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Autore: WaitForIt    01/10/2012    2 recensioni
Portavi sempre quelle cuffie, come a volerti allontanare dal mondo. Erano grandi e gialle come il sole e creavano uno strano effetto abbinate ai tuoi capelli color cenere.
Camminavi danzando involontariamente e nascondevi il tuo viso con un cappuccio abbassato, ma i tuoi grandi occhi color mogano si vedevano anche così, perché brillavano luminosi come fari.
Ti piaceva cantare, anche se non eri perfettamente intonato, e quindi avevi messo il testo ad ogni canzone presente nel tuo iPod. Il tuo iPod ti somigliava: era un modello vecchiotto, il touch screen era attraversato da un profondo solco che creava strani bagliori sullo schermo, dietro, inoltre, era ricoperto di graffi, uno per ogni volta che ti era sfuggito di mano per incontrare il pavimento.
Genere: Angst, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'And I know the mistakes that I've made'
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You didn't have the will to fight
(guess you needed more time to heal)


Portavi sempre quelle cuffie, come a volerti allontanare dal mondo. Erano grandi e gialle come il sole e creavano uno strano effetto abbinate ai tuoi capelli color cenere.

Camminavi danzando involontariamente e nascondevi il tuo viso con un cappuccio abbassato, ma i tuoi grandi occhi color mogano si vedevano anche così, perché brillavano luminosi come fari.

Ti piaceva cantare, anche se non eri perfettamente intonato, e quindi avevi messo il testo ad ogni canzone presente nel tuo iPod. Il tuo iPod ti somigliava: era un modello vecchiotto, il touch screen era attraversato da un profondo solco che creava strani bagliori sullo schermo, dietro, inoltre, era ricoperto di graffi, uno per ogni volta che ti era sfuggito di mano per incontrare il pavimento.

Il giorno in cui ti incontrai per la prima volta avevi gli occhi chiusi e la bocca che mormorava parole senza senso, solo in seguito scoprii che stavi cantando la tua canzone preferita, ti muovevi nel parco deserto come se lo conoscessi meglio delle tue tasche e ti stavi dirigendo esattamente verso di me o forse sarebbe più corretto dire verso la panchina.

Quando ormai il tuo ginocchio era all'altezza del mio stomaco mi schiarii la voce e tu spalancasti gli occhi: mi colpirono così tanto che ancora oggi ricordo ogni loro piccola sfumatura e come fossero lucidi a causa delle lacrime che si trattenevano dallo scendere ad accarezzare le tue guance bianche come un foglio di carta immacolato. Balbettasti delle scuse e cercasti di allontanarti: non disprezzavi la compagnia, ma la solitudine… la solitudine era carina. Io ti dissi che c'era posto per entrambi su quella panchina e ti feci spazio, spostando la borsa e sistemandomi gli occhiali sul naso. Eri davvero bello all'epoca, avevi diciassette anni ed io ne avevo quindici, ma la vita non ti sorrideva e la tua bellezza non era altro che una candela consumata dal tempo, pronta a spegnersi al primo soffio di un vento leggermente più forte.

Dopo i primi attimi di incertezza ti lasciasti andare e chiudesti gli occhi, impedendomi di scorgere il paradiso che vi era racchiuso. Tornai al mio libro, ma ormai non riuscivo a leggere una sola riga senza cercare te con la coda nell'occhio.

Mi hai colpito subito e da allora non hai mai più abbandonato la mia testa.

Non ero mai stata una persona particolarmente espansiva, ma riuscii comunque ad intrattenere una sottospecie di conversazione con te e ad ottenere il modo di vederti di nuovo.

 

Ci incontrammo tante volte, prima perché insistevo io, poi perché professavi di aver trovato in me una valida confidente. 

Un anno dopo eri ancora lo stesso: capelli color carbone, occhi color mogano, cuffie gialle come il sole e il cappuccio abbassato sulla testa, ma sorridevi mentre mi porgevi il regalo più prezioso che potessi farmi. Mi raccontasti un segreto, senza che io cadessi una sola volta nella tentazione di ridere o, come tu temevi, di andare via. Era davvero facile volerti bene, forse ti amavo. Tuttavia emisi un lieve gemito, che sancì la distruzione dei miei castelli costruiti in precedenza su nuvole troppo soffici e surreali. Crollò tutto, ma non lasciai che te ne accorgessi.

 

Un giorno però qualcosa cambiò: il tuo segreto, da un mormorio sussurrato al mio orecchio in quel tiepido giorno di Settembre, si trasformò in una catastrofe. Avevi trovato il coraggio e lo avevi urlato ai tuoi genitori ottusi. 

Dormisti da me per quattordici giorni e poi provasti a tornare per essere riammesso in famiglia. Eri così fragile.

Quando l'iPod cadde, quella volta, un graffio non fu l'unica conseguenza.

Non potei fare nulla e tu gettasti la tua vita al vento come una mano si lascia sfuggire l'acqua tra le dita.

Non piansi nemmeno una volta, passando ingiustamente per una menefreghista ed un'insensibile, piuttosto ti sognai ogni notte: mi mormoravi consigli e rassicurazioni e mi lasciavi svegliare con la tua solita frase "ridi di più, mangia cioccolato."

 

Ti sogno ancora, quando prima di dormire mio marito mi stringe tra le braccia e mi accarezza il collo con il suo caldo respiro. Sono passati più di venti anni, ma continuo a vedere il colore dei tuoi occhi brillare in quello degli altri.

I tempi non sono maturati molto: mentre i fiori sulla tua tomba appassivano l'uno dopo l'altro, c'erano stati altri centinaia di suicidi per questo o quello.

Non ti ho mai perdonato pienamente, perché avevi una scelta ed io sono certa che tu abbia preso la strada sbagliata.

Avresti potuto vivere, provare a ricostruire un rapporto con la tua famiglia ed a farti una vita, eppure il tuo gesto fu la prova, il segno, che diede una svolta alla mia vita.

Quando l'iPod cade per l'ennesima volta, non si può più aggiustare.




Angolo della vergogna:
Beh, non ho molto da aggiungere, credo che questa sia la cosa più strana che io abbia mai scritto. 
Il sucidio 
 (soprattutto per cose tanto normali quanto l'essere gay) è un tema che mi sta molto a cuore, ed anche se ho scritto questa OS un bel po' di tempo fa credo che oggi sia il giorno perfetto per pubblicarla.
Spero che vi sia piaciuta.

P.S.: #keepfighting

  
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