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Autore: jas_    04/10/2012    19 recensioni
«Allora, mi vuoi dire o no come mai ci hai messo così tanto a prendere una baguette? Nessuna conoscenza?» mi domandò Carmela, appoggiando le mani sui fianchi.
Alzai gli occhi al cielo, «no» brontolai.
Rimanemmo in silenzio alcuni secondi, «anzi, adesso che ci penso sì» mi corressi. «Non è che sia una conoscenza - precisai - diciamo che ho scoperto che la ragazza che lavora lì è del South Carolina.»
Carmela batté le mani entusiasta, risi lievemente chiedendomi se avesse davvero cinquant’anni quella donna perché a volte ne mostrava venti per come si comportava.
Si sedette nel posto accanto al mio scrutandomi seria, «e dimmi, è carina?»
Scoppiai a ridere piegandomi leggermente in avanti, «ma che c’entra! Non la conosco e non sono interessato!» esclamai, «però sì.»
«E cos’aspetti ad approfondire la conoscenza?»
La guardai sottecchi aspettando che scoppiasse a ridere da un momento all’altro o che mi dicesse “Harry sto scherzando!”, invece era estremamente seria.
«Tra dieci giorni me ne vado» constatai.
«E quindi? Dieci giorni sono più che sufficienti per innamorarsi!»
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Harry e Lennon'
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Giorno 5
 

26 Dicembre

Harry

 
Sgattaiolai di nascosto fuori di casa approfittando del chiasso che Carmela stava facendo, un po’ con l’aspirapolvere, e un po’ con le sue canzoni sudamericane che rimbombavano al massimo dalle casse dello stereo della sala. Mi misi la giacca e feci fare un giro alla sciarpa attorno al collo mentre scendevo di fretta le scale per dirigermi in panetteria.
Erano solo le nove eppure ero così attivo che non mi sentivo nemmeno me stesso. Il motivo di tutta quell’iperattività così, appena sveglio, in realtà era solo uno: mio padre.
Il giorno precedente ero tornato a casa prima di lui e avevo approfittato della cosa per mangiare velocemente due toast, prendere una bottiglia di coca-cola, un pacchetto di patatine e rinchiudermi in camera. Avevo passato la serata a messaggiare con Lennon, ingozzarmi di cibi malsani e guardare film scadenti sulle vacanze natalizie. Probabilmente mi ero addormentato prima che lui arrivasse dato che non l’avevo sentito rincasare. Mancavano cinque giorni al mio ritorno a casa e non mi sarebbe stato difficile evitarlo per il resto della vacanza dato che era sempre impegnato.
Entrai nella panetteria notando con piacere che era vuota, così mi avvicinai velocemente al bancone e ordinai dieci croissant. Forse erano troppi, ma non volevo fare la figura del taccagno e portarli contati a casa di Lennon. Inoltre suo padre era un uomo abbastanza in forma, e il fratello ero certo ne avrebbe mangiati due se non di più. E poi, come diceva il proverbio? Meglio abbondare che decifere.
Mezz’ora dopo, circa, ero davanti alla porta di casa loro, guardai l’ora prima di bussare. Erano le dieci, impossibile che dormissero ancora tutti. O almeno credevo. E speravo.
Alcuni secondi dopo venne Joseph ad aprirmi, mi sorrise mettendo in mostra la sua bocca un po’ sdentata. Gli arruffai leggermente i capelli salutandolo, «c’è Lennon?» gli domandai poi.
Lui annuì spostandosi dalla porta per farmi entrare, «sta ancora dormendo» spiegò, trotterellando verso il divano dal quale probabilmente si era alzato per venire ad aprirmi.
«Joseph chi è?» sentii sua madre domandare dalla cucina.
La raggiunsi, «buongiorno signora» le dissi, mostrandole uno dei miei migliori sorrisi, «vi ho portato dei croissant per sdebitarmi per il gustoso pranzo di ieri» spiegai, appoggiando il sacchetto sul tavolo che lei stava apparecchiando.
La donna si sventolò la mano davanti al viso, «figurati Harry, è stato un piacere averti con noi. E chiamami pure Carla.»
Annuii mettendomi le mani nelle tasche dei jeans che indossavo e cominciando a guardarmi in giro un po’ distratto.
«Ah, Lennon dorme ancora. Puoi andare a svegliarla per piacere? Tra poco è pronta la colazione» aggiunse Carla, tornando ai fornelli. «Mangi qua, vero?»
«Ehm... Sì» dissi poco convinto, prima di dirigermi verso la camera di Lennon.
Bussai piano alcune volte ma non sentendo risposta aprii lentamente la porta e mi avvicinai al letto.
Lennon dormiva beata, il piumino che la copriva fino a sotto il mento, i capelli arruffati, sparsi su tutto il cuscino e un’espressione tranquilla dipinta sul volto.
Sorrisi nel vederla così pacata e beata, chissà cosa stava sognando, pensai. Per quanto mi dispiacesse doverla svegliare, avvicinai la mano alla sua spalla per strattonarla leggermente ma prima che la sfiorassi lei mugugnò qualcosa di incomprensibile. Mi arrestai.
«Harry...»
Strabuzzai gli occhi abbassandomi all’altezza del suo viso, mi stava chiamando?
«Harry ti prego non andare» farfugliò.
Non sapevo cosa fare, avevo sentito dire che non bisognava svegliare i sonnambuli, ma Lennon era sonnambula? Insomma, stava soltanto parlando nel sonno. Stava chiamando me...
O forse era in uno stato di dormiveglia e mi aveva visto entrare. Però non aveva aperto gli occhi, pensai. E io non stavo andando da nessuna parte. Perché doveva pregarmi di non andarmene?
Prima che potessi raggiungere qualunque conclusione sensata, Lennon cominciò ad agitarsi sotto le coperte e vidi i suoi occhi aprirsi lentamente.
Aggrottò leggermente la fronte mentre mi metteva a fuoco, «Harry?!» domandò poi, sorpresa e confusa allo stesso tempo.
Mi strinsi nelle spalle e le sorrisi, «sono venuto a trovarti» mi giustificai, alzandomi.
Lennon si tirò leggermente su, stropicciandosi gli occhi ancora leggermente assopiti.
«Alle otto di mattina?» domandò, confusa.
Risi, «guarda che sono le dieci passate.»
Lennon strabuzzò gli occhi, scostando con un gesto secco le coperte di dosso e alzandosi di scatto. Feci un passo indietro sorpreso da tutte quella fretta e mi accorsi solo dopo del fatto che era soltanto in maglietta e slip. Anche lei sembrò rendersene conto soltanto dopo, quando cercò invano di allungare la maglietta almeno fino a metà coscia arrossendo visibilmente.
«Stai calma, non sei la prima ragazza che vedo in mutande» la tranquillizzai, voltandomi per uscire dalla stanza, «e comunque, belle le mutande!» dissi, prima chiudermi la porta alle spalle.
Tornai in cucina che il tavolo era imbandito di ogni ben di Dio, «ci sono ospiti oltre a me?» domandai divertito a Carla.
Lei mi sorrise, mi accorsi solo in quel momento di quanto assomigliasse alla figlia. O meglio, di quanto la figlia assomigliasse a lei. Stessi lineamenti fini, naso alla francese e labbra sottili. Il colore e la forma degli occhi, invece, Lennon li aveva presi dal padre.
«Joseph, vieni qua che la colazione è pronta» lo chiamò la madre.
Il bambino arrivò alcuni secondi dopo trascinando svogliatamente i piedi prima di lasciarsi andare su una sedia e lasciarsi versare il latte nella tazza.
«Harry, siediti pure» mi invitò Carla, «vuoi caffè?» annuii.
In quel momento arrivò anche Lennon, che nel frattempo si era vestita.
«Buongiorno» farfugliò, ancora un po’ nel mondo dei sogni, sedendosi esattamente di fronte a me.
La osservai in silenzio, nonostante fosse mezza addormentata, coi capelli un po’ spettinati e struccata, mi ritrovai quasi a contemplarla, e dovetti rassettarmi immediatamente quando lei mi sventolò la mano davanti agli occhi.
«Scusa, mi ero incantato» mi giustificai, sentendomi avvampare.
Lennon rise, «a quanto pare non sono l’unica mezza addormentata» mi prese in giro.
«Harry è stato così gentile da portarci i croissant» spiegò Carla, con un accenno di rimproverò nella voce.
La figlia alzò gli occhi al cielo, prendendone uno dal centro del tavolo.
«Grazie Harry» mi disse poi, scandendo bene le parole, prima di dargli un morso.
Le sorrisi distratto e bevvi un sorso di caffè.
«Dove sono papà e la nonna?» domandò Lennon con la bocca piena.
«Sono andati all’ospedale, la nonna deve fare degli esami prima che partiamo» le rispose la madre.
Assistetti in silenzio al loro discorso, prima di partire per dove? Quando? Andavano via per Capodanno? Lennon non mi aveva detto niente. O forse se ne sarebbero andati dopo il mio ritorno a Londra quindi la cosa non m’interessava. Oppure se n’era dimenticata.
«Dove andate di bello?» domandai a Lennon.
La vidi irrigidirsi alle mie parole e la cosa non mi tranquillizzò per niente, anzi.
«Andiamo a Saint Nazaire» l’anticipò la madre, «mia sorella vive là e ci ha invitati a trascorrere il Capodanno da lei.»
Sforzai un sorriso nonostante stessi ribollendo dalla rabbia. Perché nascondermi una cosa del genere che avrei comunque scoperto prima o poi?
«Lennon non ti ha detto niente?» continuò la donna, notando probabilmente il mio sgomento.
Scossi la testa lanciando uno sguardo di fuoco alla figlia che si limitò a guardare altrove.
«No, niente» dissi deciso, scandendo bene le parole, e senza scollarle gli occhi di dosso.
Carla sussultò, «oh...» disse, sorpresa anche lei.
«Quando partite?» continuai.
«Dopodomani.»
Questa volta fu Lennon a parlare, probabilmente la lingua non gliel’aveva tagliata nessuno ed era ancora in grado di comunicare.
«Interessante» mi limitai a dire, con tono neutro, finendo il caffè che avevo nella tazza.
Mi alzai con calma e mi misi il cappotto fingendo di guardare l’ora, «è meglio che ora vada. Grazie per la colazione, il caffè era squisito» dissi, prima di dirigermi velocemente verso la porta.
Mi sentivo preso in giro, com’era possibile che Lennon mi avesse mentito per tutto quel tempo? Okay, forse ero un po’ esagerato, ci conoscevamo da soli cinque giorni ma in quel poco tempo mi ero legato a lei più di quanto avessi mai fatto con altre persone con cui ero rimasto a contatto molto di più. Mi sembrava di conoscerla da una vita, adoravo passare le giornate con lei. Era così divertente, allegra, simpatica e alla mano. Era diversa da tutte quelle ragazze con la puzza sotto il naso che frequentavo in Inghilterra. Sospirai facendo uscire una nuvola di condensa dalla mia bocca mentre iniziavo a incamminarmi per il marciapiede.
«Harry!» mi sentii chiamare.
Era inconfondibile quella voce, tuttavia non mi voltai.
«Harry dannazione sono senza scarpe! Vieni qua se non vuoi che muoia di broncopolmonite. Potresti avermi sulla coscienza a vita.»
Sorrisi a mio malgrado e mi voltai, vedendo il corpo esile di Lennon avvolto soltanto da un maglione di lana decisamente troppo grande per lei e dei pantaloni della tuta piuttosto leggeri.
Ai piedi indossava soltanto un paio di calze verdi, ed era sulla neve.
Mi avvicinai velocemente a lei, «torna dentro, non voglio sensi di colpa» la ripresi, col tono più duro che riuscii a fare. Lei obbedì e si appoggiò al portone mentre io rimasi sul marciapiede.
«Ora riesci a parlare?» le domandai, rude. «Non mi sembra che tu abbia problemi di comunicazione, anzi» la ripresi.
Lennon abbassò la testa evidentemente dispiaciuta, la leggerezza con cui mi aveva parlato alcuni secondi minuti prima era sparita. Mi sentii in colpa nonostante sapessi che non ero io ad essere dalla parte del torto.
«Perché non me l’hai detto?» domandai, addolcendo il tono della voce.
La sentii sospirare prima che alzasse la testa incrociando il mio sguardo. I suoi occhi azzurri erano cupi, l’allegria che si portavano sempre appresso era scomparsa.
«Non volevo che ti arrabbiassi» mormorò.
«E secondo te sono felice ora? Pensavi che non l’avrei mai scoperto? Avevi intenzione di sparire da un momento all’altro?» domandai, alzando a mio malgrado il tono della voce.
Lennon si mise a braccia conserte, probabilmente più per il freddo che entrava dalla porta aperta che per un atteggiamento di sfida.
«No» sussurrò, così piano che feci fatica a sentirla.
«E allora perché?» Cercai di essere il più apprensivo possibile.
«Avevo paura della tua reazione, che reagissi come... Ora.»
Sospirai passandomi una mano tra i capelli, «non è colpa tua se avete organizzato questo viaggio, come avrei potuto arrabbiarmi con te? Ora lo sono perché hai fatto finta di niente e mi hai nascosto tutto!»
«Cosa cambia? Che io parta dopodomani o no tu tra poco te ne vai!»
Alzai gli occhi al cielo, quanto poteva essere testarda quella ragazza?
«Okay, allora lasciamo perdere. Tanto ormai è così, trovo inutile stare qua a discuterne» dissi, cercando di tranquillizzarmi.
Lennon annuì. «Quindi?» domandò, dopo alcuni attimi di silenzio.
«Quindi, cosa?»
«Che facciamo ora?»
Mi strinsi nelle spalle, «non so, io ho detto che dovevo andare perché mi hai fatto arrabbiare. In realtà non ho niente da fare.»
Lennon sembrò pensarci su un attimo, «allora vado di sopra a vestirmi e torno tra cinque minuti.»
Annuii e la guardai correre su per le scale, con quelle calze verdi un po’ buffe.
Sorrisi voltandomi a guardare il cielo grigio parigino dal quale cadevano soffici e leggeri fiocchi di neve. Era incredibile come con Lennon l’arrabbiatura mi fosse passata così velocemente. Forse perché avevo capito la sua reazione e infondo, lei non poteva farci niente. Mi aveva mentito, o meglio, non mi aveva messo al corrente di alcuni fatti, con la convinzione di farlo per il mio bene e quello l’avevo apprezzato. Che senso avrebbe avuto, poi, perdere il poco tempo che avevamo a disposizione per stare insieme, litigando?
In quel momento sentii una porta sbattere e alcuni secondi dopo vidi Lennon scendere velocemente le scale, il solito berretto rosa in testa.
«Allora, dove vuoi andare?» mi domandò.
«Presumo che i negozi siano tutti chiusi» osservai, guardandomi un po’ in giro.
«Quand’è l’ultima volta che hai fatto un pupazzo di neve?» chiesi poi, senza riuscire a trattenere un sorriso.
 
Non avevo idea di dove Lennon mi avesse portato, sapevo solo che in quel momento mi trovavo in un parco più o meno nel centro di Parigi.
«Dove siamo?» domandai, leggermente smarrito.
Lennon scoppiò a ridermi in faccia, «hai il senso dell’orientamento di un bradipo» mi prese in giro.
La guardai confuso, «i bradipi hanno un pessimo senso dell’orientamento?»
Lei alzò le spalle, «non so. Tu però sì» rise. «Siamo vicini a dove abiti, più o meno.»
Aggrottai la fronte, di parchi vicino a casa mia non ce n’erano. O almeno credevo.
«Là c’è il Louvre» mi spiegò poi Lennon, indicando alla sua destra, «di là l’Arco del Trionfo» si voltò dalla parte opposta, «e tu dovresti abitare da quella parte» disse infine, puntando il dito alle mie spalle.
Annuii confuso, non avevo idea di che cosa stesse blaterando ma mi fidavo di lei.
La neve stava leggermente aumentando, quelli che prima erano esili fiocchi bianchi che cadevano dal cielo in quel momento erano diventati davvero fitti.
«Sai come si fa un pupazzo di neve?» domandai a Lennon, mettendomi in ginocchio e facendo una piccola palla.
«Me lo chiedi anche?» ribatté lei, mettendosi di fianco a me e mettendo altra neve sulla mia palla.
«Allora dovresti anche sapere che per fare il corpo bisogna spingere la palla su altra neve e questa automaticamente s’ingrossa» risi.
Lei si arrestò di scatto, appoggiando le mani sulle cosce, «ops.»
Risi e cominciai a spingerla lentamente, cercando di non romperla, Lennon si limitava a seguirmi in silenzio.
«Non credi che sia troppo grande?» domandò a un certo punto.
La guardai confuso e poi spostai lo sguardo sul frutto del mio lavoro. «Perché dici così?»
«Beh, la testa deve essere proporzionata al corpo, questo pupazzo di neve deve avere un testone. Come fai a metterglielo sopra senza romperlo?»
Inclinai leggermente la testa a destra osservando l’enorme palla di neve davanti a me, «no, così va bene» dissi poi deciso, mettendomi a fare la testa.
Lennon alzò le spalle, «come vuoi. Io vado a vedere se ci sono alcuni bastoni per le braccia» disse poi, avvicinandosi ad un albero poco distante da lì.
Io continuai con la mia opera, e quando la testa fu abbastanza grande per il corpo mi alzai con la schiena leggermente dolorante.
«Che ne dici?» domandai a Lennon, che in quel momento stava tornando con in mano una quantità decisamente esagerata di ramoscelli.
Lei guardò attentamente la testa che giaceva per terra, «non è male, ma come fai a metterla sul corpo?»
Le sorrisi sicuro di me stesso, «devi aiutarmi tu, ovviamente.»
Lennon sembrò stare per ribattere ma poi appoggiò i rami per terra ed annuì avvicinandosi. «Okay» disse semplicemente.
«Bene, vai da quella e alza la testa piano» le intimai, facendo io lo stesso dalla mia parte.
Lei obbedì, «ma pesa» si lamentò, «e poi secondo me si sta spaccando.»
«Non fare l’uccello del malaugurio!» la ripresi, ma non feci in tempo a finire la frase che la testa del nostro pupazzo di neve si ruppe tra le nostre braccia, cadendo disastrosamente per terra.
«Visto?» la incolpai, allargando le braccia.
«Ah, adesso è colpa mia?» si difese lei, «te l’avevo detto io che era troppo grande!» mi riprese, indicando il corpo ancora intatto.
Feci per ribattere ma effettivamente aveva ragione, il corpo era decisamente troppo grande. Senza proferire parola presi un po’ di neve dalla testa ormai distrutta e gliela tirai addosso, ridendo.
Lennon strabuzzò gli occhi sorpresa, era ovvio che non se lo aspettava. Chi poteva mettersi a tirare neve addosso alla gente nel bel mezzo di una discussione su un pupazzo di neve?
«Questa me la paghi» borbottò lei, inchinandosi a fare una palla da lanciarmi, ma non fece in tempo a finire perché un’altra quantità decisamente maggiore di neve, le finì addosso.
«Non vale!» esclamò lei alzandosi da terra e cominciando a correre lontano da me.
Probabilmente aveva capito che la ritirata era la scelta migliore per sopravvivere.
Mi misi ad inseguirla per tutto il parco mentre tenevo tra le mani un’altra palla di neve che avevo preparato velocemente. Lennon gridava mentre se la dava a gambe, i passanti e i turisti ci guardavano chi confuso e chi divertito, ma sinceramente mi importava ben poco dell’impressione che potevamo dare loro.
Accelerai il passo accorciando ulteriormente le distanze, ma per essere una ragazza dovevo ammettere che Lennon correva bene. A un certo punto svoltò a destra, in una strada meno affollata e si voltò velocemente per guardare dove fossi. Vedendomi non molto distante da me lanciò un altro grido che era un misto tra il divertito e il terrorizzato prima di inciampare in un cumulo di neve e finire per terra come un sacco di patate.
La raggiunsi un attimo dopo e le tirai la palla di neve in pieno volto, ridendo a crepapelle.
«Non hai neanche un po’ di compassione per una povera ragazza indifesa?» mi riprese lei, pulendosi malamente la faccia.
Mi inginocchiai accanto a lei e scossi la testa divertito, «allora, chi ha vinto?» domandai, contento.
«Non tu!» esclamò Lennon, tirandomi in faccia della neve che era riuscita a prendere in mano e cercando di rialzarsi per scappare.
Fui colto di sorpresa ma riuscii comunque a prendere Lennon per la giacca e tirarla verso di me, facendomela cadere addosso. Non mollai la presa nonostante mi stesse schiacciando, era capace di fare qualunque cosa quella ragazza.
«Adesso non scappi da nessuna parte» la presi in giro, sorridendole strafottente.
Lennon si voltò verso di me, e solo allora mi accorsi di quanto fossimo vicini.
Aveva il respiro accelerato, come me, e le nuvolette di condensa che uscivano dalle nostre bocche sembravano fondersi. Le sue guance erano leggermente arrossate e il berretto era pieno di neve, proprio come i suoi capelli.
«Smettila di ridere, hai una faccia da schiaffi» mi riprese lei, irritata e divertita allo stesso tempo.
«Non c’è niente che tu possa fare per farmi cambiare espressione» canticchiai quasi, prendendola in giro.
Non ci fu nessuna risposta a tono da parte di Lennon, l’unica cosa che sentii furono le sue labbra fredde sulle mie.
 
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Non sono morta! HAHAHAHA
Sono in ritardissimo nel postare ma nonostante il capitolo fosse già pronto non avevo voglia di aprire l'editor di efp çç
Comuuunque, adesso sono qua e spero di essermi fatta perdonare con questo bacio un po' inaspettato :) Ve l'avevo detto io che non c'era ancora molto da aspettare, sono stata buona.
Pooooi, ci terrei davvero tanto a ringraziare la Federica che mi ha aiutata sia mentre scrivevo il capitolo, supportandomi moralmente visto che l'ispirazione era sottoterra, che per aver avuto la pazienza e la voglia di leggerlo prima e darmi un suo parere quindi, grazie Fede :)
Che altro? Niente, fatemi sapere che ne pensate, ci tengo davvero molto! Soprattutto perché le visualizzazioni dei capitoli sono davvero alte, le recensioni un po' meno, quindi vi chiedo di superare la pigrizia e scrivermi un vostro parere :)
Ho finito di rompere, anche perché ho addosso un abiocco allucinante, adesso vado a fare un pisolo uù
Alla prossima <3
Jas



 



«Ciao, Harry» sussurrò, e prima che potessi dire qualunque cosa lei sparì in casa senza voltarsi.

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TATATATA PUBBLICITA'
Passate da questa flash-fic che è scritta meravigliosamente e io la amo e si merita più recensioni di quelle che in effetti riceve.
Fidatevi che non ve ne pentirete uù

   
 
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