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Autore: miseichan    03/10/2012    5 recensioni
- Stai cercando di dirmi che vorresti farti un cucciolo di dalmata? –
- No. Che voglio farmi te –
Genere: Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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9

 

 

 

Lucky

 

 

 

- Tendi sempre un po’ troppo a destra -

- Non è vero –

- Ti dico che è così –

Marco sbuffò, prendendo ancora una volta la mira: la pallina prese il volo, sorvolando rapidamente tutta la classe e mancando di poco il cestino nell’angolo.

- Visto? – ghignò Amedeo, uno sbrilluccichio divertito negli occhi.

- Fottiti –

- Non mi cadere nel volgare, ora –

- Sei insopportabile –

- Tu tendi troppo a destra –

- Sapresti fare di meglio? – soffiò Marco, incrociando le braccia al petto con un broncio risentito.

Amedeo sorrise, strappando un angolo di pagina: la appallottolò per bene, sporgendosi leggermente sul banco. Lanciò e in due secondi la pallina era entrata nel cestino: un canestro perfetto.

- Ecco – sghignazzò, incrociando le braccia dietro la testa con fare soddisfatto – Ora, ti prego, non scadermi ancora nel volgare -

- Non mi sarei mai permesso –

- Palle –

Marco roteò gli occhi, puntandoli al soffitto:

- Tutta fortuna – borbottò, tentando un altro lancio. Sfiorò il lato destro del cestino.

- Scommetti? –

- Se vinco? –

- Dovresti chiedere se perdi –

- Stai diventando sbruffone, Deo –

- E’ la tua influenza, temo –

- Io non sono sbruffone – lo corresse Marco, un sorriso luminoso – Sono consapevole di me stesso –

Amedeo non rispose, limitandosi a lanciare una nuova pallina, più piccola della precedente.

- Affanculo -

- Centro perfetto – si strinse nelle spalle il rosso – E avevo ragione anche prima –

- Cosa? – borbottò l’altro, sollevandosi leggermente dalla sedia per controllare che effettivamente la pallina fosse entrata e gli occhi non gli stessero giocando brutti scherzi. Al diavolo.

- Sei scaduto nel volgare –

Marco sospirò, aggiustandosi la sciarpa attorno al collo. Odiava le sciarpe.

- Dici che tendo troppo a destra? -

- Sì –

Amedeo sorrise, preparando nuove palline e sistemandole ordinatamente sul bordo del banco:

- Prude, eh? -

- Cosa? –

- La sciarpa – specificò cautamente lui, guardandolo di sottecchi e attendendo una qualche reazione.

Marco strinse le labbra, l’espressione imperscrutabile:

- Un po’ -

- Allora perché la metti? –

- Lo sai perché –

Amedeo si concesse un sogghigno. Lieve.

- Non si è ancora tolto? -

- Il pennarello era indelebile –

- Non è neanche sbiadito un pochino? – ridacchiò il rosso sotto i baffi.

Marco non rispose, aggiustandosi ancora una volta la sciarpa rossa.

-Stasera la maratona è confermata? –

- Non cambiare discorso –

- Mi sto semplicemente informando – si strinse nelle spalle Marco, l’espressione angelica.

- Sì – si arrese Amedeo – Sì, tutto confermato –

- Casa tua? –

- Certamente –

- Perché non la facciamo da me, questa volta? – ghignò Marco, il sorriso saputo.

- Siete in troppi in quella casa –

- Per questo non ci vieni mai? –

Amedeo fremette, le labbra che impallidivano impercettibilmente:

- Cosa vuoi sentirti dire? – sibilò, scuro in volto.

- Non fare così – lo rimbrottò l’amico, sollevando leggermente le mani – Stiamo soltanto parlando –

- Durante la mia lezione, ci terrei a sottolineare –

Si voltarono entrambi verso la cattedra, presi in contropiede. E sorrisero.

- Professore! – esclamò Marco, l’espressione più innocente del mondo.

- Già – sorrise quello, pacato – Ci sono anch’io –

- Lo sappiamo, certo – intervenne Amedeo, annuendo anche per sottolineare il concetto.

- Non che la cosa deponga a vostro favore – ribatté il professore, aggiustandosi gli occhiali sul naso – Sapete almeno qual è l’argomento della lezione di oggi, o la vostra è semplice presenza fisica? –

I due si guardarono un attimo, questione di un istante, poi tornarono a fissare il professore. Sereni.

- Letteratura italiana – rispose Amedeo.

- Decisamente – approvò Marco.

Il professore sospirò, un mormorio divertito che si diffondeva nell’aula.

- Che ne dite di venire qui? – chiese allora, il tono che si faceva più serio, quasi duro.

- Lì? –

- Alla cattedra, intende? –

- Sì. Qui. Alla cattedra –

Nuovo scambio di sguardi, più veloce del precedente. Nuovi sorrisi. Terribili, semplicemente terribili.

- Perché? – chiesero in coro, spalancando innocentemente gli occhi.

- Per parlare un po’, tutto qui – si strinse nelle spalle il professore.

- Della maratona di questa sera? – domandò Amedeo.

- Guardi che parlavamo benissimo anche da qui – aggiunse Marco nello stesso momento, imperturbabile.

Le labbra del professore tremarono leggermente, gli angoli che per un istante accennarono impercettibilmente a tendersi verso l’alto. Scosse il capo, facendo un ultimo tentativo:

- E se parlassimo un po’ di letteratura italiana, invece? -

Lo scambio di sguardi questa volta non fu necessario.

- E se rimandassimo alla prossima volta, invece? – fece Marco, nicchiando con la testa.

- Manca davvero poco alla fine della giornata, sa? – continuò Amedeo.

- Meno di venti minuti – rincarò Marco, sbattendo ripetutamente le ciglia scure.

- Le va un caffè, per caso? –

- Lo andiamo a prendere immediatamente –

- Offriamo noi, è chiaro –

Il sorriso scappò, intrattenibile. Si affrettò a reprimerlo, le labbra che si piegavano in un broncio irritato.

- Poco zucchero – borbottò il professore – E una confezione di cracker -

Marco annuì, balzando in piedi e dirigendosi a passo spedito fuori dalla porta.

- Arrivano subito – sorrise magnanimo Amedeo, seguendolo a ruota.

 

 

- Il solito? -

Andrea sorrise, massaggiandosi le tempie:

- Sì, grazie -

- Mal di testa? – domandò Sofia, inclinando leggermente la testa di lato.

- Giusto un pochino –

Si voltò, osservando rapidamente i tavolini alle sue spalle: individuò facilmente quello che gli interessava.

- Spettegolano come al solito? – s’informò, giocando con le bustine dello zucchero.

- Sì – annuì Sofia, aggiustandosi i capelli – E fino a dieci minuti fa facevano sempre il tuo nome –

- Lo immaginavo – mugugnò lui – Sembra non abbiano altri argomenti di conversazione –

- Non si può dargli torto del resto –

Andrea sollevò il viso, sorpreso: cercò di incontrare gli occhi della ragazza ma lei li teneva fissi sul bancone.

- Sei un argomento molto interessante, no? – sussurrò Sofia, le gote che si infiammavano.

- Io… - balbettò il biondo, aprendo e chiudendo velocemente la bocca – Lo sai, non… -

- Non sei interessato – concluse per lui la ragazza.

- No – espirò Andrea, l’espressione contrita – Mi dispiace, davvero –

- Figurati – esclamò lei, alzando la voce e sollevando il viso – Il tuo amico, invece? Di lui che mi dici? –

- Salvatore? – sorrise Andrea, grato – Non saprei dirti, ma potrebbe non essere il buon partito che sembra

- E’ pericoloso come te? –

- Io non sono pericoloso –

- Lo credi tu –

Sofia gli porse il contenitore con il caffè e arricciò le labbra, l’espressione divertita:

- Arriverà il giorno in cui sarai interessato – mormorò, tenace.

- Non credo – ridacchiò appena Andrea, scuotendo la testa.

- Io non perdo le speranze –

Camminando a marcia indietro Andrea si strinse nelle spalle, ammiccando lievemente. Arriverà il giorno in cui mi sputerai nel caffè, pensò con un briciolo di preoccupazione.

- Ci prova ancora con te? -

- Non accenna a demordere, purtroppo – annuì, prendendo posto di fronte ai due.

- E’ un bel bocconcino – commentò Salvatore.

- E’ completamente ceca – ribatté Federica, roteando gli occhi – Com’è possibile che non abbia ancora afferrato il lieve particolare riguardante il tuo essere gay? –

- Perché non ci provi? – fece Salvatore, riflettendo – Potresti scoprire che non ti dispiace

- Non mi ascolti, allora – sbuffò Federica – Il fatto che è gay non lo prendete proprio in considerazione? –

- Ho detto provare, solo provare. Come fa a sapere che non è interessato se non ci prova? –

- Lo sa perché è gay – sillabò lei.

- Non può dire che qualcosa non gli piace se prima non l’assaggia –

Federica inarcò un sopracciglio, fissandolo con vivo disappunto; fece per aprire bocca, prontamente interrotta da Andrea:

- Di cosa parlavate? – chiese, sorridendo come se niente fosse.

- Di te –

- Non abbiamo altri argomenti in comune, purtroppo –

- Non interessanti quanto te –

Andrea sorseggiò il caffè, lanciando un’occhiata all’orologio:

- E quando non sarò più così interessante? -

Federica ridacchiò, scuotendo lievemente il capo come se avesse appena detto una barzelletta. Diede di gomito a Salvatore che rise a sua volta, sinceramente divertito:

- Come può accadere, Pinolo? -

- Tu non puoi diventare noioso, capisci? – sorrise Federica – Semplicemente non puoi

- Sarebbe contro la tua natura – rincarò l’amico – E’ più forte di te fare una cazzata dopo l’altra –

- Vi ringrazio – chinò il capo Andrea – Le vostre dolci parole mi rinfrancano sempre –

- E’ la dura verità –

- Non puoi farci niente –

- Anche voi non siete da meno, però – borbottò lui – Perché allora si parla sempre e solo di me? –

Federica aggrottò le sopracciglia, tamburellando nervosamente sul tavolo.

- Visto? – saltò su il biondo – Avevo ragione! -

- Cosa? –

- Che hai combinato? – esclamò, ignorando l’espressione basita di Salvatore.

- Non ho combinato un bel niente! – sbottò Federica, fulminandolo con lo sguardo – Sasà, aiutami tu

- Se è uscito di cotenna non posso farci un bel niente – fece spallucce lui.

- Ha tamburellato con le dita! – gesticolò Andrea – Ha tamburellato! Quando tamburella c’è sempre qualcosa che non va! Ho ragione, vero? Sì, che ho ragione! Che hai combinato, Fede?! Cosa… -

Si interruppe, le parole che gli morivano in gola non appena si rese conto degli sguardi degli amici fissi su di sé:

- Che… che c’è? – balbettò, non capendo.

E poi se ne accorse. Nella foga di gesticolare aveva alzato anche il braccio sinistro: quello che aveva tenuto per tutto il tempo fermo, immobile sotto il tavolo. Quello che si era ben premurato di nascondere. Invano.

Si ricompose, poggiando i gomiti sul ripiano e arricciando le labbra con disappunto:

- Sì – annuì fra sé e sé – Questa è l’ultima cazzata, temo -

 

 

- Per questo non ci vieni mai? -

Amedeo si appoggiò al muro, un sogghigno esasperato che gli piegava le labbra:

- Come? Come diavolo fai, me lo spieghi? -

- A fare cosa? –

- A riprendere esattamente lo stesso discorso, nello stesso momento, con le stesse parole –

Marco si strinse nelle spalle, poggiandosi al suo fianco:

- Non lo so – borbottò poco dopo – Credo sia un’abilità innata -

- Già –

- Dobbiamo prendere il caffè – mormorò Marco lanciando un’occhiata alla macchinetta poco lontana.

- E i cracker –

- E tu devi rispondermi –

- Sei insopportabile! – scattò Amedeo, assestandogli un pugno sulla spalla – Quando io cerco di parlare con te di qualcosa di serio non riesco a cavarti una parola di bocca, perché poi io dovrei risponderti, allora?!

- Quando mai tu cerchi di parlarmi di qualcosa di serio? –

- Sono serio, Marco –

- Siamo passati ai giochi di parole? –

- Di chi è quel numero che hai tatuato sul collo? –

- Di un amico –

- Vedi? Vedi?! Tu non rispondi io non rispondo – e si alzò in piedi, inserendo le monetine nell’apposita fessura.

- Si chiama Andrea –

Amedeo fece finta di non aver sentito, il piede che batteva ritmicamente sul pavimento. Attendeva.

- Siamo usciti insieme sabato sera -

- E…? –

- E niente. C’era Silvia con noi – borbottò Marco, serrando le labbra.

- Non sei il tipo che si fa fermare dalla presenza di una bambina –

- Ci ha bloccati un suo amico – soffiò allora – Contento? –

- Non direi –

- Deo! Che altro vuoi? –

- Che non mi parli solo di stronzate! –

- Non lo faccio! –

Il caffè cominciò a uscire, riempiendo il bicchierino di carta. Respirarono entrambi, cercando di calmarsi.

- Carte scoperte? - chiese Marco quando la tensione sembrò essersi allentata.

Amedeo annuì, le dita che giocavano con i boccoli rossi.

- Perché non vieni più a casa mia? -

- Lo sai il perché –

- E tu sai come la penso – ribatté rapido Marco, lo sguardo acceso.

- Non mi interessa –

- Ti piace Rebecca –

- E’ soltanto una cotta, per l’amor del Cielo! –

- Non è vero –

- Da che parte stai, si può sapere? –

Marco sembrò riflettere su quella domanda, un silenzio di pochi istanti che aleggiava fra di loro:

- Dalla mia, mi pare ovvio –

- Non posso provarci con tua sorella – sbottò Amedeo – Non dovrebbe nemmeno piacermi, se è per questo! –

- Cosa vai farneticando? Ti ho detto che a me sta bene, Deo! E poi… io tuo fratello l’ho palpeggiato, tu non te la sei mica presa, no? Non hai fatto una piega –

- Ti ha dato un pugno – gli rammentò il rosso – La piega l’ha fatta lui –

- Questo cosa c’entra, adesso? –

- Hai tirato tu in ballo l’argomento –

- Stavamo parlando di Rebecca – riprese Marco – A me sta bene se… -

- E’ a me che non sta bene –

- Perché? –

- Perché se qualcosa dovesse andare storto tu dovresti scegliere da che parti schierarti – fece Amedeo, il tono piatto, senza guardarlo negli occhi. Sospirò, carezzandosi il mento:

- E tu chi sceglieresti, eh? – sorrise tristemente – Il tuo amico o tua sorella? –

Marco non rispose, improvvisamente a corto di parole.

- Quante volte sei uscito con questo Andrea? -

- Una… - biascicò lui, grato del repentino cambiamento – Solo sabato –

- E quand’è che ti ha tatuato il numero, allora? –

- Non era una vera uscita, quella –

- Da quanto vi vedete, allora? –

- Lo sai che usi allora come intercalare, Deo? Diventi ripetitivo –

- Quanto? –

- Meno di una settimana, credo. Non è che conto i giorni, lo sai? -

- Quanti anni ha? –

- Una ventina –

- Quanti? –

- Ventitre, mi sembra – sospirò, prendendo il caffè e facendogli cenno di prendere i cracker.

- Lo sa che non sei ancora maggiorenne? –

- Perché voialtri vi fate tanti problemi per l’età, eh? E’ solo una questione anagrafica alla fin fine

- Allora? –

Marco sorrise, roteando gli occhi:

- Allora? Allora sì, lo sa. E sa anche che mercoledì compio i diciotto -

- Oh – fece Amedeo, cambiando improvvisamente espressione – Hai già qualche idea per mercoledì? –

- Non ancora – rispose lui, aprendo la porta.

Senza fiatare posarono caffè e cracker sulla cattedra, un ultimo sorriso al professore e tornarono spediti ai loro posti. Cinque minuti alla campanella.

- Cinema? – propose Amedeo a bassa voce – Faro? -

Marco scosse il capo, rifiutando entrambe le proposte; strinse una pallina fra due dita e prese la mira: dopo un istante sembrò ripensarci e la prese di nuovo, spostata leggermente a sinistra.

La pallina spiccò il volo e centrò il cestino.

 

 

- Fa male? – guaì Federica, carezzandogli la mano.

- Certo che fa male – grugnì Salvatore – Si è slogato il polso, sicuro non gli fa bene –

- Non è niente –

- Come ho fatto a non vedere la fasciatura? – gemette lei, gli occhioni chiari spalancati.

- La nascondeva, l’idiota. Si può sapere come… -

- Stavo cadendo – lo interruppe Andrea, stringendosi nelle spalle.

- Stavi cadendo – ripeté Salvatore, inarcando le folte sopracciglia scure – Da dove, di grazia? –

- Una casa sull’albero –

- E cosa ci facevi su una casa sull’albero? –

- Mungevo una mucca – ribatté acido il biondo – Cosa ci dovevo fare, eh? –

- Non soffrivi di vertigini, tu? – s’intromise di colpo Federica, l’espressione assorta.

- Sì che soffre di vertigini, lui – soffiò Salvatore – Quello che mi chiedo è quand’è che hai perso anche gli ultimi neuroni funzionanti – ringhiò poi in direzione dell’amico.

- Solo perché sono salito su un albero? –

- No. Perché stavi cadendo da quell’albero –

- Non è che l’ho fatto apposta –

- Non è colpa sua, infatti! – esclamò Federica, continuando a tenere gentilmente il polso fasciato fra le mani.

- E’ colpa di chi ce lo ha fatto salire –

Andrea si zittì, la presa di Federica che aumentava mentre la comprensione si faceva strada sul suo volto.

- Oh! – scattò, sbattendo più volte le ciglia e lasciando andare immediatamente il polso.

- Ahi – biascicò il biondo, una smorfia di dolore che gli piegava le labbra.

- Stiamo parlando di Marco? – si stupì Federica, ignorandolo totalmente – E’ con lui che… la casa... l’albero… no, un momento, devo raccogliere le idee. Non ci sto capendo più niente –

- Non mi ha costretto a salire – disse Andrea, rivolgendosi all’amico.

- Lo hai fatto, però –

- Di mia volontà e in pieno possesso delle mie facoltà mentali –

- Sulla seconda parte ho dei dubbi da sempre –

- Volete aspettarmi, per cortesia? – esclamò Federica, contrariata – Non osate escludermi, eh! –

- Quindi stavi cadendo – riprese Salvatore, ignorandola.

- Sì –

- Così, per caso –

- Devo aver messo un piede in fallo – borbottò lui – Non era un tentativo di suicidio se è a quello che vuoi arrivare –

- Non era mia intenzione –

- Non era nemmeno un tentato omicidio –

- Ne sei sicuro? – ghignò Salvatore, gemendo sottovoce per il pizzico che Federica gli aveva rifilato.

- Mi ha preso lui –

- Prego? Siamo passati a descrivere una qualche attività sessuale? –

- Sasà! – sbottò Andrea, inviperito – Mi ha evitato una gran brutta caduta, okay? L’unico danno è stato al polso ma non poteva essere altrimenti, no? –

- Quindi ora sei anche in debito con lui? –

- Per l’amor del cielo! Che problema hai con quel ragazzino, si può sapere? –

- Nessun problema –

- Un attimo, un secondo, un istante! – eruppe Federica, ottenendo finalmente il silenzio.

Fissò Andrea con gli occhioni luccicanti e squittì:

- Ti ha salvato lui? -

Salvatore sospirò esasperato, alzandosi in piedi e lasciando una banconota da cinquanta sul tavolo:

- Devo andare – borbottò, accennando un saluto con il mento.

Andrea chiuse gli occhi, reclinando il capo all’indietro:

- Ah, Sasà – mugugnò, prendendo un bel respiro.

- Ti ha salvato lui? – ripeté Federica, ignorando tutto il resto – Davvero? –

Le luccicavano gli occhi, le labbra tese leggermente in avanti mentre gli afferrava di nuovo la mano:

- Allora? -

- Sì – rispose Andrea, arrendendosi – Sì, è stato lui. Mi ha preso per il polso quando già mi stavo preparando a un duro scontro con il terreno

- Oh, oddio, oddio, oddio! – sussurrò Federica, gli occhi che si riempivano di lacrime – Dolci, voialtri siete così dannatamente dolci! – esclamò, scoppiando definitivamente a piangere.

Andrea annuì fra sé e sé, piegandosi verso di lei:

- Ora mi racconti cos’è successo? - le domandò sottovoce, alzandole il mento con la mano libera.

- Niente – biascicò lei, le lacrime che continuavano a rigarle il viso.

- Sto aspettando, Fede –

- Niente –

- Non fare così – ridacchiò Andrea, avvicinando la sedia alla sua e avvolgendola con un braccio non appena fu scossa da un singhiozzo – Io ti racconto tutte le mie sventure, no? –

- Non è la stessa cosa – borbottò lei, tirando su con il naso.

- Ah, no? –

- No – e poggiò il capo sulla spalla dell’amico – Una cosa è quando succedono a te e tutt’altra e quando invece succedono a me –

- Hai ragione – rise lui, accarezzandole i lunghi capelli castani.

- Poi mi diresti te l’avevo detto – piagnucolò lei – Sai che non lo sopporto –

- Non lo avrei detto – la corresse Andrea – Non adesso che stai piangendo, almeno. Dopo sicuramente –

Una risatina le scappò dalle labbra tremanti:

- Giusto – sorrise incerta – Quindi ascolterai in silenzio? -

- Non prometto niente –

- Gli è squillato il cellulare, ieri sera – singhiozzò Federica, parlando a scatti – Lui era in bagno, così… così mi sono permessa di rispondere –

- Mai rispondere al cellulare altrui – borbottò Andrea, poggiandole le labbra sui capelli.

- Zitto – intimò lei, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano – Siete tutti stronzi, voi uomini! Tutti la stessa dannatissima razza di stronzi! –

- Siamo passati alla rabbia? –

- Ho risposto e una voce femminile ha chiesto di lui, capisci? Una donna! –

- Non ti ha sfiorato l’idea che potesse essere la madre, la zia, la sorella… la nonna, che so? –

- Languida, strafottente – continuò lei, ignorandolo totalmente – L’ho mandata a quel paese e ho aspettato che tornasse per chiedergli spiegazioni –

- Dov’eri? –

Federica si sollevò appena, l’espressione sorpresa:

- In cucina, perché? -

- Avevi un coltello in mano, non è vero? Voi donne tendete sempre a tenere in mano oggetti contundenti

- La smetti di fare il cretino? – sbottò lei, assestandogli uno spintone.

- Ce lo avevi il coltello, però, vero? –

- Vuoi sentire il resto o no? –

- Ha confermato di avere un’altra donna –

E gli occhi tornarono a inumidirsi, ingrandendosi come quelli di Bambi:

- Sì –

- Tu avevi un coltello in mano, però – affermò lui, sicuro – Altrimenti non si spiega un’ammissione di colpa così rapida –

- Sì, sì, sì – sbottò Federica – E gliel’ho pure lanciato contro, se è per questo! –

- Oh – fece Andrea, abbassandosi verso l’orecchio di lei e cominciando a bisbigliare – Ti serve una mano per occultare il cadavere, per caso? –

- No, grazie – rise lei, accomodandosi meglio contro di lui – Sarà per la prossima volta –

Andrea la strinse un po’ di più, limitandosi ad annuire.

- Parla, dai – sussurrò lei senza spostarsi di un centimetro.

- Non mi preferivi muto come un pesce? –

- E’ l’unica opportunità che ti do –

- Allora parlo – decise il biondo, schioccando la lingua e raggruppando i pensieri. Era sempre stato difficile affrontare quel  con Federica: sempre lo stesso, ogni volta più duro. Non poteva evitarlo, però.

- Dai troppa fiducia, troppo presto. Ti concedi totalmente, non devi fare così. Non sono tutte brave persone, lo hai capito ormai, no? Non esistono i principi azzurri delle favole. Così come non ci sono persone perfette. Devi solo impegnarti a cercare quella con meno difetti, okay? Quella i cui difetti imparerai ad amare… se continui a dare tutta te stessa ogni volta, piccola mia, non potrai fare altro che uscirne ferita. Sempre –

Federica aveva chiuso gli occhi, la convinzione che quelle parole non fossero altro che un mucchio di stronzate.

Un fondo di verità c’era, per carità. Niente più che un fondo, però.

Sospirò, guardandolo dal basso in alto e sussurrando:

- La prossima volta prendo meglio la mira -

 

§

 

Aumentate sempre, lo sapete?
Com’è possibile, mi chiedo. Cioè: parliamo di una storiella malsana e alquanto perversa, con due rincitrulliti che insieme non fanno un cervello e un branco di mentalmente instabili che fanno da contorno… com’è che vi attira in così tanti, eh? In caso di perdita del senno non voglio avervi sulla coscienza, mi raccomando u.u
Detto ciò, aggiungo solo un’ultima cosa: grazie.
Grazie per la vostra dolcezza, per il supporto che mi date e le risate che riuscite a strapparmi *-*
Non smettete mai,

Sara

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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