Lucky
- Tendi sempre un po’ troppo a destra -
- Non è vero –
- Ti dico che è così –
Marco sbuffò, prendendo ancora una volta la mira: la
pallina prese il volo, sorvolando rapidamente tutta la classe e mancando di
poco il cestino nell’angolo.
- Visto? – ghignò Amedeo, uno sbrilluccichio
divertito negli occhi.
- Fottiti –
- Non mi cadere nel volgare, ora –
- Sei insopportabile –
- Tu tendi troppo a destra –
- Sapresti fare di meglio? – soffiò Marco,
incrociando le braccia al petto con un broncio risentito.
Amedeo sorrise, strappando un angolo di pagina: la
appallottolò per bene, sporgendosi leggermente sul banco. Lanciò e in due
secondi la pallina era entrata nel cestino: un canestro perfetto.
- Ecco – sghignazzò, incrociando le braccia dietro
la testa con fare soddisfatto – Ora, ti prego, non scadermi ancora nel
volgare -
- Non mi sarei mai permesso –
- Palle –
Marco roteò gli occhi, puntandoli al soffitto:
- Tutta fortuna – borbottò, tentando un altro
lancio. Sfiorò il lato destro del cestino.
- Scommetti? –
- Se vinco? –
- Dovresti chiedere se perdi –
- Stai diventando sbruffone, Deo –
- E’ la tua influenza, temo –
- Io non sono sbruffone – lo corresse Marco, un
sorriso luminoso – Sono consapevole di me stesso –
Amedeo non rispose, limitandosi a lanciare una nuova
pallina, più piccola della precedente.
- Affanculo -
- Centro perfetto – si strinse nelle spalle il rosso
– E avevo ragione anche prima –
- Cosa? – borbottò l’altro, sollevandosi
leggermente dalla sedia per controllare che effettivamente la pallina fosse
entrata e gli occhi non gli stessero giocando brutti scherzi. Al diavolo.
- Sei scaduto nel volgare –
Marco sospirò, aggiustandosi la sciarpa attorno al collo.
Odiava le sciarpe.
- Dici che tendo troppo a destra? -
- Sì –
Amedeo sorrise, preparando nuove palline e sistemandole
ordinatamente sul bordo del banco:
- Prude, eh? -
- Cosa? –
- La sciarpa – specificò cautamente lui, guardandolo
di sottecchi e attendendo una qualche reazione.
Marco strinse le labbra, l’espressione
imperscrutabile:
- Un po’ -
- Allora perché la metti? –
- Lo sai perché –
Amedeo si concesse un sogghigno. Lieve.
- Non si è ancora tolto? -
- Il pennarello era indelebile –
- Non è neanche sbiadito un pochino? – ridacchiò il
rosso sotto i baffi.
Marco non rispose, aggiustandosi ancora una volta la
sciarpa rossa.
- ‘Stasera la maratona è
confermata? –
- Non cambiare discorso –
- Mi sto semplicemente informando – si strinse nelle
spalle Marco, l’espressione angelica.
- Sì – si arrese Amedeo – Sì, tutto confermato
–
- Casa tua? –
- Certamente –
- Perché non la facciamo da me, questa volta? –
ghignò Marco, il sorriso saputo.
- Siete in troppi in quella casa –
- Per questo non ci vieni mai? –
Amedeo fremette, le labbra che impallidivano
impercettibilmente:
- Cosa vuoi sentirti dire? – sibilò, scuro in volto.
- Non fare così – lo rimbrottò l’amico,
sollevando leggermente le mani – Stiamo soltanto parlando –
- Durante la mia lezione, ci terrei a sottolineare –
Si voltarono entrambi verso la cattedra, presi in
contropiede. E sorrisero.
- Professore! – esclamò Marco, l’espressione
più innocente del mondo.
- Già – sorrise quello, pacato – Ci sono
anch’io –
- Lo sappiamo, certo – intervenne Amedeo, annuendo
anche per sottolineare il concetto.
- Non che la cosa deponga a vostro favore – ribatté
il professore, aggiustandosi gli occhiali sul naso – Sapete almeno qual è
l’argomento della lezione di oggi, o la vostra è semplice presenza
fisica? –
I due si guardarono un attimo, questione di un istante,
poi tornarono a fissare il professore. Sereni.
- Letteratura italiana – rispose Amedeo.
- Decisamente – approvò Marco.
Il professore sospirò, un mormorio divertito che si
diffondeva nell’aula.
- Che ne dite di venire qui?
– chiese allora, il tono che si faceva più
serio, quasi duro.
- Lì? –
- Alla cattedra, intende? –
- Sì. Qui. Alla cattedra –
Nuovo scambio di sguardi, più veloce del precedente. Nuovi
sorrisi. Terribili, semplicemente terribili.
- Perché? – chiesero in coro, spalancando
innocentemente gli occhi.
- Per parlare un po’, tutto
qui – si strinse nelle spalle il professore.
- Della maratona di questa sera? – domandò Amedeo.
- Guardi che parlavamo benissimo anche da qui –
aggiunse Marco nello stesso momento, imperturbabile.
Le labbra del professore tremarono leggermente, gli angoli
che per un istante accennarono impercettibilmente a tendersi verso
l’alto. Scosse il capo, facendo un ultimo tentativo:
- E se parlassimo un po’ di letteratura italiana,
invece? -
Lo scambio di sguardi questa volta non fu necessario.
- E se rimandassimo alla prossima volta, invece? –
fece Marco, nicchiando con la testa.
- Manca davvero poco alla fine della giornata, sa? –
continuò Amedeo.
- Meno di venti minuti – rincarò Marco, sbattendo
ripetutamente le ciglia scure.
- Le va un caffè, per caso? –
- Lo andiamo a prendere immediatamente –
- Offriamo noi, è chiaro –
Il sorriso scappò, intrattenibile. Si affrettò a
reprimerlo, le labbra che si piegavano in un broncio irritato.
- Poco zucchero – borbottò il professore – E
una confezione di cracker -
Marco annuì, balzando in piedi e dirigendosi a passo
spedito fuori dalla porta.
- Arrivano subito – sorrise magnanimo Amedeo,
seguendolo a ruota.
- Il solito? -
Andrea sorrise, massaggiandosi le tempie:
- Sì, grazie -
- Mal di testa? – domandò Sofia, inclinando
leggermente la testa di lato.
- Giusto un pochino –
Si voltò, osservando rapidamente i tavolini alle sue
spalle: individuò facilmente quello che gli interessava.
- Spettegolano come al solito? – s’informò,
giocando con le bustine dello zucchero.
- Sì – annuì Sofia, aggiustandosi i capelli –
E fino a dieci minuti fa facevano sempre il tuo nome –
- Lo immaginavo – mugugnò lui – Sembra non abbiano
altri argomenti di conversazione –
- Non si può dargli torto del resto –
Andrea sollevò il viso, sorpreso: cercò di incontrare gli
occhi della ragazza ma lei li teneva fissi sul bancone.
- Sei un argomento molto interessante, no? –
sussurrò Sofia, le gote che si infiammavano.
- Io… - balbettò il biondo, aprendo e chiudendo
velocemente la bocca – Lo sai, non… -
- Non sei interessato – concluse per lui la ragazza.
- No – espirò Andrea, l’espressione contrita
– Mi dispiace, davvero –
- Figurati – esclamò lei, alzando la voce e
sollevando il viso – Il tuo amico, invece? Di lui che mi dici? –
- Salvatore? – sorrise Andrea, grato – Non
saprei dirti, ma potrebbe non essere il buon partito che sembra –
- E’ pericoloso come te? –
- Io non sono pericoloso –
- Lo credi tu –
Sofia gli porse il contenitore con il caffè e arricciò le
labbra, l’espressione divertita:
- Arriverà il giorno in cui sarai interessato –
mormorò, tenace.
- Non credo – ridacchiò appena Andrea, scuotendo la
testa.
- Io non perdo le speranze –
Camminando a marcia indietro Andrea si strinse nelle
spalle, ammiccando lievemente. Arriverà il giorno in cui mi sputerai nel caffè,
pensò con un briciolo di preoccupazione.
- Ci prova ancora con te? -
- Non accenna a demordere, purtroppo – annuì,
prendendo posto di fronte ai due.
- E’ un bel bocconcino – commentò Salvatore.
- E’ completamente ceca – ribatté Federica,
roteando gli occhi – Com’è possibile che non abbia ancora afferrato
il lieve particolare riguardante il tuo essere gay? –
- Perché non ci provi? – fece Salvatore, riflettendo
– Potresti scoprire che non ti dispiace –
- Non mi ascolti, allora – sbuffò Federica –
Il fatto che è gay non lo prendete proprio in considerazione? –
- Ho detto provare, solo provare. Come fa a sapere che non
è interessato se non ci prova? –
- Lo sa perché è gay – sillabò lei.
- Non può dire che qualcosa non gli piace se prima non
l’assaggia –
Federica inarcò un sopracciglio, fissandolo con vivo
disappunto; fece per aprire bocca, prontamente interrotta da Andrea:
- Di cosa parlavate? – chiese, sorridendo come se
niente fosse.
- Di te –
- Non abbiamo altri argomenti in comune, purtroppo –
- Non interessanti quanto te –
Andrea sorseggiò il caffè, lanciando un’occhiata
all’orologio:
- E quando non sarò più così interessante? -
Federica ridacchiò, scuotendo lievemente il capo come se
avesse appena detto una barzelletta. Diede di gomito a Salvatore che rise a sua
volta, sinceramente divertito:
- Come può accadere, Pinolo? -
- Tu non puoi diventare noioso, capisci? – sorrise
Federica – Semplicemente non puoi –
- Sarebbe contro la tua natura – rincarò
l’amico – E’ più forte di te fare una cazzata dopo
l’altra –
- Vi ringrazio – chinò il capo Andrea – Le vostre dolci parole mi rinfrancano sempre –
- E’ la dura verità –
- Non puoi farci niente –
- Anche voi non siete da meno, però – borbottò lui
– Perché allora si parla sempre e solo di me? –
Federica aggrottò le sopracciglia, tamburellando
nervosamente sul tavolo.
- Visto? – saltò su il biondo – Avevo ragione!
-
- Cosa? –
- Che hai combinato? – esclamò, ignorando
l’espressione basita di Salvatore.
- Non ho combinato un bel niente! – sbottò Federica,
fulminandolo con lo sguardo – Sasà, aiutami tu –
- Se è uscito di cotenna non posso farci un bel niente
– fece spallucce lui.
- Ha tamburellato con le dita! – gesticolò Andrea
– Ha tamburellato! Quando tamburella c’è sempre qualcosa che non
va! Ho ragione, vero? Sì, che ho ragione! Che hai combinato,
Fede?! Cosa… -
Si interruppe, le parole che gli morivano in gola non
appena si rese conto degli sguardi degli amici fissi su di sé:
- Che… che c’è? – balbettò, non capendo.
E poi se ne accorse. Nella foga di gesticolare aveva
alzato anche il braccio sinistro: quello che aveva tenuto per tutto il tempo
fermo, immobile sotto il tavolo. Quello che si era ben premurato di nascondere.
Invano.
Si ricompose, poggiando i gomiti sul ripiano e arricciando
le labbra con disappunto:
- Sì – annuì fra sé e sé – Questa è
l’ultima cazzata, temo -
- Per questo non ci vieni mai? -
Amedeo si appoggiò al muro, un sogghigno esasperato che
gli piegava le labbra:
- Come? Come diavolo fai, me lo spieghi? -
- A fare cosa? –
- A riprendere esattamente lo stesso discorso, nello
stesso momento, con le stesse parole –
Marco si strinse nelle spalle, poggiandosi al suo fianco:
- Non lo so – borbottò poco dopo – Credo sia
un’abilità innata -
- Già –
- Dobbiamo prendere il caffè – mormorò Marco
lanciando un’occhiata alla macchinetta poco lontana.
- E i cracker –
- E tu devi rispondermi –
- Sei insopportabile! – scattò Amedeo, assestandogli
un pugno sulla spalla – Quando io cerco di parlare con te di qualcosa di
serio non riesco a cavarti una parola di bocca, perché poi io dovrei risponderti,
allora?! –
- Quando mai tu cerchi di parlarmi di qualcosa di serio?
–
- Sono serio, Marco –
- Siamo passati ai giochi di parole? –
- Di chi è quel numero che hai tatuato sul collo? –
- Di un amico –
- Vedi? Vedi?! Tu non rispondi io
non rispondo – e si alzò in piedi, inserendo le monetine
nell’apposita fessura.
- Si chiama Andrea –
Amedeo fece finta di non aver sentito, il piede che
batteva ritmicamente sul pavimento. Attendeva.
- Siamo usciti insieme sabato sera -
- E…? –
- E niente. C’era Silvia con noi – borbottò
Marco, serrando le labbra.
- Non sei il tipo che si fa fermare dalla presenza di una
bambina –
- Ci ha bloccati un suo amico – soffiò allora
– Contento? –
- Non direi –
- Deo! Che altro vuoi? –
- Che non mi parli solo di stronzate! –
- Non lo faccio! –
Il caffè cominciò a uscire, riempiendo il bicchierino di
carta. Respirarono entrambi, cercando di calmarsi.
- Carte scoperte? - chiese Marco quando la tensione sembrò
essersi allentata.
Amedeo annuì, le dita che giocavano con i boccoli rossi.
- Perché non vieni più a casa mia? -
- Lo sai il perché –
- E tu sai come la penso – ribatté rapido Marco, lo
sguardo acceso.
- Non mi interessa –
- Ti piace Rebecca –
- E’ soltanto una cotta, per l’amor del Cielo!
–
- Non è vero –
- Da che parte stai, si può sapere? –
Marco sembrò riflettere su quella domanda, un silenzio di
pochi istanti che aleggiava fra di loro:
- Dalla mia, mi pare ovvio –
- Non posso provarci con tua sorella – sbottò Amedeo
– Non dovrebbe nemmeno piacermi, se è per questo! –
- Cosa vai farneticando? Ti ho detto che a me sta bene,
Deo! E poi… io tuo fratello l’ho palpeggiato, tu non te la sei mica
presa, no? Non hai fatto una piega –
- Ti ha dato un pugno – gli rammentò il rosso
– La piega l’ha fatta lui –
- Questo cosa c’entra,
adesso? –
- Hai tirato tu in ballo l’argomento –
- Stavamo parlando di Rebecca – riprese Marco
– A me sta bene se… -
- E’ a me che non sta bene –
- Perché? –
- Perché se qualcosa dovesse andare storto tu dovresti scegliere da che parti schierarti – fece
Amedeo, il tono piatto, senza guardarlo negli occhi. Sospirò, carezzandosi il
mento:
- E tu chi sceglieresti, eh? – sorrise tristemente
– Il tuo amico o tua sorella? –
Marco non rispose, improvvisamente a corto di parole.
- Quante volte sei uscito con questo Andrea? -
- Una… - biascicò lui, grato del repentino
cambiamento – Solo sabato –
- E quand’è che ti ha tatuato il numero, allora?
–
- Non era una vera uscita, quella –
- Da quanto vi vedete, allora? –
- Lo sai che usi allora come intercalare, Deo?
Diventi ripetitivo –
- Quanto? –
- Meno di una settimana, credo. Non è che conto i giorni,
lo sai? -
- Quanti anni ha? –
- Una ventina –
- Quanti? –
- Ventitre, mi sembra – sospirò, prendendo il caffè
e facendogli cenno di prendere i cracker.
- Lo sa che non sei ancora maggiorenne? –
- Perché voialtri vi fate tanti problemi per l’età,
eh? E’ solo una questione anagrafica alla fin fine –
- Allora? –
Marco sorrise, roteando gli occhi:
- Allora? Allora sì, lo sa. E sa anche che mercoledì
compio i diciotto -
- Oh – fece Amedeo, cambiando improvvisamente
espressione – Hai già qualche idea per mercoledì? –
- Non ancora – rispose lui, aprendo la porta.
Senza fiatare posarono caffè e cracker sulla cattedra, un
ultimo sorriso al professore e tornarono spediti ai loro posti. Cinque minuti
alla campanella.
- Cinema? – propose Amedeo a bassa voce –
Faro? -
Marco scosse il capo, rifiutando entrambe le proposte;
strinse una pallina fra due dita e prese la mira: dopo un istante sembrò
ripensarci e la prese di nuovo, spostata leggermente a sinistra.
La pallina spiccò il volo e centrò il cestino.
- Fa male? – guaì Federica, carezzandogli la mano.
- Certo che fa male – grugnì Salvatore – Si è
slogato il polso, sicuro non gli fa bene –
- Non è niente –
- Come ho fatto a non vedere la fasciatura? –
gemette lei, gli occhioni chiari spalancati.
- La nascondeva, l’idiota.
Si può sapere come… -
- Stavo cadendo – lo interruppe Andrea, stringendosi
nelle spalle.
- Stavi cadendo – ripeté Salvatore, inarcando le
folte sopracciglia scure – Da dove, di grazia? –
- Una casa sull’albero –
- E cosa ci facevi su una casa sull’albero? –
- Mungevo una mucca – ribatté acido il biondo
– Cosa ci dovevo fare, eh? –
- Non soffrivi di vertigini, tu? – s’intromise
di colpo Federica, l’espressione assorta.
- Sì che soffre di vertigini, lui – soffiò Salvatore
– Quello che mi chiedo è quand’è che hai perso anche gli ultimi
neuroni funzionanti – ringhiò poi in direzione dell’amico.
- Solo perché sono salito su un albero? –
- No. Perché stavi cadendo da quell’albero –
- Non è che l’ho fatto apposta –
- Non è colpa sua, infatti! – esclamò Federica,
continuando a tenere gentilmente il polso fasciato fra le mani.
- E’ colpa di chi ce lo ha fatto salire –
Andrea si zittì, la presa di Federica che aumentava mentre
la comprensione si faceva strada sul suo volto.
- Oh! – scattò, sbattendo più volte le ciglia e
lasciando andare immediatamente il polso.
- Ahi – biascicò il biondo, una smorfia di dolore
che gli piegava le labbra.
- Stiamo parlando di Marco? – si stupì Federica,
ignorandolo totalmente – E’ con lui che… la casa...
l’albero… no, un momento, devo raccogliere le idee. Non ci sto
capendo più niente –
- Non mi ha costretto a salire – disse Andrea,
rivolgendosi all’amico.
- Lo hai fatto, però –
- Di mia volontà e in pieno possesso delle mie facoltà
mentali –
- Sulla seconda parte ho dei dubbi da sempre –
- Volete aspettarmi, per cortesia? – esclamò
Federica, contrariata – Non osate escludermi, eh! –
- Quindi stavi cadendo – riprese Salvatore,
ignorandola.
- Sì –
- Così, per caso –
- Devo aver messo un piede in fallo – borbottò lui
– Non era un tentativo di suicidio se è a quello che vuoi arrivare
–
- Non era mia intenzione –
- Non era nemmeno un tentato omicidio –
- Ne sei sicuro? – ghignò Salvatore, gemendo
sottovoce per il pizzico che Federica gli aveva rifilato.
- Mi ha preso lui –
- Prego? Siamo passati a descrivere una qualche attività
sessuale? –
- Sasà! – sbottò Andrea, inviperito – Mi ha
evitato una gran brutta caduta, okay? L’unico danno è stato al polso ma
non poteva essere altrimenti, no? –
- Quindi ora sei anche in debito con lui? –
- Per l’amor del cielo! Che problema hai con quel
ragazzino, si può sapere? –
- Nessun problema –
- Un attimo, un secondo, un istante! – eruppe
Federica, ottenendo finalmente il silenzio.
Fissò Andrea con gli occhioni luccicanti e squittì:
- Ti ha salvato lui? -
Salvatore sospirò esasperato, alzandosi in piedi e
lasciando una banconota da cinquanta sul tavolo:
- Devo andare – borbottò, accennando un saluto con
il mento.
Andrea chiuse gli occhi, reclinando il capo
all’indietro:
- Ah, Sasà – mugugnò, prendendo un bel respiro.
- Ti ha salvato lui? – ripeté Federica, ignorando
tutto il resto – Davvero? –
Le luccicavano gli occhi, le labbra tese leggermente in
avanti mentre gli afferrava di nuovo la mano:
- Allora? -
- Sì – rispose Andrea, arrendendosi – Sì, è
stato lui. Mi ha preso per il polso quando già mi stavo preparando a un duro
scontro con il terreno –
- Oh, oddio, oddio, oddio! – sussurrò Federica, gli
occhi che si riempivano di lacrime – Dolci, voialtri siete così
dannatamente dolci! – esclamò, scoppiando definitivamente a piangere.
Andrea annuì fra sé e sé, piegandosi verso di lei:
- Ora mi racconti cos’è successo? - le domandò
sottovoce, alzandole il mento con la mano libera.
- Niente – biascicò lei, le lacrime che continuavano
a rigarle il viso.
- Sto aspettando, Fede –
- Niente –
- Non fare così – ridacchiò Andrea, avvicinando la
sedia alla sua e avvolgendola con un braccio non appena fu scossa da un
singhiozzo – Io ti racconto tutte le mie sventure, no? –
- Non è la stessa cosa – borbottò lei, tirando su
con il naso.
- Ah, no? –
- No – e poggiò il capo sulla spalla
dell’amico – Una cosa è quando succedono a te e tutt’altra e
quando invece succedono a me –
- Hai ragione – rise lui, accarezzandole i lunghi
capelli castani.
- Poi mi diresti te l’avevo detto –
piagnucolò lei – Sai che non lo sopporto –
- Non lo avrei detto – la corresse Andrea –
Non adesso che stai piangendo, almeno. Dopo sicuramente –
Una risatina le scappò dalle labbra tremanti:
- Giusto – sorrise incerta – Quindi ascolterai
in silenzio? -
- Non prometto niente –
- Gli è squillato il cellulare, ieri sera –
singhiozzò Federica, parlando a scatti – Lui era in bagno, così…
così mi sono permessa di rispondere –
- Mai rispondere al cellulare altrui – borbottò
Andrea, poggiandole le labbra sui capelli.
- Zitto – intimò lei, asciugandosi le lacrime con il
dorso della mano – Siete tutti stronzi, voi uomini! Tutti
la stessa dannatissima razza di stronzi! –
- Siamo passati alla rabbia? –
- Ho risposto e una voce femminile ha chiesto di lui,
capisci? Una donna! –
- Non ti ha sfiorato l’idea che potesse essere la
madre, la zia, la sorella… la nonna, che so? –
- Languida, strafottente – continuò lei, ignorandolo
totalmente – L’ho mandata a quel paese e ho aspettato che tornasse
per chiedergli spiegazioni –
- Dov’eri? –
Federica si sollevò appena, l’espressione sorpresa:
- In cucina, perché? -
- Avevi un coltello in mano, non è vero? Voi donne tendete
sempre a tenere in mano oggetti contundenti –
- La smetti di fare il cretino? – sbottò lei,
assestandogli uno spintone.
- Ce lo avevi il coltello, però, vero? –
- Vuoi sentire il resto o no? –
- Ha confermato di avere un’altra donna –
E gli occhi tornarono a inumidirsi, ingrandendosi come
quelli di Bambi:
- Sì –
- Tu avevi un coltello in mano, però – affermò lui,
sicuro – Altrimenti non si spiega un’ammissione di colpa così
rapida –
- Sì, sì, sì – sbottò Federica – E
gliel’ho pure lanciato contro, se è per questo! –
- Oh – fece Andrea, abbassandosi verso
l’orecchio di lei e cominciando a bisbigliare – Ti serve una mano
per occultare il cadavere, per caso? –
- No, grazie – rise lei, accomodandosi meglio contro
di lui – Sarà per la prossima volta –
Andrea la strinse un po’ di più, limitandosi ad
annuire.
- Parla, dai – sussurrò lei senza spostarsi di un
centimetro.
- Non mi preferivi muto come un pesce? –
- E’ l’unica opportunità che ti do –
- Allora parlo – decise il biondo, schioccando la
lingua e raggruppando i pensieri. Era sempre stato difficile affrontare quel con Federica: sempre lo stesso, ogni volta più duro.
Non poteva evitarlo, però.
- Dai troppa fiducia, troppo
presto. Ti concedi totalmente, non devi fare così. Non sono tutte brave
persone, lo hai capito ormai, no? Non esistono i principi azzurri delle favole.
Così come non ci sono persone perfette. Devi solo impegnarti a cercare quella
con meno difetti, okay? Quella i cui difetti imparerai ad amare… se
continui a dare tutta te stessa ogni volta, piccola mia, non potrai fare altro
che uscirne ferita. Sempre –
Federica aveva chiuso gli occhi, la convinzione che quelle
parole non fossero altro che un mucchio di stronzate.
Un fondo di verità c’era, per carità. Niente più che
un fondo, però.
Sospirò, guardandolo dal basso in alto e sussurrando:
- La prossima volta prendo meglio la mira -
§
Aumentate sempre, lo sapete?
Com’è possibile, mi chiedo. Cioè: parliamo di una storiella malsana e
alquanto perversa, con due rincitrulliti che insieme non fanno un cervello e un
branco di mentalmente instabili che fanno da contorno… com’è che vi
attira in così tanti, eh? In caso di perdita del senno non voglio avervi sulla
coscienza, mi raccomando u.u
Detto ciò, aggiungo solo un’ultima cosa: grazie.
Grazie per la vostra dolcezza, per il supporto che mi date e le risate che
riuscite a strapparmi *-*
Non smettete mai,
Sara