenzio appena conquistato le sembrò assordante. Infastidita
da quegli occhi profondi, distolse lo sguardo.
“Che cosa mi
hai dato?” cercò di prenderla per il verso giusto con un
tono basso, affinché ragionasse.
Quando aveva letto quel
foglio era stato preso da un vago malessere, una certa malinconia.
Nel cercare la causa di tutti quei segni rossi fra i risultati, si
era ricordato di ciò che Sakura gli aveva fornito e non aveva
potuto evitarsi di catalogarla come l'unica anomalia, l'unica cosa
che avesse potuto fare la differenza tra i suoi esami di routine e
quelli che stringeva in mano. Era stato furioso in un primo momento,
era infatti rimasto a casa a girare per il salotto, poi si era deciso
ad intraprendere un discorso lungo e calmo su ciò che aveva
fatto e infine la camminata dal suo appartamento all'ospedale gli
aveva permesso di alterarsi di nuovo.
“Era davvero un
tonico. L'ho solo modificato. Non hai niente che non vada, solo che
non è certificabile per il momento: si tratta di una pianta,
abbastanza rara, il cui estratto sballa i valori per una finestra di
tempo larga quanto la dose assunta.”
Lui sospirò di
stanchezza e si appoggiò alla scrivania con il sedere, vi
poggiò anche le mani e il foglio penzolò a testa
all'ingiù.
“Perché l'hai fatto?”
“Perché
di gelo ne ho abbastanza, ho bisogno che il calore mi rimanga
vicino.”
Il silenzio nuovamente li invase, sbattendo
prepotente sui timpani.
Non era intenzionata a dichiararsi, ma
nemmeno voleva mentire e la sua emotività le impediva di
pianificare una discussione come quella.
Lui la osservò a
lungo senza fare una piega e lei sentì male allo stomaco
quando capì che la sua ammissione non gli aveva provocato il
benché minimo sussulto. Si voltò verso la finestra e si
appoggiò con una mano al davanzale mentre l'altra si premeva
sullo stomaco dolente. Puntò gli occhi umidi al cielo sperando
che le lacrime si fermassero lì, che la ascoltassero, per una
volta.
“Mi dispiace...” sussurrò.
“Ti
dispiace?” la interruppe.
“Sì, certo che mi
dispiace, il mio è egoismo!” quasi gridò
voltandosi nuovamente e trovando quegli occhi neri brillanti a causa
della luce che entrava dalla finestra. Spostò lo sguardo sul
pavimento al centro della stanza. “Non sono riuscita ad essere
egoista quella volta, lo farò adesso!” spiegò,
con calma meccanica, prima di uscire dall'ufficio e chiudersi piano
la porta alle spalle.
Tsunade
sospirò.
C'era stato un tempo in cui dedicarsi solo a
Shizune le aveva permesso di vivere una vita distaccata dal
villaggio, come se occuparsi di allenarla fosse una distrazione dalla
morte delle persone care, come se il suo viaggio fosse cominciato per
lei. Non si era mai vergognata di essersi lasciata andare a quel
torpore, aveva fatto di tutto per sopravvivere, semplicemente, e lo
aveva fatto nel modo che le era parso migliore in quel
momento.
Diventare Hokage aveva tutta un'altra connotazione, ne
era stata cosciente fin dalla prima volta in cui aveva appreso cosa
ci facesse Jiraiya sul suo cammino, ma non aveva mai pensato che
fosse stato un male: aveva certamente bisogno di tornare a prendersi
cura degli altri; quello era il suo nindo, dopotutto.
Tornare,
nonostante ciò, non era stato facile. No, passare da due a un
villaggio più un jinchuuriki con gli occhi limpidi del
fratello, non era stata affatto una passeggiata. C'erano stati
momenti in cui, presa dal panico, rimpiangeva il suo vagabondare e
altri in cui si rendeva consapevole del vero motivo per cui se ne era
andata. Tuttavia quando arrivò il momento di accogliere
un'altra Shizune, non si scoprì affatto arrugginita e, anzi,
la naturalezza degli eventi la faceva sorridere per la stupida che
era stata e le paranoie ridicole che si era fatta in merito.
Sakura
le si era affezionata in particolar modo e lei si era affezionata a
quella ragazzina così fragile e così forte insieme.
Come un'incosciente, una fragile incosciente, continuava a cadere,
quella ragazzina, e con forza si ostinava a rialzarsi. Era stato un
allenamento per entrambe, in un qualche modo.
C'erano stati anche
momenti imbarazzanti più o meno associati all'alcool e questo
le aveva legate anche con quel qualcosa che lega le amiche. Tsunade
conosceva bene Sakura e capiva i meccanismi di quel colpo di
testa.
Riaprì gli occhi e li fissò in quelli del
Capitano.
“Se è arrivata fino a questo devi
avergliene dato motivo.”
Tenzo si sarebbe aspettato di
tutto, ma quell'affermazione, che sotto intendeva una domanda
piuttosto intima, lo fece sobbalzare leggermente. Kakashi, lì
accanto, rimase in silenzio, ma lui si sentiva l'occhio nero bruciare
sul profilo. Annuì. Pur consapevole che non fossero affari
loro, sapeva che in quella stanza c'erano solo persone che volevano
bene a Sakura e l'interesse non era certamente per fare del
gossip.
“Tuttavia questo non la giustifica. Sakura sarà
sospesa, quando potrò permettermi di farlo.”
“Non
sono qui per una sua eventuale punizione, voglio...”
“Sì.
So cosa vuoi. Sei stato assegnato alla squadra che accompagnerà
Naruto, perciò non ci sarà bisogno di esami d'idoneità,
basteranno gli ultimi di routine.”
Lui annuì e si
voltò, deciso ad andarsene, ma la voce del capo villaggio lo
richiamò.
“Yamato, qualunque cosa deciderà di
fare, sia deciso. E chiaro.”
Sapevano tutti e tre che non si
stava riferendo alla missione con un Jinchuuriki tardo, questa volta,
e Tenzo annuì con meno convinzione, lentamente, mentre Tsunade
già interpellava Kakashi su altre questioni. Poi uscì
dall'ufficio deciso a parlare con Sakura.
Mentre
la aspettava all'uscita dell'ospedale, dopo essersi informato da
Shizune sull'orario del suo turno, Tenzo aveva preparato una specie
di scaletta per un discorso che prevedeva, tra altre cose, il farla
ragionare sulla sua azione e il farle comprendere il perché
fosse stato necessario per lui rivolgersi all'Hokage. Molti di questi
punti però si erano lacerati velocemente, nella sua testa,
fino a perdere significato, quando gli occhi verdi della kunoichi
avevano incontrato i suoi e si erano spalancati, sorpresi.
Di
certo non si aspettava che lei cambiasse direzione bruscamente,
decisa a fare un'altra strada piuttosto che affrontarlo.
“Non
scappare.”
Capì di aver iniziato nel peggiore dei
modi quando lei gli rivolse uno sguardo tale da gelarlo sul
posto.
“Io non scappo, non gioco con i sentimenti degli
altri. Poi,” respirò affannosamente e strinse i pugni
sui libri che aveva in mano, “mi lascio salvare la vita quando
succede, senza renderli ridicoli agli occhi dei loro maestri.”
Si
voltò e prese a camminare a grandi falcate nervose.
“Lo
sai che hai sbagliato.”
Lei rallentò e lui le andò
dietro, in silenzio.
Sakura sapeva di aver sbagliato e sapeva
anche di meritarsi che Kakashi e Tsunade conoscessero i fatti, ma
soprattutto sapeva, anche se cercava di negarlo, che lei avrebbe
fatto lo stesso per riuscire ad essere ammessa. Per quanto avrebbe
voluto, perché ne aveva bisogno ora che sembrava tutto quello
fosse davvero simile a ciò che aveva provato per Sas'ke, non
riuscì a dargli colpe. Aveva visto quel che voleva
disperatamente vedere, in quel sorriso. Aveva bisogno di un sorriso
tutto per sé, forse anche per via di quello di Naruto ormai
rivolto verso Hinata, ma soprattutto un sorriso da ricambiare, amico
e amante.
Si fermò e poi si voltò,
titubante.
“Sakura, non ho mai giocato con i tuoi
sentimenti.”
Il suo tono la innervosì.
“Ma
fammi il favore, lo sapevi che cosa stava accadendo, avresti dovuto
fermarmi invece di farmi credere che...” strinse le labbra in
una linea dritta.
“Certo che lo sapevo e non ti ho fermato
perché andava bene così. Va bene così.”
Quelle
parole la bloccarono, già a bocca aperta, impegnata
nell'azione di ribattere che si era approfittato della sua
ingenuità.
Il giorno prima, in quell'ufficio, c'era
l'indifferenza di chi non è colpito da certe parole e da certi
sentimenti, c'era una stanza vuota, fredda, come quella panchina;
un'altra dichiarazione, seppur velata, che tintinna sul pavimento,
lontana da lei. E da lui.
“No, tu non... No. Le mie parole
erano chiare e non hai fatto una piega.”
Confusa, pensava a
come potesse aver frainteso l'impassibilità con cui le sue
parole si erano scontrate.
“Pensi che non mi accorga quando
provo qualcosa per una donna? O se vengo ricambiato? Sapevo cosa
stava accadendo, ci ho fatto i conti settimane fa!”
Lei
spalancò occhi e bocca e non si scansò quando un dito
del Capitano scivolò sulla sua guancia, senza fare
pressione.
Lui si era calmato improvvisamente vedendola
realizzare. L'Hokage aveva ragione a dirgli di essere esplicito
perché Sakura non era certo una bambina, ma non aveva
esperienze che l'aiutassero in quelle circostanze; conosceva solo il
calore dell'amicizia di Naruto e il gelo del rifiuto di Sasuke.
In
quel momento anche quelle parole assunsero un significato più
solido, pregno.
“Mi sono accorto che non avevi capito solo
ieri, nel tuo ufficio, ma ero troppo arrabbiato... Ero davvero
arrabbiato, Sakura, e non volevo affrontare quell'argomento con tutta
quella rabbia.”
Si passò una mano tra i capelli e
indugiò un attimo lì, mentre lei abbassava la
testa.
“Mi dispiace...” disse la kunoichi.
“Hai
sbagliato a farlo, ma capisco il perché di quel gesto.”
Sakura
alzò gli occhi su di lui, mentre riprendeva a
parlare.
“Dispiace a me per non essere stato più
diretto e per... aver alzato la voce, ieri,” si fermò,
spostando il peso da una gamba all'altra e distolse brevemente lo
sguardo puntandolo oltre la testa della kunoichi, “è
stato il pensiero che mi avessi paragonato a un
ragazzino che non sapeva cos'aveva tra le mani a infastidirmi ancora
di più!” e sbuffò, falsamente
imbronciato.
Sakura si dimenticò di ridere per il veloce
cambio di atmosfera, ma sentì il formicolio nello stomaco e le
labbra si piegarono lo stesso all'insù.
“Ti prometto
che ce la metterò tutta per non farmi ammazzare, Sakura!”
disse, ad un tratto, piegandosi in avanti, “mi credi?”
Lei
annuì, stringendosi i libri al petto mentre si mordeva le
labbra per non cedere a tutte quelle emozioni.
“Sai che
ancora non abbiamo preso un caffè decente, lontano
dall'ospedale?”
Annuì ancora e uno sbuffo divertito
le scappò dallo sterno ancora gonfio d'ansia.
“Allora
che ne dici, andiamo?” e le offrì il braccio.
Lei ci
appoggiò la mano e cominciò a camminargli a fianco,
mentre lui continuava a parlare.
“Ero nell'ufficio
dell'Hokage e Kakashi mi stava guardando malissimo, si sente come un
padre, sai? E quindi è come se attentassi alla sua bambina,
devi capirlo...”
Ciarlava e gesticolava e i suoi occhi neri
le sembrarono così brillanti che riuscì a distogliere
lo sguardo solo perché lui si voltò a guardarla. Sakura
udì il suono del suo sorriso mentre il viso le si accaldava,
ma lo avvertì scottare solo quando lui le baciò una
guancia.
“... Ed è stato allora che mi son ricordato
che non gliene avevo fatto cenno, un po' non sono affari suoi e un
po' credevo l'avesse intuito, ma comincio a pensare che lo sapessi
solo io!”
* * *
Gai
rise, seduto in cima a quel palazzo, Genma e Raido allungarono il
collo, poiché dalla loro posizione le fronde degli alberi non
gli permettevano di vedere bene. Raido si sporgeva poco perché
la guerra gli aveva lasciato un fianco dolorante.
Kakashi era
caduto in un dialogo ancora più laconico del solito e loro si
erano decisi a spostare l'attenzione nella direzione in cui lui
guardava, trovandosi Tenzo e Sakura seduti su una panchina.
“Ah!”
disse Genma, avvicinandosi all'orecchio del ninjacopia con la scusa
di poter sbirciare di più, in quella posizione, “Guarda
Tenzo come si diverte!”
Kakashi spostò l'occhio serio
su di lui e Genma smise di ridere.
“Dai, non essere
ridicolo, Kakashi,” lo riprese Raido.
Lui sospirò.
“Lo
so... È che crescono così in fretta.”
“Ma
sentite che frase da genitore!” urlò Gai, mentre gli
assestava una poderosa pacca sulla schiena.
“Poi, ecco,
Sakura è stata sospesa,” continuò Raido,
suscitando così l'ilarità di Genma che aveva capito
dove stesse andando a parare, “qualcosa dovrà pur fare,
per non annoiarsi!”
“Ma vaffanculo...” sputò
Kakashi, prima di sussultare.
In quel momento Sakura aveva tirato
su i piedi e poggiato le gambe sulle ginocchia di Tenzo, lui si era
sporto per baciarla.
“Oh, e quella mano?”
Genma si
sporse per indicare la mano del jounin sulla coscia della
ragazza.
“Ma guarda quello!” scoppiò
Hatake.
“Corri Kakashi, vagli a dire che si prendano una
stanza!” ridacchiò Raido, prima che la sua risata
venisse seppellita dalla voce di Genma.
“E tutte quelle
effusioni, che scandalo... Ah, tu non lo faresti mai!”
Kakashi
sbuffò e poi sorrise, suo malgrado, scuotendo la testa.
“Spero
che cachiate shuriken.”
Owari
Non
so quanto possa essere grave l'azione di Sakura nel Narutoverso,
riesco però a farla semplice in questa situazione perché
circoscritta a quelle tre persone e diciamo che Tsunade proprio
perché non lo sa nessun altro fa un po' la mafiosa,
archiviandola e un po' giustificandola perché conosce la sua
allieva.
In ogni caso ringrazio Aya88 per avermela betata. Chu!
Questa te la dedico volentieri, tata! ^^
“Le
donne diventano molto premurose con l'uomo che amano,” disse
Sai.
“Sta' zitto!” gracchiò Sakura.
Queste
due battute fanno parte di un film, il quinto film shippuden. L'ho
prese pari pari.
I personaggi e i luoghi non mi appartengono e non c'è lucro.