Stray dog
Considering the same old youHead on fast, but it came on easy
Now I won't be gone for long, at least I'm going home.
Il fumo nel locale mi fece bruciare gli occhi, ma
la musica era il mio genere e i miei amici ridevano in un tavolo all’angolo del
locale, sollevando in aria grossi boccali di birra.
Sorrisi e li raggiunsi, tirandomi via il cappello.
“Ehi, bro!” chiamai poggiando la mano sulla
spalla di Tom e spingendolo un po’.
“Oh, Rob! Finalmente, come è andata?”
Spostai la sedia accanto a lui e mi sedetti
sfilandogli di mano la birra “L’ho conosciuta, è … è … una bellezza che ti
toglie il fiato”.
Lo vidi roteare platealmente gli occhi e sbuffare
piano “Intendevo il provino! Rob, ti serve un lavoro, non una nuova cotta
improponibile come quella per Katharine Hepburn”.
Scossi il capo, mandando giù un grosso sorso di
birra “No, non capisci. Lei è reale, era lì, davanti a me, e mi ha baciato”.
Tom si affogò ed iniziò a tossire, lo aiutai,
mentre ridevo, picchiettando con la mano sulla sua schiena.
“Ti ha … ouch
… ti ha che? Ti ha baciato?”
“Si, per provare la parte”.
“Ma vaffanculo! Non ti ha baciato allora, mi hai fatto prendere un colpo.”
“No, non mi ha baciato” ammisi con un finto
sconforto, “però c’è stato qualcosa, qualcosa di più … non è stato un semplice
provino, non è stata una semplice scena. Io ero lì … davanti a lei … recitavo e
mi rispondeva. Sentivo le sue reazioni, le sue sensazioni, sentivo che era lì,
proprio davanti a me”.
“Rob, amico, la marijuana non ti ha mai fatto un
bell’effetto! Chi te l’ha offerta?”
“Non ho fumato quella roba, non lo faccio mai!”
“Lo so, per questo mi preoccupo. Ero io quello
che ti teneva la testa mentre vomitavi le uniche due volte che l’hai fatto,
durante le tue ribellioni adolescenziali”.
“Che palle! Per quanto ancora dovrai ricordarmi
quell’episodio?”
“Due, sono stati due episodi”.
“Due, vabbè, quello che è! Due volte in
ventun’anni sono comunque poche”.
“E quindi hai deciso di rifarti del tempo
perso,oggi?”
“Sono serio, Tom. E’ successa qualcosa in quella
stanza, qualcosa di indefinibile, che non ti so spiegare. Ma io l’ho sentita,
te lo giuro”.
Accesi una sigaretta e ripresi a parlare, ancora
troppo emozionato per riuscire a stare zitto “Avresti dovuto vederla, è molto
meglio, molto molto meglio, di come la immaginavo. È un’attrice fantastica,
perfetta. Sapevo già quanto fosse brava, cazzo se lo sapevo, ma vederla lì
davanti a me, avere l’onore di provare una scena insieme …”
“Calmati, Rob, sembri un bambino che ha appena scoperto la masturbazione”.
“Veramente … non puoi capire. Non puoi, finché
non la vedi. Quando ti fissa, con quegli occhi verdi, ti sembra di annegarle
dentro, ti sembra di perderti … è così … così … e poi è timida, molto timida.
Si passa sempre le mani tra i capelli, ed è perfetta”.
“Ed anche minorenne”.
Mi lasciai andare con la schiena contro la sedia
“Si, anche minorenne” ammisi consapevole che quello era un vero problema.
“Comunque, a parte questo, come è andato il
provino?”
Deglutii a vuoto, spaventato da quelle parole e da qualunque speranza “Potrebbe
essere andato bene”.
Tom si aprì in un enorme onesto sorriso “Sarebbe
una bella cosa”.
“Certo che lo sarebbe”.
“Ma?”
“Ma cosa?”
“Sembrava che stessi dicendo un ma”.
Accennai un sorriso, riprendendo la birra fresca
tra le mani “Si, hai ragione. Sarebbe una bella cosa, ma non voglio farmi
illusioni. Non avrebbero comunque alcun motivo per scegliere me”.
“Perché cazzo devi essere sempre così negativo?”
“Perché è la verità, Tom. Avresti dovuto leggere
quel copione, ci sono troppe cose che non vanno in me, non sono la persona
giusta per questa parte”.
“Rob …”
“Lascia stare, non mi va di parlarne ancora”.
“Ok, bene. Allora non ne parleremo”.
“Posso portarvi qualcos’altro?” chiese una
graziosa cameriera minuta e sorridente.
“Ancora birra, grazie” mormorai timidamente
mentre lei si portava dietro l’orecchio una corta ciocca bionda.
“Te la porto subito” mi fece l’occhiolino e non
potei evitare di arrossire e osservarla per bene, una volta giratasi. Era
bassa, ma aveva tutte le forme al posto giusto, soprattutto dietro.
“Niente male, eh?” Tom mi diede un leggero colpo
con il gomito.
“Molto carina” ammisi continuando a guardarla.
“Ah! Quasi dimenticavo! A proposito di ragazze
molto carine, oggi ho incontrato Nina”.
Deglutii vistosamente e mi irrigidii “Tom!”
“Rob! Che vuoi! È vero, l’ho incontrata e te lo
sto dicendo”.
“Non mi interessa”.
“Non si direbbe”.
“Tom!”
“La smetti di ripetere il mio nome? Che c’è ti
sei incantato?”
“Tom! Non ne voglio parlare”.
“Di questo invece ne parliamo. Non puoi evitare
sempre il discorso”.
“Posso eccome!” mi alzai di scatto ed uscii dal
locale. L’aria tiepida di una notte losangelina mi riscaldò il viso, insieme
alla fiammella dell’accendino. Una boccata di nicotina, una seconda e poi una
terza, tutte di seguito, non furono sufficienti a farmi rilassare. Di sicuro la
mezza pastiglia di valium che avevo preso quel pomeriggio per affrontare il
provino aveva ormai terminato i suoi effetti. Oppure quello che Tom aveva
toccato era un argomento che nessuna medicina poteva cancellare.
“Bro, dai, non giochiamo a nascondino”Tom mi
raggiunse e accese un’altra sigaretta.
“Cazzo! Ti ho detto che non ne voglio parlare.
Preferisci restare qui, resta qui. Ma non rompermi i coglioni parlando di … di
…”
“Lo vedi? Non riesci neanche a dire il suo nome.
Non è vero che non ti interessa”.
Mi strinsi nelle spalle “No. Non mi deve
interessare, è diverso il discorso. Non voglio che mi interessi! E’ una
stronza, Tom. Una fottuta stronza”.
“La fottuta stronza mi ha chiesto di te”.
Per un attimo trattenni il respiro, strinsi il
pugno, e la mano che reggeva la sigaretta si fermò a mezz’aria, poi racimolai
la forza per portare avanti il tempo, da quel secondo al successivo, già meno
doloroso “E tu che le hai detto?”. Non osai domandare quale fosse stata la sua
domanda, troppo spaventato da un semplice e banale “Come sta Rob”, come se
fossi stato un amico di vecchia data, un conoscente di cui chiedere
informazioni e non il coglione che aveva piantato con due paroline in croce
dopo due anni e mezzo di relazione.
“Voleva sapere come stai, se sei a Londra …
quando le ho detto che eri qui a Los Angeles era molto contenta, vorrebbe
vederti”.
“Ma che cazz … ti sei bevuto il cervello? Perché
le hai detto che sono qui?”
“E che le dovevo dire? Sparavo una cazzata e poi magari ti incontrava?”
“Non lo so, Tom, potevi dirle qualsiasi cosa,
potevi … non lo so, ma qualcosa di diverso …”
“Perché non vuoi incontrarla?”
Scossi il capo, gettando per terra il mozzicone
di sigaretta, ormai fumato anche oltre il filtro. “Non se ne parla”.
“Si, ho capito, ma perché?”
“Hai dimenticato quello che ha fatto?”
“No, certo che no”.
“Ecco, perché da come ne parli sembra che sia una
santa”.
“Sappiamo bene che non lo è, però è passato un
anno ormai”.
“Non significa un cazzo” passai una mano tra i
capelli, nervoso, “Non per me”.
“Io lo so che hai ragione, lo so. C’ero anche io
quando se n’è andata. Era una mia amica, ha lasciato anche me. Lo so quello che
hai passato. Però, se dovessi incontrarla, vorrei sapere come reagiresti, ecco
tutto”.
“Male” ammisi adocchiando la mia macchina
posteggiata all’angolo della strada “Reagirei male, penso”.
“Lei, comunque, dice che vorrebbe vederti …”.
“Bene, può sempre affittare il dvd di Harry
Potter se ha questo desiderio”.
mi guardò
fisso in viso e respirò profondamente “… e dice che le dispiace, per tutto”.
Un altro pugno allo stomaco, più violento del
precedente “A me no” dissi a denti stretti “almeno so che merda di persona è.
Meglio tardi che mai”. Estrassi le chiavi dalla tasca dei jeans “Adesso è
meglio che vada”.
“Rob, dai Rob, non andare” Tom mi seguì “non ne
parliamo più, giuro. Non volevo rovinarti la serata”.
“Per me la serata finisce qui” mormorai prima di aprire
lo sportello.
“Mi dispiace, bro”.
“Non ce l’ho con te, è tutto ok. Solo … solo sono
molto stanco, e ho bisogno di stare un po’ per i cazzi miei”.
Mi chiusi dentro e sgommai via, con la mia solita
grazia alla guida. Non riuscivo proprio ad abituarmi alla guida americana,
prima o poi ci sarei rimasto secco in una di quelle strade.
Ero nervoso, stanco e nervoso. E non ci voleva
quel discorso, non adesso.
Nina … Nina. Era un capitolo chiuso, lo era da mesi, ma sentirla nominare portava ancora a galla un dolore che sembrava essersi assopito. Un dolore profondo, che partiva dall’intestino e raggiungeva la lingua. Un dolore che nasceva dal ricordo della gioia, della semplicità di una vita che non sarebbe più tornata. Non l’amavo più, non avrei mai potuto, dopo ciò che aveva fatto, ma faceva male. Il ricordo faceva un fottutissimo male.
Now you are the thieves that you pardoned
Search for need, it'll never come
“Ehi, sono a casa” lanciai il giaccone pesante di pioggia sul pavimento
e mi beai del calore del mio piccolo appartamento.
“Rob”.
Entrai in soggiorno con un enorme sorriso ebete stampato sul viso
“Nina, amore. Tu che ci fai qui?”
Era seduta sulla poltrona, seria e pallida, e non mi guardò “Ti devo
parlare”.
Non colsi l’allarme in quelle parole, né dal tono, né dal suo
atteggiamento. Probabilmente fui un coglione.
“Dov’è Tom?” domandai avvicinandomi a grandi falcate per bacialra, ma
quando mi chinai sulla poltrona per raggiungerla si scostò, alzandosi in piedi.
“E’ uscito” si toccò i capelli, portandoli dietro le orecchie “ho
detto che ti devo parlare, Rob”.
“Sono qui, dimmi tutto” a quel punto sentii una strana sensazione,
all’interno dello stomaco, che mi fece capire che qualcosa non andava.
Si mosse, da un piede all’altro, e tormentò le dita delle mani tra
loro, lasciandomi ad attendere le sue parole per qualche lungo secondo “Devo
partire. Io … vado a Los Angeles”.
La bocca si seccò immediatamente e le mani iniziarono a sudare “Che?”
“Parto, Rob. Mi hanno assunta per un servizio fotografico e mi hanno
detto che lì ho molte probabilità di fare carriera, di firmare contratti su
contratti. Secondo il mio agente è la cosa giusta. Non posso fossilizzarmi qui
a Londra”.
Tentai di deglutire, ma fu inutile, non avevo più saliva e la gola
bruciava “Quando?” fu l’unica domanda intelligente che fui in grado di fare.
“Quando cosa?”
“Quando parti?”
“Domani”. Il mondo si fermò per un attimo e mi si spezzò il cuore.
“Do … come domani?”
“Domani, non ce l’ho fatta a dirtelo prima”.
“Cioè, tu lo sapevi da prima?”
“Si”.
“Da quanto tempo lo sapevi?”
“Rob … non importa, dai …”
“Lascia decidere a me cosa importa. Da quanto tempo lo sapevi?”
“Due mesi”.
Sentii gli occhi inumidirsi di lacrime “perché non me l’hai detto
prima, porca puttana!, Nina, ma che cazzo ti ha preso?”
“Non sapevo come dirtelo, non ne avevo idea”.
“E … come facciamo?”
Scosse il capo per un attimo, fissando il pavimento “Non facciamo”.
“Che vuoi dire?” mi sembrò che l’udito si fosse abbassato, le mie
orecchie non funzionavano, di certo doveva essere quella la motivazione.
“Niente Rob, te l’ho detto. Noi, non facciamo niente”.
Mi diedi un colpo con la mano sulla fronte “Ma che cazzo, Nina, parla
chiaro, non ti riesco a capire”.
“E’ finita”.
“Cosa? Che vuoi dire?Non …”
“E’ finita, Rob. Ci siamo lasciati”.
La guardai, vidi il suo viso, chinato, e il corpo nervoso, ma non vidi
lei, la ragazza che amavo “No, no. Non è vero. Tu, tu mi stai lasciando”.
“Rob … è meglio così”.
“No, per chi? Per chi è meglio così? Non per me. No. Io ti amo, io …
Nina, dimmi che è uno scherzo”.
A quel punto mi guardò, mentre stavo crollando in pezzi, e i suoi
occhi gelidi mi distrussero “Rob, ascoltami. Siamo stati insieme, ci siamo
voluti bene …”
“Io ti amo”.
“Ok, ci siamo amati, ma adesso è finita. La vita va avanti e non
possiamo sprecare la nostra solo per restare insieme. Cosa vedi per noi, eh? Un
futuro qui a Londra? Con una vita borghese, dei bambini e tanti sogni buttati
nella merda? Bene non è quello che vedo io. Voglio guardami indietro e poter
dire che non ho rinunciato a niente. Non posso rinunciare al mio futuro per te,
non posso permetterti di ostacolarmi, non posso lasciare che i miei sogni
diventino irrealizzabili”.
“Io … non so che dire”.
“Non dire niente, allora. È stato bello, finché è durato. Noi non
torneremo mai più come prima. Ma è il tempo di voltare pagina, di guardare
avanti e capire che c’è molto di più, al di lè di noi”.
“Sei la mia ragazza, ti amo. Non puoi dire queste cose, noi puoi fare
così”.
Mi prese la mani, stringendole tra le sue,calde e morbide, ma
assolutamente estranee “Ti ho voluto molto bene, amore, ed è stato bellissimo,
ma è finita. Non posso rinunciare a tutto il resto, solo per te”. Solo per me …
Se ne andò così, senza dire altro, senza che io avessi la possibilità
di dire altro, lasciandomi solo.
There's more for their own now
Sometimes I need a focus, I need a reason
So, so long
Frenai di botto, accorgendomi all’ultimo minuto
che una macchina mi stava venendo addosso.
“Cazzo!” urlai mentre davo un pugno al volante.
Avrebbero dovuto dichiarare illegale una patente che mi permetteva di guidare
in America, dopo che avevo guidato in Inghilterra. Neanche i piedi funzionavano
nel modo giusto, dopo tutto quel tempo.
E poi perché cazzo mi perdevo nei ricordi? Tom
era un coglione, non avrebbe dovuto parlarmi di Nina, non quella sera.
Mi sentivo talmente euforico dopo il provino che
non avevo pensato alle conseguenze che emozioni forti come quelle potevano
avere su di me. Mi avevano stordito e adesso stavo ripiombando a picco verso il
fondo di me stesso. Quella ragazza, il suo profumo, il suo accento … era così
eccitante che anche solo pensarla, per qualche secondo, sotto di me, su quel
letto, mi fece venire un’erezione. Come poteva una semplice ragazzina farmi
quell’effetto? Era così minuta e giovane, e io ero un pervertito.
Sussultai quando il suono di un clacson mi fece
tornare alla realtà, a quella calda notte di Losa Angeles, alle luci della
città, grande e serena, a me, seduto in quella macchina. “Cazzo, di nuovo!”
Dovevo solo restare focalizzato sulla strada,
senza perdere lucidità, e sarei arrivato a casa, prima o poi.
When you can call on your mind
It's a crime to hold back the tears sometime
And, wasted wasted, all before
You forget what you came here for
And, you need to see the signs
And, you need to stop wasting time
And, start to save that stolen
Story that you heard before.
“Hai
bisogno di vedere i segni, devi smettere di sprecare del tempo e vendere la
stessa dannata storia. Una storia che hai già sentito prima, e io ti ho
aspettato, ma te ne eri già andata da tempo …” mi fermai un attimo, aprendo le palpebre e respirando
piano. Sfregai i polpastrelli intorpiditi tra di loro, per le stupide ore
trascorse a suonare quella dannata chitarra. La posai sul letto e ricominciai a
fumare, che altro avrei dovuto fare? Stavo per perdere l’equilibrio e nessuna
condizione sembrava in grado di riportarmi alla stabilità. Sospeso, in
equilibrio precario, su una fune al di sopra della mia vita. Osservavo, da
spettatore, ogni cosa, ma non stavo facendo niente.
Avevo sempre percepito quel bisogno di autonomia
che mi aveva condotto a fuggire da Londra, nonostante l’amassi e fosse il modo
in cui mi trovavo meglio al mondo, fino a Los Angeles. Non sapevo fare molto,
tranne recitare e cantare, ma in fondo forse fingevo anche di saper fare quelle
due uniche cose. Che cazzo stavo combinando lì? In questa fottuta città che
avevo considerato la terra dell’oro e non si stava rivelando altro che un
enorme fallimento? Dannazione … avrei dovuto trovare una soluzione piuttosto
che restarmene seduto sul letto di quella stanza affittata, a suonare e pensare
a lei. Lei … era un pensiero così stupido ed insistente … mi stava corrodendo
il cervello, che invece sarebbe dovuto essere da un’altra parte, ad esempio a
cercare un cazzo di fottutissimo lavoro! Una qualunque fonte di guadagno, anche
solo sufficiente a comprare un biglietto per tornare a Londra. Avrei potuto
chiedere ai miei genitori, e di certo non me li avrebbero negati, ma non ne
avevo voglia. In fondo si erano fidati di me, ed erano così entusiasti quando
riuscivo ad ottenere un lavoro, che niente avrebbe potuto ripagare le loro
espressioni orgogliose. Anche se mio padre … beh … mio padre … lui … scossi il
capo, non volevo pensarci. Avrei trovato un modo, magari dopo, per risolvere
anche quel problema. Forse c’era ancora una possibilità con quel cazzo di film,
mi avevano chiamato per altri due provini, una con Kristen e uno con l’autrice
del libro, e sembravano particolarmente entusiasti. Ma non lo ero io, perché
ero certo che non mi avrebbero preso. Perché avrebbero dovuto scegliere me? Non
c’era niente in me, niente, che ricordasse il protagonista del film. Io ero un
ragazzo normale, non riuscivo neanche a camminare con un piede davanti
all’altro, ero pieno di difetti e per di più avevo un accento inglese difficile
da nascondere, per quanto mi sforzassi. Già al primo provino avevo a lungo
speculato sul mio modo di vedere il personaggio, rivoluzionando completamente
l’idea che era sul copione. Non potevo essere quello giusto, la regista di
sicuro si era resa conto che sarei stato solo un gran casino per lei. Non
potevo contare su quel film, in fondo ero andato al provino solo per conoscere
Kristen Stewart, e ce l’avevo fatta. Dovevo considerarmi soddisfatto del
risultato e non essere sempre ingordo di ogni cosa.
Quella ragazza … che cosa non era? “Tutto di te,
tutto mi attrae” le avevo ripetuto più volte durante il primo, e il secondo
provino, e non poteva essere più vero. Tutto ciò che avevo sempre considerato
attraente in una donna, era in lei. Lo sguardo timido e profondo, verde intenso
e luccicante, mi faceva sciogliere di tenerezza e curiosità. La pelle bianca
sembrava finta e fragile, sottile come un foglio di seta, avrei dato di tutto
solo per poterla sfiorare così a lungo da imprimerne il ricordo nella mente per
sempre. Le labbra nervose, morsicate di continuo, erano di un rosso che
implorava il peccato. Mi mandava in visibilio, con ogni gesto o parola.
Eccitante, ecco la parola corretta per descriverla. O forse no … avrei dovuto
considerare l’idea che ai miei occhi non era semplicemente eccitante. Sin dalla
prima volta che l’avevo vista mi era entrata nel cervello, come un minuscolo
tarlo che si dedica al suo piccolo ramoscello legnoso, fino a corroderlo del
tutto.
“Rob!” Tom bussò alla porta della mia stanza con forza “Rob!”
Grugnii un verso insensato “Entra!”
Il mio amico infilò la testa nello spiraglio della porta che aveva
aperto, fece una smorfia di disgusto quando vide in che condizioni mi ero
ridotto “Cazzo! Rob datti una pulita, una sistemata, non lo so! Fa qualcosa!”
“Non rompere i coglioni, Tom”.
“No Rob, dico sul serio” avanzò con grandi falcate verso di me “Alzati
da quella merda che non si può nemmeno chiamare letto e vatti a lavare” mi
tolse il pile di dosso e lo lanciò sul pavimento.
“Non mi va!” sbottai allungandomi per afferrarlo di nuovo “Lasciami in
pace”.
“Sta venendo tua sorella”.
Mi gelai, sollevando gli occhi su di lui “Cazzo no!”
“Cazzo si!” un sorrisetto sadico si disegnò sul suo viso “Ora ti
alzi?”
“Mia sorella chi?”
“Lizzie!”
Avrei potuto sostenere gli sguardi e le critiche di Vicky, ma non era
la stessa cosa per Lizzie.
“Porca puttana!!” mi alzai immediatamente e mi gettai dentro l’armadio
alla ricerca di qualcosa di pulito o perlomeno decente. Non doveva vedermi in
quelle condizioni, o sarebbe stata la fine. Mi avrebbe fatto esplodere la
testa, con tutte le sue parole e urla e “Te l’avevo detto, quella Nina non mi è
mai piaciuta”. Non potevo permettere che succedesse. Avevo bisogno di tempo per
rimarginare le ferite, non di urla di ragazzine incazzate. Mi infilai
velocemente nella doccia e in un quarto d’ora ero pulito e pronto ad affrontare
quella pazza di mia sorella.
“Ciao Rob!” Lizzie mi assalì con un sorriso pacato e sereno, mentre,
seduta sul mio divano, smanettava con il lettore dvd “Come va?”
“Tutto ok, che ci fai qua?” brontolai accarezzandole i capelli prima di
accendere una sigaretta.
Tossì, con esagerazione “Questa casa è una ciminiera, ci morirete qua
dentro un giorno o l’altro. Comunque grazie mille dell’ospitalità … sono venuta
a portare film e cinese, da quanto non mangiate qualcosa di decente?”
“E tu chiami decente il cibo cinese?” controbattei sedendomi accanto a
lei.
“Ehi! Ma … a te piace il cinese” sembrò delusa dal tono che avevo
usato e me ne pentii subito.
“Si, certo che mi piace. Dico solo che non è cibo decente. Dai fammi
vedere, che film hai scelto?”
sorrise di nuovo e allungò il braccio per sfiorarmi la spalla gentilmente
“Claudia, povero Claudia, come sei triste”.
Scossi il capo e la spinsi un po’ ridendo “Ma và! Non fare la sorella
maggiore e responsabile che non ti viene proprio”.
Mi mostrò la lingua “Vabbè, ci ho provato. Comunque, ho portato Into
the wild, dovrebbe essere interessante”.
“Wow!” Tom entrò con le birre in mano e sistemò i vassoi sul tavolino
basso “Dicono che sia fantastico. Grazie Lizzie, mi hai salvato dall’ennesima
serata da solo, con quel coglione di tuo fratello chiuso in camera”.
Guardammo il film e per un po’ riuscii anche a distrarmi,
meravigliandomi e godendo di ogni istante di quel viaggio, che mi portava
talmente lontano dal fallimento in cui ero ora, da lasciarmi senza fiato. avrei
voluto trovare il coraggio di farlo anch’io : mandare tutto a fanculo e partire
per un viaggio alla ricerca di me stesso, alla ricerca di ciò che era più
importante. Ma ci fu qualcosa che interruppe quei miei pensieri e quel qualcosa
fu l’immagine di una ragazzina magra e bellissima che si colorò sullo schermo.
Aveva ancora la magrezza dell’adolescenza ma ogni cosa, in lei, era piena di
sensualità. Il movimento delle labbra, sempre appena dischiuse e i respiri
corti, ansiosi, pieni di vita … i suoi occhi pieni di sole ed emozioni, riflessi
nella terra secca e nel calore che le aleggiava intorno. Era minuscola ma
abbracciava la chitarra come se fosse stato l’unico oggetto che fosse mai venuto
a contatto con il suo corpo, come se facesse parte di lei. L’insicurezza dei
suoi occhi si rispecchiava in ogni gesto, anche il semplice portarsi la mano al
volto mi faceva provare una tempesta di emozioni intense e distruttive. Nessun
trucco sul viso, nessuna imperfezione sulla pelle lattea, e la fragilità del
corpo era in costante contrasto con la forza che emanava, la certezza di essere
lì. Stava sullo schermo senza monopolizzare l’attenzione in modo eclatante,
senza pretendere gli occhi su di sé. Stava lì ed eri costretto a guardarla,
perché era la cosa più bella e dolce e unica che avessi mai visto.
Quando sorrideva … dio … quando sorrise la prima volta mi costrinse a
trattenere il respiro: sembrava che tutto il mondo si illuminasse con il
semplice movimento delle sue labbra. Sorrideva e brillava. Ilo suo accento
forte, americano e caldo, si sciolse quando iniziò a cantare, lasciandomi come
un idiota a guardarla accarezzare le corde di quell’enorme chitarra. Il mio
cuore perse di certo un battito quando la vidi quasi nuda sul letto, le gambe
magre, l’intimo bianco, semplice, la rendevano perfetta. Quei primi piani,
negli occhi grandi, facevano girare la testa. Ogni cosa scorreva con fluidità,
come se lei non potesse altrove che lì, nessuna forzatura. Quando il film finì
ero ancora imbambolato e la mia mente persa nell’immagine di quella ragazza.
Il telefono squillò, riportandomi alla realtà.
“Mamma” risposi tentando di camuffare un po’
l’umore nero che mi portavo dietro da giorni “ciao”.
“Ehi, Rob, tesoro. Come va?”
“Non lo so” ammisi senza volerlo veramente.
“Che vuoi dire? Sembri già di morale”.
“Non lo so, è che … non credo sia una buona idea
continuare a stare qui a Los Angeles. Forse dovrei tornare a Londra”.
Qualche secondo di silenzio che servì anche a me
per capire che stavo veramente rinunciando a ciò che tentavo di ottenere da
anni “Amore perché dici questo?”
“Perché mi sembra di stare perdendo tempo. Ho
ventun anni e non ho combinato quasi niente. Forse è il momento di capire che non
sono portato e andare oltre”.
“Tesoro, non parlare così. È solo un momento
negativo, domani ti passerà”.
“No. Non credo. Non riesco a stare qui a non fare
niente, giorno dopo giorno. Mi sento un idiota. È il caso che io torni a casa
ed inizi a lavorare per l’azienda di papà”.
“Ma per quel film sui vampiri? Non hai fatto già
tre provini?”
“Ahhh non mi prenderanno mai!”.
“Sei sicuro?”
“Si. Non c’è dubbio”.
“Che ti devo dire, se è quello che vuoi, se è
quello che reputi giusto, torna. Papà non avrà problemi a darti un posto di
lavoro”.
“Si, questo lo so bene. Non aspetta altro”.
“Robert smettila di parlare così, lo sai anche tu
che non è vero”.
“Vabbè mà, preferisco non parlarne”.
“Ok, allora … ti compro il biglietto e te lo
mando per e mail ok?”
“Si, ciao”.
Era fatta, sarei tornato a casa e avrei iniziato
un’onesta vita da venditore di auto d’epoca. Strinsi i pugni, spingendo lontano
la chitarra. Non l’avevo mai voluto e il solo pensiero mi faceva mancare l’aria
nei polmoni. Mi veniva da piangere, perché ero stato il più grosso fallimento
immaginabile, perché …
Il telefono squillò di nuovo e lo afferrai senza
guardarlo, certo che fosse mio padre, con la sua voce rassicurante e
soddisfatta, pronto a dirmi che aveva ragione lui e che mi avrebbe aiutato in
qualunque caso.
“Pronto!” sbottai nervoso.
“Pronto? Robert?”
“Si, con chi parlo?”
“Sono Catherine, Catherine Hardwicke, ti
ricordi?”
Mi raddrizzai sulla schiena,s scattando a quelle
parole “Si, si certo che mi ricordo”.
“Volevo chiederti : quando puoi venire a firmare
il contratto per il film?”
“Q- quale f-film?”
“Twilight, no? Non dirmi che non sei più
disponibile”.
“Puoi ripetere per favore?”
rise con forza “Ti voglio per fare Edward quando vieni a firmare?”
“Io … credo … credo … che posso anche venire
adesso”.
“Allora ti aspetto”.
Restai impassibile, seduto su quel letto, senza
riuscire a muovermi per un bel po’ di tempo.
You're only, only a stray,
Joker no, joker no more
Yeah, stray dog