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Autore: OLDLADY    03/10/2012    7 recensioni
Può un amore che nasce salvare un mondo che muore? Kurt e Blaine avranno solo pochi giorni per scoprirlo...
***
Il ragazzo trasse un profondo respiro e aprì gli occhi.
C’erano solo due certezze in quel momento: sopra di lui il cielo era limpido e sotto di lui il cemento era freddo.
Ma perché se ne stava sdraiato per terra?
...Alla sua sinistra c’era un edificio a due piani, con tante finestre ed una scala esterna, di fronte una gradinata e tutto intorno dei tavoli su cui qualche studente era seduto, intento a consumare il pranzo.
Ma…perché nessuno si muoveva?
Genere: Drammatico, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Il ragazzo trasse un profondo respiro e aprì gli occhi.

C’erano solo due certezze in quel momento: sopra di lui il cielo era limpido e sotto di lui il cemento era freddo.

Ma perché se ne stava sdraiato per terra, con addosso solo una camicia leggera, che sicuramente ormai si era sgualcita irrimediabilmente?Che cos’era successo?
Provando a tirarsi su il ragazzo si accorse che la testa gli girava leggermente e un senso di vertigine lo faceva sentire poco saldo al suolo. La cosa più fastidiosa però  non era tanto quello o il fischio nelle orecchie- stridulo come una locomotiva- e neanche quel sapore di inchiostro amaro in bocca, ma il totale smarrimento che lo invase quando si guardò intorno.

Alla sua sinistra c’era un edificio a due piani, con tante finestre ed una scala esterna, di fronte a lui una gradinata e tutto intorno dei tavoli su cui qualche studente era seduto, intento a consumare il pranzo.

Ma…perché nessuno si muoveva?

La ragazza lì vicino, ad esempio, quella con il cerchietto per capelli dal fiocco vistoso, se ne stava con il suo cartone del latte sospeso a mezz’aria,  congelata nell’atto di portare la cannuccia alla bocca.

E lì accanto quella piccola brunetta col naso pronunciato si sporgeva come per sussurrare alla sua amica un segreto che non si decideva ad uscire dalle sue labbra.

-Ma che diavolo…-biascicò il ragazzo, abbracciando con lo sguardo tutto il cortile di quella che, senza ombra di dubbio, era una scuola superiore dove ogni singolo studente era… come dire… sì, non c’era ombra di dubbio… ogni studente era pietrificato!
Immobile come una statua.

Sembrava uno spaventoso telefilm di fantascienza degli anni quaranta, uno di quelli dove gli alieni fanno strani esperimenti sugli umani. E infatti non c’era umano in quel cortile che non fosse paralizzato, con lo sguardo fisso, come colpito da un raggio congelante marziano.

Raggio congelante marziano?
“Buon Dio, penso come un nerd, mi sembro Art…” il nome scomparve dai suoi pensieri nell’istante successivo in cui lo stava formulando e questo gap fece diventare il sapore che aveva in bocca ancora più amaro, se possibile.

Quella era pura follia, pensò il ragazzo, mentre un moto di panico lo invadeva. Come era possibile che un nome si cancellasse dalla sua testa in quel modo, prima ancora che finisse di pensarlo? E perché il mondo intorno a lui sembrava un film in pausa? Ma soprattutto, come poteva fare lui a far ripartire…tutto quanto?

-Aiuto- sussurrò, quasi senza fiato portandosi le mani tremanti alla bocca. –Devo trovare qualcuno che mi aiuti…

Eppure il ragazzo non riusciva a muoversi, forse si stava pietrificando anche lui?

In quell’istante una folata di vento gelido investì il cortile, spazzando alcuni fogli  appoggiati proprio sul tavolo delle ragazze -quella col cerchietto e quella col nasone- che volando via lo schiaffeggiarono in pieno viso.

La mano del ragazzo scattò automaticamente per acchiappare al volo uno di quei fogli (uno spartito, notò inconsciamente)  e con quel gesto involontario il suo corpo si scrollò dal torpore.

“Sì, sì, adesso io vado a cercare aiuto. Sicuramente c’è una spiegazione razionale a tutto questo” pensò di nuovo, ficcandosi il foglio a fatica nella tasca dei jeans (ma perché erano così stretti?) e barcollando verso l’interno dell’edificio.

Ben presto si ritrovò a correre, sempre più spaventato e smarrito quando si accorse che dentro le cose erano esattamente come all’esterno. Ragazzi fulminati nell’atto di chiacchierare per i corridoi, appoggiati contro gli armadietti, seduti nei banchi delle classi. Tutti con un’espressione intenta in volto, tutti presi in quello che stavano facendo (chi rideva, chi studiava, chi chiacchierava) con l’unico problema che erano tutti statici.
Come se il tempo si fosse fermato.

Il ragazzo, terrorizzato,  si appoggiò ad un armadietto, cercando di non farsi sopraffare dalle lacrime.

*** 

- C’è nessuno ancora vivo, in questo posto del cavolo?- gridò ad un tratto una voce agitata, una specie di lamento proveniente da una zona imprecisata alle sue spalle che riecheggiò inquietante per tutta la scuola.
Al ragazzo, in quel momento di sconforto, quell’urlo quasi disumano sembrò il suono di mille violini celestiali, una sinfonia sublime, un inno di gioia. La marcia trionfale dell’Aida mixata con la Marsigliese.
-Sì! Sì!Ci sono io! Quaggiù! Sono quaggiù! Vicino agli armadietti!

-Sto arrivando! Non ti muovere! Anzi no, muoviti se no non capisco quale sei!

Ed ecco sbucare, da una porta un po’ più avanti, un altro ragazzo, tutto trafelato, che si guardò intorno smarrito.

-Quaggiù! Quaggiù!- si sbracciò lui.

L’altro lo individuò subito e si precipitò nella sua direzione.

E appena si fece più vicino fu come se nulla importasse più davvero.
Il fatto che non riusciva a ricordare niente, neanche un nome? Neanche il proprio? Quisquiglie.
Non avere idea di dove si trovasse e perché? Dettagli.
Tutta quella gente congelata? Cose che capitano.
Ma di fronte a lui ora c’era una cosa che il ragazzo non sapeva definire, non sapeva dire cosa fosse, ma tutto il suo essere, fin nel profondo, gli urlava di guardare bene e stare in campana: quello lì davanti, non era una cosa  che capita.
Quel bellissimo ragazzo moro con gli occhi d’ambra che lo stava fissando a sua volta, quello non poteva essere né una quisquiglia, né un dettaglio.
E non poteva essere un caso che, appena i loro sguardi si erano agganciati, la sua mente si era snebbiata per una frazione di secondo, restituendogli il proprio nome.

- Io mi chiamo Kurt!- esclamò il ragazzo, meravigliato. Come era possibile che fino a quel momento non riuscisse a mettere a fuoco il suo stesso nome?

Il ragazzo di fronte a lui spalancò gli occhi e annaspò per un attimo, prima di portarsi la mano alla fronte, come se cercasse di far saltar fuori dalla sua testa la soluzione di una complicata equazione.

Strizzò gli occhi per lo sforzo e un ricciolo indisciplinato sfuggì alla prigione di gel che era la sua testa.

Kurt, quasi senza pensarci, gli sfiorò il dorso della mano e, a quella vicinanza, per un attimo tra i loro palmi brillò una piccola scintilla azzurra. L’altro spalancò gli occhi di scatto, allontanando la mano.

-Hai visto quella scin…

-Blaine- esclamò il ragazzo.- Io mi chiamo Blaine!

*** 

-Chi l’avrebbe mai detto che nella dispensa della scuola ci fosse tutto questo ben di Dio!- esclamò Blaine meravigliato e quasi euforico, chiudendo l’ennesima credenza. – Guarda qua!  Pane in cassetta, barattoli di pomodori, cibo surgelato, pacchi di biscotti! Si potrebbe sfamare un esercito per mesi con tutta questa roba.

Kurt non sembrava altrettanto entusiasta, anzi si lasciò cadere su uno sgabello, accanto ad una cassetta di zucchine, stanco e di malumore.

- E’ bello sapere che non moriremo di fame, ma eravamo venuti qua dietro per cercare del caffè, e l’unica cosa che finora non abbiamo trovato…è il caffè!

Avevano passato l’ultima ora tentando di uscire dalla scuola, con scarsi risultati. Il liceo McKinley –avevano scoperto facilmente il nome – era impossibile da oltrepassare, come se fosse circondato da una barriera invisibile che non permetteva loro di andare oltre ai suoi confini istituzionali. Uscire dall’ingresso era fuori discussione, si finiva con lo sbattere contro una specie di muro trasparente. Passando dal retro si erano spinti fino al campo da football, ma anche lì, terminato il prato era terminata la gita: nessuno dei due era riuscito a fare un passo oltre l’area di meta.

Avevano così deciso di provare a ragionare sul da farsi di fronte ad una tazza di caffè, nel tentativo di riordinare le idee e riacquistare il sangue freddo. E dal momento che il distributore automatico della mensa si era rivelato rotto ora erano lì, nelle cucine, a cercarne un po’.

Blaine continuava ad aprire e chiudere sportelli a destra e a sinistra, non perché avvertisse davvero il bisogno di caffeina, ma perché voleva tenersi occupato.
Kurt dal canto suo sembrava spaventato a morte ma anche così, scosso e sperduto, con il colorito più pallido del solito, era ugualmente bellissimo e sconvolgente.

-Che ne dici di provare in sala professori?- chiese Blaine con gentilezza, riscuotendolo.

-Sì, giusto- rispose Kurt riavendosi un po’. Qualche piccolo flash gli stava tornando in mente.  –Mi pare che lì ce ne sia una che funziona.

Si avviarono da quella parte, e Blaine rimase indietro per richiudere la porta della cucina alle sue spalle, senza staccare però gli occhi da Kurt che, inconsapevole del suo sguardo, lo precedeva.

Prima aveva fatto finta di non accorgersene ma,quando le loro mani si erano sfiorate, l’aveva vista eccome quella piccola scintilla azzurra. Blaine doveva fare più attenzione. C’era mancato poco, troppo poco, che accadesse un disastro.
Il problema era che da quando si era svegliato, poco prima, disteso sul palco dell’auditorium, la sua testa era confusa, i suoi pensieri poco nitidi e aveva scarso controllo sulle cose che sapeva di dover tenere a bada. Kurt non doveva scoprire niente sulla luce azzurra, e doveva assolutamente credere che anche lui fosse all’oscuro di quello che stava capitando.
Per fortuna i loro palmi non si erano toccati, Blaine non era assolutamente pronto per quello.

  
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